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Autore: FrankieEternity    27/11/2015    1 recensioni
Cristina è bellissima, intelligente, popolare, felicemente fidanzata con Davide, il rappresentante del Liceo che frequenta. Almeno, così credono insegnanti, parenti ed amici. In realtà, però, la giovane nasconde un segreto.
Luca è un ragazza goffo, timido e spesso imbronciato, che crede nei sogni e spera in un futuro più roseo. Anche lui conserva un segreto: è perdutamente innamorato di Cristina e sa di non avere speranze.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri, FemSlash
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 2

 

Quattro anni prima

 

Si dice che quando si perde un amico si smarrisca anche una parte del proprio io. Luca ci credeva, dopotutto. Forse un pezzo della sua anima si era davvero ridotto in frantumi. Al Liceo si trovava malissimo, sembrava non esserci nessuno che s’interessasse a lui. Gli sembrava di vivere in un incubo, con la sola differenza che i suoi occhi erano spalancati e che il dolore provato non svaniva, perché non ci sarebbe mai stato un risveglio. Un tempo era felice, più o meno. Aveva una persona al suo fianco alla quale era particolarmente legato. Si chiamava Marco. Indossava abiti enormi, di due taglie più grandi. Probabilmente la sua famiglia non aveva abbastanza soldi per acquistare qualcosa anche per lui, per questo si arrangiava con i vestiti del fratello maggiore, anche se gli calzavano molto male. Sebbene fosse di modeste origini, di tanto in tanto regalava qualcosa a Luca. Si erano incontrati nel campo di calcio comunale e lì avevano stretto amicizia. Marco era un asso nel calcio, probabilmente avrebbe avuto un futuro promettente nel settore calcistico. Luca, invece, si recava al campo solo perché suo padre desiderava che lui lo facesse. Già all’epoca lo assillava, dicendogli che doveva apparire più virile. Poi, però, conobbe Marco. All’inizio si limitarono ad allenarsi assieme, mentre il padre di Luca li osservava compiaciuto. Dopo di che, Luca lo invitò a casa più e più volte e un giorno, sebbene una parte di sé fosse riluttante, gli disse la verità. Era in seconda media.

<< Devo confessarti una cosa >> sibilò. Lo fece perché, benché si trovassero nella sua camera da letto, si sentiva sempre osservato. O forse perché era una notizia che l’avrebbe sconvolto e non sapeva come fare per rivelargliela.

<< Dimmi pure >> fece l’altro, passandosi una mano nei capelli e mantenendo il contatto visivo.

<< A me non piace il calcio. >> Lo disse tutto d’un fiato, quasi temesse che fosse qualcosa di blasfemo o particolarmente imbarazzante. Con sua sorpresa, però, l’amico non gli parve così incredulo.

<< Non tutti hanno le stesse passioni >> ammise, dandogli però una forte pacca sulla spalla. Marco provò dolore, ma decise di far finta di nulla. << Sai che il calcio è il motivo per cui io sono in vita, ma so che, beh, non a tutti può piacere. Da un lato, è un bene. Essere diversi. Questo mi piace di te: sei diverso da me. >>

Non s’aspettava una simile reazione. D’istinto lo abbracciò, forse troppo forte, mormorando frasi di ringraziamento. Si disse che era un ragazzo molto maturo. Non tutti a dodici anni accettano le diversità. Insomma, nelle classi gli alunni tendono sempre a suddividersi in gruppi, a seconda delle loro personalità e dei loro gusti. “Ma l’amicizia non è questo” pensò Luca. “L’amicizia è amarsi proprio perché si è differenti l’uno dall’altro. Amicizia significa tendersi la mano quando l’altro si sente solo e fragile, significa accettare una persona così com’è, difetti inclusi.”

Ma le persone belle, si sa, vanno sempre via. È come se ci fosse una formula matematica fissa, che determina la scomparsa delle persone migliori. Così, Marco se ne andò. Non per sua volontà. L’anno successivo dovette trasferirsi a Milano, assieme ai genitori. In tempo di crisi, non dappertutto si riesce a trovare lavoro. Il Sud, inoltre, è particolarmente svantaggiato per ragioni politiche e storiche. Sembra che chiunque si disinteressi di garantire ai cittadini del Mezzogiorno un’occupazione. Per questo motivo, la maggior parte dei meridionali, specialmente se poveri, sono costretti ad emigrare al Nord. Luca sapeva da tempo che Marco avesse problemi economici, dato che non riusciva neanche ad avere maglie e pantaloni della giusta grandezza. La sua famiglia, però, non riusciva più ad andare avanti in quel modo. Doveva garantire ai suoi figli un futuro, rendere realizzabili i loro sogni. Marco aveva due fratelli, entrambi più grandi di lui. Suo padre aveva da qualche mese perso lavoro, per questo motivo i due fratelli maggiori, che studiavano all’università, avevano dovuto interrompere temporaneamente gli studi per lavorare. In realtà, all’inizio cercavano un impiego part-time ma non trovarono nessuno disposto ad offrirgli uno stipendio decente. Per questo motivo, l’intera famiglia aveva optato per il trasloco. Luca era ancora un bambino, ma abbastanza maturo da comprendere un problema così grande. Una parte di lui non voleva digerire l’accaduto, ma l’altra parte era contenta per Marco. Forse avrebbe realizzato il suo sogno. Un giorno l’avrebbe visto in tv, in una squadra della serie A, a giocare dando il meglio di sé stesso.

Il giorno in cui si separarono, Luca si sentiva a pezzi. Marco gli assicurò che avrebbero continuato a sentirsi telefonicamente, ma ciò non placò la tristezza del compagno, che in men che non si dica scoppiò a piangere. L’altro lo tenne stretto e gli diede dei colpetti sulla schiena per rassicurarlo.

<< Va tutto bene, non ti abbandonerò >> ripeté, cercando di essere persuasivo. << Ti telefonerò non appena arriverò a Milano. Non piangere più adesso, siamo intesi? >>

Quando si distaccarono, però, Luca notò che anche Marco faticava a trattenere le lacrime. Una di esse, d’improvviso, gli colò lungo il viso e l’amico d’istinto s’asciugò il viso con una mano.

<< Ti telefonerò >> disse ancora una volta. Luca annuì e gli rivolse un ultimo sorriso. Non voleva che gli rimanesse impressa l’immagine di lui piangente. Voleva che lo ricordasse mentre sorrideva, mentre giocavano assieme, mentre si confidavano, mentre sognavano entrambi un futuro più roseo. Il rosa è un colore dolce. È il colore della serenità, secondo Luca. Non è acceso come il giallo ed il rosso, ma rappresenta la tranquillità, la tenerezza, la bellezza. E lui così voleva il suo futuro. Voleva che ci fossero armonia e pace. Voleva non avere più ostacoli invalicabili. Non voleva sentirsi più perduto e assuefatto dal desiderio di morire.

Aveva lasciato Marco con quel buon proposito vivo nella mente. Tuttavia, le cose non migliorarono. Anzi, quando piombò al Liceo, s’accorse che il mondo era ancora più crudele di quanto avesse mai potuto immaginare. Sin dal sou primo giorno, si sentiva a disagio. Gli altri lo evitavano, come se fosse ammalato di peste, di lebbra, o qualcosa di simile. Al suo isolamento contribuì anche il dolore dovuto all’abbandono di quel che era il suo migliore amico. Sì, perché l’aveva abbandonato. Gli aveva promesso che l’avrebbe chiamato, ma in pratica non lo fece mai. E Luca non fece che chiedersi perché. La sofferenza lo fece chiudere a riccio. Non gli piaceva il mondo, il modo in cui era organizzato. Sembrava che a vincere fossero sempre i prepotenti, quelli che si credono più forti e più furbi degli altri ma che in realtà non comprendono nulla, poiché non guardano al di là del proprio naso. Luca era apatico e dentro pensieri e pensieri di diversa natura lo tormentavano. “Chi sono io? Cosa sono diventato? Perché i miei coetanei mi evitano? Perché Marco è sparito? Aveva promesso di chiamarmi. Perché sono vivo? Per quale ragione respiro ed il mio cuore batte? Perché non posso essere spensierato come gli altri? No. Io sto male. Sono tormentato dai miei stessi pensieri, sono convinto che ci sia sempre un elemento di me che non va bene. E se io, invece, non andassi bene per niente? Forse lo so, adesso. Bisognerebbe che Dio mi creasse da capo. Ma Dio c’è lassù e mi ascolta? Se mi ascolti, mio Dio, perché mi hai imprigionato in un mondo che non m’appartiene? Perché c’è tanta crudeltà, mentre tu sei l’amore e qui d’amore non ce n’è, almeno non per me? Cos’è che devo fare? Non sono bello e stronzo come Tommaso. Non sono popolare come Cristina. Non sono determinato come Marco. Non sono simpatico come Arturo. Non sono alto come Elena né spensierato come Alberto. Io vorrei essere il vento, sai? Perché il vento può essere leggero o forte, a seconda dei casi. Vorrei essere a volte impetuoso, in grado di trascinare gli altri con la mia forza e in altre occasioni vorrei essere leggero ed inondare l’animo altrui di dolcezza. Invece, cosa sono io? Non sono che un errore.”

Ogni sera si sfogava con il pianto ma, giorno dopo giorno, sembrò non bastargli. Era come se l’odio nei confronti di sé stesso superasse qualsiasi altra emozione o sentimento. Era come se desiderasse essere in vita, ma nello stesso tempo odiasse ogni sua caratteristica. Meritava di essere soppresso. Forse faceva bene Tommaso a rivolgergli continuamente parole di scherno. In fondo, cos’è che gli diceva? Non faceva che ricordargli ciò che già pensava. Era come una voce nella sua stessa mente. Era il suo desiderio di abbracciare la morte.

 

Tutto sommato, si può dire che a Luca interessasse Tommaso. Nel senso che, non poteva fare a meno di osservarlo e di chiedersi cosa lo portasse a fare tanto lo spaccone. Origliava i suoi discorsi, quando era lontano. Lo sentiva parlare di argomenti futili. Televisione, calcio, automobili. Tutte cose che non gli interessavano. Eppure, credeva di avere qualcosa in comune con lui. Era come se ci fosse un filo che li unisse, seppur invisibile. Era come se fossero ciascuno il complementare dell’altro.

Ogni tanto, quando non si divertiva a punzecchiarlo, notava che fumava affacciato alla finestra, assieme a Cristina. Ad entrambi piacevano le Lucky Strike blu. S’accendevano velocemente le sigarette con l’accendino di lui e tiravano una boccata. Ad entrambi piaceva fare i cerchi con il fumo. Tommaso ci riusciva pienamente, ma Cristina non era poi così brava. Forse aveva da poco iniziato a fumare.

<< Non così >> le ripeteva il tipo con i capelli ricci, con una voce insolitamente dolce, per poi mostrarle com’è che doveva fare per realizzare quei cerchi. Luca non aveva mai fumato e gli sembrò fantastico notare, qualche secondo dopo, che Cristina era riuscita a fare un paio di cerchi.

<< Bravissima! >> esultò Tommaso, dopo di che entrambi spensero il mozzicone e lo gettarono dalla finestra. Non era un gesto di estrema educazione, ma in classe non c’era un posacenere. Inoltre, nelle aule di norma non si potrebbe fumare, ma spesso gli insegnanti lasciano gli alunni soli, per questo ciascuno fa ciò che vuole. C’è chi manda sms a raffica al suo fidanzato, chi ascolta musica, chi utilizza i social network, chi fa uno spuntino. E poi c’era Luca, che si limitava a stare seduto al suo banco ad ammazzare il tempo. Di tanto in tanto scriveva qualcosa. Lasciava qualche frase sul retro del suo quaderno, oppure faceva qualche disegno. Anche se i suoi, più che disegni, erano scarabocchi. Non voleva impegnarsi più di tanto nel realizzare qualcosa che fosse ben riconoscibile. A volte si limitava a disegnare un volto con dei capelli ricci, assieme ad un altro che, invece, aveva i capelli lunghi e ricci. Si trattava di Cristina e Tommaso, ma chi l’avrebbe capito? A vederli, sembravano solo due sgorbi senza significato, disegnini che potrebbe realizzare un bambino di cinque o sei anni.

A volte, invece di scarabocchiare cose a caso, si metteva a parlare con Rosaria, la sua compagna di banco. Non le raccontava nulla di personale, chiacchieravano solo del più e del meno. Secondo i professori, era una delle più intelligenti della classe, seconda solo a lui e a Cristina. Tuttavia, non era proprio così. Secondo Luca, lei aveva soltanto una buona memoria. Si limitava ad imparare a memoria pagine e pagine e le sapeva recitare piuttosto meccanicamente. Chiunque si sarebbe accorto che lei studiava utilizzando unicamente la memoria, ma evidentemente i professori erano un po’ distratti e non ci avevano fatto caso. Se si parlava di argomenti comuni, Rosaria appariva simpatica. Ma se si iniziava a parlare di argomenti di cui lei sapeva poco o nulla, non faceva che dire stupidaggini. In effetti, da un lato era saccente. Voleva sempre avere ragione lei, essere brillante in ogni campo. Spesso, però, non era così. Un giorno, si ritrovarono a parlare della pena di morte, stimolati dal discorso di un professore.

<< Secondo me la pena di morte è giusta >> sostenne lei, << chi ha fatto del male deve pagare con la morte. Non c’è altra soluzione. Per me un serial killer deve essere torturato e poi ammazzato. Non merita clemenza. >>

<< Non sono d’accordo >> replicò lui, << la pena di morte non è un deterrente. E lo Stato non ha nessun diritto a togliere la vita ad un altro essere umano! Così si abbasserebbe al livello dei più spietati criminali. >>

<< Ma come puoi permettere che gente così crudele sopravviva? Sicuramente non sai nulla al riguardo, se parli in questo modo. >>

<< Io non ne so nulla? Okay, ma è inutile aggredirmi solo perché non sono d’accordo con te. >>

<< Non ti sto aggredendo. Semplicemente, io ho ragione e tu hai torto. >>

Allora non si poteva che darle ragione e basta. Di certe cose è impossibile parlare con lei. Luca ci tentò pure numerose volte, ma i risultati erano gli stessi. Così, decise di limitarsi a discutere degli ultimi programmi visti in televisione, delle nuove applicazioni per smartphone, del campionato di Formula 1 e così via. Insomma, roba di cui avrebbe potuto parlare anche con il salumiere vicino casa sua. Eppure, doveva pur parlare con qualcuno. In classe era isolato e aveva comunque bisogno di socializzare con qualche suo coetaneo. Rosaria gli sembrò la prima persona con cui potesse instaurare un rapporto, seppur non così stretto. Farsi degli amici in una classe piena di nemici è necessario, in un certo senso. Tuttavia, ciò non gli permise di attenuare il dolore che lo attanagliava. Era comunque un bersaglio facile per i potenti della sua classe, capitanati da Cristina e Tommaso. Cristina, in realtà, non lo offendeva mai in prima persona. Si limitava a ridere delle altrui battute. Luca non la comprendeva pienamente. Non riusciva a comprendere come sopportasse la compagnia di persone così insulse, che non fanno che mettere in ridicolo gli altri. Una ragazza sveglia come lei non avrebbe dovuto stringere amicizia con persone simili. Poi Luca capì. Forse lo faceva per ottenere fama, per assumere un ruolo determinante nella classe. Infatti, poco tempo dopo l’inizio della scuola, si fidanzò con Davide, il fratello di Tommaso. Era tutta una strategia per calamitare l’attenzione su di sé, probabilmente.Eppure, nessuno sapeva che Luca soffriva dei dispetti e degli sfottò dei suoi compagni. In casa la situazione non era delle migliori e non essere accettato neanche in classe lo faceva sentire ancora peggio. Una sera si sentì così insoddisfatto e affranto che iniziò a procurarsi dei graffi sulle braccia. Si ritrovò con gli occhi pieni di lacrime, ancora una volta, ripensando al male che s’abbatteva contro di lui e che non aveva la forza di contrastare. Non aveva le unghie così affilate ma senza pensarci troppe volte le sfregò contro il suo braccio sinistro, finché non iniziò a sanguinare. Le ferite erano superficiali, ma lo sfregamento irritava la sua pelle, facendogli sentire un forte bruciore in corrispondenza dei graffi. Mentre si procurava quel dolore, pensò che la sofferenza fisica non fosse nulla rispetto a quella psicologica. Voleva punirsi, dopotutto. Si sentiva in colpa per la sola ragione di essere nato. Si chiedeva perché i suoi genitori l’avessero messo al mondo, se poi lo odiavano. Un padre ed una madre dovrebbero riempire i loro figli d’amore. Dovrebbero provare un amore incondizionato ed accettare la personalità di coloro che hanno messo al mondo. Invece, nel suo caso, non era così. Si sentiva come il brutto anatroccolo. Aveva gli occhi di tutti addosso. Era aggredito da parole e fatti. Era trattato come il peggiore degli esseri viventi. Quando cessò di graffiarsi, gli rimase soltanto quella sensazione di bruciore sulla pelle. Sembrava che il suo braccio stesse andando in fiamme, ma non ci badò. In un primo tempo quasi si maledì per essersi fatto del male. Poi ci ripensò. Lo meritava. Per lui non ci sarebbe stato più amore. Il dolore l’avrebbe scovato e l’avrebbe azzannato fino ad ammazzarlo. Sarebbe andata così. Già stava andando così. E Luca non avrebbe fatto niente. Sarebbe stato solo lo spettatore della sua tragica fine.

***

 

Aveva difeso Rosaria e Luca, la scorsa lezione. Era come se la parte di sé che voleva continuare a fingere si fosse indebolita. Aveva fatto la cosa giusta? Probabilmente i suoi compagni di classe si erano chiesti cosa le fosse preso. Era apparso anomalo il suo comportamento. Eppure, la vera Cristina pensava davvero che Tommaso fosse un coglione. Certo, aveva avuto un’infanzia difficile. Era anche naturale che si comportasse da bullo, ma non aveva il diritto di rovinare le vite altrui. Non le sembrava affatto corretto. Odiava anche quando lui si divertiva a prendere in giro i passanti, il sabato sera. Avrebbe voluto fare qualcosa per fargli perdere questo brutto vizio. Nello stesso tempo, però, una vocina nella sua mente le diceva che avrebbe dovuto distanziarsi da lui, non dargli più retta. Ma con chi sarebbe uscita? Ormai erano anni che usciva con gli amici di Tommaso. Erano una comitiva, non poteva abbandonarli improvvisamente. Almeno non senza fornire spiegazioni. Avrebbe dovuto abbandonare Tommaso, così come aveva lasciato Davide quattro anni prima. Ricordava di aver preso questa decisione, dopo aver riflettuto per un paio di settimane. Chiunque li guardasse, li riteneva una coppia splendida, priva di problemi. In realtà, però, Cristina era insoddisfatta. Non era mai stata realmente attratta da Davide. Quegli occhi magnifici e luminosi non le facevano alcun effetto. I suoi baci, che chiunque avrebbe trovato delicati, la infastidivano. Persino le sue mani che si muovevano sul suo corpo la facevano rabbrividire, ma non per il piacere. In realtà, aveva paura. Non le piaceva l’idea di essere accarezzata da lui. Quelle mani grandi e forti le sembravano quelle di un estraneo. L’unica cosa che gli piaceva di lui era l’odore della sua pelle, che la faceva sentire al sicuro. Quando era fra le sue braccia, le pareva di essere in un rifugio, dove nessuno avrebbe potuto scovarla. Davide non era un ragazzo stupido, però. Per questo s’accorse di quanto Cristina era cambiata rispetto ad un tempo. Notava che era sempre più distante e che tendeva a concentrarsi su altro, piuttosto che sulla loro relazione.

<< Cosa c’è che non va? Ultimamente mi sembra che tu viva in un altro pianeta. >>

Ricordava ancora queste parole. Lei, all’inizio, inventò delle scuse. Gli disse che era impegnata con lo studio e che non poteva dedicargli tanto tempo. Altre volte, fece finta che nella sua famiglia ci fossero degli intoppi, che in realtà non c’erano. Dopo un po’, però, non ne poteva più di fingere. Gli disse la verità. Un pomeriggio d'estate gli diede appuntamento in un parco del suo paese, poco lontano da casa sua, dicendogli che desiderava chiarire una situazione. Davide era molto preoccupato, già prima di incontrarla. La sua voce era tesa, al telefono. Non faceva che fare domande su ciò che Cristina desiderava dirgli. Lei, però, ribatteva che non poteva fornire informazioni esaurienti, se non di persona. Quando lo vide, notò che gli tremavano le gambe e che aveva la fronte imperlata di sudore.

<< Cosa volevi dirmi? >> fece in un sibilo. Era come se non avesse neanche la forza per parlare, forse già intuiva cosa lo aspettasse.

<< Credo che tu già sappia il perché ti abbia chiesto di incontrarmi >> iniziò Cristina. Davide la interruppe, quasi supplicando: << Ti prego, Cristina. Pensaci, io…posso comportarmi diversamente. P-posso salvare questa relazione. >>

<< Ti prego, non interrompermi. >>

Ci furono un paio di secondi di silenziò, dopo di che ricominciò a parlare, a voce più alta.

<< Ci rifletto da tempo e adesso so che faccio la cosa giusta. Davide, non voglio più essere la tua ragazza. Non provo nulla per te. Penso che tu meriti il meglio, ma non sarò io ad offrirtelo, semplicemente perché non provo più sentimenti. >>

Davide era sotto shock. Aveva gli occhi sbarrati e cercava di trattenere le lacrime. Se avesse pianto, avrebbe dimostrato d’essere debole.

<< E così, adesso che è finita la scuola, ti sei stancata di me? >> fece, sprezzante.

<< No, non è così. >>

<< Sì, invece. Finché frequentavamo entrambi la stessa scuola, tutto era perfetto per te. Ti servivo solo per renderti bella e desiderabile agli occhi degli altri?! >>

La sua voce era piena di rabbia. Cristina non sapeva cosa dire per discolparsi. Pensò che la verità era sempre meglio delle bugie, così si fece coraggio e parlò.

<< Sei un bel ragazzo. Sei dolce, sincero, chiunque vorrebbe stare con te. Ma io ho confuso una semplice attrazione per amore. Adesso, quell’attrazione è svanita ed io non riesco più a fingere. Voglio solo essere sincera con te. Puoi anche odiarmi per questo >> spiegò.

<< L-lo capisco >> balbettò il giovane e qualche lacrima discese lungo il suo volto.

<< No >> mormorò Cristina, << non piangere. Non merito le tue lacrime. >>

<< Stai zitta! >> esclamò lui e poi si mise a singhiozzare forte. Cristina lo strinse e lui la lasciò fare. Sembrava trovare confortante il corpo di lei stretto al suo. << Sono innamorato di te. Peccato che sia l’unico ad esserlo. >>

<< Non preoccuparti >> sibilò Cristina, stampandogli un bacio sulla fronte. Davide si distaccò e la fissò.

<< Non voglio perderti >> disse.

<< Non mi perderai. >>

<< Posso baciarti un’ultima volta? >>

Lei annuì. Davide si avvicinò con le labbra protese e le appoggiò alle sue. Le diede un ultimo bacio, colmo di disperazione. Era come se con quel bacio volesse farle capire che non l’avrebbe mai lasciata. Si sentiva ancora il suo ragazzo. Sentiva ancora di possederla. Ma non sapeva che Cristina non era mai stata sua. Mai.

Erano la coppia che la scuola invidiava ed acclamava, ma nessuno avrebbe mai immaginato che, quando Davide avrebbe terminato gli studi, Cristina lo avesse lasciato. Già durante la loro relazione, era convinta di star commettendo un grosso errore. Davide non le piaceva, ma aveva messo gli occhi su di lei da tempo, per questo ad un certo punto dovette cedere. Lo fece soprattutto per il vantaggio che avrebbe ottenuto nei rapporti interpersonali. Grazie a Davide si era sentita più rispettata. Vedeva che la gente non si limitava solo ad osservarla, ma la salutava con allegria. Le sembrava di conoscere i pensieri di ciascuno. “Che bella coppia!” Ma era bella solo da vedere. Cristina si sentiva in trappola e finalmente aveva capito che avrebbe potuto facilmente liberarsi, se avesse voluto. E ci riuscì. Ma, in realtà, i suoi dubbi non svanirono. Sentiva di essere differente rispetto alle persone che la circondavano. Si chiedeva in cosa divergesse, ma non trovava risposte. Una sera pensò di baciare Tommaso. Erano amici, non sarebbe parso tanto strano. Stavano parlando del più e del meno, attendendo in piazza l’arrivo dei loro genitori. Di lì a poco li sarebbero venuti a prendere. Quel sabato sera era stato tutto sommato divertente. Avevano bevuto della birra in un locale, consumando un’ottima pizza. Tommaso si era messo a fare le imitazioni degli insegnanti, facendo ridacchiare l’intera comitiva. Faceva delle espressioni buffe, che erano fortemente messe in risalto dalle luci caratteristiche del locale. Anche Cristina rideva, ma lo faceva forzatamente. In realtà, era ancora triste per aver ferito Davide e sfogava tutta la sua frustrazione nell’alcol. Non intendeva ubriacarsi, ma le piaceva molto la birra. Bere era la miglior cosa per dimenticarsi delle avversità, di tutto ciò che è andato storto. Era una sorta di sfogo per Cristina. Uscita dal locale, era un po’ intontita, ma ugualmente turbata da mille interrogativi. Non seppe bene il motivo, ma intendeva baciare Tommaso, che era invece sobrio. Non che lei fosse ubriaca, diciamo che era soltanto brilla. Trascinò il ragazzo dietro ad un bar, lì dove ormai non c’era più nessuno. Era l’una di notte, chi poteva esserci? Avevano fatto davvero tardi.

<< Cosa succede? >> chiese il giovane, sorridendole. Prima che potesse dire altro, Cristina lo baciò. Forse lo fece un po’ frettolosamente, ma cercò di metterci tutta sé stessa. Seguì tutte le azioni che si era promessa di compiere in precedenza. Prima gli pose le mani sui fianchi, avvicinandosi, in seguito gli sfiorò le labbra e infine le dischiuse per potergli accarezzare la lingua. Tommaso rispose subito al bacio, senza porsi troppe domande. La tenne stretta e la baciò con passione. Per Cristina quel bacio fu una sorta di sfogo. Pensava che avrebbe provato qualcosa, invece non sentì nulla. Considerandolo nell’insieme, non fu una brutta esperienza. Il suo amico baciava bene, doveva avere una discreta esperienza o forse c’era solo una speciale sintonia fra di loro. Tuttavia, non provò quel che si aspettava di sentire. Non sentì il batticuore né le cosce tremare. Per lei fu come eseguire un esercizio di matematica o come rispondere meccanicamente ad un questionario. Quando Cristina si distaccò, Tommaso sembrava intenzionato a baciarla nuovamente. Però, lei ruppe il silenzio, annunciando:

<< Torniamo in piazza. >>

L’altro annuì e le sorrise maliziosamente.

<< Come sta Davide? >> chiese poi la ragazza.

<< Continua a star male >> ammise lui.

<< Immagino. Mi dispiace. >>

<< Non preoccuparti, non hai nessuna colpa. Devi capire che sei bellissima, è normale che lui soffra così tanto per te. >>

<< Non c’entra la bellezza >>, replicò Cristina, << sono un disastro. >>

<< Sbagliato. Non sei affatto un disastro. >>

<< E cosa sono? >> domandò.

<< Sei un angelo. >>

<< Un angelo non ferisce intenzionalmente le persone >> osservò lei.

<< Quel che hai fatto stasera mi fa pensare che sei un angelo >> ribatté l’amico. Poi le indicò un’automobile in lontananza. Era la Ford di suo padre.

<< Mi sa che devi andare >> fece.

<< Oh, è vero. >>

Gli diede un leggero bacio sulla guancia, dopo di che si avviò nella direzione dell’auto di suo padre.

 

Baciare una persona che non vorresti baciare non riserba alcuna emozione. E' come osservare uno spettacolo teatrale poco entusiasmante, è come non rendersi conto dell'inutilità di giornate tediose trascorse nella totale nullafacenza. Cristina iniziava a porsi domande su domande, senza ottenere alcuna risposta. Iniziò a pensare che ci fosse una parte di lei che non aveva mai conosciuto abbastanza. Iniziò a pensare che ciò che credeva le interessasse, non le interessava affatto. Doveva dirlo a Tommaso ma, soprattutto, doveva ammetterlo a sé medesima. Dopodiché, avrebbe potuto parlare con qualcuno. Ma chi sarebbe stato il suo interlocutore? Era confusa, spaesata, pietrificata dai dubbi. Le labbra di Tommaso sulle sue erano morbide, ma non le avevano regalato alcuna emozione. Ormai non faceva che riflettere sulla sua storia appena finita con Davide. Una parte di sé voleva tornare con lui, voleva chiedergli perdono.

“Cosa sono senza di lui? Il mio benessere dipendeva dalla sua presenza. Non lo amavo e mai l'ho amato, ma adesso mi sento perduta. Vorrei tornare indietro. Vorrei non averlo mai lasciato” si disse. Era come se la volontà di Cristina fosse schiava. Era schiava dei condizionamenti sociali, delle brutture del mondo, di ciò che v'è di marcio in terra. No, lei non era un angelo. Lei non aveva le ali. Lei indossava catene. Se le era messe di proposito. Non voleva essere libera. Non ancora, non era pronta. La sua vita sarebbe cambiata? Chissà. Adesso soffriva. Taceva, non sapeva a chi rivolgersi. Pensò che il suo disagio interiore fosse dovuto alla tragica conclusione che la sua storia con Davide aveva avuto. E per qualche giorno ci credette ancora. Solo per qualche giorno, però.

 

Quando Tommaso provò a baciarla, Cristina restò impietrita. Si dimenticò del paesaggio circostante. Il marciapiede disseminato di cicche di sigarette su cui si trovava è come se fosse sparito. Tutto s'era oscurato, era stato inghiottito dall'oscurità. Persino il tempo si era fermato. Era come se nulla obbedisse più alla volontà divina, sempre se ci fosse un Dio lì in cielo. Le mani del giovane erano strette ai suoi fianchi, il pene duro premeva contro il suo corpo. Cristina ne sentiva la presenza e d'istinto avvertì un profondo disagio. L'unica esperienza che s'avvicinasse al sesso l'aveva vissuta con Davide e non era andata come previsto. Non aveva provato piacere. Anzi, era stato sgradevole. Fermò Tommaso, spingendolo lontano da sé, prima che potesse far altro. Gli disse, fra le lacrime:

<< Non posso. Non credo sia la cosa giusta. >>

Lui la fissò e ascoltò attentamente le sue parole.

<< Forse hai ragione, sono solo troppo impulsivo >> osservò, << siamo amici, dopotutto. Non voglio perdere la tua amicizia, non voglio essere solo. E non voglio neanche ferire mio fratello, dato che è ancora innamorato di te. >>

Cristina si limitò ad annuire, tenendo la testa china.

<< Non devi piangere per questo >> continuò, dopo essersi schiarito la voce. << È che tu sei così bella, neanche io riesco a resisterti. Pur vedendoti come una sorella, spesso penso a come sarebbe fare l'amore con te, tenerti stretta, sentire il calore della tua pelle. >>

<< Non penso di essere bella. >>

A quell'affermazione, il ragazzo non riuscì a non ridere, anche se la situazione era poco opportuna. La fanciulla tirò su con il naso e cercò d'asciugarsi le lacrime dal viso.

<< Invece, lo sei. Cavolo, ti sei vista allo specchio? Sei dannatamente bella. Sei il sogno di qualsiasi ragazzo del nostro Liceo. Sei incantevole. E sì, vorrei fare l'amore con te. >>

<< Non credo che ciò possa essere possibile >> ribadì lei.

<< Non è possibile, lo so. E non lo sarà mai. >>

<< Non lo sarà mai >> ripeté Cristina, quasi come se volesse dirlo a sé stessa, più che a Tommaso.

<< C'è qualcosa di strano in te >> fece lui. Non guardava più nella direzione dell'amica. Piuttosto, teneva gli occhi fissi al cielo. Il sole era oscurato da nuvole grigie, l'atmosfera era tetra. Avrebbe piovuto a breve. Ma forse a Tommaso non interessava il tempo. Aveva guardato in alto, solo per non tenere gli occhi puntati su Cristina. Stava cercando di riordinare le idee, di trovare le parole giuste.

<< Cosa intendi? >> s'affrettò a chiedere Cristina. I battiti del suo cuore si fecero repentini. Era spaventata, temeva che il ragazzo avesse scoperto la verità. Aveva sempre finto, dopotutto. E se lui si fosse accorto della recita? Se si fosse reso conto di quanto ogni azione della ragazza fosse programmata? Non doveva scoprirlo. Non doveva andare così, non poteva andare così.

<< Tu, pensi di essere cambiata? >>

Ma quella di Tommaso non fu una risposta. A Cristina mancava il fiato. Con una mano si asciugò la fronte, imperlata di sudore freddo. Ci furono secondi e secondi di silenzio, ma non sarebbe durato in eterno. Si stava solo schiarendo le idee. Dopotutto, ponderava bene qualsiasi parola pronunciasse. Qualsiasi cosa detta avrebbe potuto ritorcersi contro di lei e mandare a rotoli la rappresentazione teatrale, che poi era la sua stessa vita.

<< Sì, credo di essere cambiata. >>

<< Da quanto, più o meno? >>

<< Questo non so dirlo. >>

Il giovane sospirò, dopo essersi passato una mano fra i capelli, riordinandoli alla bell'e meglio.

<< Pensavo di conoscerti bene. Perché hai lasciato Davide? Lui non ha voluto dirmelo. >>

<< Non voglio toccare quest'argomento >> ribatté lei, gelida.

<< Allora, perché mi hai baciato, se non ti piaccio? >> chiese. << Sono tuo amico, sono pronto a qualsiasi risposta. Sai che non smetterò di volerti bene, qualunque cosa dirai. >>

Calò il silenzio. Qualche goccia di pioggia cadde sulle loro teste e per un po' il discorso si interruppe. Entrambi decisero di ripararsi sotto la tettoia di un'abitazione. Il crepitio della pioggia su di essa aumentò via via d'intensità. Stava iniziando a piovere sempre più forte, ma nessuno dei due aveva l'ombrello. Dovevano solo aspettare che la pioggia cessasse. Nel frattempo, ripresero il loro discorso.

<< Ti ho baciato, perché mi andava di farlo. Ero curiosa. >>

<< E' per questo che baci le persone? Solo per curiosità? >> fece lui, quasi con disprezzo.

<< M-mi dispiace >> balbettò in risposta, << non arrabbiarti con me. >>

<< Cavolo, Cristina. Capisco che sei confusa, dato che la tua storia con mio fratello è finita da poco. Ma cazzo, non puoi baciarmi, se non hai le idee chiare. >>

<< Scusami, è stato un errore >> ripeté lei. Poi appoggiò la testa sulla sua spalla e aspettarono assieme che smettesse di piovere. Quando ciò accadde, Tommaso se ne tornò a casa, dopo averla salutata con un bacio sulla fronte.

<< Mi raccomando, cerca di superare i tuoi dubbi. Rivoglio la te di una volta. >>

Cristina non rispose a quell'affermazione: si limitò ad annuire, anche se la sua mente era piena di pensieri contrastanti. Chi era lei? Chi era stata, invece, una volta? Cosa intendeva l'amico? La vita umana è ricca di perplessità e contraddizioni. Ciascun essere vivente, infatti, è una contraddizione a sé stesso. La fanciulla avrebbe voluto placare quella ridda di idee divergenti, ma ciò non era possibile, almeno per il momento. Avrebbe trovato le sue risposte, però, a breve. Chissà se le sarebbero bastate. Chissà se sarebbe riuscita a far emergere ciò che era davvero. Ciò che era certo è che quel giorno stesso incontrò una persona che le avrebbe cambiato la vita. L'avrebbe resa più leggera ma complicata al tempo stesso. Si sa, essere sé stessi non è mai facile. Essere sé stessi significa iniziare a vivere per davvero, mostrarsi senza più corazze, far vedere che non si ha paura. Il timore paralizza, e non solo chi è debole. Paralizza tutti. Ma l'amore, quella salva. Sempre. E ci sarà amore anche per chi non vuole essere sé stesso fino in fondo. Ci sarà l'amore, che renderà dinamico ciò che è statico, vivo ciò che è morto, curvo ciò che è piano.

Cristina stava piangendo. Le mani premute contro il volto servivano a nascondere le lacrime amare. Raggomitolata su sé stessa, tentava di non sentir freddo. Ma c'era il gelo ed era nella sua anima, non solo nel suo corpo. Un passante udì i suoi singhiozzi e si fermò poco lontano da lei. Era ancora sotto la tettoia. Non sapeva dove andare e si era seduta sugli scalini che conducevano all'entrata dell'abitazione.

<< Ehi >> fece una voce. Cristina alzò lo sguardo e davanti a sé s'accorse che c'era una ragazza dai capelli corti, scuri e brizzolati. Indossava dei jeans scuri aderenti ed un giubbotto di pelle che metteva in evidenza il fisico slanciato. Le mani pallide erano tese verso Cristina. Le porgeva un fazzoletto.

<< Tieni, asciugati le lacrime con questo. >>

Mentre la bionda s'asciugava le lacrime e si soffiava il naso, la mora s'accese una sigaretta. Sembrava perfettamente a suo agio. Teneva una mano in tasca e nell'altra reggeva la sigaretta.

<< Ne vuoi una? >> fece, dopo un po'.

<< No, grazie >> rispose Cristina, schiarendosi la voce.

<< Cosa succede? >> le chiese, sottovoce, sedendosi accanto a lei. Le scostò una ciocca di capelli dal volto e le sorrise dolcemente, invitandola a parlare.

<< Non so chi sono >> spiegò l'altra, cercando di trattenersi dal singhiozzare, << non so perché sono qui. L'unica cosa di cui sono certa è che sono infelice. >>

<< Quanti anni hai? >>

<< Quattordici. >>

<< Beh, sei ancora giovane. Credevo fossi più grande di me. invece ho un anno in più di te >> commentò la ragazza, << non disperare. Sarà il tempo a chiarire ciò che adesso ti è oscuro. Ah, comunque, io sono Denise. Piacere di conoscerti! >>

Le porse la mano e Cristina la strinse forte. Sentiva il tepore della sua pelle e ciò la rincuorò. Abbozzò un sorriso. Quella ragazza le ispirava fiducia. Pensava che poteva parlarle liberamente.

<< Piacere mio. >>

<< Allora, ti va di parlare? >> la invitò Denise.

<< Ho da poco lasciato un ragazzo meraviglioso >> rispose l'altra, dopo qualche secondo di silenzio.

<< Perché? >>

<< La nostra storia non mi rendeva più felice. >>

<< Lo amavi? >>

<< No, non l'ho mai amato >> disse sinceramente, poi continuò: << Sabato scorso ho baciato il fratello del mio ex. >>

<< Oh, bel guaio! >> esclamò Denise. << Il tuo ex l'ha saputo? >>

<< Non credo. Non penso che Tommaso gliel'abbia riferito. >>

<< Sei preoccupata? Non vuoi che lo sappia? >> domandò.

<< Non è questo il punto >> spiegò Cristina, dopo aver preso fiato. Cercava di guardare Denise negli occhi, ma certe cose non riusciva a dirle mantenendo il contatto visivo. Di tanto in tanto, si fissava le ginocchia o le scarpe. << Non provo nulla per Tommaso. Mi aspettavo soltanto di provare qualcosa, mentre lo baciavo. Invece, non ho sentito niente...assolutamente niente. >>

Denise le carezzò i capelli e le cinse il collo con un braccio, prima di parlare.

<< Nessuno dei due è il ragazzo giusto, quindi. >>

<< No, nessuno dei due lo è. >>

<< Allora, qual è il problema? Sei una bella ragazza, ne troverai tanti >> fece Denise, facendo una risatina.

<< Non credo mi piacciano. >>

<< Chi? >>

<< I ragazzi. >>

<< Non ti piacciono i ragazzi >> ripeté Denise. << Beh, non c'è nulla di strano. Neanche a me piacciono! >>

La sentì ridere, ma Cristina non aveva nulla da ridere. Cavolo, non poteva esserlo. Non lei. Non dopo tutto quello che aveva passato.

<< Non voglio essere una lesbica. Non mi piacciono le lesbiche. Non le sopporto! >> urlò, con una voce densa di irritazione, tensione e tristezza.

<< Non essere sciocca. È stupido giudicare le persone, basandosi sul loro orientamento sessuale. Non devi farlo, non devi colpevolizzare te stessa >> commentò. << Non lo dico perché mi sento offesa, lo dico per te. Devi accettarti così come sei, non c'è nulla di sbagliato in te. >>

<< Faccio davvero schifo >> replicò, << è da un paio di mesi che mi chiedo come sia baciare una ragazza. >>

<< Credo sia esattamente come baciare un ragazzo, non credi? >>

<< Non credo. Io ho baciato molti ragazzi, ma non ho mai amato nessuno. >>

<< Dovresti baciare solo le persone che ti piacciono, non gente a caso. >>

<< Lo so. Ma se mi piacciono le ragazze, beh, è un problema >> rifletté lei.<< Dovrei dire a tutti quello che sono e verrei soltanto discriminata. >>

<< Non devi per forza dirlo a tutti, basta che tu lo dica alle persone care. >>

<< Non ho amici, io >> ammise Cristina, << almeno, non amici veri. >>

<< Sii te stessa, allora. Così si trovano gli amici: essendo sé stessi. >>

   
 
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