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Autore: VeronicaFranco    26/11/2015    22 recensioni
Ah, la mia Oscar! C’è un conflitto dentro di lei! Non sa se essere uomo… o donna!
Oscar ha solo 14 anni, e deve decidere del proprio futuro. La sua educazione maschile, straordinaria per l’epoca in cui vive, con un padre autoritario e il peso di molte responsabilità aristocratiche sul capo, non le permettono di prendere la decisione alla leggera. Per di più ha già ottenuto l’incarico di Capitano delle Guardie Reali, perché ha sconfitto il suo rivale Girodel a duello. Dunque, che fare? Solo André, l’amato amico, può dissipare i suoi dubbi e donarle un poco di Leggerezza.
(Questa storia partecipa al contest “BIVIO”!)
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi hai fatto male, André. Ma io te ne ho fatto di più.

Ho cominciato io. Tu non hai esitato a contrattaccarmi. Ne sono stata felice. È così che voglio, André, e tu non ti sottrai mai quando ti attacco. Voglio credere che tutto sia così facile, come il colpo di spada con cui ho sconfitto Girodel, come questi pugni e questo sudore e questo respiro sfatto, sull’erba dell’alba, e il sole nuovo.

Ho vinto, André. Ti ho costretto a terra. Mi hai fatto male, ma solo fisicamente. Le tue mani sono state leggere, al confronto di quelle di mio padre. E quante botte ti ho dato, ah!, ho vinto io.

L’onda del futuro scorre davanti a me, André, minaccia di travolgermi. Il cuore mi scoppia, dopo tante energie spese a combatterti. È un male quasi piacevole, sentire le guance bruciare per i tuoi schiaffi. Ognuno di essi te l’ho restituito tale e quale.

Ma che strana cosa, sentire quella mano calda per le botte stringere le mie dita in modo gentile, gentile; calmo, calmo. Non eri tu che gridavi con me, che ti lanciavi con me nella lotta? Ora invece hai preso il ritmo del fiume qui vicino. La tua stessa voce è placida e sa di carezza.

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Sei un bravo giovane, André. Le mie giornate sarebbero terribili senza di te. Ti voglio molto bene. Virilmente, non te lo direi mai. Ma chissà come sarebbe fartelo sapere, un giorno o l’altro. Magari mi prenderesti per i fondelli. Diresti che sono troppo femmina se ti dico cose così sentimentali. Ultimamente ti diverti a dirmelo ogni volta che puoi: “il tuo istinto femminile non sbaglia mai”.

 

Ormai ridiamo di quello che sono. È passato qualche anno dal mio primo sanguinare. Ora non ci faccio più molto caso, allora ho chiuso tutto a chiave. Mi sono nascosta nella tua stanza per un giorno intero, ti ricordi? Finché non hai rivelato a tua Nonna e mia Madre dove fossi, quando mi sono addormentato. Addormentata, intendevo. Di notte, sfinita.

 

Dopo un po’, mi è quasi piaciuto pensare di essere così particolare.

Voglio molto bene a mia madre, e ho sempre pensato che tutte le donne dovrebbero essere come lei. Anche le mie sorelle, in linea di massima, mi sono sembrate sempre gradevoli.

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Non è così male essere donna, certo, e suonare il piano, per esempio, ed essere bella come loro; ma solo se si può usare anche una spada.

Non voglio smettere di usare la spada. E mi piace quando mio padre mi loda.

Ecco perché non potrei nemmeno volendo essere donna.

 

Ma io so che non sono come te. E lo sai anche tu. Non mi verranno quei peli sul mento, quelli che ti radi giudiziosamente ogni mattina. Nemmeno la mia voce sarà come la tua. Crescerò diversa da te. Somiglierò a mia madre e alla mie sorelle; tu a mio padre.

 

Nonostante questo, ormai ridiamo quando parliamo di questa Oscar così diversa da come pensavamo. Anzi, pensavo, perché tu sapevi.

Avrei dovuto arrabbiarmi, quando ho scoperto che sapevi. Però non l’ho fatto. Perché ho capito una cosa: tu non hai mai smesso di starmi vicino, comunque fossi. E anche se sono una donna, hai fatto con me tutte le cose che volevamo; trottole, spade, cavalcate e tutto, tutto quello che mi piace. E poco fa, hai fatto a botte con me senza preoccuparti che fossi una donna.

Dunque, se per te non fa differenza, André, che ci importa? Posso diventare un uomo, davvero. Un uomo anche per il mondo. Finora eravamo solo noi; ma come sarà grande, il mondo? Loro forse non rideranno come noi, non faranno finta di niente. Loro forse non capiranno. I nobili, che passano il tempo in feste e balli, bleah, cosa capiranno mai? Sprecano più soldi loro di quanti ne spenda un’intera nazione.

 

Se potessi immaginare il mio futuro libero, sai cosa farei? Viaggerei. Andrei per tutta Europa e studierei a più non posso. Lettere, Filosofia, Medicina, Tecnica Militare, Arte della Guerra. E poi sarei un grande Generale. Non sarebbe magnifico?

Perché dunque devo rinchiudermi in quella Corte, a fare da balia a una ragazzina che non sa usare la spada?

Sarebbe così assurdo, André. Non lo pensi anche tu?

 

Però ieri vi ho visto, dalla finestra. Mio padre ti ha chiesto di convincermi a indossare quella stupida uniforme. È per questo che mi hai chiesto di venire a cavalcare qui? Per questo sei nervoso, come me?

 

Mi hai detto, qualche giorno fa, di capire cosa sto provando.

Quindi, forse, tu sai che io vorrei… anche una sola volta… fare quella cosa.

 

Avanti, André. Dimmi quello che devi. So che devo farlo, che i miei capricci avranno fine presto. So che alla fine metterò quell’uniforme. Ma se proprio devi, fai il favore a mio padre e “convincimi”. Ti ascolto, oggi come sempre. Perché ti voglio molto bene, e mi fido di te.

 

Tu non devi indossare quell’uniforme se non vuoi.

 

Non voglio, è vero. O l’avrei già fatto, invece di sfidare Girodel lontano da tutti. Ero sicura di batterlo, allora perché farlo di nascosto e non con tutta la gloria, davanti al Re e al mondo che luccica? Non voglio, non voglio davvero, è questo il motivo per cui aspetto, aspetto, aspetto... e nessuno mi può aiutare, solo tu. Non so cosa fare.

 

Ecco perché io avevo deciso di non dirti nulla.

 

Devi. Ne ho bisogno. Ho bisogno che tu mi dica cosa fare. Dimmi di indossare l’uniforme. Solo così potrò accettarlo, e non penserò più a nient’altro.

 

Ma permettimi di dirti una cosa…

 

Oh, Dio. Perché quel tono? Cosa intendi fare? Disobbedirai a mio padre? Vuoi anche tu che io…

 

… e giuro che poi non te ne parlerò mai più.

 

Oh, no, no. Stai per dirmelo, stai per dirmi che devo essere una donna. Come l’altra sera, no? Quando hai capito tutto di me solo guardandomi negli occhi.

Io non posso guardarti negli occhi, mentre lo dici. Ho troppa vergogna. Ti lascio la mano. Mi alzo. Dov’è il cavallo?  

 

Non puoi ignorare l’ordine del Re, sarebbe alto tradimento. Dunque sii un uomo, va bene. Ma un uomo dal cuore di donna.

 

Non fuggo. Resto con le mani sulla sella, un piede in una staffa, e tanta confusione.

– Cos’hai detto, André?

– Un uomo dal cuore di donna.

Lascio la staffa, lascio la sella e le redini. César brontola qualcosa, perché era convinto di partire al galoppo con me.

– Dici… che potrei riuscirci?

 

Un uomo dal cuore di donna è una creatura bizzarra. Ma in fondo, non sono bizzarra anch’io? Vesto abiti stretti, culottes e camicie, ma non ho nulla di maschile. Allo specchio sono bianca e gracile, non ho quasi seno, ma nemmeno muscoli. Tra le gambe ho una ferita che sanguina pochi giorni al mese. Come una vera donna di seta e velluto.

 

Ti avvicini, sei alle mie spalle. 

– Io dico di sì. E in ogni caso…

Sento la tua mano stringere ancora la mia.

– Non sarai mai sola. Mai.

Quando parli con quel tono, tutto diventa molto grande. La tua voce si assottiglia, allora. Sembra diventare un sussurro, anche se parli normalmente, ma poi rimbomba tutto intorno, fin dentro il mio cuore.

Ti guardo con curiosità, senza chiederti nulla. Mi hai parlato spesso così, quando siamo stati soli davanti a un fuoco, o a leggere, o a riposarci dopo un duello. Con voce bassa, calma e gentile. E ogni volta ho pensato che sei un caro, caro ragazzo.

– Io vedo due strade, davanti a te, mio giovane Achille. – mi sussurri sorridendo. – Una lunga e noiosa, dove vesti di seta e un nobile ti sposa.

– … già. Come i mariti delle mie sorelle… E l’altra?

– L’altra è breve, ma piena di gloria.

– Tu mi seguirai comunque, André?

– Comunque e ovunque.

– Come Patroclo?

– Come Patroclo.

– Che cialtrone sei, André. Come se la mia vita potesse essere come quella di Achille! E morire giovane, poi! Dovrei essere cara al Cielo, perché questo avvenga, e fare cose veramente degne di fama e memoria. Non proteggere una ragazzina in una Corte di gentaglia…

– Patroclo muore prima di Achille.

Hai parlato piano, guardando il cielo, terribilmente serio. Pensavo scherzassi, invece...

– ... smetti di dire cose così stupide, André.

– E se scappassimo? – dici a un tratto, e prendi a sorridermi.

– Come?

– Scappiamo.

– Ah, sì? E dove andremo?

– Non lo so. Ad Arras. Oppure in Normandia. Oppure da qualche altra parte in Europa.

– E come faremo a vivere?

– A quello ci penserò io. Lavorerò sodo.

– Anche io.

– No, il servo sono io!

– Oh, piantala, sciocco.

– Cosa dirai a tuo padre?

– Gli dirò di sì.

– Sì all’uniforme?

– Sì alla dannatissima uniforme. Ma se un giorno dovessi scappare… e andare lontano… voglio che tu venga con me.

– Te l’ho già promesso. Verrò con te. Ovunque e comunque.

– Ora vado da mio padre…

– Vengo con te. – ripeti, sicuro.

Abbasso gli occhi, prendo di nuovo le redini. Ho di nuovo vergogna. Ma forse non mi prenderai in giro, non stavolta.

– No. Mentre io parlerò con lui, vorrei che facessi una cosa per me.

– Dimmi, Oscar.

– Ecco, vorrei che tu entrassi in camera della Nonna, e…

 

***

 

Ho provato l’uniforme, prima. Mi calza a pennello. Ho il sospetto che abbiano dato le mie misure al sarto che l’ha confezionata ben prima che duellassi con Girodel. Girodel non può essere magro come me, suvvia. Non mi è sembrato affatto, anche se di certo è meno robusto di tanti giovani, André per primo.

 

Quando ho sceso le scale per mostrarmi a tutti, mio padre era felice, felice!, come mai l’ho visto. Non faceva che ripetere che sarò il suo degno erede. Che non lo deluderò.

Ho guardato in volto mia madre.

Lei era serena, dolce, soddisfatta. Anche a lei piaccio così.

Ho guardato la Nonna. Era a bocca aperta. Forse non credeva che quell’uniforme mi stesse bene. Invece è così. Non so se avesse gli occhi lucidi per la troppa luce dell’atrio, la commozione, o qualcuno dei suoi eccessi d’emozione. Le dico sempre di non esagerare, ma lei è facile al pianto, la conosco. Era triste, la Nonna.

André mi ha vista di sicuro. L’ho scovato in un angolo, dietro i servitori che erano accorsi per la novità. Sorrideva; e un attimo prima di allontanarsi, mi ha fatto con la mano il segno convenuto. “Tutto a posto”, mi ha fatto sapere.

 

È notte fonda. Ho già tolto l’uniforme e indossato la camicia da notte. Ma non ho spento la candela. Aspetto.

Un colpo alla porta. Volo ad aprire. Non vorrei mai che il povero André fosse scoperto mentre mi porta quella cosa.

– Dentro, presto. – gli dico. E quando vedo André sgattaiolare dentro, con un pacco tra le braccia, e sospirare di sollievo, mi sembra d’aver appena fatto qualcosa di terribile. Lui, con quella roba, non dovrebbe essere qui. Ma è tardi.

– Se la Nonna mi scopre, sono morto!

– Se mio padre mi scopre, io sono morta. – dico lugubre, mentre lui appoggia il pacco sul letto, e si soffia sui palmi come se gli scottassero. Ma osserva il pacco con sguardo interessato, e poi guarda me, nella mia camicia da notte.

– Magari se la Nonna ti vede con questo addosso… mi perdona.

André ride piano. Come sempre, accanto a lui mi sembra sempre che le cose possano andare bene e i nodi sciogliersi. E per un attimo penso che forse non stiamo facendo una cosa priva di senso, e non è complice di un atto sconveniente. Se mio padre davvero mi scoprisse, cosa potrebbe dire? Non è così assurdo che una ragazza vesta come una ragazza, in fondo…

Ma chi voglio prendere in giro.

Non me lo perdonerebbe mai, e mi darebbe una lezione memorabile.

– Invece mio padre no. – sussurro. – Non dopo avermi visto con l’uniforme, oggi.

– Già, l’uniforme…

André distoglie lo sguardo dal pacco sul letto, e si dirige verso la giubba bianca, con tutti i suoi lustrini e le sue decorazioni.

– Ti sta bene, sai… – sorride piano, poi mi guarda con affetto. – Potresti sembrare davvero un ragazzo, con lei addosso.

Faccio un ghigno. – È questo lo scopo, no? Ingannare tutti.

– Se riuscirai a conquistare anche le dame, sarà davvero un trionfo. – È incorreggibile, non perde occasione per prendermi in giro.

– Ah, che strazio.

Basta con le chiacchiere, ho deciso. Mio padre dorme, mia madre anche, tutta la casa dorme. Se follia dev’essere, che sia; ma in fretta.

– Oscar! Che diavolo fai…

– Shhhh. Se devo entrare lì dentro, devo spogliarmi, no?

– Ma girati, almeno!

– Girati tu!

André mi obbedisce, si volta di scatto. Gli guardo la schiena, i capelli raccolti dal nastro e le spalle più larghe delle mie. Sta zitto, aspetta che io abbia finito, tutto curvo e confuso. Un poco mi diverte, questo suo imbarazzo. È questo che fa il corpo di una donna a un uomo?

La concitazione, il piacere di fargli un dispetto mi hanno aiutata a non pensare. Ma quando finalmente mi ritrovo dentro quel vestito (duro, pesante e pieno di fiocchi), il senso di disagio mi aggredisce.

André se ne sta ancora lì, con le spalle verso di me e il viso rivolto ostinatamente a un angolo. Vicino a lui c’è lo specchio. Lo vedo spostare un poco il capo, sbirciare intimidito dal riflesso del vetro.

– Dammi una mano, André. Non riesco a chiuderlo da sola.

André si sporge con cautela. Si accorge che ormai sono quasi tutta vestita. Prende un respiro, e si avvicina piano piano, con aria critica.

– … e che cosa dovrei fare?

– Non ne ho idea. Stringi qui dietro.

André si ferma alle mie spalle. Stavolta sospira. Dopo un attimo, sento le sue mani armeggiare con i lacci del corsetto.

– Hai finito? – gli chiedo, spazientita.

– Uff. Ecco, forse dovrebbe essere così…

– Bene, spostati.

– No, aspetta, aspetta. Non ancora…

André dà qualche strattone. Poi fa più piano, e comincia ad annodare lacci. È lento, paziente.

– Sei più impedito di quanto temessi.

– Se qualcuno entra adesso, io sono morto due volte.

– Ti difenderò io.

– Con questa roba addosso, dubito tu riesca anche solo a muovere un passo… ecco, ho finito.

André lascia andare il corsetto. Mi giro subito, cerco lo specchio.

 

– … ora l’hai visto.

– … ora l’ho visto.

André se la ride tutta. Seduto comodamente sul letto, mi guarda ferma davanti allo specchio. Io mi sento arrossire. Questi vestiti da donna sono fatti in modo da stringere la vita, mostrare i fianchi e strizzare il petto. E ho tutto il collo scoperto. Non avrei vergogna che proprio lui mi guardi, se non fosse che lo fa con quel sorriso divertito.

– Se non la smetti di prendermi in giro, giuro che…

– Non lo sto facendo. Anche questo è bellissimo. Ma – André sghignazza, su di giri, – sembri uno spaventapasseri con un abito che ti pende da tutte le parti.

Mi avvicino ad André e lo guardo, piena di stizza. Gli parlo a voce concitata: non vorrei farmi sentire, ma…

– Di’ un’altra volta una cosa simile, e ti infilzo con la spada.

– Se arrivi a prenderla senza inciampare. – ridacchia di nuovo lui, soffocando la voce in piccoli colpi di tosse.

– Dannato! Ti diverti?

Gli mollo un ceffone, uno di quelli che stamattina gli hanno bruciato la faccia. Ma lui è pronto! Schiva il colpo, e contrattacca. Mi afferra il polso, stavolta, approfittando del fatto che ho i movimenti rallentati e imprigionati da questo stupido vestito. Mi tira verso di sé, e finisce per abbracciarmi.

Non ci vorrebbe molto a staccarlo da me. Basterebbe un pochino di forza. Però era tanto tempo che non mi abbracciava. Aspetto.  

– Se vuoi… partiamo stanotte. – mi sussurra.

Poi preme la guancia sul mio petto. Annusa la mia pelle. È solo André, non riesco ad avere timore di lui, perché è buono con me, non mi farebbe mai niente che non volessi. Gli metto le mani sulle spalle. Gli voglio bene.

– No. – gli dico. – Questo vestito è troppo scomodo. Non andrei lontano, l’hai detto tu stesso…

– Puoi rimetterti il solito.

Sto un po’ in silenzio. Quando non parliamo, di nuovo mi sembra di sentire che intorno a noi non c’è spazio e non c’è stanza. Siamo insieme, semplicemente. In una grande casa che dorme e ci lascia in pace per un po’.

– È vero che non vuoi che io diventi una donna? Che non ti interessa che vestito indosso?

– È vero. Mi piaci così come sei. Sei meglio di tutte le donne.

Mi piace sentire queste parole. Però non glielo dico.

– Secondo te… perché devono mostrare tutta questa pelle? Le donne, dico. – gli chiedo, e mi viene di accarezzargli il capo e i capelli morbidi. Lui non si muove dal mio petto. Ci respira sopra.

– Perché gli uomini facciano quello che sto facendo io. – dice, con voce assorta. – Perché le trovino belle e vogliano andare a letto con loro.

– Anche senza sposarle.

– Anche senza sposarle.

– Dicono che non stia bene.

– Ma lo fanno tutti.

– Tu vuoi andare a letto con me? O sposarmi?

– … tu cosa vorresti che facessi?

– Non lo so. Forse sposarmi.

André ride di nuovo, piano piano.

– Sono morto tre volte, dopo questa cosa che hai detto!

– Un giorno chiederò al Re di renderti nobile. Così potrai sposarmi.

– Tuo padre non vorrà comunque. Non ho terre, non ho niente.

– Che me ne faccio delle terre.

André alza il viso. Mi guarda stringendomi la vita e sorridendo ancora, il mento che si appoggia sul seno.

– E che te ne fai del figlio di un maniscalco?

– Io ti voglio bene, André.

– Anch’io te ne voglio. Tanto, Oscar. – Mi abbraccia forte per la vita. – Tanto.

Sto zitta ancora un po’, e anche lui. Da qualche parte suonano le tre del mattino. Aspettiamo che il pendolo taccia anche lui. Torna la pace. La candela brilla ancora. Mi viene voglia di chiedergli una cosa.

– Hai mai baciato una ragazza?

– Mai.

– Mi baceresti, prima che mi tolga questo vestito?

André alza piano piano il viso verso il mio. Mi guarda e sorride, sembra triste. Annuisce, tende il collo.

 

E lo fa. Mi bacia. Chiude gli occhi, prima. Anche io chiudo gli occhi. 

 

Questo è un gioco. È una cosa innocente e un gioco. Il calore delle sue labbra, il suo abbraccio, la sua timida contentezza è un gioco. Mi dispiacerebbe che tutto questo fosse diverso da un gioco. Che fosse la verità, che noi soffrissimo perché ci separano, o che io un giorno sposassi qualcun altro, o mi innamorassi di qualcun altro. Ma so che non succederà. Perché ora mi tolgo subito questo vestito, e mi rimetto l’uniforme. Dopo non gli chiederò più di baciarmi o di abbracciarmi. Non voglio che qualcuno possa fargli del male per questo. Però so che un giorno, quando non ne potrò più della Corte, della Principessa, del Re e dei Nobili, potrò sempre scappare con lui.

 

Anche se mio padre non vuole, io sarò sempre un uomo col cuore di donna.

 

 

 

 




___________

- Questa storia partecipa all’iniziativa “Bivio” organizzata dalla nostra Orny81. In questa periodica “sfida” lanciata a noi autrici di ff oscariane, è stato proposto di scegliere tra i diversi momenti in cui Oscar e André si prendono per mano, e di lì immaginare un esito diverso della storia, appunto una scelta diversa di fronte al bivio offerto dall’immagine delle loro mani intrecciate.

Io ho scelto la meravigliosa scena della prima puntata, una delle più intense, commoventi e belle di tutto l’anime e di tutti gli anime, la stretta di mano dei due ragazzi. Però ho sentito che il bivio non poteva risolversi con un cambio di rotta di tutta la storia. È stato più forte di me: Oscar doveva diventare Capitano, con al suo fianco il fido André, e vivere il suo destino sfolgorante. Così il mio bivio si è mosso su binari differenti e meno espliciti, e il mio what if ha preso un’altra piega.

Nella descrizione ho messo tutto il necessario, credo, per avvisare che non si tratta dei canonici O&A di cui tento di scrivere da un anno e mezzo, ma lo ribadisco anche qui: questa è una one-shot Fluff e OOC, un esperimento per variare il nostro adorato tema d’amore di Oscar&André.

- Per gli esperti di moda storica/amanti della precisione: non ho idea di come fosse fatto un vestito dell’epoca fin nei dettagli, né come si facesse a indossarlo a modo. Tutto quello che ho potuto vedere è il vestito che, nella seconda puntata dell’anime, il padre mostra a Oscar perché lo indossi per nascondersi nell’entourage di Maria Antonietta e sventare l’attentato contro di lei. È molto simile al vestito che la Nonna liscia nella prima puntata, pregando che Oscar lo metta: è quello che ho visualizzato io, anche se mi assomiglia molto a una "camicia à la reine", ovvero allo stile di moda semplice che si imporrà solo qualche decennio dopo, nel periodo di Maria Antonietta mamma. Insomma, ho un po' brancolato, perciò mi sono tenuta sul vago. Quindi può esserci dubbio se André sia riuscito a metterglielo come si deve, o che abbia, piuttosto, stretto nodi a caso per farglielo rimanere addosso, a mo’ di “spaventapasseri con un abito che le pende…”, appunto. Gh!

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- Ho scritto figurandomi i nostri due ragazzi di 14 e 15 anni, riferendomi all’anime e al mio personale sentire (ho citato Achille e Patroclo in questa sede, come nel capitolo 53 della mia long Rivoluzione). Ma sento d’aver avuto due ispirazioni ulteriori che mi risuonavano nelle orecchie e cui rendo per questo giusto omaggio. Una è la splendida prosa di Mina7Z, sempre maestra di flussi di coscienza e intimi pensieri dei personaggi. L’altra è la delicatezza del giovanissimo André che sbircia, novello Atteone, il corpo nudo di Oscar, così com’è descritto nella splendida Beloved di queenjane.


- Grazie a chi è passato di qui, e ora tutti a scoprire gli altri Bivi di oggi!


 

 

   
 
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