Le
voyage de chaussures
Camminando si
apprende la vita
camminando si conoscono le persone
camminando si sanano le ferite del giorno prima.
Cammina, guardando una stella
ascoltando una voce, seguendo le orme di altri
passi.
Cammina, cercano la vita,
curando le ferite lasciate dai dolori.
Niente può cancellare il ricordo
del cammino
percorso.
Ruben
Blades
Quella notte le strade asfaltate erano bagnate. Il suono
ritmico dei suoi tacchi sul terreno la accompagnava nel silenzio buio di quel
vicolo. Le pozzanghere riflettevano le sue immagine sporca. Quella sera era la
prima volta che rincontrava tutti i superstiti, dopo la fine della guerra. Aveva
perso i contatti con i più, lasciandosi tutto alle spalle, iniziando una nuova
vita molto più pratica, abbandonando quasi del tutto la magia, viaggiando per
paesi stranieri e vivendo di lavori fortuiti. Non voleva andare a
quell’incontro, ma non aveva neanche potuto rifiutare.
Costretta a
rivedere volti segnati dal dolore e dalla sofferenza.
Sentiva l’aria frizzante pizzicarle le guance. Si fermò
davanti a un portoncino in ferro battuto, che dava su un piccolo sentiero. Era
arrivata.
Aprì il cancello che cigolò sinistramente, attraversò
decisa il praticello sul quale le pietre segnavano la strada. Dopo un lungo
sospiro, si fece coraggio ed entrò da quella porta dalle intarsiature
gotiche.
All’interno, l’atmosfera era calda, familiare. Il
vociare la confuse per un attimo per poi essere assalita da mille baci e
abbracci.
La
sala era stipata, qualcuno le sfilò il cappotto così rimase in un semplice
vestito nero, che le aderiva al corpo fasciandolo.
Un
folto gruppo di quasi tutti venticinquenni la circondò: tante erano le curiosità
riguardo quella sua nuova vita.
Erano quasi quattro anni che non vedeva la maggior parte
di loro, tutti quelli sopravvissuti. Piano piano la folla si diradava e così
alla fine rimase da sola al centro di tanti divanetti e vicino ad un fuoco
scoppiettante.
-Non pensavo saresti venuta, Hermione.- La voce del suo
migliore amico la colpì da dietro le spalle. Lei si voltò,
sorridendo.
-Ciao..-
-Sono contento di vederti, Hermione. È un po’ che non ti
fai sentire.-
Sapeva che prima o poi, Harry avrebbe detto qualcosa.
Era un anno che non rispondeva più alle sue lettere, all’inizio si era sentita
in colpa, poi alla fine aveva lasciato che quelle lettere giacessero sul fondo
della sua borsa. Ogni tanto scriveva due righe per informare che era viva e che
stava bene, ma nulla di più. Non poteva credere che sarebbe mai successo, che
quella così forte amicizia si sarebbe persa senza combattere nemmeno un po’, ma
la guerra l’aveva cambiata.
Non
era più lei.
La
guerra l’aveva ridotta al riflesso di ciò che un tempo era stata e, non
bastasse, la morte di Ron aveva reso ancora più difficile credere di essere
usciti vittoriosi da quell’inferno.
Non
c’erano vincitori: tutti erano stati vinti dalla distruzione dell’odio e della
sete di potere, di dominio.
E
lei aveva combattuto, era stata forte, ma dopo era sopraggiunto quello stato di
incoscienza in cui non era stata più capace di attaccarsi a tutto quello di
bello che le era rimasto: Harry, i genitori e tutti i suoi
amici.
Tutti erano cambiati, certo, ma più di tutti lei, quella
ragazza che era sempre stata la migliore, preparata in ogni situazione,
ingegnosa e coraggiosa.
Proprio lei aveva lasciato tutto e alla fine, quando
tutto era finito, quando le cose potevano solo migliorare dopo aver toccato il
fondo, quando poteva ricostruire la sua vita con gli affetti rimasti, aveva
detto basta.
Aveva fatto una borsa e aveva preso un aereo diretta
chissà dove per girare il mondo.
E
adesso era tornata per un breve periodo, neanche lei ne conosceva il motivo, o
forse si. Adesso era più donna, non era più quella ragazza che tutti aveva visto
crescere.
Era
un’altra.
-Già, un po’- . Rispose lei. Sentiva lo sguardo di lui
addosso, ma non voleva parlare di ciò che lei aveva fatto, degli errori che
aveva o meno commesso.
-Chi ha organizzato quest’incontro?- chiese Hermione
cercando di risultare socievole.
-Sono stati Luna e Neville. Chi ti ha contatto per
informarti?-
-È
stata Ginny, mi ha scritto e io ero di ritorno a Londra. Sono qui da cinque
giorni-.
-Capisco…-
Cadde il silenzio. Nessuno dei due osò più dire una
parola, c’era come imbarazzo fra di loro.
Harry non poteva credere a quello che stava accadendo;
sembrava impossibile e invece era proprio così: lui ed Hermione, in silenzio per
mancanza di argomenti ma soprattutto per la mancanza di quella complicità che li
aveva resi inseparabili per più di dieci anni.
Senza addurre nessuna scusa si allontanarono l’uno
dall’altro, senza una parola.
Hermione si ritrovò a vagare per la stanza, salutando di
tanto in tanto qualcuno che la chiamava.
In
un angolo, c’era un tavolo: vi erano vari tipi di alcolici e alcuni stuzzichini
per non bere a stomaco vuoto.
Si
avvicinò con l’intenzione non di ubriacarsi, ma di cercare di far passare più in
fretta e con meno coscienza quella serata.
Mentre si versava del ponch corretto, qualcun altro
sopraggiunse al tavolo e si prese un bicchiere di fire-whiscky. Guardò le mani
di chi stava versando il liquido ambrato in un bicchiere a coppa e vide un
anello d’oro, ma prima che potesse riconoscerlo, quell’uomo le
parlò.
-È
una vera sorpresa vederti qui, Granger-.
-Anche per me lo è, Malfoy-. Rispose lei alzando lo
sguardo sul suo viso.
Il
tempo era passato per tutti davvero. Lui era sempre stato bello, doveva
ammetterlo, ma i venticinque anni gli donavano. La sua pelle leggermente più
rosea di come la ricordava era segnata da alcune rughe di espressione. I capelli
di un biondo quasi innaturale erano più lunghi, qualche ciocca gli solleticava
le guance incorniciando quegli occhi grigi glaciali, che sembravano uno
specchio, tanto erano trasparenti.
Spesso si era chiesta come si potesse definire quel tipo
di colorazione.
Erano accattivanti.
-Credo che lo sia più per me. Quanto tempo era che non
tornavi a Londra, quattro anni?-
chiese lui mantenendo il suo sguardo.
-Circa..si.-
-E
dove saresti stata?-
-Beh a Parigi, Helsinky, Praga, Marid, Copenaghen e
Lisbona. Poi sono andata negli Stati Uniti: sono stata a Miami, New York,
Washington, Chicago, Seattle, San Francisco, Los Angeles, Boston…e si anche a
Houston. E ora eccomi qui.-
-Quindi è vero che hai voluto girare il
mondo…-
-Si- rispose lei. Diede un sorso al ponch, sentendo il
liquido scenderle in gola, avvertendo il retrogusto di
scothc.
Malfoy la guardò mentre lei beveva. L’aveva vista già
quando con Potter era vicino al camino.
Era
bella. Molto bella.
Il
collo molto lungo e sottile le donava un’eleganza che non si ricordava avesse e
anche quei capelli raccolti in un alto chignon esaltavano quel viso di
porcellana in cui spiccavano labbra carnose accese da un intenso rossetto
rosso.
-Perché sei venuta?-
-Perché volevo venire e volevo rivedere vecchi amici.-
Bugiarda.
La
sofferenza gliela si leggeva negli occhi.
-Non ci credo, Granger. Non sai mentire molto bene.
Affatto.- soffiò lui beffardo.
Hermione si girò a guardarlo. Negli occhi si poteva
scorgere il pallido riflesso di una fiamma combattiva ormai quasi spenta che
prima invece l’animava come una leonessa pronta a dare la vita per difendere i
propri cuccioli.
-Liberissimo di non farlo. Ma se permetti, cosa ci vedi
di tanto assurdo nel fatto che abbia voluto rivedervi?- chiese lei con una
leggera nota di ironia, ma con il vuoto nel petto.
-Lo
sapevi che lavoro con Potter al ministero? Siamo nella stessa squadra, da non
crederci vero?- lanciò lì questa frase come se fosse qualcosa di tanto
innocente, invece sapeva perfettamente che avrebbe colpito l’ex Grifondoro
dritta al cuore. –E sapevi che Lovegood e Paciock si sposeranno e che lei è
incinta? O che Seamus Finnigan si è sposato? O che la Brown è rimasta l’oca che
era a scuola?-
Lui
era perfettamente consapevole di stare dicendo cose alla fine non troppo
interessanti, ma erano tutte cose che lei non poteva sapere, perché lei non
c’era stata, perché lei se ne era andata
e non era vero che voleva rivedere vecchi amici.
Hermione non rispose, finì il suo ponch e se ne versò un
altro. Si guardò le scarpe, quelle bellissime scarpe di velluto nero che aveva
comprato nel suo primo viaggio a Parigi ed erano il primo simbolo della sua fuga
e libertà.
Continuò a non rispondere, bevendo e guardando da ogni
parte pur di sfuggire allo sguardo di lui. Le pesava da morire, ma sentiva di
dover dire qualcosa. Non ricordava che Malfoy fosse così
acuto.
-Allora, Granger?-
-Ieri era l’anniversario della morte di Ron- bisbigliò
lei.
-Lo
so…-
-Pensavo di non venire qui stasera, ma mia madre ha
insistito. Non ho potuto dire di no. Potessi me ne andrei- disse alzando lo
sguardo su di lui. –Mi sento così fuori posto, non sono più io e non c’è più
posto per me, adesso.-
-Ah
Granger, Granger. Questo lo dici tu. Il tuo posto è sempre stato qui e questo lo
sai. Poi tutti abbiamo i nostri momenti di debolezza, tu hai avuto il tuo e te
ne sei andata, tagliando tutti i ponti. Ora è il momento di tornare, non
pensi?-
Hermione scosse la testa, un po’ per negare un po’
perché non capiva. Tutto era troppo cambiato. Non poteva più tornare
indietro.
-Chi potrebbe guardarmi e comportarsi con me nello
stesso modo in cui faceva prima che ne andassi? Dai, non scherziamo. Non c’è più
posto per me, ora, qui. Non ti pare?- parlò lei con foga.
Tutto avrebbe pensato tranne che andando lì si sarebbe
ritrovata a parlare con Malfoy di lei.
-Io
ti tratterei come sempre.- disse spavaldo.
-Si, tu forse…ma gli altri? Non li vedi?- lei abbassò lo
sguardo. Voleva solo poter scappare. Di nuovo. Partire per altre mete e magari
poi fermarsi definitivamente da qualche parte e non tornare mai
più.
Le
si appannò la vista e non vide quel luccichio di speranza brillare negli occhi
del suo interlocutore.
Lui
che l’aveva sempre disprezzata, chiamata mezzosangue. Sembrava tutto davvero
così strano.
Si
versò un altro bicchiere. Sentiva che da un momento all’altro sarebbe scoppiata
in lacrime.
Ricordava quella tomba lucida come il marmo, ma nera
come l’ebano.
Ricordava quando tutti piangenti avevano lasciato cadere
una rosa su quella lastra prima che fosse ricoperta.
Ricordava di quando aveva sentito una parte della sua
anima strapparsi, un amico andarsene, il suo cuore
mutilato.
Lo
ricordava come se quei quattro anni dalla morte di Ron non fossero mai passati,
come se fosse stato veramente ieri, che aveva parlato, a nome un po’ di tutti,
su quel pulpito, pronunciando quelle parole dolci, sofferte e vere.
L’aveva fatto lei perché tutti dicevano che era la più
coraggiosa, perché Molly e Ginny nelle lacrime più disperate che avesse mai
potuto vedere avevano perso completamente la voce.
E
come sempre, anche quella volta c’era stata lei.
La
forte, combattiva e riflessiva caposcuola.
Lo
era stata per un’ultima mezz’ora. Poi basta. Aveva rinnegato tutto senza
guardarsi alle spalle.
E
poi l’aveva fatto: se ne era andata.
E
ora eccola di nuovo lì, tornata chissà per quale motivo, che guardava nel vuoto
con gli occhi persi, un po’ opachi[avevano perso tutta quella luce mistica che
la rendeva così speciale] e lucidi di lacrime.
All’improvviso, una lacrima cadde e si schiantò su
quelle scarpe di velluto.
La
macchia si espanse, bagnando quel tessuto così delicato. Poi ne sopraggiunse
un'altra,e così un’altra macchia.
Sembrava che quelle scarpe stessero vivendo ciò che lei
stessa provava: un dolore così forte da non poter essere espresso. Lei che non
aveva più pianto, che si era rifiutata di farlo.
Categoricamente.
In
quegli anni aveva bandito sentimentalismi, legami duraturi e soprattutto
profondi[troppa paura di perdere di nuovo
una parte di sé per riuscire ad amare di nuovo.].
Basta appassionarsi, basta amare. Non era più per
lei.
Vederla così non gli pareva possibile. Vedere quella
macchie scure su quelle scarpe e vedere le sue guance un po’ arrossate rigate da
lacrime solitarie, lo spiazzava.
Si
poteva pur far qualcosa per cambiare quella situazione, si doveva.
Cercò con lo sguardo Potter. Lui lo stava già guardando,
ma era vuoto, sembrava non esprimesse nulla[apatica e dolorosa indifferenza]come se
davvero non lo interessasse o non lo toccasse.
Gli
sembrò come se potesse sentire altri pezzi della Granger sgretolarsi senza
possibilità di impedire quella caduta libera.
E
si rivide, in un certo qual modo, quando lui quindicenne era solo come un cane:
non aveva l’affetto di una madre, un padre, di un amico o di altri. Era solo
contro il mondo e contro anche se stesso.
Rivide quei momenti in cui aveva quasi ceduto e in cui
era quasi caduto in quella morsa, in quel patto da cui era impossibile
sottrarsi.
Ma
poi un giorno tutto era cambiato. Aveva visto che c’era un motivo per
combattere, per ribellarsi.
E
l’aveva visto negli occhi di lei.
L’aveva visto quando al sesto anno, Hogwarts era stata
attaccata e lei aveva combattuto fiera al fianco dei suoi
amici.
E
quella volta aveva visto quella luce, forte e chiara in quegli occhi d’ambra.
Gli sussurravano carattere e determinazione, grandezza di spirito, ma
soprattutto vi scorgeva un immenso amore per le persone a cui voleva bene e da
questo traeva il motivo per cui combattere, per cui andare avanti:
proteggerle.
E
non gli sembrava possibile che una persona sola potesse contenere tutta quella
forza.
Invece c’era, era lì.
E
da lì lui aveva tratto il coraggio che gli era servito per mettere un po’ da
parte l’orgoglio e chiedere aiuto vedendosi poi senza indugio tendersi un mano
verso di lui e afferrarlo, senza più lasciarlo.
Aveva deciso di farlo perché in lei aveva visto che
potevano esserci dei motivi validi e adesso vedere quegli stessi occhi vuoti,
privi di quel sentimento[bianchi come se
fossero ciechi]e oltretutto vedere come quelli, o almeno chi ne era rimasto,
per cui lei c’era stata, adesso non c’erano più per lei, gli sembrava così
ingiusto e meschino.
Poi
avrebbe anche fatto sorridere se qualcuno avesse saputo che proprio lui, Draco
Malfoy, parlava di meschinità.
Sembrava un vero e proprio brutto scherzo del destino.
Come d’altronde il fatto che lavorasse con Potter.
Impossibile, no?
Lui
aveva imparato che l’impossibile esisteva.
Si
allontanò e prese il cappotto della ragazza, glielo fece indossare come un padre
affettuoso fa con la propria bambina e stringendole le spalle con le mani, la
condusse fuori.
Passando davanti a Potter, lo fulminò come poche volte
aveva fatto in quegli ultimi anni.
Lo
fulminò con tutto l’odio e lo sprezzo che in quel momento riusciva a provare per
lui.
Si,
perché lui, Harry James Potter, il salvatore del mondo magico per più di una
volta, il Bambino Sopravvissuto, non si stava comportando come avrebbe dovuto,
non come un amico che rivede dopo tanti anni una delle persone a lui più care al
mondo.
L’orgoglio e il rancore erano in grado di fare tante
cose, ma non credeva che potessero cambiare così proprio Potter.
Avrebbe voluto gridare al mondo chi in realtà potesse
essere quell’uomo santificato da tutti. Sarebbe stata una vera
goduria.
E
invece era lì, appena dopo quel cancelletto di ferro battuto, e davanti a lui
una donna che pareva aver perso tutto dalla vita.
Il
vuoto negli occhi, le guance arrossate e rigate da lacrime calde[di nuovo quelle lacrime dolci e amare che
dopo quel giorno non era più riuscita a versare] e, lo sapeva con certezza,
il cuore strappato, dilaniato.
D’improvviso una rabbia tale lo infiammò dentro: lei non
poteva essere così, no, l’avrebbe fatta reagire. Dopotutto per quanto in basso
fosse potuto cadere, era ancora uno Slytherin ed era ancora Draco
Malfoy.
-Granger, non vorrai dirmi che quelle sono lacrime,
vero?- chiese velenoso guardandola dall’alto in basso. – E non vorrai dirmi che
la saputello so- tutto- io di Hogwarts si è ridotta in questo stato direi a dir
poco…pietoso…-
Una
voce dura e sprezzante la colpirono con violente sferzate come se la stessero
schiaffeggiando. Si voltò a guardarlo negli occhi e in quei pozzi scuri vide
solo rabbia, pena, compassione e disprezzo.
Non
pensava di trovare quel tipo di
sguardo. Quello non lo vedeva da molti anni.
Non
pensava che al rivederlo avrebbe sentito una sorta di formicolio pizzicarle le
mani e la base della nuca.
Una
scintilla percorse rapida in quel nocciola con sfumature ambrate. Il suo sorriso
si fece per un attimo indifferente, per , poi, verso la fine prendere una
leggera nota di tristezza.
-Eh
già, Malfoy, sono proprio caduta in basso non credi? Non solo sono una sporca
mezzosangue, ma sono anche ridotta in questo stato di povera e insignificante
piagnucolona…Hai proprio ragione, devo avere proprio un bel coraggio a
presentarmi così. -
E
nel finire allargò le braccia come ad indicarsi. Gli dette le spalle mentre
cercava di arginare quel fiume in piena e asciugarsi le
guance.
-In
effetti Granger, non posso altro che darti ragione per una volta…Non sarebbe il
caso che tu facessi qualcosa per migliorare la tua pessima posizione?-
insistette ancora lui con tono strafottente e maligno, quasi godesse come non
mai. Sentì che era peggio di quando a scuola le rivolgeva tutti quegli insulti:
lì tutto era dettato dall’odio profondo fra le case, dal fatto che lei facesse
parte del trio miracoli e che fosse mezzosangue.
Il
sangue le salì al cervello come non le accadeva da tempo ma rimase lucida e
fredda come il ghiaccio.
-Sai Malferret, sei un maledetto borioso. – soffiò,
girando leggermente il capo verso di lui guardandolo con
astio.
-Ah
questo l’ho sempre saputo e non ne ho mai fatto segreto. – rispose lui, quasi
ammiccante. –Tu, però ne hai di segreti. O no, Granger?-
-Si, sicuramente ne ho uno, in questo istante. Lo vuoi
sapere?- disse lei ancora più acida e non dandogli neanche il tempo di
replicare. –E’ucciderti!- ringhiò e un ciuffo di capelli sfuggì dall’alto
chignon.
-Ahahah, questa si che è un bella battuta- disse
sarcastico lui. –Andiamo, sarebbe più fattibile che tu progettassi di
conquistare il mondo!- e poi scoppiò a ridere nuovamente.
Hermione sbuffò. Si girò nuovamente e guardò la luna
semi nascosta dietro una nube.
Vide poche stelle, questo le mise ancora più tristezza
di quella che cercava di ricacciare indietro.
E
aveva freddo. Le tremavano le gambe, le guance rosse e si soffiava l’aria calda
sulla mani.
Aveva smesso di piangere. Quel mare che aveva sentito si
sarebbe potuto prosciugare, si era momentaneamente ritirato, nascosto dietro un
velo di patinata e ostentata tranquillità.
Malfoy la osservò per qualche minuto, poi le si affiancò
accendendosi una sigaretta e offrendole un’altra. Hermione la guardò per due
secondi poi l’afferrò e l’accese.
Non
era abituata a fumare: aspirò lentamente ma il fumo acre le irritò leggermente
la gola. Continuava a guardare il cielo, silenziosa.
-Futura dominatrice del mondo- disse Malfoy
sghignazzando –rientriamo?-
-No, non ancora perlomeno- rispose con tono assente.
–Anzi se vuoi vai pure, io comunque non credo che
tornerò.-
Ricadde il silenzio. Sembrava che questa situazione non
pesasse a nessuno dei due: erano talmente abituati, chi per un motivo chi per un
altro, a stare in silenzio che pareva quasi naturale che loro due stessero lì in
piedi, senza spiccicare parola o quantomeno insulti.
Passò un po’ di tempo, quando finalmente Draco distolse
gli occhi dalla luna che stava sempre di più nascosta dietro le nuvole e si
decise a parlare.
-Granger, non so te, ma io sto morendo di freddo.
Conosco un localetto qua vicino, caldo e dove ti danno da bere come se niente
fosse.- disse distaccato e anche un po’ acido, guardandola di
soppiatto.
-Non ho capito, scusa, mi stai chiedendo di venire con
te?- rispose lei un po’ stupita, girandosi verso di lui.
-No
mezzosangue, non lo farei mai, ma se vuoi ti lascio qui, al freddo in un
vicoletto anche troppo poco raccomandabile in pasto ai leoni.- soffiò lui
piccato, incamminandosi già da solo nella direzione del
locale.
Hermione lo guardò un po’ stranita, alzò gli occhi al
cielo esasperata e sbuffando lo seguì.
Quando lui sentì che si era mossa, rallentò vagamente
l’andatura in modo tale che potesse raggiungerlo.
Percorsero il tragitto in silenzio. La strada era poco
illuminata e il terreno ancora
bagnato.
Gli
unici suoni che gli facevano compagnia erano i rumori delle macchine in
lontananza e i tacchi di Hermione che ritmicamente picchiettavano il
suolo.
La
sala era poco illuminata. Malfoy era entrato e a mala pena le aveva tenuto
aperta la porta.
Lui
si avvicinò al bancone, parlò brevemente con la ragazza e poi si diresse in un
tavolino appartato in un angolo della sala.
Hermione lo seguì e poi si sedette di fronte a lui. In
silenzio aspettarono la cameriera che portò uno chardonnay rosso e due
calici.
Malfoy riempì lentamente i due bicchieri e poi si portò
il suo alla bocca, gustando il vino sapientemente, gli occhi
chiusi.
Lei
lo guardò intensamente: le labbra carnose di lui si posarono con eleganza su
quel vetro sottile. Lui era immerso in quella degustazione, come se stesse per
fare del sesso con quel liquido rossastro, quasi violaceo.
Draco aprì gli occhi mentre posava il bicchiere sul
tavolo di cedro scuro e lei appoggiando i gomiti sul legno prendeva il calice
fra le mani e se lo portava all’altezza del viso, come a
schermarsi.
La
osservò intensamente mentre anche lei beveva.
Lei
rimase con il bicchiere in aria, dopo il primo sorso, poco intenzionata a
lasciarlo.
Continuarono a guardarsi negli occhi, quando lei alla
fine sospirò e abbassò lo sguardo.
Prima non avrebbe mai fatto una cosa del genere, lei,
che l’aveva sempre guardato negli occhi altezzosa come solo l’orgoglio dei
Gryffindor sapeva essere.
Adesso non lo era più.
Rimasero in silenzio ancora per alcuni minuti quando
alla fine lui parlò.
-Allora, Granger, stavamo dicendo…- fece una piccola
pausa come se stesse ricordando il filo del discorso lasciato a metà, come se
non se lo ricordasse..ridicolo..-Ah si, parlavamo della tua misera condizione.
Bene, come vogliamo iniziare a sistemare la questione?-
-Non c’è nessuna questione da sistemare, Malfoy, ancora
non lo vuoi capire?- replicò amara lei.
-Si, invece. Sei tu che non vuoi
capire.-
Ricadde il silenzio mentre continuarono a bere vino,
riempiendosi di volta in volta il bicchiere.
Poi
un risolino cinico con un retrogusto di tristezza, ruppe
l’atmosfera.
E
poi un sospiro, un lungo e pensate sospiro.
-Pensi davvero che la “questione” come la chiami tu si
possa risolvere, Malfoy?- irruppe lei.
-Io
credo proprio di si, mezzosangue. Basta volerlo.- rispose lui impassibile,
continuando a bere.
-E
come pensi che possa farlo?-
-Beh prima di tutto, torna a vivere a Londra. Questo
sarebbe davvero un bel passo avanti. Poi trovati un lavoro, ma uno stabile. Ne
sei capace, Granger. Mica per nulla eri la più brava della scuola ad Hogwarts,
per quanto naturalmente mi costi ammetterlo.-
-Non suonava come un complimento, vero?- sorrise quasi
lei, guardandolo negli occhi.
-Spero tu adesso stia scherzando. Di solito sono io a
ricevere complimenti e non a farne. Ricordatelo.- annuì serio lui, un po’
divertito da quello scambio di battute.
-Certo, naturalmente. Ne ricevevi fin troppi a scuola e
incentrati sullo stesso argomento.- celiò lei un po’ maliziosa, strappandogli
quasi una risata.
-Ovviamente. Vedo che ci siamo capiti,
Granger-
Ricadde poi il silenzio, inframmezzato dal rumore del
liquido scuro che ricadeva nel bicchiere.
Andarono avanti così fino a finire la bottiglia e il
biondo ne ordinò un’altra.
Il
vino la stava scaldando un po’, si stava sciogliendo, ma non spiccicava parola,
come Draco, quando poi lui vago riprese il discorso.
-Dunque, stai pensando a come
fare?-
-No.-
Bugiarda.
Glielo leggeva negli occhi lo spiraglio della
speranza.
-Ti
ho già detto che non sai mentire, Granger. Fidati.- ripose
sarcastico.
-Ok, hai ragione. Si ci sto pensando. In questi anni,
anche se in nazioni diverse, ho studiato e sono diventata Medimaga, mi sono
laureata a Princenton.-
Un
fischio di approvazione venne dal biondo.
-Beh non mi sarei aspettato nulla di diverso,
sai?-
Lei
nicchiò, guardandolo con il capo inclinato.
-È
proprio questo che non mi va giù. Tutti si aspettano qualcosa da me, ma non una
cosa qualsiasi: si aspettano il meglio. Se fossi stata un’altra, non credo che
gli avrebbe scandalizzati tanto che io partissi, senza una meta ben
predisposta.-
-Granger, sei tu che li hai abituati troppo bene. È
tutta colpa tua.- disse conciliante lui.
-Forse hai ragione tu. - lo guardò dal basso, aveva gli
occhi rivolti verso il bicchiere e lo osservò attraverso le ciglia folte e
scure, sorridendo leggermente.
Un
lampo attraversò quegli occhi liquidi e ambrati, si morse il labbro indecisa,
poi parlò.
-Tu, Malfoy, mi aiuteresti, se tornassi qui a
Londra?-
Lui
la scrutò con interesse, poi rispose pacato.
-Dipende da cosa mi viene in cambiò.- sogghignò tornando
a bere.
Lei
ci pensò su, decisa a non mollare quel piccolo appiglio che lui le aveva
offerto. Sembrava volesse tornare a combattere per riavere quella vita che aveva
gettato al vento.
-Bene, Malferret- riprese ghignando anche lei ora –Cosa
vuoi in cambio del tuo aiuto?-
Gli
occhi le brillavano e Draco non pensava che li avrebbe davvero rivisti
nuovamente così fieri e combattivi come se li ricordava.
Sentì un nodo in gola e un brivido lo scosse, ma non lo
diede a vedere.
-Sei sicura di voler un debito con una serpe, Granger?-
chiese lui, mentre una speranza gli montava nel petto.
-Credo proprio che riuscirei a sopportare questo peso,
dopotutto sono ancora Hermione Granger, no?- fiera ed orgogliosa come sapeva
essere solo lei.
Lui
annuì aprendo e chiudendo gli occhi.
-Bene.- e così alzò il calice verso di lei per un cincin
silenzioso e lei fece lo stesso con un sorriso, uno di quelli veri, uno di
quelli che le decoravano sempre il viso quando ancora era felice, che le sorgeva
intenso sulle labbra.
Era
primavera inoltrata. Un sole caldo spiccava alto nel cielo azzurro
limpido.
Le
finestre di un appartamento al secondo piano erano
spalancate.
All’interno, Hermione Granger con un top viola e uno
striminzito paio di shorts camminava scalza per le stanze invase dagli
scatoloni.
In
quei mesi aveva cercato di sistemare ciò che era rimasto della sua vita. Erano
passati tre mesi da quella sera, eppure il tempo sembrava essere volato in un
soffio.
Draco Malfoy aveva mantenuto la sua promessa: l’aveva
aiutata ad ottenere un colloquio al San Mungo e dopo un mese di prova era stata
assunta a tempo indeterminato. E come se non bastasse a non smentire ciò che lei
veramente era, aveva ripreso a studiare: voleva una specializzazione, non sapeva
bene ancora in cosa, magari in tutto.
Dopo l’aveva anche aiutata a cercare casa, anche se non
erano mai d’accordo su quale fosse la scelta migliore: per lui erano troppo
piccole e per lei troppo grandi. Alla fine Hermione aveva deciso per
quell’appartamento, appena fuori il centro.
Ma
nonostante tutto questo, Malfoy ancora non le aveva comunicato cosa volesse in
cambio..Oh, si perché sicuramente avrebbe voluto qualcosa, ne era
certa.
In
quel periodo gli unici rapporti che aveva avuto erano stati proprio con lui e
qualche volta con Ginny, ma niente di speciale. Con Harry navigava ancora nel
buio e non c’era stata occasione alcuna per poter provare o almeno iniziare a
ricucire il rapporto.
Spesso pensava che forse lui non ne aveva voglia, forse
per lui era stato veramente troppo, ma non voleva crederci: o meglio, seguitava
a sperare invano visto che lui sapeva perfettamente che era in città e se davvero avesse voluto avrebbe saputo
come trovarla. Dall’altro lato lei non aveva fatto pressioni, non voleva
affrettare i tempi: sarebbe stato inutile.
Intonando l’aria di una canzone in voga tornò in bagno
dove stava sistemando nella sua nuova e quanto mai stratosferica scarpiera tutti
i suoi esemplari da collezione: ogni paio di scarpe aveva la sua storia e un suo
perché.
Erano belle, ricercate a volte un po’ eclettiche,
appariscenti oppure semplicissime. E tutte completamente differenti l’una
dall’altra.
Lei
le amava una per una, tutte avevano un loro significato intrinseco ed erano
legate ad un evento speciale.
Prese in mano un paio di stivali di camoscio dal tacco
basso e morbidi. In alcuni punti lungo la gamba il camoscio era forato, quasi
merlettato. Ricordò di averle messe per la prima volta a
Boston.
Qualcuno strimpellò al campanello, quindi andò ad
aprire. Prese da un tavolino una penna e mentre spalancava la porta si tirò su i
capelli riccioluti e crespi che la mattina non era riuscita a
domare.
Un
adone in pantaloni neri e camicia bianca era appoggiato allo stipite della porta. La sua presenza
stonava proprio in mezzo a quell’ambiente che di speciale aveva davvero
poco.
Sorrise a Draco Malfoy e senza dire una parola lo fece
entrare.
Lui
si richiuse la porta alle spalle e la osservò camminare leggiadra sul parquet.
Erano tre mesi che si vedevano tutti i giorni e lei era sempre più
bella.
Ogni volta che incontrava il suo sguardo vedeva quegli
occhi illuminarsi sempre di più fino quasi a tornare quella si una
volta.
Mancava solo un particolare da sistemare: Potter. Ma
quello si sarebbe risolto presto, lo sapeva.
E
più la guardava e più gli piaceva. Poi vestita così era una tentazione vera e
propria.
La
seguì in bagno.
Gli
piaceva come aveva arredato la casa: semplice ed essenziale, ma
elegante.
Poi
un colpo: dal corridoio vedeva solo scarpe, scarpe su scarpe. Il pavimento era
invaso dai modelli più strani.
Prese in mano con aria scettica una ballerina di uno
chiffon porpora che si legava alla caviglia con dei lacci di seta. Alzò un
sopracciglio soffermandosi allibito su quello spettacolo: altre scarpe erano
appese alla porta, altre lanciate sul lavandino, altre al posto degli
asciugamani.
Hermione lo guardò.
-Beh, che c’è?-
-Ma
quante cazzo di scarpe hai?- chiese scioccato.
-Ti
piacciono?- rispose giuliva.
Lui
arcuò ancora di più il sopracciglio chiedendosi se per caso la ragazza non
avesse perso il cervello nel frattempo.
-E
che cosa ci faresti con tutte queste scarpe?-
-Le
indosso, che domande sono!- Poi si girò muovendo la mano come se stesse
scacciando un insetto sgradito e si accovacciò, riprendendo a sistemare le sue
pupille nella scarpiera.
Draco rimase ad osservarla ancora con quella ballerina
in mano: ne vide davvero di tutti i tipi.
-Hai finito di guardarmi con occhio spiritato?Mi
piacciono le scarpe, e allora?- chiese stizzita dandogli le
spalle.
-E
chi ha detto niente Granger, solo che non mi aspettavo questo
delirio-.
Ricadde il silenzio mentre piano piano il caos diminuiva
e il pavimento tornava visibile.
La
vide come affettuosa sistemava tutto con accuratezza a volte sorridendo a volte
guardando spensierata quegli oggetti fra le mani.
-Senti, ma perché hai tutte queste scarpe?- tubò curioso
lui.
-Hanno un significato, sono un ricordo, oltre ad amarle
perché amo collezionarle ed indossarle se sono qui vuol dire che hanno
significato qualcosa per me nel momento in cui le ho viste e comprate- schietta,
sincera come sempre.
Colpito rimase in silenzio. Continuò ad osservarla più
curioso che mai, poi d’un tratto ne vide un paio che sembrava riconoscere:
decoltellès di velluto nero, tacco alto modello classico.
Quelle scarpe le aveva indosso la sera che l’aveva
incontrata di nuovo per la prima volta a quel party.
Ricordava tutto come se fosse stato la sera
prima.
La
prese e se la rigirò fra le mani, pensieroso.
-Che significato ha questa, invece?- chiese quasi
sussurrando.
Hermione si girò e nel mentre vide a cosa si stesse
riferendo un sorriso spontaneo le salì alle labbra.
Si
alzò con calma, gli si piazzò di fronte continuando a sorridere dolcemente
mentre gli toglieva dalle mani quella scarpa.
-Beh, non è stato proprio legato ad un evento, ma è una
di quelle a cui sono più affezionata: è stato il primo paio che mi sono comprata
a Parigi, la mia prima tappa, dopo esser letteralmente fuggita da qua!- lo disse
piano, sembrava bisbigliasse e invece nella sua mente si avvicendavano solo
ricordi delicati di una sera di pioggia, in una strada illuminata a giorno,
zaino in spalla e quel negozio: Natale passato da poco e la vetrina ancora
addobbata a festa.
E
poi eccole lì: fu amore a prima vista.
-Le
considero il simbolo della mia libertà- rispose con voce più alta e chiara,
guardandolo negli occhi.
L’ambra le brillava e Draco sentì qualcosa muoversi
dentro di lui: come uno spasmo, gli si contorse lo stomaco e una morsa lo prese
alla gola.
Quasi come se fosse un riflesso involontario, alzò la
mano e le sistemò dietro l’orecchio una ciocca di capelli sfuggita dalla presa
della penna, per poi sfiorarle delicatamente la gota.
E
poi dicono che non accade mai.
Che
quel momento non avviene mai: che tu sei lì e lo aspetti all’infinito, quando
magari semplicemente non sei mai stato attento.
È
strano. Ma strano davvero.
Rimasero lì immobili: lui con la mano sulla sua guancia,
lei che teneva la scarpa, occhi negli occhi.
Quelle iridi le tremavano, si sentiva leggera mentre la
mano di lui calda passava sulla sua pelle.
E
lo guardava forse un po’ incerta di quella situazione, ma non voleva di certo
scostarsi.
Le
piaceva.
Non
si mosse quando lo vide attendere, lì immobile, sembrava che anche lui stesse
pensando a cosa fare.
Quegli occhi di ghiaccio non più tanto impenetrabili,
non più così chiari: più scuri e velati di un qualcosa che non riusciva a
decifrare.
Ed
poi eccolo lì il momento dell’attesa. Quell’attesa snervante e piacevole, che ti
prende allo stomaco e senti solo farfalle girare
all’interno.
Quell’attesa che almeno una volta nella vita si è
sentita arrivare, passare, e preludio di un intenso
piacere.
Quel’attesa durante la quale l’immaginazione non ha più
regole, non ha più paletti, libera di fare ciò che più le
aggrada.
Quell’attesa difficile e semplice al tempo
stesso.
Quell’attesa finì e un brivido la percorse dalla base
della nuca fino alle gambe quando sentì quelle labbra sottili e carnose posarsi
sulle sue delicatamente e poi sempre più ardente.
Fece cadere la scarpa cedendo a quel bacio che mai
avrebbe pensato di ricevere e dare quando ancora era un
adolescente.
Strinse le sue braccia intorno al collo di lui, mentre
Draco se la stringeva addosso facendo aderire i loro
corpi.
Un
bacio lungo, intenso, passionale. Attimi che sembravano non finire
mai.
E
lei non lo credeva possibile, quando invece aveva imparato già da tempo che
l’impossibile non esisteva.
Poco dopo si staccarono, fronte contro fronte, si
guardarono negli occhi.
-Granger, credo di aver capito cosa voglio in cambio-
attese immobile indugiando un po’- voglio anch’io un viaggio fatto di scarpe…con
te-.
E
la prese in braccio mentre lei scoppiò a ridere aggrappandosi a lui, sentendosi
felice come da tanto non faceva.
D’altronde l’impossibile esiste, no?
Spazio
Autrice:
OK,
eccomi qui dopo tanto tempo che non scrivevo e che avevo lasciato il mondo di
internet…Bene, questa è semplicemente una piccola shot senza pretesa alcuna,
iniziata a scrivere guardando un mio paio di scarpe che adoro e che è il primo
paio che appare.
A
parte questo, spero che sia stata una lettura quanto meno piacevole con cui
abbiate passato questi ultimi minuti.
Vi
ringrazio per la lettura e anche se in caso vogliate dirmi cosa ne
pensate!^^
Herm85
Le voyage de chaussures
Camminando si
apprende la vita
camminando si conoscono le persone
camminando si sanano le ferite del giorno prima.
Cammina, guardando una stella
ascoltando una voce, seguendo le orme di altri
passi.
Cammina, cercano la vita,
curando le ferite lasciate dai dolori.
Niente può cancellare il ricordo
del cammino
percorso.
Ruben
Blades
Quella notte le strade asfaltate erano bagnate. Il suono
ritmico dei suoi tacchi sul terreno la accompagnava nel silenzio buio di quel
vicolo. Le pozzanghere riflettevano le sue immagine sporca. Quella sera era la
prima volta che rincontrava tutti i superstiti, dopo la fine della guerra. Aveva
perso i contatti con i più, lasciandosi tutto alle spalle, iniziando una nuova
vita molto più pratica, abbandonando quasi del tutto la magia, viaggiando per
paesi stranieri e vivendo di lavori fortuiti. Non voleva andare a
quell’incontro, ma non aveva neanche potuto rifiutare.
Costretta a
rivedere volti segnati dal dolore e dalla sofferenza.
Sentiva l’aria frizzante pizzicarle le guance. Si fermò
davanti a un portoncino in ferro battuto, che dava su un piccolo sentiero. Era
arrivata.
Aprì il cancello che cigolò sinistramente, attraversò
decisa il praticello sul quale le pietre segnavano la strada. Dopo un lungo
sospiro, si fece coraggio ed entrò da quella porta dalle intarsiature
gotiche.
All’interno, l’atmosfera era calda, familiare. Il
vociare la confuse per un attimo per poi essere assalita da mille baci e
abbracci.
La
sala era stipata, qualcuno le sfilò il cappotto così rimase in un semplice
vestito nero, che le aderiva al corpo fasciandolo.
Un
folto gruppo di quasi tutti venticinquenni la circondò: tante erano le curiosità
riguardo quella sua nuova vita.
Erano quasi quattro anni che non vedeva la maggior parte
di loro, tutti quelli sopravvissuti. Piano piano la folla si diradava e così
alla fine rimase da sola al centro di tanti divanetti e vicino ad un fuoco
scoppiettante.
-Non pensavo saresti venuta, Hermione.- La voce del suo
migliore amico la colpì da dietro le spalle. Lei si voltò,
sorridendo.
-Ciao..-
-Sono contento di vederti, Hermione. È un po’ che non ti
fai sentire.-
Sapeva che prima o poi, Harry avrebbe detto qualcosa.
Era un anno che non rispondeva più alle sue lettere, all’inizio si era sentita
in colpa, poi alla fine aveva lasciato che quelle lettere giacessero sul fondo
della sua borsa. Ogni tanto scriveva due righe per informare che era viva e che
stava bene, ma nulla di più. Non poteva credere che sarebbe mai successo, che
quella così forte amicizia si sarebbe persa senza combattere nemmeno un po’, ma
la guerra l’aveva cambiata.
Non
era più lei.
La
guerra l’aveva ridotta al riflesso di ciò che un tempo era stata e, non
bastasse, la morte di Ron aveva reso ancora più difficile credere di essere
usciti vittoriosi da quell’inferno.
Non
c’erano vincitori: tutti erano stati vinti dalla distruzione dell’odio e della
sete di potere, di dominio.
E
lei aveva combattuto, era stata forte, ma dopo era sopraggiunto quello stato di
incoscienza in cui non era stata più capace di attaccarsi a tutto quello di
bello che le era rimasto: Harry, i genitori e tutti i suoi
amici.
Tutti erano cambiati, certo, ma più di tutti lei, quella
ragazza che era sempre stata la migliore, preparata in ogni situazione,
ingegnosa e coraggiosa.
Proprio lei aveva lasciato tutto e alla fine, quando
tutto era finito, quando le cose potevano solo migliorare dopo aver toccato il
fondo, quando poteva ricostruire la sua vita con gli affetti rimasti, aveva
detto basta.
Aveva fatto una borsa e aveva preso un aereo diretta
chissà dove per girare il mondo.
E
adesso era tornata per un breve periodo, neanche lei ne conosceva il motivo, o
forse si. Adesso era più donna, non era più quella ragazza che tutti aveva visto
crescere.
Era
un’altra.
-Già, un po’- . Rispose lei. Sentiva lo sguardo di lui
addosso, ma non voleva parlare di ciò che lei aveva fatto, degli errori che
aveva o meno commesso.
-Chi ha organizzato quest’incontro?- chiese Hermione
cercando di risultare socievole.
-Sono stati Luna e Neville. Chi ti ha contatto per
informarti?-
-È
stata Ginny, mi ha scritto e io ero di ritorno a Londra. Sono qui da cinque
giorni-.
-Capisco…-
Cadde il silenzio. Nessuno dei due osò più dire una
parola, c’era come imbarazzo fra di loro.
Harry non poteva credere a quello che stava accadendo;
sembrava impossibile e invece era proprio così: lui ed Hermione, in silenzio per
mancanza di argomenti ma soprattutto per la mancanza di quella complicità che li
aveva resi inseparabili per più di dieci anni.
Senza addurre nessuna scusa si allontanarono l’uno
dall’altro, senza una parola.
Hermione si ritrovò a vagare per la stanza, salutando di
tanto in tanto qualcuno che la chiamava.
In
un angolo, c’era un tavolo: vi erano vari tipi di alcolici e alcuni stuzzichini
per non bere a stomaco vuoto.
Si
avvicinò con l’intenzione non di ubriacarsi, ma di cercare di far passare più in
fretta e con meno coscienza quella serata.
Mentre si versava del ponch corretto, qualcun altro
sopraggiunse al tavolo e si prese un bicchiere di fire-whiscky. Guardò le mani
di chi stava versando il liquido ambrato in un bicchiere a coppa e vide un
anello d’oro, ma prima che potesse riconoscerlo, quell’uomo le
parlò.
-È
una vera sorpresa vederti qui, Granger-.
-Anche per me lo è, Malfoy-. Rispose lei alzando lo
sguardo sul suo viso.
Il
tempo era passato per tutti davvero. Lui era sempre stato bello, doveva
ammetterlo, ma i venticinque anni gli donavano. La sua pelle leggermente più
rosea di come la ricordava era segnata da alcune rughe di espressione. I capelli
di un biondo quasi innaturale erano più lunghi, qualche ciocca gli solleticava
le guance incorniciando quegli occhi grigi glaciali, che sembravano uno
specchio, tanto erano trasparenti.
Spesso si era chiesta come si potesse definire quel tipo
di colorazione.
Erano accattivanti.
-Credo che lo sia più per me. Quanto tempo era che non
tornavi a Londra, quattro anni?-
chiese lui mantenendo il suo sguardo.
-Circa..si.-
-E
dove saresti stata?-
-Beh a Parigi, Helsinky, Praga, Marid, Copenaghen e
Lisbona. Poi sono andata negli Stati Uniti: sono stata a Miami, New York,
Washington, Chicago, Seattle, San Francisco, Los Angeles, Boston…e si anche a
Houston. E ora eccomi qui.-
-Quindi è vero che hai voluto girare il
mondo…-
-Si- rispose lei. Diede un sorso al ponch, sentendo il
liquido scenderle in gola, avvertendo il retrogusto di
scothc.
Malfoy la guardò mentre lei beveva. L’aveva vista già
quando con Potter era vicino al camino.
Era
bella. Molto bella.
Il
collo molto lungo e sottile le donava un’eleganza che non si ricordava avesse e
anche quei capelli raccolti in un alto chignon esaltavano quel viso di
porcellana in cui spiccavano labbra carnose accese da un intenso rossetto
rosso.
-Perché sei venuta?-
-Perché volevo venire e volevo rivedere vecchi amici.-
Bugiarda.
La
sofferenza gliela si leggeva negli occhi.
-Non ci credo, Granger. Non sai mentire molto bene.
Affatto.- soffiò lui beffardo.
Hermione si girò a guardarlo. Negli occhi si poteva
scorgere il pallido riflesso di una fiamma combattiva ormai quasi spenta che
prima invece l’animava come una leonessa pronta a dare la vita per difendere i
propri cuccioli.
-Liberissimo di non farlo. Ma se permetti, cosa ci vedi
di tanto assurdo nel fatto che abbia voluto rivedervi?- chiese lei con una
leggera nota di ironia, ma con il vuoto nel petto.
-Lo
sapevi che lavoro con Potter al ministero? Siamo nella stessa squadra, da non
crederci vero?- lanciò lì questa frase come se fosse qualcosa di tanto
innocente, invece sapeva perfettamente che avrebbe colpito l’ex Grifondoro
dritta al cuore. –E sapevi che Lovegood e Paciock si sposeranno e che lei è
incinta? O che Seamus Finnigan si è sposato? O che la Brown è rimasta l’oca che
era a scuola?-
Lui
era perfettamente consapevole di stare dicendo cose alla fine non troppo
interessanti, ma erano tutte cose che lei non poteva sapere, perché lei non
c’era stata, perché lei se ne era andata
e non era vero che voleva rivedere vecchi amici.
Hermione non rispose, finì il suo ponch e se ne versò un
altro. Si guardò le scarpe, quelle bellissime scarpe di velluto nero che aveva
comprato nel suo primo viaggio a Parigi ed erano il primo simbolo della sua fuga
e libertà.
Continuò a non rispondere, bevendo e guardando da ogni
parte pur di sfuggire allo sguardo di lui. Le pesava da morire, ma sentiva di
dover dire qualcosa. Non ricordava che Malfoy fosse così
acuto.
-Allora, Granger?-
-Ieri era l’anniversario della morte di Ron- bisbigliò
lei.
-Lo
so…-
-Pensavo di non venire qui stasera, ma mia madre ha
insistito. Non ho potuto dire di no. Potessi me ne andrei- disse alzando lo
sguardo su di lui. –Mi sento così fuori posto, non sono più io e non c’è più
posto per me, adesso.-
-Ah
Granger, Granger. Questo lo dici tu. Il tuo posto è sempre stato qui e questo lo
sai. Poi tutti abbiamo i nostri momenti di debolezza, tu hai avuto il tuo e te
ne sei andata, tagliando tutti i ponti. Ora è il momento di tornare, non
pensi?-
Hermione scosse la testa, un po’ per negare un po’
perché non capiva. Tutto era troppo cambiato. Non poteva più tornare
indietro.
-Chi potrebbe guardarmi e comportarsi con me nello
stesso modo in cui faceva prima che ne andassi? Dai, non scherziamo. Non c’è più
posto per me, ora, qui. Non ti pare?- parlò lei con foga.
Tutto avrebbe pensato tranne che andando lì si sarebbe
ritrovata a parlare con Malfoy di lei.
-Io
ti tratterei come sempre.- disse spavaldo.
-Si, tu forse…ma gli altri? Non li vedi?- lei abbassò lo
sguardo. Voleva solo poter scappare. Di nuovo. Partire per altre mete e magari
poi fermarsi definitivamente da qualche parte e non tornare mai
più.
Le
si appannò la vista e non vide quel luccichio di speranza brillare negli occhi
del suo interlocutore.
Lui
che l’aveva sempre disprezzata, chiamata mezzosangue. Sembrava tutto davvero
così strano.
Si
versò un altro bicchiere. Sentiva che da un momento all’altro sarebbe scoppiata
in lacrime.
Ricordava quella tomba lucida come il marmo, ma nera
come l’ebano.
Ricordava quando tutti piangenti avevano lasciato cadere
una rosa su quella lastra prima che fosse ricoperta.
Ricordava di quando aveva sentito una parte della sua
anima strapparsi, un amico andarsene, il suo cuore
mutilato.
Lo
ricordava come se quei quattro anni dalla morte di Ron non fossero mai passati,
come se fosse stato veramente ieri, che aveva parlato, a nome un po’ di tutti,
su quel pulpito, pronunciando quelle parole dolci, sofferte e vere.
L’aveva fatto lei perché tutti dicevano che era la più
coraggiosa, perché Molly e Ginny nelle lacrime più disperate che avesse mai
potuto vedere avevano perso completamente la voce.
E
come sempre, anche quella volta c’era stata lei.
La
forte, combattiva e riflessiva caposcuola.
Lo
era stata per un’ultima mezz’ora. Poi basta. Aveva rinnegato tutto senza
guardarsi alle spalle.
E
poi l’aveva fatto: se ne era andata.
E
ora eccola di nuovo lì, tornata chissà per quale motivo, che guardava nel vuoto
con gli occhi persi, un po’ opachi[avevano perso tutta quella luce mistica che
la rendeva così speciale] e lucidi di lacrime.
All’improvviso, una lacrima cadde e si schiantò su
quelle scarpe di velluto.
La
macchia si espanse, bagnando quel tessuto così delicato. Poi ne sopraggiunse
un'altra,e così un’altra macchia.
Sembrava che quelle scarpe stessero vivendo ciò che lei
stessa provava: un dolore così forte da non poter essere espresso. Lei che non
aveva più pianto, che si era rifiutata di farlo.
Categoricamente.
In
quegli anni aveva bandito sentimentalismi, legami duraturi e soprattutto
profondi[troppa paura di perdere di nuovo
una parte di sé per riuscire ad amare di nuovo.].
Basta appassionarsi, basta amare. Non era più per
lei.
Vederla così non gli pareva possibile. Vedere quella
macchie scure su quelle scarpe e vedere le sue guance un po’ arrossate rigate da
lacrime solitarie, lo spiazzava.
Si
poteva pur far qualcosa per cambiare quella situazione, si doveva.
Cercò con lo sguardo Potter. Lui lo stava già guardando,
ma era vuoto, sembrava non esprimesse nulla[apatica e dolorosa indifferenza]come se
davvero non lo interessasse o non lo toccasse.
Gli
sembrò come se potesse sentire altri pezzi della Granger sgretolarsi senza
possibilità di impedire quella caduta libera.
E
si rivide, in un certo qual modo, quando lui quindicenne era solo come un cane:
non aveva l’affetto di una madre, un padre, di un amico o di altri. Era solo
contro il mondo e contro anche se stesso.
Rivide quei momenti in cui aveva quasi ceduto e in cui
era quasi caduto in quella morsa, in quel patto da cui era impossibile
sottrarsi.
Ma
poi un giorno tutto era cambiato. Aveva visto che c’era un motivo per
combattere, per ribellarsi.
E
l’aveva visto negli occhi di lei.
L’aveva visto quando al sesto anno, Hogwarts era stata
attaccata e lei aveva combattuto fiera al fianco dei suoi
amici.
E
quella volta aveva visto quella luce, forte e chiara in quegli occhi d’ambra.
Gli sussurravano carattere e determinazione, grandezza di spirito, ma
soprattutto vi scorgeva un immenso amore per le persone a cui voleva bene e da
questo traeva il motivo per cui combattere, per cui andare avanti:
proteggerle.
E
non gli sembrava possibile che una persona sola potesse contenere tutta quella
forza.
Invece c’era, era lì.
E
da lì lui aveva tratto il coraggio che gli era servito per mettere un po’ da
parte l’orgoglio e chiedere aiuto vedendosi poi senza indugio tendersi un mano
verso di lui e afferrarlo, senza più lasciarlo.
Aveva deciso di farlo perché in lei aveva visto che
potevano esserci dei motivi validi e adesso vedere quegli stessi occhi vuoti,
privi di quel sentimento[bianchi come se
fossero ciechi]e oltretutto vedere come quelli, o almeno chi ne era rimasto,
per cui lei c’era stata, adesso non c’erano più per lei, gli sembrava così
ingiusto e meschino.
Poi
avrebbe anche fatto sorridere se qualcuno avesse saputo che proprio lui, Draco
Malfoy, parlava di meschinità.
Sembrava un vero e proprio brutto scherzo del destino.
Come d’altronde il fatto che lavorasse con Potter.
Impossibile, no?
Lui
aveva imparato che l’impossibile esisteva.
Si
allontanò e prese il cappotto della ragazza, glielo fece indossare come un padre
affettuoso fa con la propria bambina e stringendole le spalle con le mani, la
condusse fuori.
Passando davanti a Potter, lo fulminò come poche volte
aveva fatto in quegli ultimi anni.
Lo
fulminò con tutto l’odio e lo sprezzo che in quel momento riusciva a provare per
lui.
Si,
perché lui, Harry James Potter, il salvatore del mondo magico per più di una
volta, il Bambino Sopravvissuto, non si stava comportando come avrebbe dovuto,
non come un amico che rivede dopo tanti anni una delle persone a lui più care al
mondo.
L’orgoglio e il rancore erano in grado di fare tante
cose, ma non credeva che potessero cambiare così proprio Potter.
Avrebbe voluto gridare al mondo chi in realtà potesse
essere quell’uomo santificato da tutti. Sarebbe stata una vera
goduria.
E
invece era lì, appena dopo quel cancelletto di ferro battuto, e davanti a lui
una donna che pareva aver perso tutto dalla vita.
Il
vuoto negli occhi, le guance arrossate e rigate da lacrime calde[di nuovo quelle lacrime dolci e amare che
dopo quel giorno non era più riuscita a versare] e, lo sapeva con certezza,
il cuore strappato, dilaniato.
D’improvviso una rabbia tale lo infiammò dentro: lei non
poteva essere così, no, l’avrebbe fatta reagire. Dopotutto per quanto in basso
fosse potuto cadere, era ancora uno Slytherin ed era ancora Draco
Malfoy.
-Granger, non vorrai dirmi che quelle sono lacrime,
vero?- chiese velenoso guardandola dall’alto in basso. – E non vorrai dirmi che
la saputello so- tutto- io di Hogwarts si è ridotta in questo stato direi a dir
poco…pietoso…-
Una
voce dura e sprezzante la colpirono con violente sferzate come se la stessero
schiaffeggiando. Si voltò a guardarlo negli occhi e in quei pozzi scuri vide
solo rabbia, pena, compassione e disprezzo.
Non
pensava di trovare quel tipo di
sguardo. Quello non lo vedeva da molti anni.
Non
pensava che al rivederlo avrebbe sentito una sorta di formicolio pizzicarle le
mani e la base della nuca.
Una
scintilla percorse rapida in quel nocciola con sfumature ambrate. Il suo sorriso
si fece per un attimo indifferente, per , poi, verso la fine prendere una
leggera nota di tristezza.
-Eh
già, Malfoy, sono proprio caduta in basso non credi? Non solo sono una sporca
mezzosangue, ma sono anche ridotta in questo stato di povera e insignificante
piagnucolona…Hai proprio ragione, devo avere proprio un bel coraggio a
presentarmi così. -
E
nel finire allargò le braccia come ad indicarsi. Gli dette le spalle mentre
cercava di arginare quel fiume in piena e asciugarsi le
guance.
-In
effetti Granger, non posso altro che darti ragione per una volta…Non sarebbe il
caso che tu facessi qualcosa per migliorare la tua pessima posizione?-
insistette ancora lui con tono strafottente e maligno, quasi godesse come non
mai. Sentì che era peggio di quando a scuola le rivolgeva tutti quegli insulti:
lì tutto era dettato dall’odio profondo fra le case, dal fatto che lei facesse
parte del trio miracoli e che fosse mezzosangue.
Il
sangue le salì al cervello come non le accadeva da tempo ma rimase lucida e
fredda come il ghiaccio.
-Sai Malferret, sei un maledetto borioso. – soffiò,
girando leggermente il capo verso di lui guardandolo con
astio.
-Ah
questo l’ho sempre saputo e non ne ho mai fatto segreto. – rispose lui, quasi
ammiccante. –Tu, però ne hai di segreti. O no, Granger?-
-Si, sicuramente ne ho uno, in questo istante. Lo vuoi
sapere?- disse lei ancora più acida e non dandogli neanche il tempo di
replicare. –E’ucciderti!- ringhiò e un ciuffo di capelli sfuggì dall’alto
chignon.
-Ahahah, questa si che è un bella battuta- disse
sarcastico lui. –Andiamo, sarebbe più fattibile che tu progettassi di
conquistare il mondo!- e poi scoppiò a ridere nuovamente.
Hermione sbuffò. Si girò nuovamente e guardò la luna
semi nascosta dietro una nube.
Vide poche stelle, questo le mise ancora più tristezza
di quella che cercava di ricacciare indietro.
E
aveva freddo. Le tremavano le gambe, le guance rosse e si soffiava l’aria calda
sulla mani.
Aveva smesso di piangere. Quel mare che aveva sentito si
sarebbe potuto prosciugare, si era momentaneamente ritirato, nascosto dietro un
velo di patinata e ostentata tranquillità.
Malfoy la osservò per qualche minuto, poi le si affiancò
accendendosi una sigaretta e offrendole un’altra. Hermione la guardò per due
secondi poi l’afferrò e l’accese.
Non
era abituata a fumare: aspirò lentamente ma il fumo acre le irritò leggermente
la gola. Continuava a guardare il cielo, silenziosa.
-Futura dominatrice del mondo- disse Malfoy
sghignazzando –rientriamo?-
-No, non ancora perlomeno- rispose con tono assente.
–Anzi se vuoi vai pure, io comunque non credo che
tornerò.-
Ricadde il silenzio. Sembrava che questa situazione non
pesasse a nessuno dei due: erano talmente abituati, chi per un motivo chi per un
altro, a stare in silenzio che pareva quasi naturale che loro due stessero lì in
piedi, senza spiccicare parola o quantomeno insulti.
Passò un po’ di tempo, quando finalmente Draco distolse
gli occhi dalla luna che stava sempre di più nascosta dietro le nuvole e si
decise a parlare.
-Granger, non so te, ma io sto morendo di freddo.
Conosco un localetto qua vicino, caldo e dove ti danno da bere come se niente
fosse.- disse distaccato e anche un po’ acido, guardandola di
soppiatto.
-Non ho capito, scusa, mi stai chiedendo di venire con
te?- rispose lei un po’ stupita, girandosi verso di lui.
-No
mezzosangue, non lo farei mai, ma se vuoi ti lascio qui, al freddo in un
vicoletto anche troppo poco raccomandabile in pasto ai leoni.- soffiò lui
piccato, incamminandosi già da solo nella direzione del
locale.
Hermione lo guardò un po’ stranita, alzò gli occhi al
cielo esasperata e sbuffando lo seguì.
Quando lui sentì che si era mossa, rallentò vagamente
l’andatura in modo tale che potesse raggiungerlo.
Percorsero il tragitto in silenzio. La strada era poco
illuminata e il terreno ancora
bagnato.
Gli
unici suoni che gli facevano compagnia erano i rumori delle macchine in
lontananza e i tacchi di Hermione che ritmicamente picchiettavano il
suolo.
La
sala era poco illuminata. Malfoy era entrato e a mala pena le aveva tenuto
aperta la porta.
Lui
si avvicinò al bancone, parlò brevemente con la ragazza e poi si diresse in un
tavolino appartato in un angolo della sala.
Hermione lo seguì e poi si sedette di fronte a lui. In
silenzio aspettarono la cameriera che portò uno chardonnay rosso e due
calici.
Malfoy riempì lentamente i due bicchieri e poi si portò
il suo alla bocca, gustando il vino sapientemente, gli occhi
chiusi.
Lei
lo guardò intensamente: le labbra carnose di lui si posarono con eleganza su
quel vetro sottile. Lui era immerso in quella degustazione, come se stesse per
fare del sesso con quel liquido rossastro, quasi violaceo.
Draco aprì gli occhi mentre posava il bicchiere sul
tavolo di cedro scuro e lei appoggiando i gomiti sul legno prendeva il calice
fra le mani e se lo portava all’altezza del viso, come a
schermarsi.
La
osservò intensamente mentre anche lei beveva.
Lei
rimase con il bicchiere in aria, dopo il primo sorso, poco intenzionata a
lasciarlo.
Continuarono a guardarsi negli occhi, quando lei alla
fine sospirò e abbassò lo sguardo.
Prima non avrebbe mai fatto una cosa del genere, lei,
che l’aveva sempre guardato negli occhi altezzosa come solo l’orgoglio dei
Gryffindor sapeva essere.
Adesso non lo era più.
Rimasero in silenzio ancora per alcuni minuti quando
alla fine lui parlò.
-Allora, Granger, stavamo dicendo…- fece una piccola
pausa come se stesse ricordando il filo del discorso lasciato a metà, come se
non se lo ricordasse..ridicolo..-Ah si, parlavamo della tua misera condizione.
Bene, come vogliamo iniziare a sistemare la questione?-
-Non c’è nessuna questione da sistemare, Malfoy, ancora
non lo vuoi capire?- replicò amara lei.
-Si, invece. Sei tu che non vuoi
capire.-
Ricadde il silenzio mentre continuarono a bere vino,
riempiendosi di volta in volta il bicchiere.
Poi
un risolino cinico con un retrogusto di tristezza, ruppe
l’atmosfera.
E
poi un sospiro, un lungo e pensate sospiro.
-Pensi davvero che la “questione” come la chiami tu si
possa risolvere, Malfoy?- irruppe lei.
-Io
credo proprio di si, mezzosangue. Basta volerlo.- rispose lui impassibile,
continuando a bere.
-E
come pensi che possa farlo?-
-Beh prima di tutto, torna a vivere a Londra. Questo
sarebbe davvero un bel passo avanti. Poi trovati un lavoro, ma uno stabile. Ne
sei capace, Granger. Mica per nulla eri la più brava della scuola ad Hogwarts,
per quanto naturalmente mi costi ammetterlo.-
-Non suonava come un complimento, vero?- sorrise quasi
lei, guardandolo negli occhi.
-Spero tu adesso stia scherzando. Di solito sono io a
ricevere complimenti e non a farne. Ricordatelo.- annuì serio lui, un po’
divertito da quello scambio di battute.
-Certo, naturalmente. Ne ricevevi fin troppi a scuola e
incentrati sullo stesso argomento.- celiò lei un po’ maliziosa, strappandogli
quasi una risata.
-Ovviamente. Vedo che ci siamo capiti,
Granger-
Ricadde poi il silenzio, inframmezzato dal rumore del
liquido scuro che ricadeva nel bicchiere.
Andarono avanti così fino a finire la bottiglia e il
biondo ne ordinò un’altra.
Il
vino la stava scaldando un po’, si stava sciogliendo, ma non spiccicava parola,
come Draco, quando poi lui vago riprese il discorso.
-Dunque, stai pensando a come
fare?-
-No.-
Bugiarda.
Glielo leggeva negli occhi lo spiraglio della
speranza.
-Ti
ho già detto che non sai mentire, Granger. Fidati.- ripose
sarcastico.
-Ok, hai ragione. Si ci sto pensando. In questi anni,
anche se in nazioni diverse, ho studiato e sono diventata Medimaga, mi sono
laureata a Princenton.-
Un
fischio di approvazione venne dal biondo.
-Beh non mi sarei aspettato nulla di diverso,
sai?-
Lei
nicchiò, guardandolo con il capo inclinato.
-È
proprio questo che non mi va giù. Tutti si aspettano qualcosa da me, ma non una
cosa qualsiasi: si aspettano il meglio. Se fossi stata un’altra, non credo che
gli avrebbe scandalizzati tanto che io partissi, senza una meta ben
predisposta.-
-Granger, sei tu che li hai abituati troppo bene. È
tutta colpa tua.- disse conciliante lui.
-Forse hai ragione tu. - lo guardò dal basso, aveva gli
occhi rivolti verso il bicchiere e lo osservò attraverso le ciglia folte e
scure, sorridendo leggermente.
Un
lampo attraversò quegli occhi liquidi e ambrati, si morse il labbro indecisa,
poi parlò.
-Tu, Malfoy, mi aiuteresti, se tornassi qui a
Londra?-
Lui
la scrutò con interesse, poi rispose pacato.
-Dipende da cosa mi viene in cambiò.- sogghignò tornando
a bere.
Lei
ci pensò su, decisa a non mollare quel piccolo appiglio che lui le aveva
offerto. Sembrava volesse tornare a combattere per riavere quella vita che aveva
gettato al vento.
-Bene, Malferret- riprese ghignando anche lei ora –Cosa
vuoi in cambio del tuo aiuto?-
Gli
occhi le brillavano e Draco non pensava che li avrebbe davvero rivisti
nuovamente così fieri e combattivi come se li ricordava.
Sentì un nodo in gola e un brivido lo scosse, ma non lo
diede a vedere.
-Sei sicura di voler un debito con una serpe, Granger?-
chiese lui, mentre una speranza gli montava nel petto.
-Credo proprio che riuscirei a sopportare questo peso,
dopotutto sono ancora Hermione Granger, no?- fiera ed orgogliosa come sapeva
essere solo lei.
Lui
annuì aprendo e chiudendo gli occhi.
-Bene.- e così alzò il calice verso di lei per un cincin
silenzioso e lei fece lo stesso con un sorriso, uno di quelli veri, uno di
quelli che le decoravano sempre il viso quando ancora era felice, che le sorgeva
intenso sulle labbra.
Era
primavera inoltrata. Un sole caldo spiccava alto nel cielo azzurro
limpido.
Le
finestre di un appartamento al secondo piano erano
spalancate.
All’interno, Hermione Granger con un top viola e uno
striminzito paio di shorts camminava scalza per le stanze invase dagli
scatoloni.
In
quei mesi aveva cercato di sistemare ciò che era rimasto della sua vita. Erano
passati tre mesi da quella sera, eppure il tempo sembrava essere volato in un
soffio.
Draco Malfoy aveva mantenuto la sua promessa: l’aveva
aiutata ad ottenere un colloquio al San Mungo e dopo un mese di prova era stata
assunta a tempo indeterminato. E come se non bastasse a non smentire ciò che lei
veramente era, aveva ripreso a studiare: voleva una specializzazione, non sapeva
bene ancora in cosa, magari in tutto.
Dopo l’aveva anche aiutata a cercare casa, anche se non
erano mai d’accordo su quale fosse la scelta migliore: per lui erano troppo
piccole e per lei troppo grandi. Alla fine Hermione aveva deciso per
quell’appartamento, appena fuori il centro.
Ma
nonostante tutto questo, Malfoy ancora non le aveva comunicato cosa volesse in
cambio..Oh, si perché sicuramente avrebbe voluto qualcosa, ne era
certa.
In
quel periodo gli unici rapporti che aveva avuto erano stati proprio con lui e
qualche volta con Ginny, ma niente di speciale. Con Harry navigava ancora nel
buio e non c’era stata occasione alcuna per poter provare o almeno iniziare a
ricucire il rapporto.
Spesso pensava che forse lui non ne aveva voglia, forse
per lui era stato veramente troppo, ma non voleva crederci: o meglio, seguitava
a sperare invano visto che lui sapeva perfettamente che era in città e se davvero avesse voluto avrebbe saputo
come trovarla. Dall’altro lato lei non aveva fatto pressioni, non voleva
affrettare i tempi: sarebbe stato inutile.
Intonando l’aria di una canzone in voga tornò in bagno
dove stava sistemando nella sua nuova e quanto mai stratosferica scarpiera tutti
i suoi esemplari da collezione: ogni paio di scarpe aveva la sua storia e un suo
perché.
Erano belle, ricercate a volte un po’ eclettiche,
appariscenti oppure semplicissime. E tutte completamente differenti l’una
dall’altra.
Lei
le amava una per una, tutte avevano un loro significato intrinseco ed erano
legate ad un evento speciale.
Prese in mano un paio di stivali di camoscio dal tacco
basso e morbidi. In alcuni punti lungo la gamba il camoscio era forato, quasi
merlettato. Ricordò di averle messe per la prima volta a
Boston.
Qualcuno strimpellò al campanello, quindi andò ad
aprire. Prese da un tavolino una penna e mentre spalancava la porta si tirò su i
capelli riccioluti e crespi che la mattina non era riuscita a
domare.
Un
adone in pantaloni neri e camicia bianca era appoggiato allo stipite della porta. La sua presenza
stonava proprio in mezzo a quell’ambiente che di speciale aveva davvero
poco.
Sorrise a Draco Malfoy e senza dire una parola lo fece
entrare.
Lui
si richiuse la porta alle spalle e la osservò camminare leggiadra sul parquet.
Erano tre mesi che si vedevano tutti i giorni e lei era sempre più
bella.
Ogni volta che incontrava il suo sguardo vedeva quegli
occhi illuminarsi sempre di più fino quasi a tornare quella si una
volta.
Mancava solo un particolare da sistemare: Potter. Ma
quello si sarebbe risolto presto, lo sapeva.
E
più la guardava e più gli piaceva. Poi vestita così era una tentazione vera e
propria.
La
seguì in bagno.
Gli
piaceva come aveva arredato la casa: semplice ed essenziale, ma
elegante.
Poi
un colpo: dal corridoio vedeva solo scarpe, scarpe su scarpe. Il pavimento era
invaso dai modelli più strani.
Prese in mano con aria scettica una ballerina di uno
chiffon porpora che si legava alla caviglia con dei lacci di seta. Alzò un
sopracciglio soffermandosi allibito su quello spettacolo: altre scarpe erano
appese alla porta, altre lanciate sul lavandino, altre al posto degli
asciugamani.
Hermione lo guardò.
-Beh, che c’è?-
-Ma
quante cazzo di scarpe hai?- chiese scioccato.
-Ti
piacciono?- rispose giuliva.
Lui
arcuò ancora di più il sopracciglio chiedendosi se per caso la ragazza non
avesse perso il cervello nel frattempo.
-E
che cosa ci faresti con tutte queste scarpe?-
-Le
indosso, che domande sono!- Poi si girò muovendo la mano come se stesse
scacciando un insetto sgradito e si accovacciò, riprendendo a sistemare le sue
pupille nella scarpiera.
Draco rimase ad osservarla ancora con quella ballerina
in mano: ne vide davvero di tutti i tipi.
-Hai finito di guardarmi con occhio spiritato?Mi
piacciono le scarpe, e allora?- chiese stizzita dandogli le
spalle.
-E
chi ha detto niente Granger, solo che non mi aspettavo questo
delirio-.
Ricadde il silenzio mentre piano piano il caos diminuiva
e il pavimento tornava visibile.
La
vide come affettuosa sistemava tutto con accuratezza a volte sorridendo a volte
guardando spensierata quegli oggetti fra le mani.
-Senti, ma perché hai tutte queste scarpe?- tubò curioso
lui.
-Hanno un significato, sono un ricordo, oltre ad amarle
perché amo collezionarle ed indossarle se sono qui vuol dire che hanno
significato qualcosa per me nel momento in cui le ho viste e comprate- schietta,
sincera come sempre.
Colpito rimase in silenzio. Continuò ad osservarla più
curioso che mai, poi d’un tratto ne vide un paio che sembrava riconoscere:
decoltellès di velluto nero, tacco alto modello classico.
Quelle scarpe le aveva indosso la sera che l’aveva
incontrata di nuovo per la prima volta a quel party.
Ricordava tutto come se fosse stato la sera
prima.
La
prese e se la rigirò fra le mani, pensieroso.
-Che significato ha questa, invece?- chiese quasi
sussurrando.
Hermione si girò e nel mentre vide a cosa si stesse
riferendo un sorriso spontaneo le salì alle labbra.
Si
alzò con calma, gli si piazzò di fronte continuando a sorridere dolcemente
mentre gli toglieva dalle mani quella scarpa.
-Beh, non è stato proprio legato ad un evento, ma è una
di quelle a cui sono più affezionata: è stato il primo paio che mi sono comprata
a Parigi, la mia prima tappa, dopo esser letteralmente fuggita da qua!- lo disse
piano, sembrava bisbigliasse e invece nella sua mente si avvicendavano solo
ricordi delicati di una sera di pioggia, in una strada illuminata a giorno,
zaino in spalla e quel negozio: Natale passato da poco e la vetrina ancora
addobbata a festa.
E
poi eccole lì: fu amore a prima vista.
-Le
considero il simbolo della mia libertà- rispose con voce più alta e chiara,
guardandolo negli occhi.
L’ambra le brillava e Draco sentì qualcosa muoversi
dentro di lui: come uno spasmo, gli si contorse lo stomaco e una morsa lo prese
alla gola.
Quasi come se fosse un riflesso involontario, alzò la
mano e le sistemò dietro l’orecchio una ciocca di capelli sfuggita dalla presa
della penna, per poi sfiorarle delicatamente la gota.
E
poi dicono che non accade mai.
Che
quel momento non avviene mai: che tu sei lì e lo aspetti all’infinito, quando
magari semplicemente non sei mai stato attento.
È
strano. Ma strano davvero.
Rimasero lì immobili: lui con la mano sulla sua guancia,
lei che teneva la scarpa, occhi negli occhi.
Quelle iridi le tremavano, si sentiva leggera mentre la
mano di lui calda passava sulla sua pelle.
E
lo guardava forse un po’ incerta di quella situazione, ma non voleva di certo
scostarsi.
Le
piaceva.
Non
si mosse quando lo vide attendere, lì immobile, sembrava che anche lui stesse
pensando a cosa fare.
Quegli occhi di ghiaccio non più tanto impenetrabili,
non più così chiari: più scuri e velati di un qualcosa che non riusciva a
decifrare.
Ed
poi eccolo lì il momento dell’attesa. Quell’attesa snervante e piacevole, che ti
prende allo stomaco e senti solo farfalle girare
all’interno.
Quell’attesa che almeno una volta nella vita si è
sentita arrivare, passare, e preludio di un intenso
piacere.
Quel’attesa durante la quale l’immaginazione non ha più
regole, non ha più paletti, libera di fare ciò che più le
aggrada.
Quell’attesa difficile e semplice al tempo
stesso.
Quell’attesa finì e un brivido la percorse dalla base
della nuca fino alle gambe quando sentì quelle labbra sottili e carnose posarsi
sulle sue delicatamente e poi sempre più ardente.
Fece cadere la scarpa cedendo a quel bacio che mai
avrebbe pensato di ricevere e dare quando ancora era un
adolescente.
Strinse le sue braccia intorno al collo di lui, mentre
Draco se la stringeva addosso facendo aderire i loro
corpi.
Un
bacio lungo, intenso, passionale. Attimi che sembravano non finire
mai.
E
lei non lo credeva possibile, quando invece aveva imparato già da tempo che
l’impossibile non esisteva.
Poco dopo si staccarono, fronte contro fronte, si
guardarono negli occhi.
-Granger, credo di aver capito cosa voglio in cambio-
attese immobile indugiando un po’- voglio anch’io un viaggio fatto di scarpe…con
te-.
E
la prese in braccio mentre lei scoppiò a ridere aggrappandosi a lui, sentendosi
felice come da tanto non faceva.
D’altronde l’impossibile esiste, no?
Spazio
Autrice:
OK,
eccomi qui dopo tanto tempo che non scrivevo e che avevo lasciato il mondo di
internet…Bene, questa è semplicemente una piccola shot senza pretesa alcuna,
iniziata a scrivere guardando un mio paio di scarpe che adoro e che è il primo
paio che appare.
A
parte questo, spero che sia stata una lettura quanto meno piacevole con cui
abbiate passato questi ultimi minuti.
Vi
ringrazio per la lettura e anche se in caso vogliate dirmi cosa ne
pensate!^^
Herm85