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Autore: Akemichan    22/11/2015    2 recensioni
«C'è un'ultima cosa che dovete sapere.» Il ghigno scomparve com'era venuto e Dragon tornò a parlare di lavoro. «Mentre Serse è un regno sotto il Governo Mondiale, Baharat non lo è. Fa parte dell'Impero di uno dei quattro Imperatori Pirata.» Una piccola pausa, per fissare i suoi occhi neri penetranti su Sabo. «Si tratta di Barbabianca.»
[...]
Incredibilmente, Sabo aveva avuto la reazione più composta, a parte gli occhi che si erano spalancati in un attimo: poi aveva abbassato lo sguardo, per nascondere il sorriso che gli si stava formando sul volto. Ace era entrato nella Rotta Maggiore già da due anni, ma era la prima volta che poteva avere concretamente una possibilità di incontrarlo. Improvvisamente Serse e la sua crudeltà erano diventati obiettivi di poco conto.
[Partecipante al Contest "Mahjong Contest" indetto da My Pride]
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Koala, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Contrattacco
 

Finalmente Sabo e Koala erano stati ammessi nella stanza del trono. Serse non era presente, quindi ebbero tutto il tempo di ammirare gli ortostati multicolore alle pareti, che rappresentavano Serse e i suoi vari modi di uccidere i suoi sudditi, dalla decapitazione all'arsione. Alcuni avevano delle tematiche religiose, che per loro risultavano decisamente incomprensibili, ma avevano in ogni caso un tono cupo.
Diversamente da quelli che avevano visto attraversando i corridoio, era cambiata l'iconografia non solo delle battaglie, ma anche del re, che ora veniva raffigurato proprio come Serse: completamente glabro ovunque, mentre i suoi predecessori vantavano una lunga barba che conferiva loro un aspetto da saggio. Persino le loro scene apparivano meno crudeli e più misericordiose, come se non gioissero di quello che erano obbligati a fare.
Una porta secondaria si aprì e un cerimoniere entrò annunciando l'arrivo del Supremo Serse: tutti i presenti della stanza si inginocchiarono, chinando la testa fino al pavimento. Sabo e Koala li imitarono controvoglia, solo perché capirono che Serse non sarebbe entrato altrimenti. Non potevano vederlo da quella posizione, ma avvertirono i suoi passi che si dirigevano verso il trono, salendo i pochi gradini che lo sollevavano rispetto al pavimento. Poi sentirono i suoi occhi su di loro, ma continuarono a rimanere piegati.
«Prego» disse infine Serse e tutti i presenti si alzarono contemporaneamente. Lui li osservò uno ad uno, per controllare chi fosse stato ammesso alla sala del trono oltre alle sue guardie personali, quindi rivolse la sua attenzione ai due rivoluzionari, che erano stati posizionati al centro della stanza. «Posso avere la “Stella Blu” adesso?»
«Naturalmente» annuì Sabo. «Ma prima vorremmo essere sicuri di essere ricompensati adeguatamente.»
«Assicurazione concessa» rispose Serse, come se quello bastasse a chiudere la discussione.
«A dire la verità» lo contraddisse appena Sabo, «vorremmo chiedere qualcosa di specifico.»
Bastò quella semplice frase a irritare Serse: il pensiero che qualcuno osasse fargli richieste invece di limitarsi ad accettare la sua volontà. «Cosa?» sbuffò.
«Sappiamo che avete una miniera d'oro qui a Persia» spiegò allora Sabo. «Mi piacerebbe visitarla per scegliere personalmente un filone in cambio della “Stella Blu”.»
Serse si appoggiò meglio sul trono con la schiena, alzò la testa e chiuse gli occhi per riflettere meglio. Dopo qualche minuto tornò a fissarli e la sua espressione si era fatta malignamente divertita. «Non vedo perché dovrei pagarvi per qualcosa che è, di fatto, mio» affermò, ed alzò un braccio per fare cenno alle guardie, che si avvicinarono pericolosamente a loro.
«Oh, certo!» sbottò Koala, mettendosi in posizione difensiva. «Come ho fatto a pensare che avresti potuto essere onesto una volta nella vita!» Quando i soldati furono su di lei si liberò dei primi due con un pugno, poi guardò in avanti e con terrore si rese conto che Sabo era già stato sopraffatto e i soldati lo tenevano con le mani dietro la schiena e in ginocchio.
Non aveva senso! Erano deboli, avrebbe potuto liberarsi di loro in un attimo. Se non lo stava facendo voleva dire che non voleva liberarsi. Nel mentre che lo guardava, le guardie avevano afferrato anche lei e Sabo le fece un leggero cenno d'intesa, per indicarle che andava bene così. Serse pensava che fossero dei deboli mercanti, era il caso di lasciarglielo credere, per il momento.
«Dato che ci teneva tanto a vedere la miniera, portatecelo» ordinò Serse alle guardie. «Mi sembra ben messo, abbiamo bisogno di qualcuno così. Quanto a lei...» Passò lo sguardo su Koala dalla testa ai piedi. «L'avevo notata anche prima, non sembra male. Proviamo nell'harem.»
«Non saprei» ridacchiò il cerimoniere. «Di certo ha una lingua lunga.»
«Al massimo gliela taglieremo» commentò Serse. «D'altronde non è la prima cosa che cerco in una donna.»
Koala abbassò lo sguardo e si morse il labbro: sapeva recitare anche lei, se voleva. E se lo scopo era far credere a Serse di aver il coltello dalla parte del manico, non c'era sistema migliore di fingere di essere spaventata da quella minaccia.
«No, aspettate, Supremo Serse» gridò Sabo, mentre cercavano di trascinarlo via. «Vi darò il diamante. Ve lo ridarò. Ma lasciateci andare! Almeno lasciate andare mia moglie!» Le sue grida diventarono sempre più lontane fino a scomparire completamente quando la porta della sala del trono si chiuse dietro di lui trascinato via dalle guardie.
Serse tornò a fissarsi su Koala, sollevato che quelle grida fastidiose fossero finalmente cessate. «Sii una brava bambina e io sarò molto buono con te» le disse. «Dov'è il diamante?»
Koala annuì appena. «Sulla nave» disse solo. Sapeva che c'era il rischio che Hack fosse tornato a bordo e che quello avrebbe potuto metterlo in pericolo, ma si fidava comunque da sapere che se la sarebbe cavata. Inoltre Ace era con lui e aveva la netta impressione che, a differenza del fratello, difficilmente avrebbe accettato di farsi arrestare per finta.
«Molto bene» disse Serse soddisfatto. «Vedrai che ti troverai bene qui.» Fece un altro cenno alle guardie che la trascinarono nella direzione opposta a quella dove era stato portato Sabo, proprio all'interno del palazzo, dentro la stessa porta da cui era entrato il re.
Venne affidata alle cure di un uomo  che si presentò come l'intendente dell'harem reale, per cui lei immaginò che fosse un eunuco, se gli era concesso di entrare a contatto con le donne. La costrinse a spogliarsi e ad entrare in una vasca per depurarsi completamente. A Koala non era sfuggita l'occhiata e la smorfia che aveva fatto alla vista del marchio sulla sua schiena, per cui dovette trattenersi  davvero pur di continuare a fare quello che le ordinava.
Dopo averla lavata e asciugata, le pose ai polsi e alle caviglie delle catene d'oro. Koala si domandò se servissero unicamente come decorazione e segno di possesso o lui le utilizzasse anche per legare le donne da qualche parte. Da quello che aveva visto, era più probabile la seconda. Poi fu costretta ad indossare anche una donna così corta e di un tessuto così sottile che era come se non avesse nulla addosso.
«Basta così?» domandò, coprendosi i seni con le mani, quando l'intendente gli fece cenno di seguirlo nel corridoio.
«Certo» rispose lui, seccato dalla perdita di tempo. «Non pretenderai che il re perda anche tempo a spogliarvi?»
«No, certo che no...» commentò Koala. Sperò che il tono fosse uscito fuori umile, ma in realtà aveva alzato gli occhi al cielo. Qualunque cosa Sabo avesse in mente, gliel'avrebbe fatta pagare, si disse mentre seguiva l'intendente lungo il corridoio. Anche se, doveva ammettere, il fatto che fosse proprio nel cuore del palazzo poteva essere utile nel momento della rivolta.
L'harem dava proprio sul cortile esterno, a poca distanza dalle mura e da una delle porte che davano sulla città, quindi sarebbe stato facile per lei distruggere la finestra, nonostante fosse protetta da grate, gettarsi di sotto e aprirla per lasciar entrare dentro i rivoltosi. Sfortunatamente si poteva fare solo nelle stanze comuni, dove le donne si riunivano assieme sui divani a fare, così pareva, assolutamente nulla tutto il giorno. Le camere da letto erano in effetti dei buchi buoni solo per dormire, dato che il re aveva la sua stanza personale per altre necessità.
Koala stava ancora guardando in giro l'ambiente per capire come adattarsi al luogo per poterlo sfruttare nella maniera migliore, quando sentì delle risate dietro di lei. Si voltò appena e notò un gruppo di donne che erano più vestite rispetto alle altre e indossavano anche dei gioielli, ma nessuna catena d'oro ai polsi e alle caviglie. Inoltre, occupavano uno dei divani più grandi, lasciando che altre donne massaggiassero loro i piedi.
«Wow, quel tatuaggio fa proprio schifo» le disse una di loro. «Va bene che al re interessa solo il davanti, ma se avesse voglia del retro chissà che delusione!»
Koala fece un sorriso conciliante: non avrebbe certo sprecato spiegazioni sul simbolo dei pirati del sole con certa gente. «Almeno il mio è nella schiena, la tua faccia quella è» le rispose gentilmente, quindi proseguì la sua esplorazione senza prestare loro altra attenzione, anche perché erano rimaste troppo sconvolte  dall'idea che qualcuna avesse osato rispondere loro per fermarla.
«Ehi!» Una ragazza era appena uscita da uno dei cubicoli che servivano da stanze da letto e le fece cenno di seguirla. Koala stava cercando anche alleati, per cui pensò di aver trovato una possibilità. La seguì nella camera, dove si trovavano altre tre ragazze. Notò che tutte indossavano la sua stessa gonna, a differenza di altre donne che ne indossavano una più lunga.
«Non devi metterti a litigare con le favorite! Soprattutto se sei nuova e il re non ti ha ancora fatto compagnia!» quasi la investì la ragazza che l'aveva chiamata. «Loro possono chiedere al re qualsiasi cosa. Devi tenertele buone se vuoi sopravvivere.»
Koala capì che quelle gonne rappresentavano in un certo senso la verginità e ciò indicava che era possibile restare nell'harem senza che il re ne approfittasse subito. Questo le fece tirare un sospiro di sollievo. Probabilmente avrebbe rovinato il piano di Sabo, se avesse dovuto prendere Serse a testate quella sera stessa.
«Non vedo perché dovrei farlo» alzò quindi le spalle. «Io sono una prigioniera. Penso che dovremmo combattere tutte assieme per andarcene.»
Le altre donne la guardarono terrorizzate. «Non è così male qui... Siamo al sicuro» disse una di loro, timidamente.
«Almeno finché una di quelle là non cercherà di farvi fuori, chiaro» ribatté Koala. «E cosa mi dite della libertà?»
Nessuna risposte, si limitarono a guardarla senza parole. Probabilmente pensava che fosse pazza. «Sei pazza» confermò in effetti un'altra, scuotendo la testa. «Ma il tuo tatuaggio è figo.»
Quello fece venire in mente a Koala la prima volta che era salita a bordo della nave di Fisher Tiger: era una bambina spaventata che non era nemmeno in grado di piangere per nessun motivo e che aveva il terrore di tutto e tutti, al punto che l'unica cosa buona che poteva fare era sdraiarsi a terra a pulire. Quelle ragazze erano esattamente come era lei un tempo, per cui doveva farsi forza per loro ed essere il Fisher Tiger che avevano bisogno.
«Grazie» disse sorridendo. «Quando vi poterò fuori di qui, fatevene uno anche voi.»
 
Il piano “a modo suo” di Ace si basava inizialmente sul ritrovare Etul. Non fu difficile, dato che si era risistemato nello stesso angolo della stessa via, ma non fu affatto felice di vederli. «Che volete ancora?» fu il modo con cui lo salutò.
Ma Ace non aveva voglia di perdere tempo ad essere gentile. «Sentimi bene.» Lo afferrò per il cencio lercio che indossava e lo trascinò su, sbattendolo contro il muro. «Abbiamo bisogno di una rivolta e ne abbiamo bisogno adesso, quindi vedi di darti da fare.» Hack sapeva che quello non era il miglior modo di convincere qualcuno ad aiutarli, ma aveva promesso che l'avrebbe lasciato fare, almeno inizialmente.
Etul perse la pazienza e iniziò a gridare addirittura in un dialetto incomprensibile della regione, cosa che attirò comunque l'attenzione di tutti i passanti. Ace fu costretto a trascinarlo via in malo modo per andare a parlare in un posto più tranquillo. «Volete proprio il sangue da me?» continuava a gridare Etul, nonostante si lasciasse trasportare. «Vi ho già detto che Serse ha vinto!»
Ace si bloccò e si voltò verso di lui: il suo viso non era più arrabbiato, ma era una maschera di pietra. «Non mi stupisce che abbia vinto, dato che aveva come avversari un perdente come te.»
«Cosa?»
«Ha capito benissimo» affermò Ace.
«Tu sei un cavolo di ragazzino che non capisce nulla del mondo e ti permetti di dare lezioni di vita a me!» gridò Etul, ritornando in parte ad urlare in dialetto. «Non sai che cosa ho dovuto sacrificare e non ho ottenuto risultati. Tutto facile, per voi!»
«Invece ne so molto.» Ace, con calma letale, lo afferrò per il viso, stringendo abbastanza per spaventarlo in modo da farlo tacere. «Ma c'è una grande cosa che mi distingue da un perdente come te: il modo in cui ho deciso di vivere. Senza rimpianti.» Mise un grande accenno su quelle parole. «Non m'interessa morire, m'interessa avere la consapevolezza che non c'era altro che potessi fare. Sapere di non aver lasciato niente d'intentato. E tu, invece?» lo apostrofò. «Non hai più niente da perdere, ma qui in città ci sono ancora un sacco di cose da fare. Puoi decidere di aiutare noi adesso, anche morire per questo, oppure puoi tornartene là, con i tuoi panni sporchi, a chiederti continuamente “e se li avessi aiutati?”. A morire giorno per giorno chiedendoti se non ci fosse stato qualcosa, qualcos'altro da poter fare. Se pensi di poterci convivere, accomodati.» Ace si rivolse ad Hack. «Ripensandoci, non credo che ci serva un perdente come lui.»
Hack annuì, non perché fosse d'accordo con lui, ma perché pensava che fosse inutile insistere con una persona già così abbattuta dalla vita. Dovevano cavarsela da soli e sperare che Sabo e Koala, in qualunque situazione fossero, se la stessero cavando meglio di loro due.
«Aspettate....» li chiamò Etul quando si stavano allontanando. «Aspettate» ripeté, con più convinzione. Si asciugò le lacrime dal viso, cosa che contribuì a pulirlo in parte dallo sporco, e prese un sospiro profondo per calmarsi. «Quale sarebbe il vostro piano?»
Ace guardò Hack. «Inizialmente, volevamo trovare il modo di rubare le armi di Serse e consegnarle a voi» spiegò lui. «In questo modo l'esercito si troverebbe spiazzato e in difficoltà di fronte ad una rivolta. Ovviamente dovremo sapere a chi consegnare le armi, perché non vogliamo rischiare le abbiano dei collaborazionisti, e anche qualcuno in grado di occuparsi di guidare la rivolta.»
Etul annuì. «Io conosco le persone giuste, ma voi riuscirete davvero a procurarvi le armi?»
«Certo!» disse Ace con convinzione, anche se in realtà non avevano ancora studiato un modo preciso per arrivarci.
«Bene» affermò Etul. «Allora fatemi fare un giro a chiamare un paio di amici.»
«Gran bel discorso» disse Hack ad Ace, una volta che Etul si fu allontanato lungo il vicolo per tornare nella via principale.
«Ah! Questa la devo rinfacciare a Marco quando torno, che dice sempre che quando apro bocca faccio casino!» Anche se non aveva davvero detto nulla che non pensasse: la morte di Sabo l'aveva distrutto e il senso di colpa per non essere andato a prenderlo in tempo lo attanagliava. Non avrebbe più provato una sensazione del genere, mai nella vita.
«Però adesso dobbiamo trovare il modo di recuperare le armi, e in fretta» aggiunse Hack, con un'occhiata eloquente dato che erano stati fin troppo precipitosi con Etul, anche se era indispensabile per poterlo convincere.
Tornarono di nuovo nel quartiere dell'arsenale, anche se dovettero far attenzione a non essere visti, dato che era probabile che le guardie di Serse li stessero ancora cercando per recuperare la “Stella Blu”. Poterono quindi dare un'occhiata esclusivamente da lontano, cosa che impediva di poter elaborare un piano, dato che non si riusciva a capire come entrare e da dove.
«Stavo pensando...» mormorò Ace ad un certo punto, con titubanza. I piani elaborati non erano mai stati il suo forte. «Le armi sono esplosive, no? Cioè, prendono fuoco in fretta.»
Hack annuì. «Direi di sì.»
«Allora...» continuò Ace, pensando bene a come mettere in un discorso l'idea che gli stava venendo in mente. «Potremo fingere che l'arsenale abbia preso fuoco, così tutti crederanno che le armi siano andate distrutte mentre invece le portiamo fuori e le diamo alla gente.» Alzò il braccio e diede fuoco alla mano. «Ovviamente si può fare solo se il fuoco è controllabile, e guarda un po' qui.» Sorrise soddisfatto dei suoi poteri.
Hack rimase a fissare ammirato quelle lingue di fuoco che si alzavano verso l'alto. «E pensi di riuscire a controllarle così bene da bruciare solo l'edificio ma non il contenuto?» domandò. «Perché se prendi anche solo un'arma, brucia tutto davvero.»
«Per chi mi prendi!» protestò Ace, che ci aveva messo mesi per non bruciare più improvvisamente, ma che adesso controllava il suo potere alla perfezione: le fiamme facevano sempre quello che lui diceva. «Posso alimentarle continuamente e farle spostare come voglio. Non so quanto posso resistere, ma sicuramente abbastanza a lungo. Ah, e ovviamente non riusciranno a spegnerle. Gli idranti non sono nulla contro di me, posso far evaporare con facilità quella poca acqua.»
«Capisco.» Hack annuì soddisfatto. Non era abituato a lavorare con Ace, quindi non ne conosceva le potenzialità. Era felice che l'idea fosse venuta direttamente a lui. «Però come pensi di portare le armi fuori?»
«Potrei creare un corridoio di fuoco che sfondi le mura per permettere il passaggio degli uomini per prendere le armi» propose Ace.
«No, troppo sospetto.» Hack si guardò intorno alla ricerca di un'idea. Il suo sguardo passò dall'arsenale al palazzo e fu sicuro di aver avuto l'intuizione giusta. Seguito da Ace, percorse la strada fino a giungere in uno dei vicoli che correvano perpendicolari alla linea immaginaria che univa i due centri del potere di Serse. «Sono sicuro che esiste un passaggio segreto che li collega» spiegò allora, indicando i due edifici. «Per far fuggire il re in caso di pericolo, e per far arrivare l'esercito a palazzo. Deve essere in questa zona, dobbiamo solo trovarlo.»
Ace si guardò intorno alla ricerca di un sistema per individuarlo, ma era chiaro che era stato costruito in maniera che persino quelli che ci vivevano sopra non ne fossero a conoscenza. Allora puntò il dito indice a terra e fece uscire una fiamma sottile, unica, con lo stesso sistema tramite il quale creava le sue lance di fuoco, quindi lo usò come trivella per scoprire se ci fossero degli spazi al di sotto.  I primi due tentativi non furono fruttuosi e il fuoco si infranse semplicemente contro ammassi di roccia, ma alla terza percepì chiaramente il vuoto e l'aria che permettevano alle fiamme di espandersi.
«L'ho trovato» sorrise.
«Fantastico!» Erano proprio davanti all'ingresso di una casa, il luogo ideale per nascondere il commercio di armi clandestine che si accingevano a compiere. Tuttavia, non potevano essere sicuri che gli abitanti sarebbero stati disposti ad aiutarli. In loro soccorso arrivò Etul, che li stava cercando.
«Ho parlato con un po' di gente, sono dalla nostra parte e mi stanno aiutando a reclutarne altri.» Parlava con voce eccitata e gli brillavano gli occhi, era completamente diverso dal mendicante puzzolente che avevano conosciuto, nonostante indossasse ancora gli stessi vestiti luridi. Le parole di Ace l'avevano svegliato, ma era stato il suo darsi da fare in maniera concreta, dopo quegli anni, a svegliare l'animo rivoluzionario che era rimasto sopito sotto la cenere. Il pensiero di fare di nuovo qualcosa dopo il tempo da mendicante gli dava la forza.
Hack annuì. «Avremo bisogno di qualcuno per trasportare le armi il più velocemente possibile.» Poi indicò la casa che avevano scelto come base. «Sai chi ci abita qui?»
«Certo» rispose Etul. «Myra, un'anziana donna a cui il figlio è stato ucciso e la figlia si è suicidata pur di non essere data in moglie ad un ufficiale. Posso convincerla ad aiutarci, se volete.»
«Te ne sarei grato.»
Etul bussò la porta e fu fatto entrare. Pochi minuti dopo, riaprì la porta e fece cenno ad Hack e Ace di accomodarsi. Myra sedeva ad un lato su una sedia, unico arredamento di quella stanza a parte una bassa cassapanca. Era tremendamente vecchia, con le rughe che le scavavano completamente il volto, ma quando alzò gli occhi per guardarli e parlò, dimostrò una forza d'animo che nemmeno un giovane avrebbe posseduto.
«Fate quello che dovete, se serve a toglierci di mezzo Serse.»
Ace fece un rispettoso inchino. «Le chiedo comunque scusa per quello che sto per fare.» Avvolse il pugno con le fiamme e poi lo premette a terra, una versione in miniatura del suo colpo iconico. Il pavimento cedette quasi naturalmente sotto di lui, aprendo una piccola voragine che rivelò la galleria sotterranea.
Etul e Myra la fissarono sorpresi. «Non me n'ero mai accorta» disse lei. «Ma ora capisco cos'erano quei rumori che sentivo la notte.»
Hack non poteva rimanere a far conversazione. «Ho bisogno di qualcuno che blocchi questo passaggio dalla parte del palazzo» ordinò ad Etul. «Un muro improvvisato va bene, purché se qualcuno scenda non rischi di beccarci mentre trasportiamo armi e ci dia un po' di tempo prima che scopra che siamo qui. Poi ho bisogno di altre persone che vengano a darmi una mano per trasportarle.»
«Li chiamo subito» affermò Etul e lasciò la casa in fretta.
Myra non parve per nulla preoccupata della situazione. «Preparerò qualcosa da mangiare.»
Ace e Hack, nonostante il primo stesse iniziando a sentire un certo languorino, non si fermarono a cena, ma scesero nel cunicolo e si diressero nella direzione dell'arsenale. Il cunicolo risaliva tramite una scalinata, che poi veniva chiusa da una botola in ferro. Ace fece sciogliere la serratura con il suo fuoco per permettere loro di sollevarla.
Si ritrovarono in una stanza vuota, probabilmente la cantina di un qualche edificio. Hack si assicurò con l'Haki della percezione che non ci fosse nessuno e proseguirono al piano superiore. Doveva essere uno degli edifici dirigenziali, perché le stanze vuote e buie parevano uffici. Probabilmente l'orario di lavoro era terminato. Si affacciarono timidamente ad una finestra: il resto del cortile, tuttavia, assieme alla passeggiata sulle mura, era sorvegliato incessantemente e con attenzione dai soldati. «Quale credi che sia il deposito?» domandò Ace, passando lo sguardo sui vari edifici.
«Credo quello.» Hach indicò un alto palazzo di forma più o meno quadrangolare, che aveva la caratteristica di essere senza finestre, se non una fila continua sotto il tetto. In totale, con lo stesso aspetto, ve ne erano tre.
«Bene» disse Ace. «Vado.»
Lasciò che le fiamme scorressero libere su tutto il suo corpo, per prendere confidenza con loro, quindi si trasformò completamente in fuoco, che in un attimo lambì l'intera stanza dove si trovavano e corse direttamente ai piani superiori ed inferiori. Un attimo dopo, l'unica parte rimasta al sicuro dalle fiamme era il cerchio dentro cui si trovava un Hack piuttosto accaldato.
Poi Ace lanciò due fiammate, che abbatterono la parete e proseguirono il loro cammino fino a raggiungere il presunto arsenale e avvolgerlo completamente con movimento a spirale, di fatto senza nemmeno sfiorarlo. Le due fiammate avevano creato un corridoio grande abbastanza per poterci passare, e abbastanza alte da non essere individuati dall'esterno. Il fumo contribuiva a rendere invisibile il tutto.
Hack lo attraversò coprendosi il naso con la manica. Arrivato all'edificio circondato dalla fiamme, usò il suo karate degli uomini pesce per aprire un buco nella parete e poter penetrare all'interno, per controllare che la sua intuizione fosse esatta. La era: in quel luogo si trovavano più fucili e bombe a mano di quante ne avesse viste nei magazzini dei rivoluzionari e soprattutto erano tutti di ultima tipologia, quasi superiori a quelli di cui disponeva la marina. Hack ne afferrò un  paio: ci sarebbero volute ore a trasportarli tutti.
«Sono qui» disse, tornando all'esterno. Non sapeva bene come comunicare con Ace dato che era completamente scomparso alla vista, immerso in quel mare di fiamme. «Torno alla casa della signora Myra per chiamare gli altri.»
«Va bene» rispose Ace, la cui voce proveniva da un punto indefinito, ma era chiaramente udibile.
Mentre Hack si allontanava, si concentrò sull'alimentare le fiamme e tenerle vive il più possibile e contemporaneamente cercare di incendiare anche altri edifici non di loro interesse, in maniera che gli sforzi dei soldati per spegnersi si dovessero suddividere in più punti. Avevano già aperto gli idranti contro i due che avevano preso fuoco per prima, ma Ace dava loro l'illusione di aver fatto qualcosa e poi tornava ad alimentare le fiamme più in alto di prima. Di tanto in tanto, si permetteva anche di lanciare qualche proiettile di fuoco ai soldati, fingendo che fosse una scintilla impazzita, in modo da abbatterli se si avvicinavano troppo.
Hack tornò con un gruppo di quattro ragazzi che probabilmente erano anche più giovani di Ace e che nonostante il terrore che provavano a stare in quel mare di fuoco, camminavano sicuri sulle loro gambe. In poco tempo divennero abbastanza efficienti da costruire una routine attraverso la quale Hack preparava le armi da dentro il magazzino, in modo da poterne trasportare assieme il più possibile, e quando uno di loro aveva preso il carico, un altro riemergeva a mani vuote in tempo per prendere quello successivo.
Ace si accorse che stava iniziando a stancarsi: non solo doveva alimentare le fiamme e mantenerle sempre allo stesso livello, nonostante l'acqua che gli stavano lanciando addosso, ma doveva anche controllarle in maniera che non toccassero mai la parete del magazzino né le persone che stavano trasportando le armi. Non era qualcosa che era abituato a fare di solito, non così a lungo almeno. Ma che diamine, aveva resistito ad uno scontro di cinque giorni con Jinbe, non si sarebbe fatto abbattere per così poco.
«Qui abbiamo finito» disse Hack, uscendo dal magazzino. «Possiamo passare al prossimo.»
«D'accordo.»
Ace poté finalmente dare sfogo a tutte le sue fiamme, lasciando che si attaccassero alle pareti e consumassero l'edificio fino alle fondamenta, mentre allungava il corridoio che aveva creato fino al magazzino successivo e tornava a circondarlo con la sua colonna di fuoco. Non aveva più bisogno di controllare le altre fiamme, se non quelle degli uffici da dove partiva il cunicolo sotterraneo, quindi separò il fuoco da se stesso e lasciò che bruciasse indipendentemente dalla sua volontà. Tenne le fiamme alte per tutta la notte, perché sapeva che dovevano finire e prepararsi ad attaccare prima che arrivasse l'alba.

 
   
 
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