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Autore: DalamarF16    19/11/2015    1 recensioni
Post stagione 1- Dopo essere riusciti a incastrare Fisk, Matt e Foggy sono diventati molto popolari a Hell's Kitchen e la loro amicizia si è rinsaldata. Il mondo di Daredevil ha ora una rassicurante routine, ma il ritorno di Stick rimescolerà le carte in tavola. Cosa vuole il vecchio ninja da Matt? Matt accetterà di aiutarlo anche a costo di uccidere qualcuno?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claire Temple, Foggy Nelson, Karen Page, Matt Murdock, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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PERSONAL SPACE: Buongiorno a tutti! Rieccomi con un nuovo capitolo, che vi avviso, è molto noioso e scritto non benissimo, ma era essenziale ai fini della trama. Se non amate Karen... stringete i denti, come li ho stretti io scrivendolo....
Grazie a Ragdoll_Cat e a PaperHero per le vostre recensioni!


Chapter 8: Kept In The Dark.


Per un qualche miracolo, Foggy e Stick erano riusciti a raggiungere all’appartamento vuoto di Matt senza uccidersi a vicenda. L’avvocato sapeva che non era stata la migliore delle sue idea quella di chiudersi in una casa vuota, ma non voleva discutere di certe cose in un luogo pubblico (in realtà non voleva essere denunciato per maltrattamento di disabile) e di certo non gli avrebbe regalato su un piatto d’argento il proprio indirizzo.
Saperlo avrebbe voluto dire che quel vecchio avrebbe potuto entrarci in qualunque momento e usarlo per ricattare Matt. Ovviamente, se davvero l’avesse voluto, Foggy non aveva dubbi che se lo sarebbe procurato in ogni modo ma, cavolo, almeno avrebbe dovuto faticare e cercarlo.
-Mi dirai dov’è il tuo amico, o no?- e il tono di voce di Stick lo fece rendere conto di quanto fosse stata brutta la sua idea. In un luogo pubblico, non avrebbe osato fargli del male, al massimo avrebbe zoppicato per un po’ a causa dei colpi di bastone, ma qui… Foggy dubitava che Stick fosse ligio al rispetto della convenzione di Ginevra, ma come sempre aveva pensato a proteggere il resto del mondo senza considerare la propria incolumità. Oh, beh. Ormai la frittata era fatta.
-E se ti dicessi di no?-
Finchè Stick non gli avesse chiesto espressamente dove fosse Matt, rispondere in maniera insolente non sarebbe stata una bugia, quindi l’uomo non avrebbe avuto modo di scoprire se gli stesse mentendo o meno, perchè, di fatto, non avrebbe mentito.
Era una tecnica che aveva imparato e sviluppato prima a liceo e poi al college e che aveva sempre fatto sorridere Matt: quando si presentava a un esame orale per cui non aveva studiato niente o quasi niente, iniziava ad evitare di rispondere direttamente dando soltanto mezze risposte prima di trovare un valido collegamento e deviare il discorso su zone di programma meno sconosciute. Incredibile ma vero, quando i professori erano particolarmente di buon umore, riusciva anche ad uscire dall’aula con dei voti quasi decenti. Ovviamente non aveva mai pensato che si sarebbe ritrovato a sfruttare le proprie abilità per salvare le vite sua e del suo migliore amico.
-Sto perdendo la pazienza, ragazzo- lo avvertì -E credimi, tu non vuoi che io la finisca-
Stick fece un passo, un solo passo verso di lui, senza alzare le mani o minacciarlo apertamente, ma la sua sola postura (e Foggy cercò veramente di non collegarla a quella di Matt in versione Daredevil) fu sufficiente a farlo involontariamente deglutire mentre un brivido gli correva lungo la schiena. -Dimmi dove si trova- e questa volta non c’erano punti di domanda. Era ovvio che Stick l’avesse capito.
-O che cosa?- Foggy non avrebbe mai saputo da dove aveva preso il coraggio (o la pazzia), questa volta, per cercare un’ultima volta di rimandare l’inevitabile -Mi uccidi?-
-Non sono un’idiota, ragazzo- la risata di Stick era anche peggiore del suo tono più freddo. Era agghiacciante, priva di allegria. Sarcastica e beffarda. -E questo non è un film di quelli in cui l’eroe convince il cattivo di essere troppo importante per essere ucciso. Sei coraggioso, più di quanto avessi pensato, ma questo non ti salverà- l’uomo non lo disse a voce alta, ma la frase inespressa era certamente nell’aria: decisamente, Stick non era apparentemente un fan dell’articolo 17 della terza convenzione di Ginevra**, evidentemente.
-Devo prenderlo come un complimento?-
Stick si limitò a ignorarlo, evidentemente perso in qualche suo pensiero o, più probabilmente aveva deciso che non valeva la pena continuare quel gioco.
-Ho un’idea- Appunto -Siccome è evidente che Matt non si trova qui, ne lo è stato di recente, direi, e, siccome evidentemente non ti va di parlare, dovrò concentrare le mie attenzioni su qualcun altro per renderti più… collaborativo-
E non dovette aggiungere altro. Evidentemente, chiunque lo avesse addestrato si era scordato anche di insegnargli l’articolo 3, paragrafo 1 della quarta Convenzione di Ginevra*** , eppure, a meno che non fosse ultracentenario (quanto potevano vivere i pazzi ninja ciechi assassini?), doveva essere già stata scritta all’epoca del suo addestramento.
-Sta lontano da Karen! Non sa niente, lo sai!-
-E allora te lo chiederò ancora una volta. Dove. Cazzo. E’. Matt.-
Eccoci. Fanculo.
-Non lo so-
Sapeva che probabilmente Stick aveva sentito il suo cuore accelerare per la menzogna, Matt aveva più o meno cercato di spiegargli come funzionava la cosa (anche se Foggy si era perso a metà discorso). Sperava che perdesse la pazienza, che lo picchiasse o lo torturasse (con buona pace di Ginevra e dell’Aja). Invece, Stick sorrise (il che non era meglio della risata, per la cronaca).
-Torniamo in ufficio, avvocato-
E quel tono freddo, basso e glaciale entrava di diritto nella top tre delle cose più spaventose che avesse mai sentito.

***

Karen era seduta alla propria scrivania, cercando di rimette ordine sulla discutibile logica con cui Foggy riordinava i documenti dopo averli letti, e iniziava a pensare che il disordine del suo capo fosse patologico. Ricordava perfettamente di avergli consegnato il plico di carte in ordine cronologico, e tutto ciò che lui ne aveva fatto era leggerli nello stesso ordine. Com’era umanamente possibile che non ne fosse rimasto uno al proprio posto?
Sospirò, sentendo ancora una volta la mancanza di Matt. Le piaceva lavorare con lui. Era medotico e, nonostante la cecità, le restituiva tutto esattamente come gli era stato consegnato. Sbuffò mentre spargeva le varie cartelle sulla scrivania e si rassegnava a passare un pomeriggio noioso.
Senza esserne davvero cosciente, prese il proprio telefono dalla tasca dei jeans che indossava, e il suo dito esitò sull’icona verde che l’avrebbe messa in contatto con Matt. Le mancava davvero tanto, e non poteva nascondere di essere preoccupata per lui. Oltre a essere cieco, al momento stava gestendo da solo la morte di una persona cara, e non trovava giusto che li avesse esclusi così: nessuno dovrebbe rimanere da solo in certi momenti della propria vita.
Non era la prima volta che pensava di chiamarlo, e non era nemmeno la prima volta che vi rinunciava; aveva subito capito quanto il suo datore di lavoro fosse estremamente riservato riguardo alle proprie faccende e non voleva urtare i suoi sentimenti.
Mise via lo smartphone e si mise a cercare tra i loro pochi mobili un posto in cui mettere la documentazione dei casi ancora in corso in modo che fossero facilmente reperibili quando sentì un tonfo provenire dall’ufficio di Matt.
Rimase un secondo all’erta, indecisa se fosse stato reale o solo il frutto della sua fin troppo fervida immaginazione, ma quando altri rumori, più distinti, si aggiunsero al primo, fu evidente che non si era sbagliata.
Il più silenziosamente possibile, si alzò dalla posizione accucciata in cui si trovava e cercò di raggiungere l’uscita e darsi alla fuga. Non c’era niente in ufficio che valesse davvero la pena difendere: tutti i documenti erano stati copiati sia su un hard-disk esterno che sui computer di Matt e Foggy, che si trovavano ora nei loro appartamenti, e l’attrezzatura elettronica era così vecchia che nessuno avrebbe mai pensato veramente di rubarla.
Quello che non si aspettava era di trovare altri tre tizi che la aspettavano al di fuori della porta, nascosti nelle ombre proiettate dalle rampe di scale.
Non potè fare nulla per fermarli. Provò a divincolarsi, ma nonostante i suoi tentativi disperati riuscirono a immobilizzarla, piantandole contemporaneamente una mano sulla bocca per soffocare qualunque richiesta di aiuto.
La obbligarono a rientrare nei loro piccoli uffici e la fecero sedere sulla sedia di Matt, dove c’erano ancora i due uomini entrati dalla finestra in attesa. A prima vista, sembravano esattamente come l’uomo con la maschera nera, il diavolo di Hell’s Kitchen: delle specie di ninja completamente vestiti di nero, con delle bende a coprirgli il volto. La sostanziale differenza era che sembravano avere tutt’altro che buone intenzioni.
La bionda non era così spaventata dal giorno in cui aveva ucciso Wesley, e il suo primo pensiero fu proprio che Fisk avesse scoperto chi era e che fosse la responsabile della morte del suo tirapiedi. Ringraziò il cielo che nessun altro fosse in ufficio.
-Per favore- pregò nell’istante in cui le tolsero le mani dalla bocca -Non fate del male ai miei amici. Verrò… Verrò con voi-
-Se il tuo amico si comporterà come si deve, nessuno farà del male a nessuno-
Riconobbe immediatamente la voce: il signor Stick. Stava entrando nell’ufficio, navigando sicuro senza l’aiuto di nessun tipo di bastone o guida, e Foggy era immediatamente dietro di lui.
-Foggy!-
-Karen!- L’avvocato si voltò per fronteggiare l’uomo. -Non farle del male!-
-Dimmi quello che voglio sapere. Dov’è Matt Murdock-
Matt? Per quale motivo queste persone cercavano Matt? Si voltò a cercare gli occhi di Foggy, e dentro vi lesse determinazione e paura.

***

La vita di Foggy non era mai stata così difficile prima d’ora.
Finora, la peggior decisione che aveva dovuto prendere era stata quella di andare al college, ma solo perchè sua madre voleva che diventasse un macellaio e lui non aveva la minima idea di come dirle che aveva altre aspirazioni nella vita senza sembrare irrispettoso. Gran parte della sua famiglia commerciava nella carne fresca, e aveva paura che scegliendo una posizione più alta suonasse come se non si considerasse degno di una professione tanto umile, seppur assolutamente dignitosa.
Anche dopo la lite con Matt, non era stato poi così difficile decidere di alzare il culo e andare alla palestra per cercare di sistemare le cose. Era vero, si era sentito tradito, ovviamente, perchè per quattro anni si era spacciato per qualcosa che non era, ma poi, pensandoci, considerando quanti nemici si era fatto il Diavolo di Hell’s Kitchen in pochissimo tempo, aveva capito perchè aveva agito così. Inoltre, Matt gli mancava così tanto che non credeva di poter continuare a vivere senza la sua compagnia. Gli aveva mentito sulle sua capacità, ma lo conosceva, sapeva quanto forte fosse la sua sete di giustizia. Il suo migliore amico era ancora lì, non era cambiato, aveva semplicemente mostrato un altro lato di sè stesso. La teoria della giustizia applicata alla pratica, quando la legge si piegava, qualcun altro doveva sostituirla.
E ora questo dannato vecchio gli stava chiedendo di scegliere tra suo fratello e Karen, e non aveva la più pallida idea di come gestire la cosa.
Non aveva dubbi su come avrebbe agito al posto suo: avrebbe parlato senza esitare per salvare un innocente in pericolo, ma la sua mente continuava a riportarlo alle parole di Claire, e non era così sicuro che Matt fosse in grado di cavarsela in quel momento.
E’ innocente, Fog. Smetti di girarci intorno e parla. Posso farcela.
No che non puoi, cornetto! Non sei nemmeno reale! Sei solo una stupida voce nel mio stupido cervello!
-Foggy!- La voce di Karen tremava, ma allo stesso tempo era forte e squillante -Non dirgli niente!-
Uno dei ninka la colpì in faccia, lasciando un segno rosso sulla sua guancia. La ragazza urlò per il dolore e la sorpresa, e, prima che potesse pensare, l’istinto di Foggy agì per lui. Senza voltarsi a guardare, prese il bastone di scorta che Matt lasciava sempre nell’angolo vicino a lui e lo usò per attaccare i ninja.

***

Karen non riuscì a trattenere un secondo urlo quando vide Foggy fare la cosa più stupida e coraggiosa che qualcuno avesse mai fatto per proteggerla. Si ritrovò immediatamente con una mano a zittirla e altre a tenerla ferma sulla sedia più fermamente di prima, e si ritrovò obbligata a guardare come Stick (se poi era davvero il suo nome) e un paio dei suoi ninja rendevano Foggy innocuo con una brutalità che non riusciva a spiegarsi.
L’avvocato, ovviamente, non era una vera minaccia per loro, e la sua reazione era stato un puro istinto di protezione, eppure lo stavano trattando come se si fossero trovati davanti Daredevil in pelle e corna.
Foggy cadde a terra al primo colpo e siccome non era mai stato addestrato a combattere, non aveva nessuna possibilità di riuscire a reagire, non riusciva nemmeno a rialzarsi, per la miseria!
Presa dalla disperazione, piantò i denti nella mano le la tratteneva. L’uomo grugnì di dolore ma, cosa più importante, la lasciò andare.
-Basta!- gridò -Basta, vi prego! Così lo ucciderete! Basta!-
Finalmente, dopo un ultimo calcio, Stick lo lasciò finalmente in pace. Foggy rimase a terra, a malapena cosciente, tremante per il dolore.
-Ka… Karen- fu tutto quello che riuscì a sussurrare prima di perdere conoscenza.
-Foggy! Foggy!-
-Taci. Vivrà.- la zittì Stick -Ora, se non vuoi che lo uccida, per favore, aiutaci e ti prometto che tutto finirà bene-
-Scordatelo!- un altro calciò raggiunse la schiena di Foggy, facendole cambiare idea all’istante -Ok, ok. Ti prego, basta. Ti dirò dove si trova Matt-
-No che non puoi, ragazzina. Ti hanno mentito. Adesso, verrai con noi, possibilmente senza costringerti a farti troppo del male, ok?-
Karen si prese un minuto per analizzare la situazione. Non le importava un fico secco che le avessero mentito, non ora per lo meno, anche se sicuramente gliel’avrebbe fatta pagare cara. Guardò ancora una volta Foggy, steso sul pavimento, e poi i ninja. Non aveva nessuna possibilità di scappare, quindi non le restava altra scelta. Annuì e obbedì agli ordini che le vennero dati.

***

Si risvegliò in una piccola stanza. Cercò di sedersi, ma si ritrovò le mani legate dietro la schiena, mentre una catena partiva da esse e arrivava a una delle gambe della bradina su cui l’avevano stesa. Riuscì comunque a sollevare un pochino il busto, in una posizione assolutamente scomoda che, tuttavia, la aiutò a scandagliare meglio ciò che la circondava.
La camera era ancora più piccola di quanto le era sembrata a una prima occhiata, e l’unico arredamento presente era quella specie di lettino. C’era una sola, piccola finestra, troppo in alto per essere raggiunta, e probabilmente non sufficientemente larga da poterci passare attraverso anche se fosse riuscita ad arrivarci. Fuori era buio, perciò erano passate parecchie ore da quando era stata costretta a lasciare l’ufficio e sedata non appena era salita su un furgoncino bianco.
Oddio.
L’ufficio.
Foggy!
Dimenticando per un attimo la catena, cercò di alzarsi di scatto, mentre ricordava all’improvviso che avevano lasciato il suo amico steso a terra, svenuto dopo il trattamento ricevuto per averla difesa. Una fitta di dolore proveniente dai propri polsi e la reazione del metallo la costrinsero in posizione distesa. Iniziò a gridare più forte che poteva per attirare l’attenzione dei ninja o dello stesso Stick, il che sarebbe stato anche meglio, in effetti, dato che era lui a dirigere la baracca. Non dovette continuare a lungo prima di venire accontentata.
Il vecchio entrò nella stanza, il bastone stretto in mano in una presa ben diversa da quella che usava Matt per aiutarsi a navigare. Capì subito che doveva fare molta, molta attenzione a quello che diceva. L’uomo le andrò dritto incontro, e per la prima volta Karen prestò attenzione ai suoi occhi azzurri e glaciali. Erano una delle cose più spaventose che avesse mai visto.
Ovviamente sapeva che i ciechi non erano particolarmente espressivi; non riuscendo a vedere, non avevano bisogno di mettersi a fuoco su qualcosa, e questo era uno dei motivi per cui portavano sempre gli occhiali da sole, per non mettere in imbarazzo gli altri. La prima sera fuori di prigione, quando Matt le aveva parlato di come gli mancassero i tramonti, era riuscita a guardarlo negli occhi per la prima e unica volta (il resto del tempo teneva su gli occhiali, a meno che non fosse solo con Foggy). Aveva gli occhi scuri, marroni, ugualmente offuscati, ma allo stesso tempo dolci ed espressivi. Erano lontanissimi dal ghiaccio che riempiva quelli di Stick. Il vecchio sembrava senza anima. Evidentemente era ben consapevole dell’effetto che riusciva ad avere sulle persone solo con la propria postura: non aveva ancora mosso un muscolo, e già Karen si sentiva pietrificata.
-Che cosa vuoi, ragazzina?- grugnì.
-Dov’è Foggy?- Karen quasi si stupì di aver ritrovato la propria voce -Cosa gli avete fatto?-
-Mi ha sfidato- fu la risposta -Ora ne paga le conseguenze-
E senza un’altra parola, uscì dalla stanza. Un minuto dopo uno dei ninja entrò nella stanza e le chiuse la bocca con un pezzo di nastro isolante.

***

Non ricordava che il soffitto dell’ufficio fosse marrone scuro. Karen doveva averlo dipinto senza dire niente a nessuno, evidentemente. E non aveva nemmeno fatto un gran lavoro, tra l’altro. Il colore era così scuro da risultare opprimente; Foggy aveva l’impressione che se avesse allungato una mano avrebbe potuto quasi toccarl… Un attimo. Poteva davvero toccarlo! E più che cemento sembrava… E da dove erano spuntate quelle colonne?
E poi la sua testa iniziò a pulsare dolorosamente man mano che riprendeva coscienza del mondo attorno a sè e del proprio corpo, dai cui proveniva dolore da punti che nemmeno sapeva di avere. Con un gemito si mise a quattro zampe, mentre insieme al male arrivavano anche i ricordi di quello che era successo.
-Karen!- chiamò, la voce alta e chiara nonostante le sue condizioni. -Karen!-
Quando non ricevette nessun tipo di risposta, cercò di rialzarsi in piedi, un passo alla volta per evitare di svenire o vomitare per i giramenti di testa. Alla fine riuscì a raddrizzarsi, appoggiandosi al tavolo che aveva scambiato per il soffitto per non cadere.
-Karen!- gridò un’ultima volta, pur avendo già la certezza di essere rimasto l’unico essere vivente nel loro studio. A fatica, zoppicando, arrivò fino alla porta, il dolore fisico completamente spazzato via dalla preoccupazione: non aveva la minima idea di dove l’avessero portata, ed era spaventato. La ragazza era completamente ignara delle attività notturne di Matt; Foggy sperava davvero che non la torturassero. Non poteva dar loro informazioni che non aveva!
Maledetto Murdock!
Poi, con la coda dell’occhio, notò qualcosa sulla scrivania. Era un rettangolo nero e dall’aria parecchio vecchia, tuttavia, Foggy lo riconobbe subito: era identico ai registratori che usava Matt durante le lezioni. Aveva smesso di utilizzarsi da anni, tuttavia, sapeva che non era finito lì per caso. Stick l’aveva lasciato per lui. Lo prese in mano e spinse il pulsante che avrebbe avviato la riproduzione.
Quando ebbe finito di sentire il messaggio, era pietrificato.
Come poteva fare qualcosa del genere al suo migliore amico?

***

L’oscurità fuori dalla finestrella si era fatta molto fitta, ora, e Karen era ancora stesa e legata su quella dannata brandina, e per di più lo scotch che le avevano messo sul viso iniziava anche a darle qualche problema di respirazione, colpa principalmente delle lacrime che non era riuscita a trattenere dopo che era stata lasciata sola. Non aveva pianto per sè stessa, quanto per Foggy, e per Matt.
Le avevano mentito entrambi, e probabilmente Matt le aveva mentito fin dal primo giorno in cui si erano incontrati, e probabilmente avrebbe dovuto essere incazzata nera con quei due, ma al momento era solo molto preoccupata per le uniche due persone a cui teneva e che ora si trovavano in pericolo, forse per colpa sua.
Per quel che Stick le aveva detto, Foggy poteva anche essere già morto; il vecchio poteva essere tornato indietro e ucciderlo chissà quante volte da quando l’avevano rinchiusa lì dentro.
E Matt… Dio, per quale cavolo di motivo qualcuno avrebbe dovuto volere Matt anche a costo di minacciare le figure che più vicine a una famiglia per lui?
Quella domanda non voleva saperne di uscirle dalla testa.
C’era qualcosa che le aveva tenuto nascosto, di questo ne era certa, magari qualcosa di cui nemmeno Foggy era a conoscenza. Qual era il suo segreto? E Foggy lo sapeva? Era una domanda difficile a cui rispondere. Quei due erano più che amici, forse anche più che fratelli. La loro amicizia era qualcosa veramente difficile da definire, e il loro legame li aveva quasi distrutti entrambi quando avevano litigato.
Karen era certa che Foggy si fidasse ciecamente di Matt, anche se i sentimenti del cieco erano molto più complicati da interpretare, quindi non aveva dubbi che, qualunque fosse il suo segreto, il biondo lo stesse coprendo, ma aveva idea di cosa stesse succedendo?

L’apertura della porta interruppe il corso dei suoi pensieri. Si voltò a guardare Stick che entrava nella cella. Senza esitare, si avvicinò e lei e le strappò il nastro, sostituendolo immediatamente con la propria mano.
-Grida e te ne pentirai. Capito?- scioccata, e con le labbra in fiamme, le ci volle un attimo prima che le parole arrivassero al cervello -Capito!?- Le urlò contro, e lei annuì immediatamente, sobbalzando spaventata. La mano callosa e grande dell’uomo la lasciò, finalmente, e Karen non riuscì a trattenere qualche singhiozzo, dovuto soprattutto alla tensione accumulata. Le lasciò un paio di minuti, quello che le fu appena sufficiente a ricomporsi, prima di parlare. -Quando sai di Matthew?-
-Cosa… Cosa vuoi da lui?-
-E questo risponde alla mia domanda. Non sai niente-
-Cosa dovrei sapere?- indagò, notando, e non per la prima volta, che Stick sembrava essere in grado di camminare perfettamente senza la guida del bastone… esattamente come faceva spesso Matt nel loro ufficio.
In molte cose, ora che lo guardava bene, lui e Matt erano come fotocopie: il modo in cui tenevano il peso esattamente bilanciato su entrambi i loro piedi, il piegare leggermente la testa di lato, come se stessero ascoltando qualcosa di inudibile al resto del mondo. Una volta aveva chiesto a Foggy come fosse possibile che Matt riuscisse a girare per lo studio senza rompersi l’osso del collo, principalmente perchè il biondo depositava di solito tutto il depositabile sul pavimento. Lui si era limitato a farle un sorriso colpevole, seguito dalla spiegazione che si trattava in parte di fortuna e in parte di esperienza: dopo anni di convivenza, il cieco si era abituato al suo disordine e in qualche modo riusciva a prestare attenzione e a non inciampare.
Karen si era messa a ridere, ma ora si rendeva conto che non stava molto in piedi la cosa.
-Sappi solo che ha infranto un patto, e ora ne pagherà le conseguenze-
-Dov’è Foggy? L’avete ucciso?-
-Peggio- fu la risposta -L’ho spedito all’inferno. Dovrà scegliere tra il suo amichetto… e la ragazza che ama-
-Foggy non mi metterà mai davanti a Matt. E non è innamorato di me, comunque-
-Il suo battito cardiaco racconta un’altra storia. E, tra parentesi, l’ha già fatto-
-Perchè Matt è così importante per te? Foggy può aiutarti allo stesso modo!-
-Non penso proprio-
-E’ un avvocato bravissimo!-
Per la prima volta, Karen vide un’espressione diversa dalla rabbia attraversare il viso dell’uomo. Era puro stupore, come se non riuscisse a credere a quello che aveva appena sentito.
-Pensi davvero che mi serva un avvocato? Che abbia fatto tutto questo per ingaggiare Matt Murdock? Ma così stupida ci sei nata o lo sei diventata a furia di stare con quei due?-
L’ira vibrante nella voce dell’uomo la fece tremare. Per una qualche ragione a lei sconosciuta, quello che aveva detto l’aveva mandato fuori dai gangheri. Gridava così forte ora che uno dei suoi subordinati era entrato a chiedere se avesse bisogno di aiuto. A quel gesto, l’uomo riprese coscienza di sè stesso, e si calmò prendendo lunghi e calmi respiri, prima di lasciare la stanza borbottando qualcosa riguardo alla sua inutilità e ingenuità. Non riuscì a evitare un sospiro di sollievo e incredulità quando la porta si richiuse senza che le venisse fatto del male.

I ninja.
Qualcosa in loro le ricordava Daredevil, per quanto assurdo potesse sembrare. Più che a lui, in realtà, lo ricollegava all’uomo con la maschera, prima del costume rosso, tuttavia, cosa effettivamente li collegasse, non riusciva a dirlo. La sua mente cominciò a lavorare sulla cosa, aggrappandosi a quella debole offerta di pensare ad altro per non dare di matto.
Cercò di ricostruire un’immagine mentale dell’uomo che l’aveva salvata quella notte, per come lo ricordava lei, non quelle dei video a bassa risoluzione che si trovavano su youtube, e la mise accanto a quella dei guerrieri che la tenevano prigioniera, cercando di trovare cosa li accumunasse e, allo stesso tempo, un qualcosa che le dicesse che non avevano niente a che fare l’uno con gli altri.
La risposta arrivò in poco tempo, senza che lei dovesse sforzarsi troppo.
Gli occhi.
O meglio.
La maschera che li copriva completamente.
Finora non ci aveva mai fatto davvero caso, principalmente perchè a lei bastava sapere che Daredevil era dalla loro parte e che non le aveva salvato la vita per sbaglio, ma effettivamente il costume nero copriva interamente la parte superiore del volto e, ripensandoci, non aveva visto buchi per gli occhi o qualcosa che indicasse che attorno ad essi il tessuto fosse più leggero per permettergli di vedere dove colpire.
La divisa dei ninja era fatta esattamente allo stesso modo, con niente che lasciasse intendere come riuscesso a usare gli occhi sotto il travestimento.
Stick era il loro capo, ed era cieco, quindi era logico assumere che lo fossero anche i suoi subordinati, altrimenti probabilmente avrebbero già trovato il modo di sopraffarlo.
Pura coincidenza (o forse no) anche Matt era cieco, per cui, quasi inconsciamente, aggiunse anche la figura dell’avvocato agli altri. In effetti, lui e Daredevil sembravano avere la stessa corporatura.
No. Non esiste.
Non puo’ essere.
Mat NON era Daredevil.
Ma nel frattempo nella sua mente si era aperto un altro cassetto, quello che conteneva i pezzi del puzzle chiamato Matt Michael Murdock, e una vocina nella sua testa le diceva che se Matt fosse stato effettivamente il diavolo di Hell’s Kitchen molti di quei pezzi andavano magicamente a posto senza sforzo; i suoi continui lividi (e le pessime scuse con cui li giustificava), le sue misteriose sparizioni notturne, come aveva scoperto di Wilson Fisk (e perchè aveva insistito così tanto perchè loro tenessero un basso profilo) e da lì ovviamente tutto andava direttamente al famigerato “incidente d’auto”.
Foggy sapeva tutto fin dal principio? E Ben?
Era l’unica all’oscuro di tutto?


PERSONAL SPACE: Sorry per aver abbandonato Matt al suo destino... per sapere cosa avrà combinato Fisk... beh ci rivediamo al capitolo 9!

Vi lascio i testi degli articoli delle convenzioni di Ginevra che ho citato!

**Nessuna tortura fisica o morale nè coercizione alcuna potrà essere esercitata sui prigionieri di guerra per ottenere da essi informazioni di qualsiasi natura. I prigionieri che rifiuteranno di rispondere non potranno essere nè minacciati, nè insultati, nè esposti ad angherie od a svantaggi di qualsiasi natura.

***Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri di forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo.

   
 
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