Capitolo 8
Questa mattina mi
sono alzata di pessimo umore, non che non lo fossi già,
sapendo cosa mi riserva
la giornata: riportare il palmare al suo stupido proprietario. In
verità sono
stati i mocciosi dell’orfanotrofio di Rosemary ad averglielo
sfilato dal
marsupio e poi nascosto, sperando di rivenderlo a qualche banchetto per
ottenere qualche moneta. Perciò ora che ci penso,
è tutta colpa loro e per
questo, mi ricorderò di dargli una bella strigliata.
Comunque tutta la
situazione non mi va molto a genio ma ieri, pur di non sentirgli dire
tutto il
giorno che devo portarlo al tizio eccetera eccetera, l’ho
promesso a Kid. Questa
faccenda l’ha coinvolto molto più di quanto
immaginassi e non è un bene
fraternizzare con il nemico. Purtroppo
il mio rapporto di amicizia con lui mi ha rimbambita al punto di
raccontarli
l’offerta che mi è stata proposta dal Centriano.
Non so nemmeno io perché
gliel’ho detto, forse l’ho fatto per lui; pensando
che se avessimo sfruttato
l’essere dai capelli diafani, che di certo ne sapeva
più di noi sui circuiti
abbandonati che il mio amico aveva rimesso a nuovo, almeno avremmo
capito a
cosa servissero e se potevano esserci utili. Come avevo previsto la
risposta da
parte sua era stata favorevole, se non entusiasta e rasente
all’euforia.
Credeva forse che la compagnia di quel coso invasato, che ne capiva di
più il
blaterare del biondino, fosse un interlocutore più
interessante di me? Quel
maledetto ingrato! Mi sta davvero mettendo a disagio, forzandomi a
essere
gentile con gente che non se lo merita ed è una cosa che non
sopporto, mi
irrita tremendamente, eppure pare che la cosa non gli importi oppure
semplicemente non ci ha fatto caso, tonto com’è!!
Anzi, gliel’ho detto in tutti
i modi come stanno le cose, ma lui ha fatto le orecchie da mercante.
Per questo
lo sto odiando immensamente come mai prima.
Perciò non
avevo
previsto che mi incitasse, o forse avrei dovuto sospettarlo, che mi
spingesse
addirittura a incontrarlo nuovamente quel … coso. Ma come
poteva anche solo
pensarlo! Io incontrare un tizio raccapricciante come quello e che tra
l’altro
odiavo con tutta me stessa?! Di certo la questione aveva mandato a
marcire il
cervello di Kid, rincretinendolo fino a quel punto; aveva addirittura
preso
l’iniziativa, parlando con Titt e chiedendogli addirittura un
giorno di riposo
in mia vece. Mi aveva sentita. Avevo sfuriato dando sfogo a tutta la
rabbia che
avevo represso, facendo buon viso a cattivo gioco e, nonostante mi
fossi
lamentata anche con il mio capo per quella richiesta insensata, lui
aveva
acconsentito di buon grado dicendo che un giretto da quelle parti mi
avrebbe
fatto cambiare prospettiva, ampliando se pur di poco la mia
mentalità chiusa e
sospettosa. L’avevo guardato interdetto, ma come adesso ci si
metteva anche
lui? Perché tutti volevano spingermi a fare cose che non
erano nella mia natura
né nella mia disposizione d’animo? Per loro era
così facile dare fiducia a
degli sconosciuti che avevano incassato malmenate botte e randellate
dai nostri
vicini? Secondo loro se uno veniva pestato e salvato da qualcuno era
degno di
fiducia, ma a mio parere no. Erano solo degli stupidi arroganti
ficcanaso,
annoiati dalle loro vite monotone e sciatte. Non meritavano un briciolo
di
comprensione né aiuto, erano egoisti interessati solo al
loro tornaconto
personale che non sapevano aggiustare le loro faccende. Con il lavoro
perciò
ero a posto, anche se non per mia volontà, e mi era stato
concesso un permesso
speciale firmato da Tiberius, per assentarmi e assicurarmi un ingresso
legale nella
roccaforte del potere di Cardia. Posso solo rallegrarmi del fatto che
così non
aggiungerò un’altra violazione alla lista delle
leggi che ho infranto in questi
ultimi giorni. Eppure non immaginavo che per entrare al Centro, dove in
teoria
dovremmo aver diritto a presentarci liberamente, visto che la maggior
parte dei
servizi primari si trova lì, ci volessero tutte queste
scartoffie da presentare
all’ingresso principale; lo stesso da cui distribuiscono i
doni nelle occasioni
speciali. Cammino di malavoglia come un condannato che si avvia alla
ghigliottina con l’animo però di un rinoceronte
imbestialito. Ho rifiutato
persino la bicicletta gentilmente offerta da Chris affinché
tornassi il prima
possibile a lavoro, per rimandare al più tardi il dover
mettere piede nella
tana delle serpi. Come unico svago per non urlare di rabbia per tutto,
ho i
miei stessi pensieri, che per tutta la giornata di ieri mi avevano
portato a
chiedermi cosa avesse di speciale questo telefonino ultrasottile. La
pulce nell’orecchio
mi era stata messa dalla frase del noioso insetto: “ mi
troverei in grossi guai,
se lo perdessi”. All’una esatta di stamattina ho
scoperto l’oscuro mistero! Quest’aggeggio
ha un sacco di applicazioni impressionanti: fa calcoli, scatta foto, ha
una
memoria quasi infinita, riproduce musica, ti indica tutte le strade
possibili
ed immaginabili per raggiungere il posto che desideri e tanto altro
ancora! Wow,
mi piacerebbe avere un oggetto simile perché mi
faciliterebbe di molto le varie
mansioni che adesso mi tocca fare manualmente. Ma come ho fatto a
scoprire
tutte queste cose? Semplicissimo c’ho smanettato un
po’. In teoria non si dovrebbe fare,
perché è come
mettere le mani in una borsa non tua, violando la privacy di una
persona, tuttavia
non ce l’ho fatta, ero troppo curiosa! Poi quando mi
ricapiterà una cosa del
genere tra le mani?! Ok, senza contare il lavoro.
Nascondo il palmare
in una tasca interna della mia inseparabile borsa che ho
preventivamente
foderato con un camice ospedaliero, preso in prestito da un'altra
consegna, che
assorbe i raggi X nel caso controllassero i miei averi, dopo averlo
ammirato
ancora un pochino perché sono arrivata. Le imponenti porte
d’acciaio, mi danno
il loro freddo e statuario benvenuto, mettendomi sulla difensiva: non
sarà
facile entrare, perciò devo fare molta attenzione. Raggiungo
il gabbiotto, dove
è pigramente seduta una sentinella, che si affretta a
sedersi come si deve non
appena mi vede arrivare.
<<
Signorina
lei non può…>> intima attraverso
l’interfono, ma non lo lascio finire
perché non ho tempo da perdere e voglio sbrigarmela il prima
possibile.
<< Ho il
permesso per una consegna urgente!>> dico acida,
lasciando cadere i
documenti compilati e firmati nella cassetta metallica che ci separa.
La
guardia, tirandolo dalla sua parte, si affretta a sfogliare i
documenti,
manifestando l’intenzione di trovare una scusa qualsiasi per
mandarmi via,
purtroppo per lui, quelle pagine le ho controllato decine di volte e
sono
impeccabili. Nonostante ciò non sembra contento e, digitando
qualcosa sulla
tastiera che ha davanti e spegnendo l’interfono, inizia a
parlare da solo
dietro il vetro antiproiettile (evidenziato dal talloncino verde
fluorescente
con scritte a caratteri cubitali). Devo dire che non mi aspettavo certo
di
entrare in una gabbia di matti fissati con la sicurezza, di certo
questo
rafforza i miei pregiudizi. Dopo pochi minuti, l’uomo mi
lancia un’occhiataccia
chiedendomi il documento identificativo e di mostrargli la commissione
da
consegnare. Con un sorriso smagliante quanto finto, inserisco il mio
braccialetto elettronico identificativo, saldamente ancorato al polso
sinistro,
in una finestrella sotto il vetro antiproiettile da cui parte uno
scanner a
luci rosse che diventano smeralde una volta ricevute le informazioni
contenute
nel cip ed infine il mio nome, gruppo sanguigno, domicilio e lavoro,
vengono annunciati da una voce robotica. Ma
dico, le leggi sulla privacy sono andate a farsi benedire? Poi apro
più inviperita
che mai, la borsa per mostrare il pacchetto che in teoria dovrebbe
contenere il
palmare, ma per ovvi motivi non è questo l’oggetto
dichiarato nelle carte. Glielo
passo per i controlli, sperando che Zedd abbia incartato davvero una
vecchia
scheda madre per computer e non una schifezza raccolta in discarica
all’ultimo
minuto. Prego inoltre che Kid sia riuscito a inserirsi nel database
delle
richieste effettuate dai Centriani verso i Sobborghi, inserendoci la
nostra.
Per fortuna dalla faccia seccata del ragazzo deduco che non ci sono
stati
intoppi e infatti preme un pulsante verde nel riquadro alla sua destra,
aprendo
una porta nella parete di ferro. Ed io che mi aspettavo aprisse
l’intero
portone per lasciarmi passare, che maleducati. Comunque mi lascia
sospettoso un
visto di passaggio, restituendomi il pacco. Senza perdere un
millisecondo
raccolgo il tutto ficcandolo in borsa. Uffa, tanta fatica per compilare
quei
moduli e non me li hanno nemmeno restituiti. Pazienza, penso, saranno
più utili
a loro, io una volta a casa li avrei inceneriti all’istante.
Una volta
attraversata la porta incrocio un altro gabbiotto. No vi prego, altri
controlli
no, è assurdo!!!
Un'altra guardia
impettita
mi fa segno di avvicinarmi e rassegnata gli porgo il visto, ma non
basta vuole
vedere il braccialetto elettronico. Come se potessi diventare
un’altra persona
attraversando una stupida porta! Seccata, inserisco tutta la mano in
un’altra
identica finestrella con identiche luci rosse che diventano verdi ed il
mio
nome e tutto il resto compaiono nuovamente su un display.
Quando finalmente
mi lasciano andare, il mio umore è più nero di un
cielo tempestoso e ogni
traccia di buona intenzione è stata spazzata via nello
stesso istante in cui ho
varcato il confine. Ho una voglia matta di gettare il telefono nel
primo cassonetto
che mi capita a tiro e tornare diritto di filato a casa, ma
è indubbio che le
guardie si insospettirebbero, perciò continuo per la mia
strada stufa marcia
della situazione. Mi inoltro nel dedalo di vie sparendo alla vista,
prima che una delle due “sentinelle” si
offra
gentilmente per accompagnarmi.
Davanti a me si
apre Il Centro ed è davvero … spaventoso! Non so
di preciso cosa mi aspettassi,
sicuramente non quello che ho davanti agli occhi. Gli edifici nuovi ma
senza i
segni del tempo, né una crepa, né un colore
ingrigito per la polvere o lo smog;
i marciapiedi sono immacolati come le aiuole, di un verde stranamente
brillante
e lucido da sembrare finte; non una cartaccia o piccolo frammento di
sporcizia,
neanche la strada è segnata dal passaggio di macchine. Qui
sembra che tutto si
sia fermato al momento dell’inaugurazione. Ipocondrici!
È questa la parola che
mi saetta nella mente, fulminata dal panorama. Ho i brividi di terrore,
ma la
cosa che mi spaventa di più è che
l’aria non ha odore. Non sa di niente, è
innaturale! Di solito quando passeggi per le vie, dovresti sentire i
profumi
più disparati dovuti alle attività, alle piante e
a mille altre cose che
emettono essenze o odori non molto invitanti. Qui invece non si
percepisce la
benché minima fragranza, come se tutta l’aria
fosse risucchiata e purificata. Avanzo
sempre più smarrita, non sentire nessuna caratteristica del
posto non mi era
mai capitato e devo dire che è piuttosto brutto, oltretutto
c’è qualcosa che mi
disturba, come uno sciamare di sottofondo, lieve, persistente che
logora i
nervi. Vago con lo sguardo in cerca della sua fonte ma intorno non vedo
nulla
che ne possa essere l’origine, perciò cammino a
passo svelto mi sento inquieta
e spaesata, come se fossi approdata su un suolo alieno ed una creatura
bitorzoluta potesse saltarmi addosso da un momento all’altro.
Estraggo
nervosamente dalla tasca dei pantaloni il foglietto spiegazzato con
l’indirizzo
dell’istituto ed una mappa approssimativa del percorso che
seguo fedelmente
perché se mi perdessi qua dentro di certo impazzirei prima
di trovare l’uscita.
Credo di essere
vicino al cuore del Centro, perché finalmente incrocio delle
persone che, mi
guardano schifate, come se fossi uno scarafaggio trovato in cucina.
Beh!
Neanche loro mi piacciono con i loro vestiti inamidati e quasi tutti
uguali,
perciò proseguo senza dar peso ai loro sussurri e il loro
scansarmi come la
peste. Stranamente ho ritrovato l’irritazione e il mal umore
e con passo di
marcia raggiungo la destinazione: un enorme edificio bianco nuovo di
zecca come
gli altri, dalle ampie finestre a nastro e l’ingresso
rientrante. Finalmente
posso mollare l’aggeggio a quel tizio e tornare a casa;
questo posto mi ha già
stufato e per di più ha confermato le mie aspettative sulla
gente: sono tutti
arroganti e presuntuosi. Varco la soglia e sto per avvicinarmi al
bancone per
chiedere della persona interessata, quando qualcuno mi afferra
saldamente per
le spalle costringendomi a fare un mezzo giro su me stessa.
<< Dove
crede di andare?!>> esordisce una delle guardie apostate
all’entrata e
che non avevo minimamente notato. Ha una divisa a mezze maniche blu
scura a
doppio petto, con rifiniture di rosso cupo e porta dei guanti
coordinati,
mentre alla cintura sono appesi un manganello ed un teaser; il tutto
mette
soggezione tanto farfuglio solo di avere una consegna da fare e le
mostro il
lasciapassare. Purtroppo la guardia non né vuole sapere e
inizia a trascinarmi
verso le porte con malagrazia. Punto i piedi e con uno strattone libero
il
braccio.
<< Mi
lasci
andare! Le ho detto che ho una consegna, ho il lasciapassare non ci
vede?>> affermo stizzita.
<< Non
mi
interessa>> la guardia cerca di afferrarmi di nuovo, ma
non gliene do
modo. Devo trovare qualcosa che mi tolga d’impiccio.
<< Il
cliente mi ha espressamente chiesto di consegnarglielo di persona e qui
altrimenti avrei perso il posto>> mi giro e cerco
nuovamente di
guadagnare il bancone, altrimenti una volta sbattuta fuori non
avrò modo di
rientrarci perciò mi toccherà aspettare la fine
delle lezioni non sapendo
quanto ci vorrà e allora sì che
perderò il posto. Cerco di ricordarmi il nome
completo del tizio, ovviamente recuperato dal suo palmare e poi parlo.
<< Sto
cercando il signor Sunderset, Nagìl Sunderset! Ho una
consegna urgente, può
chiamarlo?>> dico con velocità impressionante
sapendo che la guardia mi raggiungerà
subito.
La receptionist o
quello che è mi guarda allibita non sapendo che fare, ma
sembra che non abbia
la minima voglia o non possa fare quanto le ho chiesto. La guardia
intanto mi
ha agguantata di nuovo e cerca invano di buttarmi fuori. Chiedo di
nuovo alla
receptionist di chiamare quella persona, ma lei si limita a fissarmi
con gli
occhi sbarrati. Ma cavolo è sorda?!?
Sono ancora
aggrappata al bancone con la guardia che cerca di scollarmi quando vedo
degli studenti,
con un’orribile divisa metallizzata, che si stanno
avvicinando: una ragazza
minuta bionda e un ragazzo alto con capelli corvini tagliati strani.
<<
Poteva
accompagnarmi!>> si lamentava la ragazza.
<<
Accontentati
di me>> dice il ragazzo fingendosi offeso
<< adesso devo tornare
indietro o non mi troverà. Ci vediamo
Chanel!>> e si ferma prima dei
tornelli di vetro guardando l’altra mentre li attraversa.
Non perdo tempo.
<< Ehi, tu biondina!>> grido per attirare
l’attenzione, tentando
nel frattempo di resistere alla guardia, e quando finalmente capisce
che ce
l’ho con lei, si blocca all’istante sgranando gli
occhi.
Ma certo la
conosco! La biondina, quella che era con il demente! Che fortuna, ma
devo
andarci cauta comunque.
<< Ehi!
Ciao, conosci Nagìl Sunderset? Ho una consegna urgente per
lui>> e le
faccio vedere il badge lasciapassare e una bolla per le consegne. Sono
fiduciosa, lei mi ha riconosciuto, lo so che l’ha fatto e
adesso potrà darmi
una mano.
Chanel dopo
essersi ricomposta si avvicina con aria arrogante.
<< Puoi
lasciare a me, glielo consegnerò al posto tuo>>
<<
È una
consegna della massima urgenza, non è
delegabile>> ribatto con il tono di
voce più calmo e formale che conosca. Ma la sua reazione fa
svanire le mie
speranze, infatti si rivolge con aria di superiorità alla
guardia << Non
dovrebbe essere qui! Come ha fatto a entrare?>>
<< Sono
spiacente signorina di averle recato disturbo,
rimedieremo subito>> e, serrando ancora di più
la presa, inizia a
trascinarmi verso l’uscita. Sono scioccata. Come?! le ho
salvato il culo e
nemmeno mi ringrazia? Lo sapevo, di questi tipi non ci si
può fidare, perché
una volta che ti hanno usato per i loro comodi si rivoltano contro di
te! Kid,
quanto ti sbagliavi, sono i peggiori che tu abbia mai incontrato.
Cerco di
liberarmi a colpi di reni e strattoni, per sfuggire alla morsa delle
mani della
guardia che rincarano la dose, affondando le unghie nella carne delle
braccia.
Non so che fare… Perché non mi sono fatta gli
affari miei?! Tra l’altro è
davvero necessario riportarglielo? Tanto ormai mi hanno fermata, il mio
dovere
l’ho fatto, arrivando addirittura varcare un limite per me
invalicabile.
Rinuncio a dibattermi come un’anguilla e come una criminale
aspetto che mi
sbattano fuori a calci nel sedere.
<<
Dovresti
consegnarmi il pacco da recapitare, così lo farò
avere al proprietario>>
cerca di convincermi la “signorina” con voce
altisonante. Mi volto di tre quarti e con il sorriso
più
falso del mondo dipinto sul volto, le faccio il dito medio.
<< Mi
dispiace consegna urgente ed esclusiva>> le sibilo
incavolata nera.
<<
Aspettate!>> urla qualcuno dal corridoio con voce di
comando.
Le guardie si
bloccano e tendono i muscoli, mentre una massa arruffata di capelli
argentei,
simili a un anemone, si precipita nella nostra direzione.
<< Lasciatela
andare!>>
<<
Signore,
non può uscire!>> strepita la segretaria da
dietro il bancone, ma viene
bellamente ignorata.
<<
Nagìl
che stai facendo?>> gli domanda Chanel, ottenendo come
risposta un
occhiataccia fulminante. Questo è decisamente inaspettato e
tutto sommato
piacevole. Quindi si tradiscono anche tra di loro? Ha ha ha ha, peggio
di
quanto immaginassi, anche se non dovrei parlare, visto che tra di noi
ci
pestiamo a sangue e non solo.
<<
Signore
è un Outsider. Non posso permettere che entri
nell’edificio, se la vedessero …
>> risponde seccata la guardia, senza però
mancare di rispetto al
signorino.
<< Ho
detto,
la lasci andare. La consegna è per me e mi assumo tutte le
responsabilità>> ribatte in tono severo
socchiudendo gli occhi
bicromatici.
<<
Signore,
ragioni>> ritenta nuovamente il vigilante.
<< Ha
sentito? O devo fare rapporto al suo superiore?>> lo
minaccia.
<< No,
Signore>> risponde l’interlocutore remissivo.
La presa sul mio
braccio si allenta e ne approfitto per scrollarmi le mani di dosso.
<<
Signorina
Adeline, registri nelle note che il signor Sunderset esce prima
quest’oggi>> sentenzia e senza lasciare che
nessuno lo contraddica, mi si
affianca poggiandomi una mano sulla schiena ed invitandomi a seguirlo.
Per il
momento lo lascio fare, sarebbe da stupidi mettersi a litigare con chi
ti ha
appena tolto dai guai. Comunque questo contatto non mi piace per nulla,
mi
mette a disagio, perciò cerco di tenere la schiena
leggermente scostata, quel
tanto che basta per permettere a un filo d’aria di dividerci.
Lui sembra non
farci caso, o non lo da a vedere. Mi urta la sua aria composta e la
parte del
bravo figlio di papà che sta recitando!
Mi scorta
attraverso le vie del centro come si farebbe con un prigioniero e per
non
sbottare, cerco di concentrarmi sulla strada e le stramberie che
incontriamo.
Finalmente
capisco il rumore di sottofondo che ho sentito quando sono arrivata.
Sulla
volta della cupola ci sono delle ventole che ruotano su loro stesse
senza
sosta. Chi sa a che serviranno e come funzionano. Se ci fosse Kid al
mio posto
ne rimarrebbe meravigliato, magari avrebbe tartassato chiunque con una
marea di
domande, anzi sono più che sicura che tartasserà
la sottoscritta non appena
rientrerò. La cosa però che mi sconvolge
è che qui nelle aiuole ci sono davvero
degli alberi! Dalle nostre parti sono quasi del tutto scomparsi, almeno
le
piante vive, perché di tronchi rinsecchiti e ancora in piedi
li si può trovare
facilmente. Lascio correre lo sguardo sulle piante e sul verde che non
ho mai
visto così rigogliosi, sembra il giardino
dell’Eden racchiuso in una serra.
Perché così mi appare quella gabbia che mi
sovrasta e nasconde il cielo terso
che conosco. Dopo un parco, il mio sguardo viene calamitato da una
fontana
esageratamente grande che gorgoglia riversando
il suo oro bianco in una vasca piena di carpe koi.
Cosa? Non riesco
a credere ai miei occhi, tanto che devo dare una seconda e
più approfondita
occhiata. Resto allibita, osservando l’acqua scorrere
allegramente dalla brocca
di un essere mezzo pesce e mezzo uomo e la rabbia inizia ad artigliarmi
le
viscere. Com’è possibile? Nei sobborghi moriamo
quasi di sete, mentre
aspettiamo dodici ore per appagarla, visto che non possiamo permetterci
neanche
il lusso di comprarla e questi idioti, babbei, e cialtroni la sprecano
per dei
pesci? Ma per chi ci hanno preso, per i beoti di turno?! Come possono
lontanamente pensare lui e i suoi simili di trattarci come bestie,
mentre loro
navigano nell’agio. L’ingiustizia delle nostre
diverse condizioni mi fa disprezzare
ancora di più questa gente, ma che dico? Non hanno il
diritto di chiamarsi
tali, sono mostri aguzzini. Sono accecata dalla rabbia e vorrei saltare
al
collo del Centriano che mi ha in custodia, ma le volanti dei funzionari
che
pattugliano le strade sgombere, mi fanno desistere, mentre
l’essere cerca di
nascondermi alla loro vista. Tsz! Ha una faccia di bronzo allucinante.
Gliela
vorrei spaccare a suon di pugni quando la osservo di profilo, e visto
che non
posso farlo, almeno per il momento, fantastico su come starebbero dei
bei
lividi violacei su quel colorito bronzeo.
Ero talmente
assorta nei miei pensieri da non rendermi conto che nel frattempo, il
mio
secondino, mi ha trascinata davanti ad un’abitazione enorme,
la cui posizione
topografica mi è sconosciuta. Anche se volessi andarmene
adesso, e la voglia è
irresistibile, non so proprio da che parte dovrei andare.
Perciò sono costretta
a restare al mio posto esaminando con disgusto crescente la facciata
immacolata. L’edificio che ho difronte, non ha nulla a che
vedere con i nostri
palazzoni decrepiti, oltre al fatto di essere enorme e nuovissimo. Ha
un
portico lindo e asettico, dipinto di un bianco marmoreo come il resto
delle
pareti. L’ingresso invece è incorniciato da due
colonne ritorte e il numero civico
ammicca dalla frescura ombrosa, invitando ad avvicinarsi alla porta
lucida e
laccata di nero. Senza nemmeno bussare il Centriano spalanca
l’uscio e, dandomi
una pacca tra le scapole, mi spinge oltre l’ingresso
facendomi inciampare nei
mie stessi piedi.
Sto per
disintegrarlo e dirgliene quattro, ma con la coda dell’occhio
vedo una figura
vestita di nero che ci fissa. Mi raddrizzo, inveendo sommessamente per
poi
scoccare un’occhiata di fuoco all’ennesimo essere
estraneo che incontro. È
sulla sessantina abbondante e i suoi occhi dalle iridi diverse mi
osservano
imperturbabili attraverso gli occhiali da vista. Sembra innocuo e dai
vestiti
che porta, stranamente scuri per gli standard di questi abitanti, non
so
attribuirgli un grado sociale, tuttavia non voglio abbassare la guardia
e
continuo a fissarlo di rimando come del resto lui fa con me.
<< Ed,
c’è
qualcuno in casa?>> chiede circospetto il signorotto.
<< No
signorino>> risponde l’uomo pacato.
È troppo sottomesso perché sia un suo
pari, rifletto osservando la postura dell’uomo, e la
questione della sua
posizione nella comunità mi tormenta. Pensavo che
lì si trattassero tutti come
pari e allora perché lui si rivolge al ragazzo,
più giovane di lui, con tono
quasi riverente? Chi è questo ragazzo, per cui tutti
assecondano il suo volere e
addirittura, i nonnetti, che dalle nostre parti sono rispettati come
saggi e
pilastri della collettività, devono rispettare gli ordini?
Incomincio a
odiare questo tizio ogni secondo che passa, e più vedo gli
aspetti della sua
vita e più lo detesto.
<< Bene,
per favore avvisami se rincasa qualcuno. Ho delle questioni urgenti da
sistemare>> gli dice inquieto e in tono sbrigativo,
cercando poi di
accompagnarmi verso le scale.
<< Non
mi
toccare >> sibilo a denti stretti e guardandolo di
sottecchi. Penso che
se solo mi sfiorasse di nuovo, potrebbe insudiciarmi con le sue buone
maniere
del cavolo. Sono solo una facciata, puah!
<< Come
preferisci>>
sentenzia alzando le mani per poi avviarsi lungo l’alta
scalinata di marmo al
centro dell’atrio.
<< Ehi!
Ehi,
non ci salgo lì!>> gli urlo dietro
innervosita, ma lui fa finta di non
sentire e continua ad avanzare macinando un gradino dopo
l’altro. Devo proprio
seguirlo? Non posso semplicemente mollargli la scatola e andarmene?!
Lancio un’occhiata
alle mie spalle, sperando che l’anziano signore se ne sia
andato, così che
possa lasciare il pacco con il cellulare sulle scale e raggiungere
l’uscita,
perché di questa gitarella ne ho fin sopra i capelli;
ahimè, l’uomo è ancora
fermo nella stessa posizione e continua a fissarmi imperterrito, se
tentassi di
scappare, mi fermerebbe o potrebbe chiamare addirittura la sicurezza.
Meglio
evitare e così addio sogni di gloria! Mi giro avvilita verso
l’omuncolo che mi
precede e seguo i suoi stessi passi, deviando a destra sulla scalinata
biforcuta, fino all’uscio di una camera dove lui mi sta
aspettando appoggiato
allo stipite della porta. È troppo tranquillo e la cosa mi
puzza di bruciato.
Che cosa sta
macchinando? Appena lo raggiungo, mi fa un cenno d’invito
prendendomi in giro
con un sorriso sghembo che gli arriccia l’angolo della bocca.
E adesso che
vuole?
Purtroppo non ho
vie di fuga, perciò sono costretta a entrare di malavoglia.