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Autore: Amarida    18/11/2015    1 recensioni
E se il mastino di Baskerville si rivelasse essere davvero una creatura sovrannaturale, chi si troverebbe ad intrecciare turbinosamente la strada dell'unico consulente investigativo al mondo? Gli unici cacciatori di mostri con un angelo in trenchcoat al seguito, ovviamente...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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“… era morto da quattro mesi – quattro! – quando ho aperto la porta del motel e me lo sono ritrovato davanti, fresco e strafottente come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Ti giuro, in quel momento non sapevo se ridere o piangere, abbracciarlo o dargliene di santa ragione…”
Rannicchiati dietro una roccia, il più vicino possibile alla recinzione, con lo sguardo fisso alla mole squadrata della base di Baskerville e una mano sul calcio delle rispettive armi, Sam e John cercavano di far passare il tempo e allentare la tensione raccontandosi storie a bassa voce.
Vedere il metro e novantaquattro di Sam scomodamente ripiegato su se stesso per celarsi nell’ombra della roccia fece al soldato una strana tenerezza e lo invidiò un po’ meno per l’altezza.

A quanto pareva Dean era morto davanti ai suoi occhi, sbranato da una bestia simile a quella che ora stavano cercando di recuperare, e Castiel lo sarebbe andato a riprendere addirittura all’inferno.
Rabbrividì pensando all’assurdità della storia – un po’ meno assurda a dire il vero, dopo che aveva visto tre uomini scomparire nel nulla in un nanosecondo – ma più che altro pensò a quanto sarebbe stato orribile veder morire Sherlock.
E non era nemmeno suo fratello…

“Quando sono andato ad abitare con Sherlock, che tiene pezzi di cadaveri in frigorifero, dorme e mangia il minimo indispensabile, ha abitudini malsane e una mente geniale al limite dell’incomprensibile, credevo di averle viste tutte, ma…”
Sam sorrise, comprensivo, allargando le braccia: “Se sei capace di sopportare lui, sopporterai anche noi, allora…” disse.
“Sherlock dice che sono attratto dal pericolo” replicò il dottore; “mi sono sempre rifiutato di credergli, ma a questo punto suppongo abbia ragione”.
“Noi, invece, il pericolo lo attraiamo proprio: è il nostro mestiere e la nostra maledizione, però…”
“Poi diventa difficile farne a meno?” chiese John.
L’americano annuì passandosi una mano tra i capelli troppo lunghi.

Fu allora che, all’improvviso, udirono una sirena squarciare il silenzio ovattato della brughiera.
Contemporaneamente la base di Baskerville fu illuminata a giorno da decine e decine di potentissimi fari e cani, molti cani, si misero a latrare sinistramente.
“Cosa accidenti?”
“Cavolo: li hanno scoperti!”

“Portaci fuori di qui… subito!” esclamò Dean serrando con forza la mano su una spalla di Castiel, che subito fece lo stesso con quella di Sherlock, poi chiuse gli occhi.
E non successe nulla.
“Cosa diavolo?!”
“Non lo so, Dean, non lo so: sono bloccato. Forse è colpa di quello” disse indicando la creatura che si dibatteva nel barattolo: “indebolisce i miei poteri”. Concluse frustrato.
Sherlock sbuffò tra i denti qualcosa che poteva somigliare a: “Angeli, sì, certo!” poi decise di prendere in mano la situazione.

“Di là, americani: per fortuna mi ricordo a memoria la mappa di questo posto!” gridò mettendosi a correre verso una porticina defilata dalla parte opposta della stanza.
“Tecnicamente io non sono ameri…”
“Corri, Cas!”
Fecero appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle che udirono chiaramente un notevole numero d’uomini fare irruzione nel laboratorio: non ci avrebbero messo molto a capire da che parte erano fuggiti.
Sherlock si muoveva sicuro nel labirinto di stanze e corridoi, precedendoli di qualche passo.
Il suo cappotto nero e svolazzante diede all’angelo una vivissima impressione di ali: quell’uomo all’apparenza scontroso e inaccessibile sarebbe stato un bellissimo angelo – pensò – e, forse, a suo modo, lo era.

L’inglese imboccò deciso una scala che saliva al piano superiore: “Dobbiamo raggiungere le cucine” spiegò trafelato: “c’è una porta di servizio per la consegna delle provviste che dà direttamente all’esterno e sembra meno blindata e sorvegliata delle altre”.
Erano a metà della prima rampa quando videro aprirsi la porta che dava sul pianerottolo che s’intravedeva sopra le loro teste; e pesanti scarponi chiodati apparvero nel loro campo visivo, seguiti dai loro robusti proprietari.
Una mezza dozzina di militari della base stava scendendo le scale; mentre almeno altrettanti – Sherlock giudicò dal rumore – erano appena entrati dalla porta che si erano chiusi alle spalle poco prima e in breve avrebbero cominciato a salire.
“Opporca… siamo circondati!” esclamò Dean.
“Non c’è bisogno di constatare l’ovvio”. Disse Sherlock glaciale.

Dopo un solo istante d’indecisione, i tre sfoderarono le armi e continuarono a salire finché non si trovarono faccia a faccia con i soldati.
“Saaaalve!” disse Dean sfoderando contemporaneamente sorriso e pistola, entrambi micidiali.
Sherlock non poté non ammirare il suo coraggio. Impugnò a sua volta l’arma e rimase sorpreso quando vide che anche Castiel s’era armato, estraendo da chissà dove un lungo pugnale d’argento dalla forma mai vista.
“Fermi siete in arr…” l’arcigno ufficiale in mimetica che guidava la squadra di soldati non riuscì a finire la frase perché Dean gli aveva rifilato una notevole testata, sbalzandolo indietro di un paio di metri, e l’aveva poi tramortito con un colpo ben assestato del calcio della pistola.
Sherlock sparò un colpo in aria centrando la luce al neon che pendeva dal soffitto e approfittò del buio e della pioggia di vetri per infilarsi nel varco creato da Dean e guadagnare la porta.

Solo allora i soldati rimasti presero a sparare senza tanti complimenti. Castiel, che veniva per ultimo, non poteva non essere stato colpito, giudicò Sherlock, eppure continuava a correre come niente fosse; e quando due uomini stavano quasi per agguantargli l’orlo del trench fece una cosa… una cosa che lo lasciò assolutamente esterrefatto: si girò di scatto e, mentre trafiggeva uno dei due con il suo lungo pugnale, posò due dita sulla fronte dell’altro, troppo vicino per potergli sparare, e questi si accasciò a terra senza emettere suono.
Come se non bastasse, ora che poteva vedergli la schiena, Sherlock constatò che l’altro era davvero stato colpito come immaginava: tre – tre! – macchie rosse s’andavano allargando sulla sua schiena sconciandogli il soprabito già sufficientemente sgualcito, ma lui pareva non curarsene minimamente. Anzi, terminata l’opera fece in tempo a rivolergli un piccolo sorriso, prima di ricominciare la sua fuga.
Sherlock fece uno sforzo su se stesso per rimettersi a correre a sua volta, serrando più stretta la presa sulla teca di vetro.

“Di là!” gridò di nuovo il detective sorpassando Dean e riguadagnando la testa dei fuggitivi.
Ora anche Castiel aveva estratto una pistola e si girava di tanto in tanto a sparare ai soldati.
Quando oltrepassarono una porta tagliafuoco, infilandosi in un altro corridoio, alzò un braccio, ruotò la mano e la porta si chiuse senza che la toccasse.
Dall’altra parte si udirono dei tonfi e le imprecazioni ovattate dei soldati che ci erano andati a sbattere contro ed ora, a quanto pare, non riuscivano ad aprirla.
Si fermarono un momento a prendere fiato.

“Ah, allora t’è rimasto un po’ di tocco angelico!” esclamò Dean soddisfatto avvicinandosi all’altro.
“Per fortuna sì” rispose Castiel con modestia: “non occorre molto sforzo per questo, mentre per trasportare qualcuno in volo, purtroppo…”
“Non fa niente, Cas, ce la caveremo ugualmente” disse, battendogli un’amichevole pacca sulla schiena.
Solo allora si accorse del sangue: “Oddio, Cas, sei ferito!” disse il Winchester con apprensione.
“Non importa” replicò l’altro con un’alzata di spalle.
Nel frattempo Sherlock era riuscito a rimettere in sesto i suoi poveri neuroni scompaginati dagli eventi abbastanza da tentare di formulare una teoria: “Ah, capisco!” intervenne con sollievo, “siete in contatto con i servizi segreti o qualcosa del genere, che vi forniscono armi avanzate e giubbotti antiproiettile di ultima generazione… probabilmente il sangue è finto e serve per ingannare il nemico e…”
Le sue elucubrazioni furono interrotte da una robusta e scomposta risata di Dean e da un’occhiata allibita di Castiel, che chiese: “Servizi segreti? Non capisco…”
Diede loro le spalle indignato e riprese a correre.

Fecero in tempo ad arrivare in vista delle cucine quando un’altra mezza dozzina di soldati sbarrarono loro la strada.
Stavolta fu l’inglese a lasciarsi sfuggire una colorita imprecazione, che fece sorridere l’americano.



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E adesso sono cavoli, perché il resto della storia - a parte qualche scena clou - è ancora da scrivere e, in parte, anche da inventare. Chiedo venia e spero bene...
Grazie, intanto, a chi mi ha seguito fin qui.
Un abbraccio,
la fangirl attempata ;-)
  
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