Nightmares Are Back
3
Avevamo
lasciato Ethan al parco, a cercare un modo per passare il tempo. Gli sarebbe
piaciuto essere lì con qualche amico,
quantomeno avrebbe avuto qualcuno con cui parlare o giocare a calcio, o ancora
andare sulle giostre che si trovavano alla sua destra. Certo, avrebbe potuto
andare lo stesso alle giostre, ma si sa, tutto è più divertente se c’è un amico
al tuo fianco, e inoltre Ethan si sarebbe sentito alquanto fuori luogo in mezzo
ai bimbetti che affollavano il parco giochi. Quindi si limitava a camminare con
le mani in tasca, proprio come lo avevamo lasciato.
Si
stava chiedendo cosa fare quando, poco distante, gli giunse alle orecchie un rumore
insolito. Seguì il suono che lo guidò
davanti un grande albero, ai piedi del quale stava rannicchiata una bambina in
lacrime: erano i suoi singhiozzi che Ethan aveva udito. Subito il ragazzo si
chinò, anche se non sapeva bene cosa fare.
-Hei,
piccola- cercò di richiamare la sua attenzione –cosa c’è che non va?-
Lei
scostò appena le mani dal viso rosso e bagnato per guardarlo. Poteva avere
all’incirca otto anni, portava i capelli castani tagliati a caschetto e i suoi
occhi scuri erano ancora lucidi. Indossava un vestito a scacchi bianchi e rosa
e accanto a lei era poggiato un berretto dello stesso colore. Tirò su col naso
e si strinse le ginocchia al petto.
-Ti sei
persa?-
Chiese ancora
Ethan, visto che la prima volta non aveva ricevuto risposta. La bambina fece
cenno di sì con la testa e si guardò intorno, probabilmente alla ricerca dei
genitori. Prese il cappello e lo mostrò al ragazzo.
-Era
volato via- gli spiegò –io l’ho rincorso. Mamma me lo ha regalato solo ieri,
non volevo perderlo. Quando sono riuscita a prenderlo non ho più trovato la
mamma-
Terminò
la frase con un nuovo singhiozzo.
-Oh,
coraggio- Ethan si alzò e le porse la mano –la ritroviamo, la tua mamma. Non
può essere lontana-
Lei lo
guardò incerta, come se stesse decidendo se fidarsi o meno. Quel ragazzo non
sembrava scherzare, aveva tutta l’aria di volerla aiutare sul serio, non come
tutti quelli a cui aveva chiesto aiuto fino ad allora. Quando aveva capito di
essersi allontanata troppo dalla madre, dapprima non si era persa d’animo: era
ritornata alla panchina dove prima avevano deciso di sedersi e poi aveva girato
in quei dintorni, chiedendo alle persone che incontrava se avevano visto una
signora che poteva essere la madre.
Un
gruppo di ragazzi l’aveva cacciata in malo modo. Non avevano neanche terminato
le superiori, a giudicare dal loro aspetto, e probabilmente quel giorno avevano
marinato la scuola; erano tutti riuniti attorno a due moto, e quasi tutti avevano
una sigaretta tra le labbra ed erano ricoperti da vistosi tatuaggi. Due ragazze
avevano i capelli colorati di viola e verde.
Alla
richiesta di aiutarla tutti si erano guardati e avevano scrollato le spalle,
sostenendo che se si era persa non era certo problema loro. A quel punto la
bambina aveva perso le speranze; aveva girato ancora un po’ a vuoto tra i viali
alberati, e alla fine si era fermata lì e si era sentita invisibile agli occhi
della gente che le passeggiava davanti senza curarsi del perché una bambina
tutta sola stesse piangendo ai piedi di un albero.
A
differenza degli altri lui sembrava avere buone intenzioni, ragion per cui
accettò la mano che le aveva offerto e si era tirò su spazzolandosi via la
terra dalla gonna.
-A
proposito, io sono Ethan. E voi, signorina?-
Lei
sorrise davanti a tanto spirito cavalleresco, e si asciugò gli occhi dalle
lacrime –Octavia. Octavia Angela Blake-
-Onorato
di fare la vostra conoscenza-
Si
incamminarono lungo la strada principale che serpeggiava tra gli alberi del
parco, guardando bene a destra e sinistra, e guardandosi di tanto in tanto alle
spalle. Octavia aveva fatto un ritratto molto accurato della sua mamma.
-Ha i
capelli come i miei- aveva detto –però più lunghi. E legati in una coda. E ha
gli occhi verdi, e oggi indossava un vestito rosso perché io le ho detto che mi
sarebbe piaciuto che lo indossasse. E sopra il vestito ha un giubbotto nero, di
pelle, come quelli che hanno i motociclisti ogni tanto. Però la mamma non ha la
moto. Dice che non si fida di questi mezzi instabili, soprattutto se deve
viaggiare con me-
E altri
dettagli fino ai più minuziosi, come ad esempio la forma degli orecchini e i
bracciali che indossava quel giorno. Tutte cose superflue, a dire il vero, ma
Ethan la ascoltò attentamente e ogni tanto la interrompeva facendole persino
delle domande ancora più dettagliate; se non altro, sarebbe servito a farla
parlare e distrarla dalla considerazione che, fino a quel momento, la loro
ricerca aveva prodotto scarsi risultati.
Dopo un
po’ Octavia tacque e camminarono in silenzio mano nella mano, osservando con
attenzione i più remoti angoli del parco. La bambina guardava Ethan di
sottecchi, e fu felice che si fosse offerto di aiutarla.
-Tu non
ci vai a scuola?-
Chiese ad
un tratto. Il ragazzo non rispose subito, e le sembrò che stesse riflettendo su
cosa dire.
-Sì, ci
vado. Ma, hum, ecco… mi hanno dato alcuni giorni di
vacanza-
-Perché?-
-Perché
il preside ha deciso che me li meritavo proprio-
La
bambina lo guardò senza capire –Perché?-
-Perché…
ho litigato con alcuni ragazzi-
-E
perché?-
A Ethan
scappò un sorriso: alla sua età anche lui era solito chiedere sempre il perché
di ogni cosa, anche la più insignificante, e ricordava che sua madre, a volte,
inventava le ragioni più assurde per spiegargli il motivo di una sua curiosità.
-Perché
stavano dando fastidio ad un altro ragazzo. E io sono intervenuto a difenderlo-
Octavia
gli lanciò una strana occhiata –Li hai picchiati?-
Lui
rimase interdetto. Si passò una mano tra i capelli, imbarazzato –Bè, ecco… un
po’-
Octavia
commentò con un “oh” appena percettibile, e lui notò che si era rabbuiata come
se il fatto che lui avesse picchiato qualcuno le avesse causato un enorme
dispiacere. Sospirò e cercò un modo per rendere il tutto più accettabile.
-Vedi-
iniziò a spiegare –se io non li avessi picchiati, loro avrebbero picchiato
l’altro ragazzo. E io queste cose non le sopporto. Non sopporto i codardi che
fanno i gradassi con i più deboli, e quelli erano codardi. Se fossero state
brave persone non avrei mai fatto a botte con loro-
Come
spiegazione era un po’ ridicola, doveva ammettere, ma sperò che la bambina
capisse ugualmente. Octavia rimase pensierosa per un po’, riflettendo su quelle
parole.
-Ma
allora, se avevi ragione perché ti hanno cacciato dalla scuola?-
-Questo
non me lo spiego. So solo che i genitori di quei ragazzi erano più numerosi e
infine hanno avuto la meglio. È sempre così: il numero fa la ragione o il torto
di una persona, e non importa se la decisione è corretta o meno-
-Ma non
è giusto-
-Già.
Comunque sia ormai è fatta, ci sono abituato. E poi tra due giorni ci tornerò
lo stesso, a scuola-
Octavia
stava per replicare quando una voce di donna richiamò la loro attenzione: stava
chiamando il suo nome. La bambina si voltò in tempo per vedere una donna
correre verso di loro, agitando un braccio nella loro direzione. La borsa le
stava per scivolare dal braccio e, se prima aveva i capelli legati, la coda
doveva essersi disfatta perché una gran massa di capelli color cioccolato la
seguiva come un lucido mantello agitato dal vento.
-Mamma!-
La
bambina le corse incontro e si gettò tra le sue braccia. Spiegò poi tutta la
storia di come il cappello le era volato via ad un improvviso soffio di vento –
che, come andremo a scoprire, non fu tanto improvviso – e di come lei si fosse
allontanata per riprenderlo. Inoltre, promise che non sarebbe più scappata via
in quel modo.
Poi
Octavia indicò Ethan con entusiasmo, e raccontò di come si era così gentilmente
offerto di aiutarla. La donna gli sorrise e gli scompigliò i capelli scuri.
-Ti
ringrazio, davvero tanto-
Lui si
strinse nelle spalle con una buona dose di modestia –Ma si figuri-
Octavia
lo guardava pensierosa, forse anche un po’ triste –Quindi quando torni a scuola
non potrai più venire qui-
Ethan
stava per scuotere la testa, ma poi un’idea lo bloccò a metà del gesto. Si
chinò e indicò alla bambina un locale dall’altro lato della strada –Lo vedi
quel bar? Lì lavora mia madre. Chiedi di Ellen, quando ci andrai. E vedi quella
strada che svolta nella salita? Casa mia è il secondo cancello sulla sinistra. Vieni
a trovarmi ogni volta che ti va-
E fu
quando terminò di parlare che si rese conto di averlo detto non solo per pura
cortesia; quella bambina lo aveva conquistato sin dal primo momento il cui
l’aveva vista, e anche a lui sarebbe dispiaciuto perdere i contatti con quella
nuova, piccola amica.
Octavia
annuì, al colmo della felicità –Posso andare, vero mamma?-
La
donna annuì, un sorriso in risposta alla figlioletta –Ma certo-
******
Avevamo
detto che il vento che aveva fatto volare via il berretto di Octavia non era
stato casuale, e forse qualcuno avrà già capito chi sia stato il vero
responsabile.
Infatti,
se ritorniamo indietro per esaminare la scena, possiamo ben vedere una
familiare figura avvicinarsi alla bambina e alla madre e, veloce come il
pensiero, portare via con una raffica di vento freddo il berretto rosa.
Dapprima,
Jack Frost era stato perplesso riguardo l’ordine ricevuto da Santa Claus, ma
ben presto aveva capito perfettamente che era necessario ai due ragazzi
incontrarsi. Si era anche dispiaciuto di come Octavia si fosse disperata quando
aveva capito di essersi persa, ma Jack aveva fiducia nelle direttive di Nord,
inoltre sapeva che sarebbe stata in buone mani. Una volta portato a termine il
suo compito si era mosso tra i rami degli alberi e dall’alto della loro chioma
aveva osservato la scena dell’incontro tra i due.
Ethan
gli aveva ricordato molto sé stesso, e dal modo gentile con in quale aveva
trattato con la bimba in lacrime aveva subito capito che Nord non si era
affatto sbagliato sul suo conto: quel ragazzo aveva un grande cuore e un animo
altruista, nonostante a volte si lasciasse guidare dalla sua impulsività.
E Jack
era certo che, nonostante fossero ormai passati molti anni dalla volta in cui
lui e Nord si erano incontrati, il ragazzo non avesse perso la sua fede. Con il
tempo, aveva imparato a conoscere l’animo di ciascun bambino e ragazzo, e negli
occhi di quel ragazzino aveva subito visto una luce ormai rara, una scintilla
che, per loro Leggende, era un dono prezioso. Inoltre avrebbe potuto giurare
che, se solo si fosse mostrato ai due ragazzi, entrambi avrebbero esclamato
all’unisono “Jack Frost!” – era certo che entrambi credessero ancora
nell’immenso potere della fantasia, e quella era una certezza che non aveva
bisogno di prove concrete.
Seduto
su un ramo, Jack sorrise. Dopotutto c’era ancora speranza.
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Eccomi eccomi!
Bene, andiamo avanti e facciamo la conoscenza di un nuovo
personaggio che, vi dirò, avrà la sua buona parte di lavoro da fare.
E poi guardate: c’è Jack *-* adorabile cosino ghiaccioloso! (?) sappiate che lui e Pitch si fanno la
guerra nel mio cuoricino, ancora non so decidere chi dei due preferisco
<_<
Comunque! Ringrazio Olzawer per aver
inserito la storia tra le Preferite e Seguite,
Gamora96 per averla inserita tra le Storie da ricordare e AngelsOnMyHearth
e _Dracarys_ per
averla inserita tra le Seguite,
inoltre un grazie mille per le splendide recensioni *-* e grazie anche a chi mi
segue restando nell’ombra ;)
C’mon, ci aggiorniamo al prossimo
capitolo!
Kisses,
Rory_Chan