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Autore: Peach Blossoms    22/11/2015    3 recensioni
Dopo tre anni dal primo incontro con Shinichi, l'Organizzazione scopre che il ragazzo è ancora vivo e ha intenzione di farlo tacere una volta per tutte. Lo scontro tanto temuto è alle porte: gli Uomini in nero, capeggiati dal misterioso Capo, contro Conan, spalleggiato dall'FBI e dalla CIA. Conan si trova davanti ad una dura scelta, che metterà a dura prova il suo amore per Ran e il suo spirito coraggioso di giovane detective.
Genere: Avventura, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VI, “Tra sogno e realtà” 

I raggi del sole che passano attraverso la finestra mi svegliano. 
Che buon profumo… ma cos’è?  qualcosa di salato, di caldo. 
Il fusuma è leggermente aperto e l’arietta leggera, che passa tra lo spiraglio, porta con sé la freschezza del mattino e una miriade di odori. La sento che mi sfiora il viso, che mi penetra nelle narici e si fissa nei miei capelli.
Ora riesco a distinguere il profumo delle verdure, dello zenzero e dell’aglio. Sento il rumore del brodo di miso che bolle in pentola. Ramen!
Insieme a quei profumi deliziosi, penetra nel mio animo l’odore della familiarità. 
Ma mi sento ancora confuso, non riesco a ricordare nulla; sparsi qua e là nella mente ho solo alcuni frammenti della mia vita. Sono ancora molto stanco, non riesco ad aprire gli occhi, sono pesanti e le ciglia sembrano incollate l’una all’altra. 
Eppure questi odori li conosco. Mi rilasso e cerco di assimilarli uno alla volta. Lentamente quegli odori iniziano a tracciare dei contorni nel buio, ho gli occhi chiusi ma percepisco ogni cosa intorno a me. Mi sembra di vedere i mobili, il colore delle tende. Mi accorgo di essere a casa, nel mio futon e un’ondata di buon umore si diffonde dentro di  me, contagiando ogni centimetro del mio corpo. 
La mia cameretta, ora la ricordo molto bene. 
Un rumore di passi che si avvicina, passi leggeri e sicuri, cattura la mia attenzione. Come ogni cosa, anche quei passi sembrano familiari. Il fusuma si apre, sento i passi avvicinarsi per poi fermarsi a pochi centimetri da me. Qualcuno si abbassa e si siede a fianco del mio futon. 
- “Shinichi” è una voce bellissima. “Shinichi svegliati”, una mano mi sfiora la fronte e mi accarezza la guancia. 
- “Ho ancora sonno…” bisbiglio.
Sento una piccola risata, “con questo ti svegli?” mi dice divertita, ma io non capisco. D’un tratto due labbra calda e morbide si posano sulle mie. Due mani mi cingono delicatamente il viso e io mi sento subito in paradiso. 
Cos’è tutto questo? Cos’è questo calore, che dalle labbra penetra dritto fino al mio petto. Mi piace, mi piace troppo! Non voglio che finisca mai… Scopro le braccia, che erano ancora nascoste sotto la coperta, e stringo forte questa figura incantevole. Forse è un angelo…
Le sue labbra si allontanano dalle mie. “Forza, la colazione è pronta”
- “Non riesco ad aprire gli occhi” le dico, dispiaciuto che quel momento magico sia già finito. 
Sento le sue labbra avvicinarsi di nuovo, ma stavolta si fermano sui miei occhi e baciano dolcemente le mie palpebre. La sento ridere di nuovo.
- “Ran…”
Apro gli occhi e lei è lì, davanti a me, bella come non mai. Pronunciare il suo nome ad alta voce ha reso reali e più nitidi i contorni di quella figura. Ricordo la sua voce, il suo viso, ogni momento trascorso insieme. Un’ incredibile voglia di fare l’amore mi fa pulsare ogni cellula del corpo. 
Mi metto seduto e la guardo degli occhi, lei sorride ancora. Mi fa impazzire. Prendo il suo viso tra le mani e la bacio. Poi sposto le mie labbra sul suo collo bianco e il mio contatto con la sua pelle la fa tremare. Sposto le mie mani sui suoi fianchi, stringendoli ma senza farle male, poi le lascio cadere sulle sue gambe, le accarezzo le cosce; il calore che sento tra le sue gambe mi attira e cerco di addentrarmi, senza timidezza… 
- “Shinichi” sospira. “non possiamo, lo sai” mi fermo e la guardo confuso. “perché? Non vuoi?”
- “Sai benissimo perché…” i suoi occhi diventano spenti, ma l’espressione dolce ed angelica del suo volto non cambia. “… Io sono morta Shin, non ti ricordi più?”
Rido,ma che battute fai Ran?  Allora le accarezzo ancora il viso, le sfioro i capelli. Ma lei non reagisce, i suoi occhi sono ancora spenti, qualcosa dentro di lei è scomparso.
- “Lasciami andare Shinichi. Io sono morta, lo sai” mi bacia per l’ultima volta, ora le sue labbra sono fredde e violacee. Ogni cosa in lei sembra spenta, priva di vitalità. Dov’è andato il luccichio dei suoi occhi? Il rossore delle sue guance e delle sue labbra?  Ora è così pallida… Sorridendo si alza, mi saluta e poi si volta. 
- “Ran! Fermati Ran!” le urlo con tutto me stesso. Vorrei alzarmi anche io, prenderla per mano, fermarla ed urlarle che lei non è morta, che è qui davanti a me! ma il mio corpo è rigido e non riescono a muovere neanche un muscolo. “Ran, ti prego, resta!”, ma lei non mi ascolta e non si volta. I fusuma che circondavano la mia stanza non ci sono più, siamo entrambi sospesi nel vuoto, nei buio. La sua figura si allontana, diventa sempre più piccola. “Ran, voltati!” 


-“Ran!” Shinichi si svegliò di soprassalto, la maglia e i suoi capelli erano fradici di sudore. Il cuore gli batteva ancora forte nel petto e il respiro era affannoso. Stava tremando.
 Si guardò intorno, ancora più confuso. Era sdraiato nel letto di un ospedale.
E’ stato solo un incubo… pensò, sollevato. Si toccò le labbra con le dita, però sembrava così vero… quel bacio
D’un tratto, sentì qualcuno bussare alla porta. Era Jodie.
- “Come stai?” gli chiese, mentre si avvicinava al suo letto, “ti ho sentito urlare…”
- “Ho avuto un incubo” rispose frettolosamente Shinichi. Dai suoi occhi si intravedeva la confusione che regnava ancora nella sua mente. 
- “Dovresti riposarti, sei rimasto privo di coscienza per parecchi giorni, i dottori temevano che fossi in coma” Jodie sembrava molto preoccupata per la sua salute, “dicono che i tuoi valori non sono ancora stabili. La trasformazione ti deve aver reso molto debole.”
Shinichi non rispose, si limitò ad ascoltare il consiglio della donna e si sdraiò nel letto. Si voltò e alla sua sinistra notò un letto vuoto, semi disfatto.
- “Dov’è Heiji?”
Come un fiume che rompe gli argini e straripa, inondando e distruggendo tutto ciò che ostacola la sua corsa, così i ricordi di quella tragica notte colpirono la mente di Shinichi. Immagini distorte, frasi frammentate. La testa cominciò a dolergli terribilmente. Voleva ricordare meglio, ma tutto appariva così confuso.
Poi, d’un tratto, davanti ai suoi occhi apparve una carrellata di ricordi, così nitidi che gli sembrò di poter respirare di nuovo quell’aria salmastra che veniva dal mare. Sentì di nuovo i sei spari, rivide Heiji che giaceva per terra esangue, il volto di Shiho bagnato dalle lacrime. Poi un forte colpo alla nuca e il grido disperato della ragazza, poco prima di perdere i sensi. 
Il suo cuore tornò a battere forte e la sua fronte si terse di sudore. “Cosa è successo? Non riesco a ricordare bene.”
- “Ti racconterò tutto più tardi, ok? Ora stai tranquillo, devi riprenderti.” La voce di Jodie era calma e rassicurante, nonostante i suoi occhi lasciassero intravedere tanta paura. Non sapeva come comportarsi, non aveva mai visto Shinichi così indifeso. 
Il giovane detective avrebbe voluto insistere, ma non riuscì a controbattere, si sentiva ancora troppo debole e sconvolto. Come potevo pensare che un piano del genere potesse funzionare? Io.. non sto capendo niente.
Jodie gli rimboccò le coperte, stava per andarsene quando Shinichi la bloccò, afferrandogli il polso.
- “Promettimi una cosa…” la sua voce era ancora molto roca, “proteggi Ran, ho paura che sia in pericolo.” 
- “Farò del mio meglio”, Jodie gli sorrise dolcemente, poi lasciò la stanza.


                                                                                                *

- “Te lo ripeto un’ultima volta: dove si nascondono i membri dell’Organizzazione?” Akai prese Vodka per il colletto, sollevandolo leggermente dalla sedia. Sul volto erano evidenti i segni della stanchezza: dopo quattro ore consecutive di interrogatorio, Vodka non sembrava voler collaborare.
- “Ah, ah! anche se lo sapessi non lo direi certo a te!” 
Akai, sempre più spazientito e innervosito dalla sfrontatezza dell’uomo, gli tirò un pugno dritto in faccia. 
- “Vai al diavolo!” 
- “Akai! Fermati!” nella stanza dell’interrogatorio intervennero subito Camel e Black, che dall’altro lato del vetro osservavano con attenzione. “Dannazione, che ti salta in mente?” Black si abbassò, cercando di sollevare da terra il corpo semi cosciente di Vodka. Dal suo naso cominciò a sgorgare sangue vivo. 
- “Bel colpo…” ridacchiò poi Camel, “un pugno se lo merita di certo!”, continuò voltandosi verso Vodka.
Akai uscì per prendere un po’ d’aria. Mosse il collo, facendosi scrocchiare le ossa. Non ne poteva più, né di Vodka, né dell’Organizzazione, né tanto meno di Shinichi Kudo. Cominciava a nutrire un profondo odio verso quel ragazzo che aveva mandato a monte un piano studiato nei minimi dettagli. E’ una fortuna per lui che si trovi in ospedale… se ce l’avessi qui di fronte, non so che gli farei!
Shuichi era conosciuto come un uomo razionale, con un notevole autocontrollo. In ogni situazione mostrava calma e sangue freddo. Ma non accettava perdere, odiava fallire e quando succedeva, perdeva le staffe. 
Shiho, maledizione, dove sei? Alzò lo sguardo verso il cielo. Le nuvole stavano oscurando il sole, presto avrebbe cominciato a piovere. 
Ti avevo promesso che l’avrei prottetta, Akemi. Ma ho fallito, ho fallito di nuovo come feci quella volta con te. 
Oh, Akemi. Quanto vorrei che fossi qui… non posso permettere la storia si ripeta, non posso!


                                                                                             *


Kazuha camminava per le strade di Tokyo. 
Aveva trascorso la mattina con Ran, alla ricerca di informazioni e notizie utili, ma purtroppo il loro piano si era rivelato più difficile del previsto. L’Organizzazione non appariva in alcuno schedario della polizia, eppure i loro crimini erano molto noti. Erano dei fantasmi, che uccidevano e poi svanivano nel nulla. Burocraticamente, non esistevano. Le informazioni in loro possesso erano ancora troppo povere per poter sperare di capire le vere identità dei membri, per di più non possedevano alcuna foto, se non qualche immagine sfuocata trovata nel sito segreto dell’FBI. Ma sfortunatamente Ran non ebbe il tempo di salvarle e recuperarle risultava ancora più impossibile. L’unica su cui poter indagare era l’attrice Vineyard. Le loro ricerche, per ora, si muovevano in quella direzione. 
Il cellulare che teneva nella borsetta, squillò e la distolse dai suoi pensieri.  Era Ran. 
- “Pronto, Ran… Ran?”  dopo qualche secondo di attesa, la ragazza di Tokyo rispose. 
- “Kazuha! Ho buone notizie…”  la voce di Ran appariva bassa, probabilmente non prendeva bene la linea, “il Dott. Agasa è molto preoccupato, penso che ci aiuterà.”
- “E’ fantastico!”,  le rispose sollevata.
- “Poco fa ho contattato anche la madre di Shinichi, lei conosce bene l’attrice, anche il suo aiuto può esserci utile.”
Kazuha annuì e sorrise, anche se l’amica non poteva vederla. Vedrai che ce la faremo, Ran.
- “Ora devo tornare a casa, mio padre sta aspettando la cena!” Kazuha sentiva il respiro dell’amica farsi sempre più affannato; la immaginò correre per le strade di Tokyo con le buste della spesa in mano, tutta rossa e imbronciata, e al pensiero le venne da ridere. 
- “Sicura che non vuoi stare da noi? Puoi dormire con me e poi…”
- “Grazie, Ran. Ma preferisco stare nell’appartamento di mia zia.” , la interruppe Kazuha. In effetti sentiva il bisogno di trascorrere un po’ di tempo da sola. 
- “Ok, non insisto! A domani Kazuha!”.
- “A domani!”.
Chiuse il cellulare e, delusa, lo posò nella borsetta. Falso allarme, neanche questa volta era lui… pensò, abbassando gli occhi. Ogni volta che il cellulare squillava, nel suo cuore nutriva la speranza di leggere il suo nome sul display; le succedeva sempre, fin da ragazzina. Nel registro delle chiamate appariva solo un nome: Heiji, seguito da un piccolo cuoricino. Se lui l’avesse visto, chissà che imbarazzo! 
Ma da ormai più di una settimana, nell’elenco delle chiamate ricevute, il suo nome non compariva e Kazuha non riusciva a darsi pace: non sapeva dove fosse, né se stesse bene. 
Inutile dire che le mancava da morire. Le mancavano i battibecchi, gli scherzi, le chiacchierate e i suoi sorrisi. Quel sorriso che illuminava anche le giornate più cupe. Come questa. 
Se non fosse partito per questa maledetta “missione”, a quest’ora sarebbero seduti sul divano, con una copertina e una bibita a guardare un film; o forse al cinema, o al bar, o magari a risolvere l’ennesimo caso. Qualsiasi cosa sarebbe stata perfetta, con lui al suo fianco.  A pensarci, sembra quasi un sogno lontano. 
D’un tratto, una goccia le cadde sul naso. Oh no, comincia a piovere! Non avendo con sé l’ombrello, cominciò a correre verso casa. 


                                                                                  *


Come ho fatto a sopravvivere? 
Questa domanda non gli dava pace. Aveva il giubbotto antiproiettile e sapeva di non correre grandi rischi, ma uno di quei sei proiettili l’aveva comunque colpito al fianco e un altro gli aveva colpito di striscio il collo. Nonostante tutte le precauzioni, né lui né Shinichi avrebbe potuto immaginare che potesse finire così. 
Stava camminando nei pressi nel parco, quando cominciò a piovere. 
Ci mancava solo la pioggia… pensò infastidito Heiji. 
Da quando l’avevano portato in ospedale, era già scappato due volte. 
Le ferite non erano ancora guarite del tutto, ma lui si sentiva già molto meglio, nonostante i dolori che ogni tanto tornavano a farsi sentire e non gli davano tregua. Le infermiere e i dottori lo avevano rimproverato non poco, aveva ancora bisogno di riposo e nelle sue condizioni, uscire avrebbe causato solo danni. 
- “Le ferite potrebbero riaprirsi, hai ancora i punti. Sei debole, potresti svenire da un momento all’altro!” gli avevano detto. E lui, sfacciato come al solito, aveva risposto: “Ho rischiato di morire, non sarà una passeggiata a spaventarmi!”
Così avevano rinunciato a seguirlo, lasciandogli fare ciò che voleva. Si limitava a fare piccole passeggiate, senza allontanarsi troppo. Ne aveva bisogno per allentare la tensione e per riflettere in tranquillità. 
Già, ho rischiato di morire. 
Questa consapevolezza lo aveva cambiato nel profondo. E’ una consapevolezza che acquisisci nell’attimo esatto in cui ti rendi conto che l’aria che esce dalla tua bocca sarà il tuo ultimo respiro, che quella davanti a te è l’ultima persona che potrai vedere, la persona alla quale potrai dire le tue ultime parole. 
E quella persona non era Kazuha. 
Per quanto tu possa essere pronto a morire, per quanto sia valida e onorevole la causa per cui ti sacrifichi, quando vedi la morte davanti ai tuoi occhi non puoi fare a meno di avere paura. Paura di non aver vissuto abbastanza, paura di essere dimenticato, di non aver lasciato una traccia indelebile del tuo passaggio sulla terra, di non aver avuto il coraggio di confessare qualcosa di importante. 
Di non aver confessato il mio amore a Kazuha. 
Perché nel profondo del suo cuore, Heiji sapeva che la risposta alla sua domanda poteva essere solo una: perché c’è Kazuha. 
Ecco dove aveva trovato la forza di sopravvivere, ecco perché era sopravvissuto: perché il suo destino era stare al fianco di Kazuha. Lui voleva stare al fianco di Kazuha. Eh dannazione, l’avrebbe fatto!

La gocce di pioggia cominciavano a cadere copiose. Heiji non poteva far altro che correre verso l’ospedale, per evitare di bagnarsi ulteriormente; temeva che le ferite potessero riaprirsi. 
Corse veloce, per quanto poteva, coprendosi la testa con il cappuccio della felpa, più grande di qualche taglia. 
 Dannazione, non vedo nulla così… 
Non appena svoltò l’angolo di un negozietto, si scontrò con una ragazza minuta che correva nella direzione opposta. Nello scontro, lei cadde per terra. 
- “Ahi, ma stia attento! Guardi dove va la prossima volta!” urlò lei, irritata e furiosa. Era caduta proprio su una pozzanghera, bagnandosi completamente i vestiti già umidi. 
- “Mi scusi, ma è stata lei a venirmi addosso!” rispose di rimando il ragazzo. Che seccatura, pensò.
Cominciò a diluviare. 
Senza nemmeno togliersi il cappuccio dal viso, le porse una mano. “Venga, la aiuto io…” 
La ragazza seppur sbuffando, accettò l’aiuto e afferrò la mano del ragazzo. Facendo forza sul braccio la sollevò, ma quello sforzo affaticò il fianco già stanco e dolorante; il dolore era lancinante, una fitta equivalente a mille spine. 
- “Cos’ha? Non si sente bene?” gli chiese la ragazza, notando il suo improvviso malessere.
- “Ah, il fianco…” bisbigliò lui. Heiji faticava a tenersi in piedi, e non avendo nulla a cui appigliarsi, per evitare di cadere a terra si appoggiò alla ragazza, ancora in piedi di fronte a lui. 
Che buon profumo, mi ricorda tanto quello di Kazu… 
 Involontariamente Heiji appoggiò la testa sulla spalla della ragazza e in quel momento il cappuccio largo scivolò indietro, scoprendogli il viso. Si rese conto di essersi affaticato troppo, la vista cominciava ad annebbiarsi leggermente. Ho le allucinazioni… pensò.
- “Heiji… ma allora sei davvero tu…” gli occhi della ragazza erano spalancati, lucidi per l’emozione. Sì, era lui. Quella voce così simile alla sua, quella mano, possibile che non l’avesse riconosciuto? Pochi minuti prima desiderava sapere dove fosse, ed ora era lì fra le sue braccia. Lo strinse forte a sé. Mi sembra un sogno!
- “Heiji?” ripetè ancora. Il ragazzo si voltò, la vide e sorrise. Sei proprio tu, Kazuha.
- “Con tutti i tredici milioni di abitanti, dovevo andare a sbattere proprio con te!”. I due si guardarono negli occhi per qualche istante, poi scoppiarono a ridere. 
Rimasero lì per qualche secondo ridendo a crepa pelle, come quando erano ragazzini. Ridevano per la gioia inaspettata, per la felicità di trovarsi abbracciati sotto la pioggia. In quel momento Heiji dimenticò l’Organizzazione, dimenticò di essersene andato, lasciandola sola in quel modo, dimenticò il dolore; Kazuha dimenticò le bugie, le delusioni, le preoccupazioni. 
Fu come se non si fossero mai lasciati, se nulla fosse cambiato. 
La pioggia continuava a scendere fitta sui loro volti, i loro capelli erano fradici, così come i loro vestiti. 
- “Sei tutto bagnato” disse poi Kazuha, con voce premurosa. “Vieni da me, ho dei vestiti asciutti anche per te.”

                                                                                             
                                                                                              *


- “Posso entrare?” 
- “Sì, prego.”
Eisuke aprì lentamente il fusuma scorrevole. Dosò i suoi passi, stando attento a non fare troppo rumore.
- “Non ti preoccupare, entra pure” sorrise lei. 
Rena era seduta sul suo futon, stava sorseggiando un tè caldo e sulle gambe teneva un libro aperto. Non appena Eisuke si avvicinò a lei, lo chiuse e lo mise da parte. 
- “Ti ho disturbato?” le chiese timidamente. La sua voce era dolce e fine, emanava una tenerezza tale che avrebbe fatto compassione anche al peggiore dei criminali. 
- “Certo che no, accomodati pure.” La delicatezza della donna, non era da meno. 
Entrambi mostravano una compostezza e una cortesia rari, frutto di una educazione esemplare. Guardandoli, chiunque avrebbe affermato che i loro genitori avevano fatto un buon lavoro, crescendoli seguendo quei rigidi valori. 
- “Vuoi dirmi qualcosa?” gli chiese lei, cercando di rompere il silenzio che si era creato. Si era finta sorpresa per la visita del ragazzo, ma in fondo sapeva benissimo che quell’incontro, prima o poi, sarebbe avvenuto. E se il suo intuito non sbagliava, pensava di conoscere già la domanda che il ragazzo le avrebbe posto.
- “Tu sei mia sorella, vero?” il suo tono di voce, seppur rimanendo calmo e dolce, nascondeva un velo di rabbia. Perché lui ne era certo, aveva scoperto la vera identità di quella donna, ma aveva bisogno di spiegazioni. E solo lei poteva sciogliere quei dubbi che aveva portato con sé fin da bambino. 
Perché papà se n’è andato? Perché tu te ne sei andata? Perché mi avete abbandonato?
Rena abbassò lo sguardo, poi chiuse gli occhi per qualche secondo, come per cercare dentro di sé le parole giuste da utilizzare. Posò la tazza di tè sul pavimento, poi i suoi occhi si posarono su quelli di Eisuke. In quell’istante, le sembrò di guardarsi allo specchio.
- “Sì, sono io”, disse con un filo di voce, “sono Hidemi”. Le sue mani, così come quelle di Eisuke, cominciarono a tremare. Lui la guardava incantato, senza mai spostare lo sguardo dalle sue labbra, il fiato sospeso. I suoi occhi sembravano intimarla a continuare il racconto.
- “Ho sempre saputo che tu eri mio fratello. Ti ho visto crescere, seppur da lontano. Avrei tanto voluto stare al tuo fianco, consolarti nei momenti brutti e gioire con te nei momenti belli. Avrei voluto tanto, credimi…” si fermò, poi gli afferrò la mano, cercando di trovare in lui il coraggio per continuare. “Eisuke, io non ho mai smesso di volerti bene.”
- “Allora perché te ne sei andata?” la sua voce divenne rotta, a malapena riusciva a trattenere le lacrime. Aveva atteso quel momento da così tanto tempo e ora che lei era lì davanti, la rabbia e il rancore che aveva portato nel suo cuore per tutti quegli anni, si stavano dissolvendo al suono delle sue parole. “Ricordo solo che stavo giocando in camera mia, tu sei entrata, mi hai dato un bacio sulla guancia e dopo avermi detto -devo uscire, torno presto- te ne sei andata, ma non sei più tornata…”
- “Non avevo altra scelta…”
- “Ti ho aspettato Hidemi, ti ho aspettato per così tanti anni… ho creduto addirittura che fossi morta!” 
La donna non rispose. Temeva che il dolore e la rabbia del fratello fossero troppo forti e radicati, per essere perdonati dopo un solo incontro. 
- “Ho bisogno di spiegazioni”, la supplicò Eisuke. Hidemi cominciò a raccontare… 
- “Ero entrata da poco a far parte della CIA. Mi avevano affidato un compito pericoloso, e nonostante papà mi avesse chiesto di non accettare, io lo feci. Entrai a far parte dell’Organizzazione come infiltrata. Ma gli Uomini in Nero scoprirono presto il mio segreto e la mia vita fu in serio pericolo. Papà allora decise di sacrificarsi, per salvare me e le ricerche della CIA.” fece una pausa e i suoi occhi si inumidirono. Qualche lacrima cominciò a bagnare il viso del giovane Eisuke. 
- “Papà mi dette appuntamento in luogo isolato, per poter parlare con calma senza essere scoperti. Ma era una trappola, l’Organizzazione mi aveva seguito e papà lo sapeva. Voleva dar loro la prova della mia fedeltà.” 
- “..continua, ti prego” disse lui, notando la sorella in difficoltà. Ora lacrime copiose scendevano anche sul viso della donna. 
- “E’ doloroso da raccontare” 
- “Io devo sapere!” insistette il ragazzo. 
- “A quel punto… a quel punto mi costrinse ad ucciderlo!” subito si coprì il volto con entrambe le mani, mentre le spalle esili tremavano per i continui singhiozzi. Eisuke non trovo la forza per reagire, restò immobile, di fronte a quella scena pietosa. Si rese conto di quanto avesse sofferto Hidemi, più di quanto una donna giovane possa mai sopportare. E si sentì in colpa per aver dubitato di lei, per aver anche solo pensato che avesse potuto abbandonarlo. 
- “Da allora diventai un membro dell’Organizzazione. E credimi, la rabbia che ho portato dentro il mio cuore per tutti questi anni, mi ha avvicinato a loro più di quanto potessi mai immaginare. La rabbia mi stava trasformando in ciò che volevo combattere, per un attimo ho temuto di toccare il fondo e stavo per rendere vano il sacrificio di nostro padre. Ma pensare a te, Eisuke, che eri così lontano da me, mi dava la forza per andare avanti, di ritrovare me stessa, persa in quel mare di crudeltà che ogni giorni mi circondava.” 
- “Hidemi…” il ragazzo si lasciò andare, si gettò sul suo grembo e le strinse i fianchi. La ragazza ricambiò quell’abbraccio, stringendo forte a sé il fratello. Gli baciò la fronte, le guance e le mani. Da così tanto tempo non sentiva pronunciare il suo vero nome. “Perdonami, Eisuke!” 
Rimasero abbracciarti per un tempo lunghissimo, il tempo necessario a comprendersi, a dissolvere la distanza che in tanti anni li aveva separati. Il tempo necessario per tornare ad essere fratelli.




Note dell'autrice.
- fusuma: sono pannelli verticali rettangolari, che scorrendo ridefiniscono la struttura delle stanze giapponesi, o fungono da porte, all'interno delle abitazioni traduzionali.
- futon: è il materasso traduzione della cultura giapponese, interamente in cotone, rigido, sottile e arrotolabile.
- miso: è un condimento derivato dai semi della soia gialla, cui spesso vengono aggiunti cereali come orzo o riso, segale, grano saraceno o miglio.
- ramen: è un piatto tipico giapponese a base di tagliatelle di frumento servite in brodo di carne o pesce, spesso insaporito con salsa di soia o miso. 

Eccomi, sono tornata con un nuovo capitolo. Purtroppo passerà un po' di tempo fra una pubblicazione e l'altra, ma sono molto impegnata con lo studio e spero mi perdonerete. In questo capitolo, mi sono concentrata solo su alcuni personaggi, tralasciandone altri. Avrei messo tutti, ma il capitolo sarebbe risultato troppo lungo! Così ho deciso di approfondirli nel prossimo capitolo. Per tutte le amanti di Shiho, non disperate, non l'ho dimenticata! Anzi, annuncio un piccolo spoiler: il prossimo capitolo sarà dedicato quasi completamente a lei e al suo passato! 
Detto questo, spero che vi piaccia! Ringrazio con tutto il cuore tutti i lettori e chi ha dedicato il suo tempo per scrivere una recensione!
Siete molto gentili :)
A presto, 
Peach Blossoms. 



  
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