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Autore: EleEmerald    17/11/2015    3 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20: Ritagli di giornale

Riconosciuta l'identità dell'uomo trovato morto nel bosco della città di Heldown, nei pressi di Louisville, il 26 dicembre. Grazie ad alcuni abitanti che dicevano di aver già visto l'uomo girare per la cittadina più di dieci anni fa infatti, si è riusciti a risalire ad alcune foto che ritraevano Malcom Smith, questo il suo nome, come passante nella piazza della città con indosso la divisa del college di Louisville. Dopo questa informazione, la polizia si è messa alla ricerca del suo nome e dei suoi famigliari negli archivi dell'università. Questo li ha portati alla scoperta del motivo della mancata denuncia di sparizione di Malcom Smith: egli infatti non era sposato e non aveva nessun parente con cui si sentisse regolarmente. Al contrario, era molto legato ai suoi colleghi, che erano però ignari della sua morte. "Credevamo stesse bene" ha dichiarato il suo capo. "Si era licenziato agli inizi di dicembre. Diceva di aver accettato un incarico a Louisville." Di quest'incarico la polizia non ha trovato traccia.
Dopo i colleghi verranno interrogati quindi i suoi ex compagni di corso all'università per riuscire a risalire al killer che, come l'arma del delitto, non è ancora stata trovato.

 

Chiusi il giornale e lo gettai sul tavolo davanti a me, nervoso. Da quanto tempo quella storia era sui gionali? Perché nessuno mi aveva detto niente? La tazza di latte e cereali di fronte a me fumava da più di cinque minuti. Vi immersi il cucchiaio e me lo portai alla bocca, non curante del calore che emanava e che mi avrebbe sicuramente scottato il palato e la lingua.
- Cavolo - mormorai con la bocca in fiamme.
Il mio sguardo cadde di nuovo sul giornale, aperto ancora alla pagina dell'articolo sul padre di Elizabeth, e osservai la foto che vi era stata stampata. Era quella raffigurante Malcom Smith con la felpa dell'università. Gli avevo dato un'occhiata veloce soltanto prima di leggere e poi un'altra quando l'articolo ne parlava.
Sbuffai, non volevo cedere alla curiosità, ma avevo bisogno di guardarla meglio e di conoscere il volto del padre di Elizabeth.
Dopo essermi guardato intorno circospetto, avvicinai di nuovo la pagina a me. Nella foto, nonostante avessero i volti oscurati, i soggetti principali erano chiaramente due ragazze in posa in una delle vecchie piazze del centro. Dietro di loro camminavano alcuni passanti, ma l'unico che la polizia aveva messo a fuoco era un uomo sui ventitré anni. Rimasi un attimo a fissare il suo aspetto: era voltato verso l'obbiettivo, portava la felpa con il logo dell'università di Louisville, quella che avrei dovuto frequentare io, e aveva degli scuri capelli castani e folte sopracciglia. La sua espressione mi ricordava Elizabeth.
La didascalia sotto la foto diceva: "Malcom Smith all'età di ventitré anni in una foto del 1996 mentre cammina per Heldown."
- Elizabeth Smith - mormorai pensieroso. - È terribile.
- Cosa? - chiese una voce alle mie spalle spaventandomi e facendomi cadere il giornale dalle mani, che finii dentro la mia colazione.
Mi voltai verso mia madre, che si era liquidata dalla cucina poco prima per andare a vestirsi.
- Non sapevo che la storia dell'omicidio fosse finita sui giornali.
- Già. A quanto mi ha detto il giornalaio, che ha il figlio in polizia, all'inizio non volevano diffondere la storia perché credevano si sarebbe risolta in fretta. La settimana scorsa però si sono resi conto che stava diventando un caso difficile, soprattutto perché non sapevano nemmeno come si chiamasse quell'uomo, e hanno pubblicato le prime notizie. - Prese a fissare il giornale bagnato e io le sorrisi colpevole. - L'ho sentito anche al notiziario ieri sera, poco prima che arrivassi.
Sgranai gli occhi, stupito. Se la notizia si stava diffondendo così tanto, come avrebbe fatto Elizabeth a nascondere tutto? E se non ci sarebbe riuscita? Sarebbe rimasta sola. Ero ancora confuso nei confronti di sua madre e lo sarei stato finché non avessi saputo cos'era successo davvero quel giorno.
Mi alzai dal tavolo, diretto al bagno per lavarmi i denti prima di andare.
- Matt - mi chiamò mia madre. - Tuo padre vorrebbe che tu andassi a trovarlo oggi dopo la scuola.
- Perché? - domandai.
Lei alzò le spalle. - Non ne ho idea.
- Va bene. Cercherò di tornare presto.
Una volta uscito dal bagno, mi diressi in camera mia per prendere il mio zaino. Lo sollevai con un braccio e sentii il suo peso gravarmi sulle spalle quando ve lo appoggiai. Quando mi voltai per uscire dalla stanza, mi fermai per un attimo a guardare lo scaffale dei libri, attirato dal volume di matematica. Non avevo ancora parlato a mia madre della proposta di Mark. Non perché non volessi ma perché non sapevo quale opzione scegliere. Da una parte avrei voluto accettare subito, felice di poter fare per sempre qualcosa che amavo. Dall'altra non volevo lasciare la matematica, anche se l'opportunità di fare quello che volevo dopo l'università non era possibile come invece con il nuoto. In realtà, ero sicuro che mia madre mi avrebbe confuso di più le idee dicendomi di fare quello che mi suggeriva il cuore. Mi ricordai della gara che avrei avuto di lì a pochi giorni. Poteva essere una delle ultime della mia vita, oppure la prima di tante altre. Era una competizione importante, ma cos'era in confronto alle Olimpiadi? Mi passai una mano tra i capelli e voltai le spalle ai libri.
Il mio cellulare vibrò e io lo estrassi dalla tasca. Elizabeth mi aveva inviato un messaggio: "Esci."
Dopo il nostro ultimo incontro due giorni prima, ci eravamo visti a scuola solo qualche volta nei cambi dell'ora e a pranzo. Avevo davvero voglia di vederla.
Scesi in fretta dalle scale, mi infilai il giubbotto e salutai mia madre, per poi chiudermi la porta di casa alle spalle. Elizabeth era sul vialetto sorridente che mi aspettava. Appena la raggiunsi, lei prese a parlare in fretta.
- Posso guidare? Per favore! So che mi avevi detto che me l'avresti fatto fare una volta ottenuta la patente ma il mio istruttore ha detto che mi farà fare l'esame non appena avrò compiuto sedici anni e lui non sarà presente per tutta la settimana e io ho bisogno di guidare, altrimenti mi bocceranno e passerò tutta la vita facendomi accompagnare da mia madre - disse tutto d'un fiato.
- Calmati!- esclamai ridendo. - Iris ti ha contagiata? Di solito è lei che parla così.
- No, è che sono in ansia.
- Si vede. - Pensai un attimo se permettere ad Elizabeth di guidare la mia macchina. Non sapevo se fosse brava e non volevo che me la distruggesse, mia madre aveva fatto molti sacrifici per comprarmela anche se non era decisamente nuova. Osservai la sua espressione, indeciso se fidarmi o memo.
- Ti prego. - Mi guardò intensamente con i suoi occhi verdi. - Sono brava!
- Oh, al diavolo - dissi a me stesso. - Puoi guidarla.
Lei emise un gridolino e mi diede un abbraccio, poi corse verso il garage.
All'inizio, Elizabeth si mostrò molto ansiosa, continuava a ripetere che era stata una pessima idea e che sarebbe finita contro un albero e, non essendo sulle auto di scuola guida, questa volta nessun istruttore ci avrebbe salvato la vita utilizzando i comandi installati sul lato del passeggero. Quando però io scoppiai a ridere, lei si calmò ed iniziò a guidare benissimo e io dovetti ammettere che era davvero brava. La osservai mentre era concentrata. Elizabeth non era di quella bellazza che toglie a tutti il respiro, era una ragazza normale, modesta, eppure io la trovavo bellissima, fin dalla prima volta che l'avevo vista mi aveva colpita. Era sembrata così fuori posto nell'ambiente scolastico, così sicura di sé e poi avevo scoperto che quello che avevo pensato di lei era tutto sbagliato. Come se per un giorno avesse utilizzato quella maschera per comportarsi in un modo diverso, non preoccupandosi di chi fosse.
- La prima volta che ci siamo conosciuti - cominciai, - mi hai chiesto di ballare. Ma non lo avresti mai fatto se non avessi indossato quella maschera, non è vero?
Elizabeth annuì e sorrise. - È vero. Come ti ho spiegato quando abbiamo passato quell'ora buca insieme, io non sono mai stata così amica dei ragazzi, eccetto che con Thomas. Non mi sarei mai azzardata a farlo.
- Ma quel giorno hai deciso che per una volta volta avresti potuto essere chiunque tu volessi.
- Tu mi capisci, Matthew. Mi sai leggere come un libro aperto- mormorò sorridendo. - Non so se averne paura oppure esserne felice.
Io le sorrisi di rimando. - Preferisco la seconda.
Passammo a prendere Iris, che si complimentò con Elizabeth per la sua guida e le disse che era perfino meglio della mia.
Decisi di chiedere alla mia amica notizie di Thomas.
Lei alzò le spalle e sbuffò. - Mi manca, ma non ho intenzione di risolvere con lui, la colpa é sua.
Questa volta fui io a sbuffare. - Brutta cosa l'orgoglio.
In tutta risposta lei mi lanciò un'occhiataccia.
Proprio in quel momento arrivammo al parcheggio della scuola, dove Elizabeth parcheggiò senza alcun problema infilandosi in un buco tra due auto. Scesi dalla macchina, vedemmo Thomas venirci incontro. Camminava con le mani nelle tasche dei jeans e lo sguardo assente. Alla vista di Iris esitò un attimo poi si fece coraggio e venne a salutarci.
- Io devo andare - annunciò Iris.
- No aspetta. - Thomas la afferrò per un braccio e per un secondo si fissarono. Sperai che le stesse per chiedere scusa ma non accadde. Thomas si schiarì la voce. - La Lawrence vuole che andiamo a provare oggi.
- Va bene. - disse lei liberandosi dalla sua presa e dirigendosi verso l'ingresso, i suoi capelli rossi che svolazzavano come lingue di fuoco.
Thomas la seguì con lo sguardò finché lei non fu entrata poi si voltò verso di noi. Sembrava nervoso.
La campanella all'interno della scuola suonò, rimbombando anche all'esterno. Alcuni ragazzi si diressero fuori dal parcheggio e altri ritardatari arrivarono di corsa dalla strada.
- Andiamo Matt, abbiamo inglese - mi incitò Thomas.
Avrei voluto parlare con Elizabeth di quello che avevo letto sul giornale ma ormai non c'era più tempo. Cercai di salutarla ma suo cugino mi afferrò per il giubbotto, deciso a trascinarmi dentro la scuola il più in fretta possibile.
Elizabeth mi fece un cenno della mano ridendo.


 

La mattinata passò in fretta anche se dovetti ammettere che nell'ultimo periodo Thomas sembrava giù di morale. Immaginai che fosse colpa del litigio con Iris e provai l'istinto di tirare un calcio nelle caviglie del mio amico. Che senso aveva farsi del male da soli?
Quando le lezioni finirono, mi diressi da mio padre che voleva vedermi. Raggiunsi la casa abbastanza in fretta poiché in strada non c'era nessuno. Una volta davanti alla porta di ingresso però, mi bloccai. Ero curioso di sapere per quale motivo mio padre aveva voluto parlarmi, ma non ero molto desideroso di vederlo.
Un dolce profumo di crostata ai mirtilli fuoriusciva dalla finestra della cucina lasciata aperta. Mi lasciai trasportare da quell'odore e ripensai alle volte in cui, dopo l'ennesimo litigio, ero sgattaiolato fuori dalla mia camera e ne avevo rubato una fetta. Mangiare quella torta mi calmava, anche se non diminuiva l'odio.
Allungai una mano e suonai il campanello, rincuorato da quel profumo che dimostrava la presenza della mia matrigna.
- Si? - chiese una voce all'interno della casa prima di aprire.
- Sono Matt.
La porta si aprii preceduta da un leggero cigolio e mio padre comparve sull'uscio. - Sono felice di vederti.
- Già - dissi senza far trapelare emozioni. - Dovevi dirmi qualcosa?
Il profumo di dolci si fece più intenso mentre attraversavamo l'ingresso e ci dirigevamo in salotto. Diedi uno sguardo nella cucina e mi accorsi che Charlotte non c'era. Sbuffai, la sua presenza mi tranquillizzava.
Mio padre mi fece accomodare sul divano del salotto e poi si sedette di fianco a me, prendendo un grande respiro.
- Avevo bisogno della tua opinione.
Io annuii, facendogli segno di continuare.
- Ora che Charlotte è incinta, sto pensando di chiederle sposarla - cominciò.
Aggrottai le sopracciglia, confuso. Adesso? pensai. Ero sempre stato convinto che dopo il fallimento con mia madre, con Charlotte non sarebbe andato oltre la convivenza.
- Credo sia un bene per il bambino. Crescerà sapendo di Lisa e non voglio che abbia dubbi sull'amore che provo per sua madre o che creda che per me sia solo...be' l'amante. Cosa ne pensi?
- Penso che tu debba sposare Charlotte perché la ami e vuoi farlo, non per il bambino. Tante coppie convivono e basta. - Lo guardai negli occhi e decisi di dire quello che pensavo veramente, anche se sarei parso duro. - Non che a te sia mai importato molto delle conseguenze delle tue scelte. Se io sono cresciuto sapendo che i miei non si amavano, lui può anche porsi qualche domanda in merito se poi verrà smentita.
Non volevo risultare egoista e dire cattiverie nei confronti di mio fratello, volevo solo far capire a mio padre che venire a chiedermi qualcosa del genere non era stata una grande idea.
Lui sospirò. - Ho sbagliato con te e mi dispiace, ma sei un adulto ormai, devi capire. So che da bambino eri arrabbiato con me perché me n'ero andato di casa e avevo lasciato te e la mamma. - Sembrava così sicuro. I miei pugni cominciarono a serrarsi. - Volevi che tornassi indietro e litigavi con me per questo, non sapendo che in quel modo non avresti ottenuto niente. - Li strinsi più forte. - Adesso però hai diciassette anni, sai che è sbagliato fingere di amare qualcuno e stare con lui solo perché non si ha il coraggio di cambiare vita e abitudini. Non stavo più bene con la mamma.
Mi alzai in piedi, le mani serrate lungo i fianchi, incredulo. La rabbia che montava dentro di me.
- In tutto questo tempo hai creduto che il motivo per cui fossi arrabbiato con te, era che te n'eri andato? - chiesi. - Credi davvero che ti urlavo contro tutte quelle cose solo per riaverti indietro? Ti sembro così stupido?
Mio padre mi guardò stupito. Non si aspettava una reazione simile.
- Qualche giorno fa ho detto a Thomas e Iris che quello che provavo per te non era rabbia, ma delusione. Ma dopo questo... Ho sempre saputo che non ti avrei riavuto indietro litigando, non era questo il motivo. Vuoi sapere perché lo facevo? Perché sei un codardo, papà. Perché quando la mamma ti ha scoperto tu l'hai pregata in ginocchio di farti rimanere e il giorno dopo proclamavi il tuo amore per Charlotte. Proprio tu parli del coraggio di cambiare vita e abitudini, quando tu ne avevi una paura folle. Preferivi prendere in giro la mamma e usarla. Non è un comportamento da uomo. Avresti almeno potuto provare a riscattarti, migliorando la situazione con me, ma non ci hai nemmeno provato. Ogni volta che litigavamo, tu mi lasciavi in camera fino alla fine della giornata, non provando nemmeno a venire da me, a parlarmi o a risolvere. Sai chi veniva a vedere come stavo? Charlotte. Nonostante tutti gli epiteti che le davo, lei si interessava sempre a me. Lei e non mio padre.
Presi un grande respiro osservandolo. Era pallido. Credevo che avrei trovato rabbia nel suo sguardo e invece no, era ferito, forse quasi pentito. Avrei dovuto provare pena? No. Era tardi per lui. Mentre un ricordo si faceva largo nella mia testa, decisi di continuare, questa volta parlando con calma, come faceva Elizabeth durante i suoi racconti. - Il mese dopo che tu e la mamma vi eravate lasciati, lei non era ancora riuscita a parlarne con la maestra, aveva troppe cose per la testa. Mi aveva chiesto di accennarglielo, in modo che non vivessi altre situazioni spiacevoli per quel periodo di tempo. Uno di quei giorni ci fu l'accoglienza per i bambini che sarebbero venuti a scuola l'anno dopo. Un gruppo venne nella nostra classe e la maestra decise di proporre di parlare dei nostri eroi. Un bambino si era alzato senza la minima vergogna, nonostante fosse circondato da ragazzi della quinta classe, e aveva detto subito che allora avremmo dovuto parlare dei nostri padri, perché loro erano i veri eroi. La maestra allora aveva accettato, dicendoci di spiegare per quale motivo i nostri padri erano eroi. Mentre aspettavo il mio turno, sentivo tutti i miei amici raccontare di come i loro padri avevano comprato loro un bellissimo giocattolo o di come tutti i giorni si alzavano presto e tornavano a casa tardi e in tutto quel tempo riuscivo solo a pensare a come tu avevi tradito la mamma.
Mio padre deglutii, per poi prendere finalmente la parola. - E tu cos'hai detto?
- Ero l'ultimo, ed è stata una fortuna perché il suono della campanella ha portato gli sguardi dei miei compagni lontani. Ho detto che tu non eri il mio eroe, che non lo saresti mai stato, perché gli eroi sono coraggiosi, leali e giusti e tu non lo sei.
Mi alzai in piedi, dando le spalle a mio padre e dirigendomi verso la porta. Lui rimase seduto, chinò la testa e si fissò le mani. Raggiunsi il corridoio all'entrata e mi fermai un attimo ad annusare il profumo di crostata. Pensai alla mia camera lì e immaginai che in futuro sarebbe appartenuta a mio fratello. Sospirai, forse finalmente quella stanza avrebbe contenuto ricordi felici.
Allungai la mano verso la maniglia della porta, deciso ad andarmene così, ma poi cambiai idea. Mio padre era uno stronzo e non era un eroe, ma se c'era una cosa buona che aveva fatto era stata quella di farmi divertire quando ero piccolo. Era bravo a creare ricordi, nonostante quelli legati a lui si fossero presto trasformati in negativi. La mia infanzia non era stata poi tanto male. Forse avrei potuto persino definirla bellissima se lui non l'avesse rovinata proprio quando stava finendo.
Tornai nel salotto, dove lui era ancora seduto nella stessa posizione. Alzò la testa appena mi vide ma non parlò.
- Sposa Charlotte e non commettere lo stesso errore con mio fratello, eri un buon padre una volta, potrai esserlo di nuovo - dissi, e con questo me ne andai.



Angolino mio: Sono ancora viva! So di essere sparita per settimane e quindi voglio chiedervi scusa per il lungo periodo con cui vi ho fatto aspettare. Come vi avevo già detto, sono stata sommersa da impegni scolastici e quindi per tre settimane non ho scritto molto, non riuscendo a trovare il tempo e l'ispirazione, ma alla fine ce l'ho fatta. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, soprattutto la fine, dove Matthew lascia finalmente uscire tutto quello che pensa di suo padre. Da una parte penso sia stato parecchio crudele, ma dall'altra mi dico che è giusto così. Mi sono divertita parecchio a rileggerla però, anche se mentre la scrivevo non era così. Ringrazio tutti quelli che continuano a leggere. Un bacio e a presto!
  
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