«Sarà sempre così».
Tra un respiro e l’altro, Zoro si concede una pausa, ma accade raramente che la sprechi in parole, perciò merita attenzione.
Robin scosta lo sguardo e, sotto le ciglia, oltre le nebbie ormai tiepide del piacere, lo vede sorridere. Le sta mostrando l’avambraccio.
O meglio, un cerchio rosso e frastagliato.
Capita, a volte, che, dietro una spinta troppo intensa, si lasci travolgere dalla passione e non riesca a trattenersi. E, quelle volte, è costretta ad addentare qualcosa di diverso dalle sue labbra per impedire ai gemiti di esplodere nella stanza. Stavolta pare sia toccato a lui.
«Non credo».
«Io si» e ghigna in un modo spaventoso ed irritante.
Non si può amare una persona così senza odiarla un po’.
E Robin lo odia con gentilezza, la stessa che crede di essersi guadagnata, ma che ancora sta aspettando.
«Cosa ti rende tanto sicuro, spadaccino?» chiede, inarcando il sopracciglio.
Zoro alza le spalle e rotola su lei, che lo accoglie con naturalezza, come se fosse quello il suo posto. A Robin basta il suo sguardo per tremare. D’eccitazione. Di rabbia. Forse anche di paura, perché per amare una persona così la si deve temere un po’.
«Il fatto che, nonostante tutto, sei qui».
Gira il volto fino ad aderire la guancia al cuscino non tanto per il fiato caldo e, per inciso, mai gradevolissimo di lui, quanto per il movimento sussultante del bacino che le ha dirottato il sangue verso il viso, ignorando la sua risata soffocata.
È vero. E ci tornerà domani, ed anche il giorno dopo, perché il suo corpo ha patito troppo per illudersi che una carezza qualsiasi possa scuoterlo come riesce a Zoro. Perciò, sebbene sempre sia un periodo molto molto lungo, non importa.
Robin ha denti a sufficienza per viverlo fino alla fine.
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