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Autore: eleanor89    27/02/2009    6 recensioni
Nel farlo il suo sguardo cadde sul marciapiede opposto, sporco di sangue. La piccola folla aveva involontariamente creato un vuoto, lasciando visibile una moto per terra e quel piccolo lembo di strada.[...]
«Ma quella moto…» cominciò Shino, abbassandosi sul naso gli occhiali da sole per vedere meglio.
Shikamaru saltò giù dal marciapiede, individuando subito ciò che aveva visto la compagna; spinse un uomo che lo rimproverò furioso e continuò ad avanzare imperterrito.
Una borsetta viola.[...]
«La sai l’ultima? Kiba ha comprato una moto! E’ di seconda mano ma è una moto vera! Voglio proprio farci un giro prima della fine dell’anno! Cos’è quella faccia, tu no?»
Storia classificata prima al contest "His/Her bag" indetto da Stray cat Eyes.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Kiba Inuzuka, Sakura Haruno, Shikamaru Nara | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non sono frasi di circostanza quando si dice: non pensavo che avrei vinto. Mai. Io non lo sospettavo neppure, sebbene naturalmente sperassi. Quindi ringrazio infinitamente la signora giudice (XD) Stray cat Eyes. E poi basta, se no sembra l'oscar.





Quando un obbrobrio di borsetta ti cambia la vita




I° capitolo: tre anni prima.


«Heeere, cooomes a regular…»* Sakura e Naruto cantavano, camminando a braccetto per la strada. Dietro di loro Shikamaru che non tentava neppure più di protestare, Choji che si abbuffava di patatine nonostante fossero le otto e venti di mattina e rideva delle stonature dei due, Shino che li seguiva silenziosamente e Hinata che si teneva in disparte a chiudere la fila, ma sorrideva divertita.

Un’ambulanza a sirene spiegate sfrecciò accanto a loro, e quest’ultima si tappò le orecchie con le mani, lasciando poi cadere le braccia quando i due in testa riprendevano la loro esibizione.

Shikamaru sospirò: e dire che quella canzone era triste in origine, mentre loro l’avevano trasformata in un pezzo tra il rock ed il lugubre.

«C’è un mucchio di gente per strada, stamattina.» notò Choji colpito.

«Solitamente il sabato mattina c’è moria generale vicino alla scuola, senza contare che la gente non va al lavoro. Però è appena passata un’ambulanza, ci sarà un incidente.» meditò Sakura, smettendo di cantare.

«Infatti.» confermò Shikamaru, indicando un’auto che giaceva distrutta più avanti contro un palo elettrico, circondata da curiosi e paramedici.

«Noooo, speriamo non sia morto nessuno.» esclamò Naruto.

«Se non altro i professori arriveranno in ritardo, andiamo a fare colazione anche noi.» propose Shino.

«Shino! Un po’ di umanità!» lo rimproverò Sakura, rabbrividendo. La voce di Shino le faceva sempre venire la pelle d’oca, e scosse la testa infastidita. Nel farlo il suo sguardo cadde sul marciapiede opposto, sporco di sangue. La piccola folla aveva involontariamente creato un vuoto, lasciando visibile una moto per terra e quel piccolo lembo di strada.

S’immobilizzò, la bocca semiaperta e gli occhi spalancati.

«Sakura-chan?» chiamò Naruto stupito, voltandosi a guardarla.

«Sakura?» si preoccupò Choji, seguendo il suo sguardo.

Sakura fece un passo avanti, verso ciò che aveva catturato la sua attenzione. Cominciò a respirare più velocemente, i polmoni che coordinavano la loro velocità a quella del cuore che sembrava essere impazzito.

«Ma quella moto…» cominciò Shino, abbassandosi sul naso gli occhiali da sole per vedere meglio.

Shikamaru saltò giù dal marciapiede, individuando subito ciò che aveva visto la compagna; spinse un uomo che lo rimproverò furioso e continuò ad avanzare imperterrito.

Una borsetta viola.

Quello che lui e Sakura stavano fissando era una stupida borsetta viola, di una loro stupida amica che non poteva c’entrare qualcosa perché non aveva una stupida patente e quindi erano stupidi anche loro a spaventarsi per niente.

Questo almeno era quello che si stava ripentendo, finché non aveva visto meglio la moto.

Adesso anche gli altri erano dietro di lui, spaventati a morte mentre si guardavano intorno in cerca di spiegazioni. Hinata fu la prima a notare lo studente liceale seduto sul bordo del marciapiede, con la testa affondata tra le mani e la camicia dell’uniforme scolastica chiazzata di sangue.

«Kiba…» soffiò Sakura improvvisamente senza voce, cominciando a correre verso di lui. In un baleno si vide superata, e poté solo osservare la schiena di Shikamaru che correva più veloce di tutti incontro al ragazzo.

«Inuzuka!» ruggì.

Kiba sollevò la testa di scatto, spaesato e in lacrime, spalancando gli occhi quando si trovò uno Shikamaru furioso di fronte.

«Te l’avevo…» si interruppe per tirargli un forte pugno sul viso, che lo fece sbattere violentemente a terra. Qualcuno nella folla urlò, ma nessuno di loro vi badò.

«Shikamaru!» gridò Hinata.

«Shika, fermo!» ordinò Choji, arrivando alle sue spalle e bloccandolo per le braccia.

«Te l’avevo detto di non farla salire in quella cazzo di moto, figlio di puttana!»

Kiba rimase steso per terra, guardandolo con occhi vuoti, senza riuscire a smettere di piangere.

«Shikamaru, per favore…» supplicò Sakura, buttandosi letteralmente a terra davanti all’altro. «Kiba, come sta Ino? Ti prego, rispondimi.»

Kiba spostò lo sguardo su di lei, chiudendo poi gli occhi.

«Kiba?» ripeté con voce straziata.

«Era cosciente fino a poco fa. Poi è crollata.» mormorò, riaprendo gli occhi e cercando le parole giuste.

«In che ospedale si trova? Chiamo mia madre e ci faccio portare.»

«All’ospedale nuovo, quello che hanno fatto da poco.» rispose, troppo confuso per ricordarne il nome.

Sakura si alzò di scatto, componendo il numero di cellulare con le mani che tremavano troppo, e dovette riscriverlo due volte per riuscire a premere i tasti giusti senza errori.

«Kiba-kun, tu stai bene?» domandò Hinata con voce tremante.

Kiba si rialzò faticosamente, evitando di risponderle.

Shikamaru stringeva i pugni, cercando di respirare normalmente per evitare di colpirlo ancora, ma al solo vederlo in piedi gli montò il sangue alla testa.

«Kiba, se qualcosa va storto, sei morto.» lo minacciò, liberandosi della stretta di Choji e avviandosi dietro Sakura a passo svelto.

Kiba chinò il capo, senza riuscire a rispondergli.

«E’ arrabbiato. Non lo pensa davvero... Cioè, non pensa sia colpa tua, non è colpa tua.» sussurrò Choji.

«E’ colpa mia.» lo contraddisse, sollevando di nuovo la testa.

«E’ stato un incidente.» ribadì Choji.

«Correvo troppo, Choji. Ho perso il controllo della moto per colpa di un fosso. E’ colpa mia.» disse Kiba, mordendosi le labbra per non piangere ancora.

Choji ammutolì, diventando come di pietra. Naruto ed Hinata spostarono lo sguardo dall’uno all’altro.

«Forse…» cominciò con calma, «… niente forse. E’ meglio sicuramente che vada da Shikamaru.» dichiarò, spostandosi subito e fremendo vistosamente di rabbia.

«Kiba-kun.» mormorò Hinata.

Naruto sospirò, poi poggiò una mano sulla sua spalla. «Non è colpa tua lo stesso, non pensarci ora.» lo rincuorò, dandogli un colpetto leggero. Poi finalmente notò che l’altro braccio di Kiba era strano.

«Che ca… hai il braccio rotto?! Ma sei scemo? Perché non sei salito anche tu in ambulanza?» gridò il ragazzo facendo un salto indietro.

Sakura si voltò a guardarli, con ancora il cellulare all’orecchio.

Shikamaru camminò imperterrito, sino ad arrivare allo zainetto viola e a sollevarlo con rabbia, stringendoselo con un braccio contro il petto. Un piccolo portachiavi a forma di cervo pupazzo dondolò contro di esso, e il ragazzo riportò automaticamente la mente a due anni prima, quando Ino era stata assegnata al suo banco per le ore di scienze. Lei, al contrario di tutte le previsioni, si era mostrata da subito entusiasta, e già un mese dopo aveva comprato quel piccolo animale come “ricordo” a detta sua “del nostro studio assieme”.

Ricordò il modo in cui gli sorrideva quando erano soli, caloroso e pieno di fiducia, e quando lo provocava, superiore e maliziosa, e gli salirono le lacrime agli occhi. Le cacciò indietro, notando qualche macchia di sangue a sporcare la cinghietta di metallo, e rabbrividii.

Si era appena reso conto di pensare a lei al passato.


Se c’era qualcosa che Naruto odiava dei dottori era il gergo medico: tutti quei paroloni uno dopo l’altro volti a confondere l’altra persona, quando tutto ciò che voleva era sapere delle condizioni della loro amica. Quando Sakura aveva accennato all’idea di voler studiare medicina, dopo il liceo, le aveva fatto promettere di essere chiara con i parenti dei pazienti, almeno lei.

Ora stava con le braccia incrociate e la schiena contro il muro, a guardare imbronciato la dottoressa dall’aria gentile ma preoccupata che parlava con i genitori di Ino, spiegando loro cose che lui non riusciva a capire. Sakura non riusciva a stare ferma e stava lottando con un distributore automatico, Hinata era seduta su una poltroncina in sala d’aspetto, giocherellando con lei dita, e accanto a lei stava Shino, immobile e immerso nei propri pensieri.

Choji era andato ad accogliere Tenten, Sai, Lee, Neji e altri loro compagni di classe venuti subito, appena saputo.

Shikamaru era fuori a fumare, cosa che faceva circa due volte l’anno.

E lui si sentiva totalmente inutile, e non poteva neppure entrare al pronto soccorso, dove un’infermiera si prendeva cura di Kiba, perché quell’idiota doveva fare tutti gli esami del caso e lui non poteva disturbare.

Ino era sotto i ferri, questo era chiaro.

Per quale motivo non era riuscito a capirlo, né quanto male stessero le cose in realtà. L’unica che avrebbe potuto aiutarlo era Sakura, che leggeva con attenzione anormale le indicazioni scritte su un pacchetto di biscotti appena presi.

«Sakura-chan.» provò, del tutto incerto di come avrebbe potuto reagire.

Sakura non distolse lo sguardo dalle scritte, ma gli occhi fissi indicarono che non stava leggendo davvero: «Dimmi.»

«Cos’ha Ino? Io non ho capito.» borbottò a disagio.

«Un’emorragia interna.» disse dopo una breve esitazione.

«Oh. Posso avere un biscotto?»

Sakura alzò lo sguardo e annuì. Lo superò e andò a sedersi per terra accanto a lui; Naruto si sedette a gambe incrociate e le prese la confezione, aprendola e tendendogliela di nuovo.

«E’ assurdo. Ci stavo parlando stamattina e stavamo decidendo come farci i capelli, e cose stupide così…»

«Lo so. Sakura… non avercela con Kiba.»

Sakura scosse la testa. «Non è stata colpa sua, lo so. Quei cazzo di fossi... rischiamo sempre di farci male. Ricordi in bici?»

«Si, me lo ricordo. Mi ricordo tutte le cadute…» la voce sfumò, in mezzo a quei ricordi non troppo lontani da non essere rievocati con precisione, e sovrapposti all’immagine della moto che sbandava e finiva nell’altra corsia…

Naruto si mosse a disagio, stendendo le gambe davanti a sé.

«Naruto.» lo chiamò Choji. Il biondo alzò lo sguardo sull’amico. «Dov’è Shikamaru?»

«In giardino. Fuma. Non andare ancora, Cho.»


Shikamaru lasciò cadere la cenere a terra e si sedette su una panchina, ascoltando il rumore di un’altra ambulanza che rientrava a sirene spiegate.

Spostò lo sguardo sulla borsetta viola, che aveva portato con sé.

Non c’era dubbio che fosse di Ino, quella ragazza aveva una spiccata predilezione per il viola.

Il portachiavi pendeva da un lato e c’erano diverse spille: una col simbolo della pace ed una con la stella a cinque punte, una di un gruppo hard rock ed una con disegnato solo un grosso smile, tipiche eccentricità di Ino. Aveva cucito una rete nera creando una tasca in basso, e dentro teneva una foto, spillata per essere sicura che non cadesse.

Una foto scattata l’ultimo giorno del secondo anno: ritraeva loro due, Choji, e anche il professor Asuma, costretto da quella sfacciata a farla con loro. Gli aveva confidato che nei momenti peggiori la tranquillizzava sempre.

Sopra la tracolla stava legato stretto un nastro rosso, di cui lui non conosceva il significato ma che sapeva avere a che fare con Sakura.

Con estrema delicatezza riuscì a staccare la foto dalla borsa, attento a non rovinarla, e la mise in tasca.


«Siamo all’ultimo anno, ci pensate?

Dovremo fare una mega festa per festeggiare!

Mancano due mesi, siamo già in ritardo coi preparativi!

Cosa vuol dire “come sarebbe in ritardo”?»




«Ti piace la mia nuova borsa?

Si lo so che è viola, deficiente, l’avrei comprata se non mi piacesse?

Questo? Oh, l’ho attaccato io, così ho una tasca esterna, brava, vero?»




«La sai l’ultima? Kiba ha comprato una moto!

E’ di seconda mano ma è una moto vera!

Voglio proprio farci un giro prima della fine dell’anno!

Cos’è quella faccia, tu no?»


 

La lunga, eterna discussione nata quando lui si era mostrato preoccupato all’idea di vederla salire in moto, le urla disumane seguite ad un suo “non puoi” sfuggito di bocca, che non aveva il diritto di dire, ma che veniva dal cuore, e ovviamente il volerlo fare solo per ripicca nato da tutto ciò. Era talmente preoccupato conoscendo la spericolatezza dell’altro che si era abbassato anche a scusarsi, e si era guadagnato un bacio sulla guancia da parte di Ino e tante risate da Choji. E nonostante tutto, alla fine, eccoli lì.

Una finestra si aprì violentemente e prima che potesse mettere davvero a fuoco Kiba saltò fuori, con un braccio ingessato e diverse bende e cerotti. Teneva la cartella in mano, cosa che non facilitava sicuramente i suoi movimenti, e solo per questo Shikamaru non lo aggredì subito.

«Kiba.» chiamò, deliberatamente con falsa calma, cogliendolo di sorpresa.

«Ah, Shikamaru.» lo riconobbe, fermandosi sotto la finestra. Non sembrava intenzionato a reagire, ancora una volta.

«Vieni qui.» lo invitò facendo un cenno con la mano.

Kiba annuì, avvicinandosi con circospezione. «Cosa c‘è?»

Shikamaru prese un’ultima boccata, poi spense la sigaretta contro il muro. «Raccontami di stamattina. Dimmi tutto.»


 

Kiba esce di casa sua relativamente in anticipo, considerato che di solito entra alla seconda ora. Quel giorno ha intenzione di provare i limiti di velocità della moto, e si dirigerà fuori città per farlo. È una sorpresa per lui, quindi, quando trova Ino ad aspettarlo sul pianerottolo di casa, casco sotto braccio e gran sorriso in faccia.

«Passaggio?» domanda speranzosa.

Kiba ci pensa su. Shikamaru l’ha minacciato di morte dolorosa, e con lui anche i ragazzi che vanno dietro ad Ino, se solo pensa di farla avvicinare alla moto, e sembravano tutti molto seri. Senza contare che lui non oserebbe mai correre con una ragazza dietro, e quel giorno le sue intenzioni sarebbero quelle.

«Non vai con gli altri, oggi?» domanda quindi cauto.

Ino fa una smorfia. «Tra una settimana finisce la scuola, e non ho potuto neanche sedermi sulla tua moto da ferma. Ne approfitterò oggi, visto che so che devi andare per forza per il compito.»

E Kiba cade dalle nuvole.

«Il compito?»

«Il compito di recupero alla prima ora, quello per chi va male in giapponese… oh Kiba, non te ne sarai scordato! È la nostra ultima possibilità!» esclama inorridita.

Kiba sta per sentirsi male, si tiene al parapetto e porta una mano al cuore. «Su cos’è?»

«Un analisi di un testo in giapponese antico.» risponde svelta.

«Alla prima ora, hai detto?» si passa la lingua sulle labbra secche, considerando l’idea di farsela non solo correndo, ma volando. Poi si ricorda che in questo caso non può mollare Ino lì.

«Andiamo.»

Lei lo precede vittoriosa, infilandosi il casco.

«Ma dove l’hai preso?» domanda sospettoso.

«Prestato.» e la nota maliziosa nella sua voce gli fa intuire che non glielo ha prestato un’amica. Poi gli porge il libro che tiene in mano. «In borsa non ci stava, te lo metti in cartella?»

«Ma perché hai una borsa così piccola?»

«Perché? Perché sono una stupida femmina.» risponde lei con un ghigno arrogante.

Sorridendo ancora, manda a cuccia il suo cane che è venuto come sempre a salutarlo e infila il casco a sua volta, andando a sedersi.

Qualche secondo dopo filano già via, ridendo e chiacchierando del più e del meno, fingendo di non avere un compito veramente importante in un edificio che ormai non sopportano più di vedere all’altro capo della città, finché Ino guardandosi attorno non legge l’ora su un cartellone elettronico davanti ad una farmacia e strilla come un’aquila, stringendosi convulsamente a lui.

E accelera Kiba, accelera dimenticando la prudenza e tutti gli ammonimenti degli amici, perché ormai ci sa fare con la sua moto e a quel compito ci tiene. E arriva davvero incredibilmente presto, considerato che la campana d’inizio suona alle otto e venticinque e sono le otto e dieci, ed entrambi festeggiano urlando il loro nuovo record di velocità, quando improvvisamente la moto si impenna in avanti, e lui, spaventato a morte, si rende conto che la moto è fuori controllo senza poter fare nulla.

Gira lo sterzo e il mondo comincia a girare pazzamente, con Ino che grida di terrore nelle sue orecchie, ma non può ascoltarla perché sta pensando solo a come diavolo fermarsi, possibilmente non contro un muro, ed un’auto li schiva strombazzando e può sentire il rumore terrificante di quando si abbatte contro qualcosa di metallo dietro di loro, e poi improvvisamente c’è un’altra macchina davanti a loro, la moto ci sbatte sopra quasi di traverso, impennandosi ancora e lui si sente sollevare in aria, e non è vero che la vita gli scorre davanti ma pensa solo “oh cazzo” e “sono morto” prima di volare di un centimetro sopra il parabrezza dell’auto senza ferirsi e andare a sbattere come un proiettile a terra, contro uno spiazzo erboso di un terreno abbandonato che è la sua salvezza, perché oltre al crack che fa il suo braccio quando ci cade sopra e allo shock che poi diventerà dolore e bruciore dopo che striscia a terra per parecchi metri, salvandosi la faccia solo col braccio rotto, è finita. Limitandosi a respirare, ha il tempo di ricollegare quello che ha sentito e che è successo, e si rende conto che anche se ha sorvolato il parabrezza e l’auto intera ha sentito comunque il rumore di qualcuno che ci sbatte sopra dietro di sé e non capisce come sia possibile. Prova ad alzarsi, e sente passi ed urla dietro di sé ancora, e qualcuno gli urla di non muoversi ma lui si tira a sedere e si guarda attorno, e non vede la strada e non sa perché. Poi capisce che è lui che sta guardando storto e la strada c’è, e sarà a dieci metri da lì e lui non dovrebbe stare così bene, quasi si sente stupido, un sopravvissuto, e poi capisce cos’ha fatto saltare il vetro di quella carcassa di macchina.

Lo capisce solo quando vede che la folla non sta correndo solo da lui ma attraversa la strada e sparisce, inghiottita dalla casa che sta proprio accanto al terreno in cui è finito, un terreno dove dovrebbero costruire un ristorante, a quel che ricorda. E inizia a ricordare cose stupide più che può, mentre ignorando tutti e non accorgendosi neppure del dolore troppo forte per essere vero che sente al braccio, ricorda e ricorda mentre striscia, va a carponi, cammina alla meglio verso la strada, e quando gira l’angolo c’è Ino per terra, ed è pieno di sangue e pezzi di metallo, e la macchina si è bloccata contro un muro e il tizio che la guidava sta uscendo fuori, scioccato e miracolosamente illeso.

Kiba cade in ginocchio e la chiama, e lei si gira a guardarlo con occhi incredibilmente svegli, e ancor più incredibile, sorride.

«Questa è colpa di chi ci porta sfiga.» dice, e ride.

Anche Kiba ride, e la sua risata è umida e sa di lacrime, ma non capisce perché, perché è sicuro di non piangere.

«Non piangere.» gli dice invece Ino.

«Il compito lo saltiamo, eh?» cerca di scherzare Kiba, tirando su col naso.

«Ci mette il sessanta politico.» conferma lei, e ride di nuovo. «Dovresti vedere la tua faccia.»

«Ma ti senti? Pensi di essere normale, che stai lì a ridere come se niente fosse?» domanda, fingendo che tutto vada bene, che non ci sia del metallo dove non dovrebbe esserci, anche un pezzo sul ventre piatto di Ino, che sparisce in una macchia scurissima nella sua camicia e lui non vuole neanche immaginare cosa tocchi.

«Sono messa molto male?» chiede Ino, improvvisamente esitante.

Kiba fa no con la testa. «Sei troppo bella per essere messa male.»

Ed Ino ride di nuovo, sembra stanca, e Kiba si guarda intorno chiedendo se qualcuno ha chiamato l’ambulanza e gli rispondono di si, e che dovrebbe stendersi anche lui, ma li ignora.

«Mi fa male la pancia.» comunica sbrigativa, «E un po’anche la gamba, la macchina ci ha sbattuto sopra. Però non così tanto.»

E lui non può dirle “non ancora” anche se ha già avuto un incidente una volta, sicuramente meno grave, e il dolore è arrivato solo dopo. Così sorride e annuisce. «E’ normale, non è stato un colpo forte.»

Ino sembra confusa, poi lo accetta. «E’ vero. Anche se mi sono spaventata per te. Cazzo, sei volato letteralmente via. Io sono sbalzata ancora più di lato credo, e ho sbattuto contro il vetro della macchina.»

L’abbraccerebbe, perché sembra che stia raccontando di quando va a fare shopping, ma Ino è fatta così, quando è nel mezzo di qualche casino non valuta più le conseguenze o il pericolo, è coraggiosa e stupida al tempo stesso. La adora, e capisce perché Shikamaru e Choji la vogliano sempre proteggere, anche se alle volte è insopportabile e vuole sempre comandare.

«Manda un messaggio a Sakura.» dice Ino, chiudendo gli occhi. «Dille dell’incidente, muore se passa davanti a scuola e mi vede così.»

Non sa neanche come ma obbedisce, solo che le mani tremano tanto che gli cade il cellulare. Le guarda incredulo, non ha mai tremato così tanto e non lo credeva possibile, e può solo raccoglierlo e infilarlo in tasca.

«Tra un attimo. E Shikamaru?»

Ino apre subito gli occhi.

«Shikamaru mi ammazza se sa che sono salita in moto con te, spero che l’ambulanza arrivi prima.»

«Tu non sei normale.» ripete sconcertato, ed Ino ride di nuovo. Poi smette di ridere, e quando Kiba se ne rende conto vede che è svenuta. Prega che sia svenuta.

La sua mente sta reagendo in modo strano e non ricorda bene neanche quando ha smesso di ridere, ma le appoggia una mano sporca di sangue sul viso, e sussurra il suo nome per chiamarla.

Poi sa solo che dei medici la stanno stendendo su una specie di lettiga, e lui resta chino sul marciapiede a lasciarli fare. Ce ne sono molti, anche chi guidava la macchina che ha preso il palo si è fatto male, e quando gli chiedono di seguirli dice che può aspettare, che si è solo graffiato, perché solo all’idea di salire in ambulanza con Ino rischia di vomitare l’anima, e anche quando si sposta da inchinato a seduto le gambe tremano tanto che cade col sedere per terra e resta a fissare l’ambulanza andarsene, e i medici scorrere in mezzo al suo campo visivo senza badare a lui, che è circondato dalle persone. Continua a non sentire il braccio e neanche le ferite, se non fosse per la gente pronta a trattenerlo se ne andrebbe dritto a casa, perché non può pensare a niente, vuole solo dormire.

Si ricorda della risata di Ino, e comincia a piangere.



Shikamaru spense la seconda sigaretta, ascoltando il racconto sommesso dell’amico. Alla fine Kiba aveva ricominciato a piangere di nuovo, e senza rendersene conto, in un gesto automatico, gli aveva passato un fazzoletto e si era messo a piangere anche lui.

«Quella dannata, è tipico di lei riderne. E non volermelo dire, poi… fa le cose e si pente sempre tardi.» commentò Shikamaru alla fine, asciugandosi gli occhi con una mano. Poi guardò Kiba, il mitico Inuzuka, sempre allegro, ottimista, pronto a fare il figo col suo giubbotto di pelle nera invernale, impulsivo e litigioso senza neppure avere la scusa di essere uno spiantato come Naruto, e ne ebbe pena al vederlo ridotto così. «Andiamo dentro?» propose.

Kiba si asciugò velocemente e annuì, avendo compreso che quello era il suo modo per dirgli che non ce l’aveva con lui.

«Perché ti sei portato la cartella?» chiese Shikamaru, interrotto sul finale dalle grida di un’ infermiera che aveva scoperto la fuga del ragazzo. Kiba capì ugualmente.

«Perché ho il suo libro.»

Shikamaru ripensò al racconto ed annuì. «Me lo passi?»

Quando lo ebbe in mano sfogliò le prime pagine. Decine di scritte colorate, sue e delle sue amiche e compagne di classe, ma anche di studenti di altri anni, poiché Ino era piuttosto popolare. E tra le pagine stampate anche brevi conversazioni.



Inizia il conto alla rovescia, meno venti giorni alla fine della scuola, maialina!E poi megafesta!!!

Se il professore ci becca a scrivere sul libro e legge maialina davanti a tutta la classe, sei morta fronte spaziosa. Comunque per la festa pensavo a casa di Neji.

Neji? Quello che si è diplomato l’anno scorso, il cugino di Hinata? Quello? E come farai ad avere il permesso? Tu sei fuori di testa, mai riuscirai a convincerlo.

Conosco Tenten.

A che ora facciamo?


Ah, domani convinco Kiba a farmi salire in moto!

SEIPAZZA? Ascolta non----

Shikamaru ti uccide, sei pazza. Io non ci voglio entrare dopo. Ti arrangi. -Cho.-

Eddaaaai! Un pacco di patatine se mi aiuti a farci pace poi.

Vedremo.

Choji mi ha preso il libro di mano, comunque ne riparliamo fuori, idiota!


«Ma possibile che lo sapessero tutti tranne me?» esclamò esasperato Shikamaru. Kiba si sporse su una sua spalla per leggere.

«Anche tranne me ti ricordo.» borbottò cupo.

Quando entrarono in sala d’aspetto Choji e Naruto si alzarono di scatto vedendoli assieme, ma si rilassarono ad un cenno dei due.

«Cos’è quello?» domandò Sakura indicando il volume tra le mani del ragazzo.

«Un libro di Ino. Come sta?»

«Aspettiamo tutti che si svegli.»

Entrambi spalancarono gli occhi.

«L’intervento è andato bene? E’ tutto finito?» la interrogò Kiba incoraggiato.

«Non proprio.» mormorò Sakura contrita.

Shikamaru gelò, e le poggiò una mano sulla spalla. «Definisci “non proprio”.» ordinò, cercando di controllare la propria voce.

Sakura si voltò, e i suoi occhi verdi, consapevoli, andarono a scontrarsi con quelli quasi neri di Shikamaru.


Ino aprì gli occhi.

Ci mise qualche secondo a mettere a fuoco e si rese conto che quella stanza dai muri bianchi non poteva essere camera sua, e che aveva problemi a respirare. Abbassò lo sguardo ma tutto ciò che poté vedere era un tubo di plastica sparire dove probabilmente si trovava la sua bocca. Non riusciva a muovere le braccia, le sentiva pesantissime, e quando cominciò lentamente a filtrare l’idea di essere bloccata in un luogo sconosciuto, iniziò ad andare nel panico e si rese conto dell’aumentare di un suono a cui non aveva badato, come un rumore di fondo.

Era il rumore dei macchinari ospedalieri che sentiva alla televisione, più precisamente quello che faceva sentire il battito cardiaco. Tutto ciò che sapeva di medicina lo doveva alle serie tv, quindi non poteva esserne certa al cento per cento, ma realizzò di essere in una stanza d’ospedale, e a giudicare dalla luce che filtrava dalle tapparelle era il tramonto.

Cercò di ricordare come vi era finita ma non ci riuscì, così torno indietro mentalmente cercando l’ultimo ricordo che aveva. Le tornò in mente l’essere andata a dormire in quella che forse era la sera prima, salutando la madre e rubando un cioccolatino al padre che terminava così la cena. Era presto per andare a dormire, e cercò di capire perché si fosse messa a letto prima. Giunse alla conclusione che doveva svegliarsi presto la mattina dopo, ma per cosa?

Elencò le possibili motivazioni: appuntamento con un ragazzo, appuntamento con le amiche, svegliarsi prima per studiare… e così il compito di giapponese tornò a galla, e subito dopo il suo voler andare in moto con Kiba.

Ricordò che era andata a casa sua molto presto quella mattina per poter andar con lui, e poi più nulla.

Dovevano aver avuto un incidente, per questo non ricordava.

Riuscì finalmente a muovere la testa di lato, cogliendo altri particolari della stanza, come il fatto che ci fosse un ripiano proprio accanto al suo letto, e come regnasse un silenzio innaturale per essere in un reparto ospedaliero.

Poi, sul ripiano, vide una foto incorniciata poggiata sopra un libro di cui non poteva leggere la copertina, la foto che teneva sempre appesa alla borsa. La rincuorò all’istante, ed ebbe la certezza che era stato Shikamaru a metterla lì, lui era l’unico a sapere dell’effetto calmante che aveva su di lei.

Finalmente rilassata, chiuse le palpebre che sentiva già pesanti per effetto dei farmaci, e si addormentò.

Se avesse voltato il viso dall’altra parte avrebbe visto il calendario, che segnava un mese e mezzo dal giorno del suo incidente, e la finestra dalle tapparelle abbassate a metà, che dava su grattacieli che non appartenevano alla sua città.

Né al Giappone.





*Da: Here comes a regular dei Replacement. Tristissima, l'ho sentita in una puntata altrettanto triste [con morto] di One Three Hill, quindi non scelta a caso.


Allora, credo che terminerò pubblicando tutto al prossimo capitolo, quindi che dire? Il fatto che io abbia assistito all'incidente di una delle mie migliori amiche, investita sulle strisce, non ha a che vedere con questo, né il fatto che lei si sia messa a mandare messaggi ai compagni di classe mentre era stesa sull'asfalto con me affianco che nascondevo le mani per non mostrarle quanto tremavo, né il fatto che abbia aspettato che lei non ci fosse per mettermi a piangere, mentre quando lei era lì ho riso simpaticamente e fatto battute.

No no.

E non guardate lo schermo con quella faccia.

Questa storia, ovviamente, la dedico a quella scema lì, il cui unico lamento è stato “No, le mie calze di pacman” quando i paramedici le hanno dovute tagliare.

Recensite se vi piace, e anche se non. (L)


   
 
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