Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Shayleene    26/11/2015    1 recensioni
Delle creature originate dalla Morte stessa per compiere il suo volere.
Sono ovunque attorno a noi, vigili custodi delle nostre effimere esistenze nonostante nemmeno loro siano eterni, pronti a raccogliere i nostri ricordi prima che la nostra anima svanisca, osservatori invisibili dello scorrere del tempo.
Ma su di loro incombe un infausto destino: scomparire non appena raggiungono il millesimo anno di vita. E' possibile sconfiggere la Morte, la propria creatrice?
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seduto sulla panchina più isolata del parco situato nel bel mezzo della cittadina il ragazzo si stava tenendo la testa tra le mani, stringendo i capelli chiari dalla disperazione. La tranquillità che aleggiava in quel luogo non riusciva ad intaccare il suo spirito agitato, che combatteva furioso per tornare dal cupo ma rassicurante luogo dove aveva avuto origine. La brezza, il rumore attutito dei clacson e di un piccolo laghetto artificiale lì vicino, l'intenso profumo dei fiori che proveniva dalle aiuole. In quel momento stava odiando tutto. Tutto quel maledetto mondo che l'aveva messo alla prova fin da subito minando la fiducia che aveva in sé stesso.
"Com'è possibile che mi abbia visto? Cos'ho sbagliato?" si chiese il Reaper, sbattendo con forza il pugno sulle assi verniciate della panchina. Non c'era dubbio che la reazione della ragazza fosse dovuta al fatto che si era resa conto della sua presenza accanto a suo padre. Quello che però non capiva era come fosse successo.
Certo, era riuscito a portare a termine il suo primo compito, ma con quale rischio? Aveva dimostrato di essere un incapace, di non riuscire nemmeno a controllare quel dannatissimo corpo in cui il suo spirito era rinchiuso. In fondo i Reaper appena formati sapevano già tutto su ciò che avrebbero dovuto fare e come. Allora perché non gli stava accadendo la stessa cosa? Si sentiva marcio. Un parassita, un inutile essere che sprecava il prezioso dono che la Madre gli aveva donato. 
Una coppia di adolescenti passò a pochi metri da lui senza nemmeno accorgersi della sua presenza.
-Ehi, voi due!- gridò il Reaper. Nulla, nessuna reazione. Proprio come sarebbe dovuto essere. Proprio ciò che sarebbe dovuto accadere anche in quella stanza d'ospedale.
Eveline.
Il nome della giovane comparve limpido nella sua mente insieme ai suoi capelli rosso scuro e gli occhi verdi che per un solo istante sembrava avessero voluto sondarlo fino nel profondo del suo essere. Fece un lento respiro per calmarsi, anche se in quanto non umano non necessitava di inalare ossigeno. Tuttavia quel gesto lo rilassava, aiutandosi a concentrarsi e a non lasciare che la frustrazione prendesse il sopravvento quando da un momento all'altro poteva essere chiamato ad aiutare un altro assistito.
Il dolore che aveva provato quando aveva raccolto in sé i ricordi dell'uomo, che ora sapeva chiamarsi John Howell, erano lentamente scemati fino a scomparire del tutto, ed si rese conto di potervi accedere liberamente. Era per questo che ora conosceva l'identità della ragazza, la figlia del suo assistito.
In un solo battito di ciglia poteva rivederne l'infanzia, quand'era ancora una bambinetta acerba ma dal viso molto più spensierato e allegro. L'adolescenza travagliata, durante la quale l'innocenza era svanita come un fiore che appassisce dopo una splendida fioritura. Gli innumerevoli litigi con la madre che non riusciva a comprenderla, le difficoltà del mondo degli adulti che avevano rischiato di inghiottirla in un vortice scuro. Cercava tra tutte quelle immagini una che potesse spiegare ciò che era successo, una motivazione razionale che gli assicurasse che non era lui ad essere "difettoso", ma lei.
Quando si rese conto che non avrebbe trovato nulla di utile si alzò in piedi, infilandosi le mani nelle tasche della felpa nera. Aveva deciso di far sparire il mantello nero che lo copriva adattandosi ad uno stile più "umano". Cercava di convincersi di averlo fatto solo perché gli andava di saggiare le proprie capacità, ma in realtà dentro di sé c'era il timore che qualcun'altro potesse vederlo.
La maggior parte dei Reaper preferiva indossare il mantello con il cappuccio sollevato e una maschera bianca per "soddisfare" la credenza umana che vedeva la morte come uno scheletro incappucciato, però a lui non interessava. In fondo il suo unico obbiettivo era raccogliere ricordi, non spaventare i suoi assistiti.
Si incamminò a passo lento, mantenendo lo sguardo fisso sul terreno ciottolato. Dentro di lui si agitavano due desideri contrastanti: cercare Eveline per capire cos'aveva di speciale oppure sfuggirle fino a quando lui non fosse tornato a far parte della Morte o per lei fosse giunto il momento di morire.

*

Eveline si stiracchiò, allungando le braccia verso l'alto e soffocando a stento uno sbadiglio. Con gli occhi ancora impastati dal sonno si alzò in piedi, trascinandosi verso la cucina e aprendo il frigo per prendere la bottiglia del latte.
Il riposo le aveva effettivamente giovato parecchio almeno per quanto riguardava la stanchezza fisica, ma quando mise il bicchiere del latte nel microonde e vide il suo volto ebbe la conferma che per le ferite che aveva subito il suo cuore sarebbe servito molto più tempo. Perlomeno però si sentiva molto più lucida del giorno precedente.
Mentre sbocconcellava a malavoglia dei biscotti integrati iniziò a pensare al funerale di suo padre. Nonostante si fosse rifiutata persino di parlare al telefono con sua madre durante quegli ultimi anni, sapeva che non poteva vietarle di partecipare, anche se avrebbe voluto farlo.
"Basterebbe solo dirle l'ora sbagliata" pensò egoisticamente per un attimo, pentendosene subito dopo. No, anche se era sua figlia non poteva occuparsene da sola. Dopo aver messo il bicchiere nel lavandino e aver riposto la tovaglietta plastificata nel cassetto, andò a farsi una doccia.
Detestava ammetterlo, ma stava facendo di tutto per rimandare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto sentire nuovamente la voce della donna che l'aveva praticamente cacciata via di casa. Lasciò che l'acqua calda le scorresse sul corpo, e sperò che quel getto potesse far sparire almeno in parte i pensieri che le invadevano la mente. Fece tutto con estrema calma, quasi quei gesti lenti e misurati le dessero forza nella loro quotidianità. Davanti allo specchio si tamponò leggermente i capelli rossi con un asciugamano, lasciando che si asciugassero da soli.
Quando aprì l'armadio per decidere cosa indossare il suo sguardo si posò immediatamente su una lunga maglia beige sopra la quale vi erano stati ricamati delle margherite, e senza esitazione Eveline indossò la sua maglia preferita e un paio di jeans.
Poi tornò in salotto, sedendosi sul divano e afferrando di malavoglia il cellulare. Non c'era nessun messaggio.
"Fai che non succeda un putiferio come ogni volta" pregò silenziosamente prima di comporre il numero che tanto detestava. Dopo più di dieci squilli si lasciò quasi illudere che sua madre si rifiutasse di risponderle, ma come sempre quella donna non avrebbe sprecato un'occasione per poterle indirizzare almeno una critica.
-Sì?- disse una voce femminile dall'altro capo del telefono.
Eveline trattenne un moto di stizza. Voleva persino fingere di non riconoscere il suo numero? -Sono io.- borbottò, aspettandosi una discussione poco pacifica.

Ed eccomi di nuovo! Dunque dunque, per chi ha letto le mie storie sa che di solito nei miei capitoli c'è sempre molta azione, ma ho deciso che in questa cercherò di prendermela con "più calma" per non scrivere troppo frettolosamente. Ditemi pure che ne pensate :D
   
 
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