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Autore: Chione regina della neve    28/11/2015    2 recensioni
Salve, vorrei solo chiedere a chi avrà la bontà di recensire, di essere clemente, pur non escludendo critiche di sorta.
La storia ruota attorno alle biblioteche magiche, luoghi di conoscenza e potere, custodite da coloro che si sono dimostrati degni, per cuore, per capacità o per entrambi : I bibliotecari.
In particolare, sulle vicende che vedranno coinvolta, la giovane bibliotecaria Alisia e i suoi amici.
Ovviamente senza tralasciare l'immancabile antagonista.
Ci saranno azione, colpi di scena e vari misteri da svelare.
Non mancheranno però i problemi di tutti i giorni, in un susseguirsi di situazioni paradossali.
Alcuni dei quali, toccheranno profondamente il cuore di Alisia, cambiando in parte o in toto la sua visione del mondo sotto quell'aspetto.
Non credo mi divulgherò oltre.
Lascerò a voi lettori scoprire il tutto leggendo.
Spero di essere riuscita a incuriosirvi almeno un po, recensite numerosi\e non siate timidi\e
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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Una splendida carrozza color avorio, dalle grandi ruote d'oro, stava attraversando la grande pianura.
Trainata da quattro stalloni giganti, dal manto color sabbia, che a ogni passo, spostavano una densa nube di polvere.
A scortarla, c'erano sei cavalieri, tre per fianco, disposti in un impeccabile assetto da difesa.
Ma questi non cavalcavano normali destrieri, infatti stavano in groppa a cavalcature di metallo vivente: Cavalli d'acciaio semovente, i cui arti possenti, erano composti da energia pura.
La grande pianura, era uno spettacolo per gli occhi : un paradiso verde e ferace, adornato dalle magnifiche e infinite campagne, che donavano, ogni frutto della terra, e che accendevano quelle terre, di una roboante onda di colore e calore; che si estendeva assai più in la, di quanto si potesse spaziare con lo sguardo.
Una terra dal clima mite e benevolo, che sembrava insinuare un senso di profonda serenità, nel cuore dei viventi.
La carrozza avanzò a lungo indisturbata, ricevendo saluti ed ovazioni al suo passaggio, in segno di ammirazione e rispetto per i suoi occupanti.
Il corteo proseguì la sua marcia, fino ad uscire dai confini delle zone abitate, lasciandosi alle spalle, i campi baciati dal sole, per incontrare le piane selvatiche, dove la civiltà era ancora ai primordi, e dove a riempire la vista, c'era un infinita distesa di smeraldo, curata solo dalla mano di madre natura.
Qui, il corteo strinse i ranghi, prima di addentrasi nell'entroterra, dove stava sorgendo, un imponente accampamento di tende intessute in pelle.
Vedendo il corteo, un gruppo di creature gli andò incontro.
Erano esseri enormi, dalle fattezze simil – umane, ma decisamente più alti, muscolosi e selvaggi.
La loro pelle era di uno strano verde, tendente al grigio, dove spiccavano dei contorti tatuaggi tribali; mentre a guardarli in faccia, il pensiero andava agli animali, forse a causa di quei tratti tanto tozzi e ruvidi, o di quelle bocche distorte, ricolme di una schiera di denti acuminati, di cui i due canini inferiori sbucavano dalle labbra.
In parole povere, erano Orchi.
Uno di quelli che gli erano andati incontro, si rivolse agli occupanti della carrozza, come se la scorta neppure ci fosse.
<< Capoguerra aspetta voi, noi accompagna, voi non fa scherzi, o noi schiaccia >>.
La carrozza si aprì, lasciando uscire due splendide ragazze.
La prima era di altezza media, dal corpo armonico, formoso e flessuoso, una bellezza costruita ad arte, che ne esaltava il fisico sottile, ma forte.
I lineamenti del viso sembravano essere stati dipinti, tanto erano morbidi e invitanti, cosa accentuata dall'incarnato particolarmente chiaro, che gli dava un aria di dolcezza, smorzandone l'evidente tono regale che il suo ruolo le aveva conferito.
I capelli castani, lisci e perfettamente curati, facevano da cornice al viso, seguendone i contorni, con una delicatezza, che a un occhio invidioso, poteva apparire calcolata, la splendida cascata castana,  che proseguiva poi scendendo di poco sotto le spalle.
In ultimo, ma non per importanza, c'erano gli occhi, d'un bel marrone nocciola, assai vispi e pieni di vita; lo specchio di un anima buona, e dalle molte qualità, anche se forse, un po incline all'eccessiva impulsività.
La seconda, era decisamente più minuta e la corporatura esile, dalle forme modeste, la faceva apparire delicata, ma al contempo tremendamente graziosa, come una bambola, della più pregevole fattura.
Il volto dalla carnagione rosea, poteva vantare tratti sottili, che apparivano delicati al punto, da dare l'impressione di essere stati scolpiti nella neve, eppure, quest'aria di vulnerabilità, non sminuiva il rispetto che si era conquistata, coi suoi molteplici incarichi.
Portava lunghi capelli neri, che morbidi come un velo di seta, scendevano fin quasi a sfiorare l'osso sacro, ma al contrario della prima, pur essendo tenuti nel miglior ordine, conservavano una vivace traccia di ribellione, lasciando il viso, totalmente scoperto.
Poi, c'erano gli occhi, due bellissimi laghi color miele, colmi di una sensibilità rassicurante, degna di un artista, o di un saggio, anch'essi allegri e volti al bene, ma al contrario di quelli dell'altra, i suoi smorzavano quella scintilla eccentrica, e piuttosto esternavano una sorta di quiete spirituale.
La castana, si rivolse a quelli che si erano avvicinati alla carrozza, e rivolse loro un sorriso di circostanza.
<<  Ringraziamo il Capoguerra per la sua cortesia; io e la mia consigliera qui presente, siamo liete che abbia deciso di riceverci, con un preavviso tanto breve >>.
Detto questo, le due seguirono le guardie attraverso l'accampamento, mentre l'attenzione di tutti, si concentrava su di loro.
Solitamente gli orchi erano chiusi, non gli piaceva socializzare con gli altri popoli, ma, quando si rivelava necessario, come in quel caso per altro, si interessavano molto ai loro visitatori.
Proseguirono, fino a trovarsi d'avanti, una tenda più grande delle altre.
Una grande tenda, fatta di pelle d'orso, conciata in modo a mala pena decente, e cucita in modo anche peggiore. 
Dentro stava ad attenderle un orco mastodontico, la pelle molto più scura rispetto ai suoi simili, le zanne più lunghe e pronunciate, e sul capo, un palco di corna tozze e storte, lunghe circa trenta centimetri.
Bastava guardarlo per capire il motivo, per cui i capi delle tribù degli orchi, venissero chiamati “Capoguerra” dai loro simili, erano praticamente dei mostri enormi, da guardare con rispetto reverenziale, e di certo, erano combattenti formidabili.
L'orco gigante fisso attentamente le due ragazze, scrutandole minuziosamente, in cerca di qualche mancanza da poter attaccare.
Fece loro segno di avvicinarsi, solo quando poté dirsi relativamente soddisfatto, rivolgendogli poche parole di saluto.
<< Benvenute, io aspettava voi, ora noi può prendere accordi >>.
Detto questo, si mise seduto su quelli che sembravano cuscini, concentrando nuovamente la sua attenzione sulle due ragazze.
La più alta delle due rivolse all'orco uno sguardo fermo, con forse una lieve traccia di disappunto, ma poi si sedette anche lei su uno dei cuscini nel tendone, rivolgendo anche lei un saluto al Capoguerra.
<< E a lei, e alla vostra gente, benvenuti nel mio regno signore, spero che gli accordi di oggi soddisfino entrambe le parti >>.
Fu proprio lei, a intavolare la conversazione, e cercare di esporre i fatti nel migliore dei modi.
<< Signor Capoguerra, credo sia giusto renderle noto, che tutti i territori, che vanno dal grande fiume, fino alla parete eterna, sono sotto la mia autorità; il che vuol dire, che sono sotto la mia tutela, e responsabilità. Autorità che lei ha ignorato, dato che sono trascorse due settimane, prima che venissi informata, del vostro insediamento >>.
La mora guardò apprensiva la giovane regnante accanto a lei, era una pessima idea irritare un orco, per non dire che era un modo sfacciato, di stuzzicare la morte.
Infatti, l'orco gigante non sembrava felice, del tono usato dalla castana, e guardandola torvo disse.
<< Orchi non rispondono a re di omini. Orchi rispondono a Capoguerra e Capoguerra pensa a sua tribù. Io preso terra in prestito per tribù, no bisogno di permesso >>.
I due capi si guardarono di sbieco, la situazione stava degenerando, ormai la tensione era palpabile.
Un altra parola mal pesata, e con tutta probabilità, si sarebbero saltati alla gola, con ovvie conseguenze vista la stazza del Capoguerra.
Per questo a prendere parola fu la consigliera, che per mitigare gli animi, si rivolse alla giovane regnante, per farle riacquistare  un po di contegno.
<< Catherine, mi permetto di ricordarti, che se siamo qui, è per tentare di risolvere questa situazione in modo pacifico >>.
La sopracitata tentò di ribattere, ma venne interrotta prima ancora di iniziare, da un ammonizione della mora.
<< Niente ma, sono certa che converrai con me, quando dico, che sarebbe assurdo inimicarsi una tribù di orchi, per degli sciocchi tafferugli, il primo pensiero, deve andare alla pace comune >>.
Quando vide Catherine annuire, spostò la sua attenzione sul Capoguerra.
<< Signore, ora mi appello al suo desiderio di pace, comprendo la sua posizione, e in parte concordo con lei : un capo deve pensare al bene della sua gente. Ma la prego di comprendere, che anche noi siamo qui, perché non vogliamo che questo : il bene della nostra gente. Per questo è più che mai necessario, che oggi si trovi un modo, per fare il bene di tutti >>.
L'orco non rispose, si limitò a riprendere la posizione iniziale, lasciando che le umane si esprimessero.
Catherine pensò a lungo a cosa dire, la diplomazia non era mai stata uno dei suoi talenti, ma alla fine si pronunciò
<< Vorrei trovare un punto d'incontro soddisfacente per entrambe le parti,  dunque io concederò a lei e alla sua gente,  di utilizzare questa zona come preferite, a patto che condividiate con me e la mia gente, tutti gli eventuali ritrovamenti di interesse comune >>.
il Capoguerra assentì appena, affermando.
<< Io pensa questo giusto, ma io chiede, che se omini offende orchi, orchi applica legge di orchi e punisce omini >>.
Catherine si accigliò, accettare quella proposta, significava conferire ai loro ospiti un autorità sulla sua gente.
Rivolse un occhiata alla sua consigliera, in cerca di una risposta adeguata da dare; quella sorrise serenamente e rivolgendosi al grande orco asserì.
<< Capoguerra, quanto chiedete è difficile da esaudire, ma potremmo accordarci. La mia signora le concederà tale autorità, se lei ci garantisce, con la sua parola d'onore, di non abusarne >>.
L'orco si chinò dalla sua vertiginosa statura, per arrivare a livello della consigliera, la scruto per un lungo istante, emettendo infine un rantolo profondo e tornando in posizione.
<< Io promette >>.
La ragazza annui, rivolgendogli un sorriso appena accennato e cedette la parola alla sovrana.
Quest'ultima, rivolse un occhiata quasi inespressiva al loro interlocutore, prima di dire.
<< Perfetto. Ora però mi permetto di chiedere a mia volta, la collaborazione della sua gente, nel proteggere gli onesti viandanti che attraversano questi sentieri >>.
Il Capoguerra  sbuffo, mostrando una smorfia arcigna, ma alla fine acconsentì.
Poi si alzò in piedi, mostrandosi nuovamente in tutta la sua imponenza, affermando.
<< Ora voi può andare, io e mia gente rispetta accordi, voi torna qui quando noi va  >>.
Catherine si alzò a sua volta, seguita dalla mora, ed entrambe chinarono appena la testa in segno di saluto, prima di prendere congedo dal capo degli orchi.
Poco più tardi, le due erano nuovamente in carrozza, sulla via di ritorno per la città.
La sovrana, ora decisamente più sollevata e felice, stava chiacchierando tranquilla con la mora.
<< Alisia non so come farei senza di te; non credo avrei potuto nominare una consigliera migliore >>.
La ragazza rise allegramente, commentando quella frase.
<< E io sono onorata di fare da coscienza a sua maestà, la mia insostituibile amica di sempre, con un caratterino così pepato da fondere la corona >>.
La giovane regina sorrise, cercando invano di mostrare un espressione fintamente offesa, nel rispondere.
<< Almeno io non sono fatta di così tanto zucchero, da far concorrenza a una torta multistrato >>
Le due continuarono a ridere e scherzare, godendosi il viaggio di ritorno, quando a un tratto, un lieve rombo le fece sobbalzare.
Ma dopo un primo istante di smarrimento, il viso di Alisia si aprì in un sorriso, aprì il tettuccio della carrozza e sfruttando la sua corporatura minuta, vi si arrampicò, volgendo poi lo sguardo al cielo.
<< E' in arrivo una tempesta coi ficchi, proprio quello che mi serve per i miei esperimenti >>.
Si rivolse cosi a Catherine, sapendo che la stava ascoltando attentamente, per questo non si stupì sentendosi rispondere.
<< Non capisco perché aspettare un temporale, quando per te evocare tutti i fulmini che vuoi, sarebbe uno scherzo da niente >>.
La mora ridacchio, sapeva che Catherine non era in cerca di una vera risposta, non era la prima volta che gli faceva quella domanda, voleva solo sentirla spiegare.
<< Vostra maestà, dovreste sapere che la magia è imprevedibile, può essere tanto potente e versatile, quanto delicata e suscettibile. Quindi ritengo sia più prudente, mantenere le energie stabili, affidandosi alla natura quando è possibile >>.
Risero entrambe, mentre Catherine faceva segno al cocchiere e alla scorta di accelerare, sentiva che la sua amica le avrebbe dato presto di che divertirsi.
Non passò molto, che le mura e il profilo della città, furono presto visibili alla scorta che segnalò alle occupanti della carrozza il ritorno a casa.
Dalle alte, abbaglianti mura alabastrine, spuntavano solo i tetti degli edifici più alti e le cime delle grandi torri di guardia, che posizionate strategicamente, seguivano il profilo della muraglia 
In breve arrivarono alle porte, che si spalancarono all'istante, quando le sentinelle avvistarono la carrozza reale.
La visione che si presentava, agli occhi di chi attraversava le porte, era al contempo : suggestiva, magnifica, eppure in un certo qual modo, opprimente per chi fosse estraneo al luogo.
La città, era costruita su una gigantesca semisfera, sorretta da delle enormi catene e posta proprio sopra quella che ai più, era noto come l'infinito abisso.
Proprio questo, colpiva tanto i visitatori della grande città.
L'unica via d'accesso alla città, era il ponte, che collegava la semisfera alle imponenti mura e quindi alle porte; sotto, solo il vuoto assoluto e il buio profondo.
In assenza di luce, l'oscurità prevale, e così l'oscurità dell'infinito abisso, ammantava il confine della città, come un velo sottile, a creare un senso di incolmabile distanza.
La semisfera invece, era uno spettacolo per gli occhi, scolpita in unico, monolitico blocco di giada lucente e decorata con fregi d'oro, raffiguranti dei simboli che favoriscono la levitazione.
Questa era legata direttamente alle mura e allo strapiombo, tramite delle colossali catene, queste ultime, splendevano del bagliore del sole, irradiando tutto intorno, una splendida, seppur tenue luce argentea.
Le catene adamantine*, quando gli antichi eressero la città secoli e secoli prima, estrassero il mistico metallo dalle remote profondità delle miniere di Ingrha – marel, forgiando con esso le indistruttibili catene, che avrebbero sostenuto la città per sempre.
La città era meravigliosa, costruita su tre livelli, che sovrastavano la parte piatta della semisfera.
Il primo livello, ospitava la città bassa, che comprendeva : le case popolari, il rione commerciale, cuore pulsante della città bassa, dove avvenivano compravendite di ogni genere, i consorzi agricoli, che si occupavano dell'import export dei prodotti della terra e d'allevamento e ultimo ma non per importanza, la grande serra alchemica, dove veniva coltivato, ogni genere di ingrediente floreale utilizzato in alchimia.
Il secondo livello, ospitava la città intermedia, che comprendeva: le case della borghesia, la caserma, l'accademia, che accoglieva e istruiva i giovani di tutti e tre i livelli, indipendentemente dal ceto, l'associazione commerciale, che gestiva tutte le merci in uscita dalla città, il consorzio artigianale e il palazzo dei tornei, fulgido gioiello dell'intrattenimento della città.
In ultimo c'era il terzo livello, occupato dalla città alta, dove erano state erette le case nobiliari, la sede del circolo elitario dei maghi e dei ricercatori, l'astrarium cittadino, dove si riunivano coloro che studiavano i movimenti delle correnti dell'eterium e dell'immaterium, la sala del lungo scudo, dove si riunivano e addestravano i membri dell'esercito personale della famiglia reale.
Ma, nonostante la magnificenza di questi luoghi, tutto il resto sembrava sbiadire di fronte a due palazzi.
Il primo era il palazzo reale, simbolo dell'autorità, della potenza e della maestà della sovrana.
La sua struttura non era eccessivamente sfarzosa, fatta interamente in granito e ferro, brillava alla luce dello stesso bianco abbacinante delle mura e si apriva su una grande pianta a ventaglio, che fungeva da struttura principale, atta a ospitare la sala del trono e dei ricevimenti mondani.
Ma, il vero cuore del castello e vero simbolo del suo splendore, si sviluppava in verticale; con un sistema di torri e camminamenti, che rendevano la struttura smisurata; in un gioco di incanalamento della luce che faceva variare il colore del palazzo, dall'oro fuso all'aurora e al crepuscolo, all'alabastro a mezzogiorno, all'argento vivo sotto la luna.
Anche il castello come la città, era diviso in tre livelli, il primo; compreso nei primi cento metri, era studiato per ospitare la servitù e la guardia d'onore, nel secondo; compreso nei successivi cinquanta metri, c'erano le camere degli ospiti e nel terzo; che ospitava la sommità, compresa nei successivi nonché ultimi venticinque metri, gli appartamenti reali.
Infine, c'era il mastio, la torre di sicurezza del castello, quindi anche la più solida e la più alta, che fungeva inoltre da vertice e punto d'osservazione della struttura.
I tetti di tutta la costruzione, erano di forma conica, di un delicato blu cobalto, tranne il tetto del mastio, che seppur sempre conico, era invece color dell'oro.
La seconda, era la biblioteca reale magica, la massima sede della cultura e della magia, dove le vette della conoscenza e dell'arcano toccavano i loro apici.
Una struttura anch'essa maestosa, anche se non poteva rivaleggiare con la statura del castello.
Ma certamente il popolo nella sua unanimità, avrebbe concordato: la biblioteca era davvero uno spettacolo per gli occhi.
Alta novantacinque metri in tutto, la biblioteca poggiava su un ampia pianta rettangolare.
Il viale d'accesso, era affiancato da un ampio colonnato di marmo rosso, finemente decorato con motivi spiralizzati, tinti con polveri opalescenti.
Ma ancora più bella, era la volta che la copriva, fatta di un bellissimo vetro azzurro, su cui scorrevano come dotati di volontà propria, nubi, vortici e scie argentate.
Questo accadeva per via dell'incanto di cui la volta era intrisa: una magia che faceva si che la volta si materializzasse dal nulla davanti al brutto tempo e sempre nel nulla sparisse quando il cielo si quietava.
Il grande portone d'ebano, finemente lavorato, intagliato ad arte, raffigurava le arti di cui il custode della biblioteca, era responsabile e maestro, con in cima un monito solenne “La magia deve aiutare l'uomo, non soggiogarlo”.
Dall'esterno, l'edificio assumeva una forma rettangolare, dai bordi seghettati, in cui ogni parte rivolta verso l'interno, era decorata di giada e rune argentate, rune che proteggevano la biblioteca da quasi qualunque forza ostile; mentre le parti rivolte all'esterno, erano incastonate di un mare di opali, che sarebbero serviti a  incanalare e reindirizzare l'energia in modo da dirigerla all'occorrenza.
Questo, per quanto riguardava i primi due piani, i due successivi erano completamente lisci e pur presentando una nuova serie di rune difensive, queste erano posizionate strategicamente all'interno di un grande affresco, raffigurante la posa della prima pietra della biblioteca.
Si trattava di un potente incantesimo di trasporto, che avrebbe sollevato in aria la biblioteca, in caso le prime rune difensive, non fossero bastate a proteggerla.
Così era strutturato il primo blocco dell'edificio, compreso nei primi cinquanta metri, dedicato esclusivamente alle attività professionali del custode.
Il secondo blocco, compreso nei restanti quarantacinque metri, era posizionato direttamente sopra al primo, ed era invece la lussuosa abitazione del custode; ideata per ospitare il custode, la sua famiglia e eventuali ospiti.
Contrariamente al primo blocco, questo aveva forme tondeggianti e dai colori più vivaci, tendenti all'ocra; in particolare, dove avrebbero dovuto esserci gli angoli dell'edificio, c'erano invece quelle che sembravano imitazioni delle colonne sottostanti, incastonate però nel muro stesso.
Anche la facciata, sopratutto nei contorni del tetto, della porta e delle finestre, assumeva forme curvilinee.
Ciò che saltava all'occhio però, era che le finestre, nonostante le cornici, apparivano solo dipinte, mentre la porta, sembrava del tutto assente, se non per la presenza di una toppa, incastonata nel muro.
Presto svelato l'arcano, si trattava dell'effetto di una fitta rete di incantesimi, di cui una parte servivano a nascondere le finestre agli osservatori esterni, celando nelle cornici la presenza di un potente scudo, atto  a proteggere l'abitazione.
Per quanto riguardava la porta, la faccenda era più complicata, non si trattava di una semplice illusione, la porta era realmente assente.
Ovviamente anche questo era opera di un incanto, ma la soluzione stava in una chiave di cristallo, in possesso del custode, che risuonando con la toppa nel muro, avrebbe fatto comparire un portone e una scalinata per raggiungere il secondo blocco.
In breve, un sistema di sicurezza inattaccabile.
In ultimo, sul retro della struttura, era posizionata una smisurata colonna corinzia, attorno alla quale era costruita una scala a chiocciola.
La colonna sorreggeva una piattaforma dorata, provvista di una cupola di pura energia verde smeraldo trasparente, che pulsava come se respirasse.
Quella particolare struttura, era un faro da evocazione; il cui scopo, era attirare nel nostro piano di esistenza: cose, creature o entità, provenienti da mondi diversi, per poterli studiare, senza le restrizioni temporali normalmente associate all'evocazione.



Nel rientrare alla città alta, la carrozza si fermò proprio all'ingresso della biblioteca, lasciando nuovamente scendere le sue occupanti.
Alisia fu la prima ad avvicinarsi alla biblioteca, che nel riconoscere la sua bibliotecaria, spalancò le sue porte consentendole l'accesso.
Di fronte alle due ragazze, si aprì un luogo immenso, ove la conoscenza e l'arcano, permeavano la materia.
Conoscenze accumulate in secoli e secoli di studi, dalle generazioni di bibliotecari predecessori di Alisia.
In un susseguirsi di storie uniche, che risalivano alla fondazione della biblioteca e della città stesse.
File e file di scaffalature smisurate, stra colme di tomi su ogni ramo del sapere conosciuto, dominavano ogni cosa in quella stanza.
Erano così tante che alcune di esse, galleggiavano nell'aria, sostenute da perenni incantesimi di levitazione.
Insieme a quelle, nell'aria danzavano piccoli globi di luce, che in quel momento, illuminavano quel luogo colossale, di un allegra luce verde 
Non tutti gli scaffali però, contenevano libri, alcuni erano occupati da fiale e contenitori dai mille colori diversi, contenti i più svariati filtri e composti alchemici.
Altri, mettevano in mostra oggetti della più pregevole fattura, tanto impregnati dalla magia, da brillare di luce propria.
Sulle pareti, si spostavano come vivi, schemi e formule incise, creando giochi ove la conoscenza di uno, si mescolava con l'altro.
Una miriade di scrivanie, colme di carte e progetti e tomi non ancora scritti, faceva bella mostra di se.
La mora si girò a guardare la sua amica storica, con un gran sorriso mentre diceva.
<< Sono felice di averti qui Catherine, a condividere con me, quello che potrebbe essere il mio più grande successo >>.
La regina si fece sfuggire uno sbuffo mentre diceva.
<< Già e io sono felice di esserci, ma proprio perché potrebbe essere uno dei tuoi più grandi successi, non dovrei esserci solo io … non so se mi spiego >>.
Alisia parve pensarci un attimo, rabbuiandosi un po, ma poi sorrise rispondendo.
<< Non fa niente, sicuramente starà facendo qualcosa di importante, ci saranno altre occasioni >>.
La reale amica sorrise, attirandola a se per abbracciarla un po.
<< Non buttarti giù adesso, avanti, non vedo l'ora di vederti all'opera, mia cara “Bibliotecaria” >>.



Nel frattempo, in un luogo molto lontano da li, si stava consumando una tragedia.
Il gelido nord, impietoso, ostile, inospitale.
Un luogo ancora strettamente legato ai suoi selvaggi esordi.
Una terra che non risparmia nessuno e non fa prigionieri, dove solo i forti avanzano e sopravvivono, mentre i deboli vengono masticati e sputati.
Neve, molta neve, cadeva incessantemente dal cielo plumbeo, tetro, gelido come la pietra.
Le montagne si stagliavano tutto intorno alla valle, come una schiera di inamovibili colossi, il cui unico scopo era proteggere la grande città sottostante.
Sulla più alta di quelle, stava arroccato il gioiello del gelido nord : “La biblioteca di picco stridente”.
Scavata nel fianco stesso della montagna, essa emanava le sfavillanti luci del nord, riflettendosi sul mare di rune, che riempivano le pareti esterne della biblioteca, per proteggerla da quasi qualunque nemico.
Quasi, perché ora da esse usciva un denso fumo grigiastro, segno che le difese avevano ceduto.
Le luci s'erano spente, il portone, un tempo ricavato dagli stessi ghiacci perenni della montagna, ora giaceva in frantumi al suolo, emettendo piccole scintille, non si sa se segno che era stato abbattuto da un potente incantesimo, o se l'incantesimo che l'aveva eretto al tempo della sua costruzione, era in qualche modo ancora attivo.
All'ingresso, era radunato un drappello di uomini armati, accomunati tutti dallo stesso indumento, un grande mantello bianco, dal cappuccio rosso.
Un secondo drappello stava all'interno, a rovistare senza alcuna accortezza, fra i tomi e i manufatti della biblioteca, scagliando all'aria senza ritegno, la conoscenza accumulata in secoli di studio, dal susseguirsi di decine di generazioni di bibliotecari.
In un angolo, riverso a terra in una pozza scarlatta, in preda all'agonia; stava un uomo anziano, pallido per il troppo sangue perso.
Sopra di lui, appollaiato su una scaffalatura come un avvoltoio, stava quello che sembrava in tutto e per tutto il capo degli assalitori.
Al contrario degli altri, questo vestiva con un mantello nero, e si rivolse al vecchio in tono pacato dicendo.
<< Vecchio sciocco ti avevo dato la possibilità di collaborare, ma ti sei dimostrato tremendamente stupido, eppure ti avevo detto che non potevi vincere. Ora ti rinnovo la mia proposta, dimmi dov'è quel che cerco e avrai salva la vita >>.
Il vecchio ansimò, guardando con spregio l'uomo che aveva di fronte, prima di dire.
<< Non saprai un bel niente da me, rassegnati, morirei piuttosto che consegnarti anche un solo tomo >>.
Quello rise crudele affermando.
<< Credo che si possa imbastire qualcosa d'interessante >>.
Detto questo, scese dallo scaffale e con un colpo secco, gli schiacciò la gola con una pedata.
Poi tirò fuori un ciondolo d'ardesia, raffigurante un minuscolo scheletro e con movimenti abili, iniziò a farlo ballare come una marionetta sulla fronte del vecchio.
Questo si rialzò di colpo, con gli occhi illuminati e spiritati.
L'incappucciato rise nuovamente.
<< Allora vecchio, ora sei morto e sei un cadavere rianimato sotto il mio controllo. Vuoi dirmi dove sono quei libri ? >>.
Il vecchio, ora in quello stato di non vita, alzò il braccio indicando tremante una parete sul fondo della stanza, che al comando del padrone si aprì di colpo.
A quel gesto l'incappucciato sogghignò.
<< Visto, non ci voleva poi molto >>.
Con queste parole, distrusse il piccolo scheletro danzante e il bibliotecario tornò al suolo, di nuovo immobile.
L'uomo in nero varcò la soglia, e dopo aver fatto cenno ai suoi di disporre il necessario, si mise a cercare ciò per cui era venuto.
I libri neri : Tomi intrisi di magia oscura, non adatti a coloro che troppo facilmente s'arrenderebbero a un simile influsso nefasto.
Ogni biblioteca ne custodiva qualcuno, si trattava di errori dei bibliotecari, magia negativa, evocata dall'immaterium e che si erano trovati costretti a trascrivere,  per poterla controllare e contenere.
E ora quel pazzo, si era impossessato di quelli di Picco stridente.
Era una catastrofe
In particolare, ne stringeva uno fra le mani, come fosse la risposta a ogni suo desiderio.
I suoi alleati intanto, avevano predisposto tutto il necessario per un rituale e a giudicare dall'attenzione ai dettagli, doveva essere qualcosa di molto potente.
Il capo si avvicinò al cerchio, che rappresentava il centro del rituale e afferrato ancor più saldamente quel particolare libro nero disse .
<< Presto, avrò per me i libri neri di tutto il mondo e quando questo sarà, io potrò plasmare un nuovo mondo >>.
Così aprì il libro nero.



Frattanto alla biblioteca reale magica, Alisia aveva ultimato i preparativi, per l'incanto che avrebbe lanciato di li a poco.
Tre cerchi di pietre, sospesi a pochi centimetri dal suolo, ruotavano lenti in tre ordini concentrici.
Al di sotto del centro del cerchio più interno, stava un piccolo piedistallo metallico, su cui era poggiata una sfera di cristallo azzurro.
Ora bastava solo attendere e l'umanità avrebbe dimenticato il significato di “Distanza”.
Non passò molto, che vide manifestarsi quanto cercava : un fulmine, che fendette l'aria con una furia primordiale, stridendo e gracchiando come un corvo, ma anziché schiantarsi, quello venne catturato dalla sfera di cristallo, iniziando a crepitare furiosamente dietro al vetro.
I tre cerchi di pietre presero a ruotare più in fretta, mentre il fulmine intrappolato, brillava sempre di più, l'esperimento procedeva magnificamente.
Lo stesso purtroppo si poteva dire del rituale iniziato a Nord dall'incappucciato, il portale era aperto, non doveva far altro che aspettare il momento giusto e nessuno avrebbe più potuto fermarlo.
Ma a volte si sa, non tutto può andare secondo quanto sperato.
Come fosse una sorta di scherzo delle stelle, le due energie esplosero all'unisono, senza che una sapesse dell'altra, trovandosi a scontrarsi senza volerlo in un violento intreccio di forze smisurate.
Le due forze totalmente contrapposte si scontrarono, andando a librarsi sempre più in alto, fino a trovare la medesima conclusione, senza vincitori ne vinti contro la volta del celo, che travolto da tanta forza si squarciò a metà.
Un cielo, un cielo bellissimo, dal profondo color ametista, denso di stelle variopinte, aveva sostituito quello azzurro, che era sempre stato re indiscusso.
Lo stupore travolse Alisia, che si dimenticò all'istante del suo esperimento fallito e d'essere scampata per miracolo a quel violento scoppio d'energia, riconoscendo in quella visione l'eterium.
Mentre fissava come incantata, il cielo turbinare in quell'immensa spirale di colori, vide qualcosa, che secondo la comune coscienza, era impossibile : Vide qualcosa, cadere dall'eterium. 
Poco prima che questo si richiudesse di nuovo, sostituito dal cielo gonfio di nubi e pioggia, di prima dell'esperimento.
Anche Catherine aveva assistito alla scena e certo non era meno shoccata.
Si rivolse subito alla bibliotecaria, mentre prendevano un paio di cavalli, con cui andare a ispezionare il luogo dello schianto.
<< Cosa diavolo è successo? E' davvero possibile, che le creature dell'eterium, arrivino nel nostro mondo, senza il permesso di un evocatore ? >>.
Alisia parve pensarci, ma poi scosse la testa e disse.
<< No, è impossibile, anche se questo mondo trae parte del suo potere dall'eterium, le creature che lo abitano, non dovrebbero avere interesse nell'oltrepassare il confine, senza che qualcuno le chiami. In oltre, per loro è impossibile mantenere una presenza stabile in questo mondo, senza la presenza di un faro evocativo. Nulla può essere passato dalla nostra parte senza permesso >>.
Catherine ingoiò a vuoto, non volendo chiedere alla sua amica storica, cosa sarebbe potuto succedere se si fosse sbagliata.
Intanto, intorno alla piazza della città bassa, luogo dello schianto, si stava radunando la guardia cittadina, pronti ad abbattere qualunque cosa, si dimostrasse anche solo minimamente ostile.
La polvere si stava ancora depositando, quando le due ragazze arrivarono sul posto.
Catherine si avvicinò alla guardia cittadina, per sincerarsi dei danni riportati dalla città e dalla popolazione.
Mentre Alisia si rivolse alla popolazione stessa, per occuparsi di eventuali feriti e organizzare una postazione per i primi soccorsi, in  attesa dei medici – erboristi.
La regina attirò subito l'attenzione delle guardie, che fecero per inchinarsi in massa, ma lei li fermò anticipatamente, facendo segno di prestare attenzione al fumo che finalmente si stava diradando.
<< Con cosa abbiamo a che fare esattamente? >>.
Il capitano delle guardie le fece un cenno reverenziale col capo.
<< Non lo sappiamo vostra altezza, in compenso la fortuna ha voluto che le abitazioni non subissero danni di sorta e non ci sono stai feriti gravi >>.
Catherine se ne compiacque, ma poi guardò la piazza e sopirò.
<< Sono felice, ma temo che dovremo creare un  momentanea deviazione, per il trasporto delle merci interne al mercato. Avvisate le squadre di manovalanza, che al segnale di cessato pericolo dovranno venire qui immediatamente >>.
Ormai, il fumo e le polveri s'erano del tutto diradate e di fronte alla guardia cittadina e alla giovane sovrana, si mostrò qualcosa, che causo il più assoluto stupore.
Li, nel piccolo cratere, in mezzo ai detriti, stava semi rannicchiato e all'apparenza assai sofferente, un giovane uomo, ferito e privo di vestiti di qualsiasi sorta, probabilmente suo coetaneo.
Mentre lo osservava cercare di rimettersi in piedi, fece cenno alle guardie di non intervenire, impietosita dal misero stato in cui il ragazzo versava.
Si avvicinò al ragazzo sorridendo, cercando di mantenere un  espressione quanto più rilassata possibile e quando furono abbastanza vicini la sovrana esordì.
<< Chi sei? Da dove vieni? Sopratutto com'è possibile che tu sia caduto dall'eterium? >>.
Quello alzò stancamente gli occhi, rivolgendole uno sguardo, che era insieme stanco, sofferente e interrogativo.
Diede un unica risposta, per rispondere a tutte le domande.
<< Non lo so, il mio primo ricordo è una voce e poi la caduta >>.
Catherine sollevò un sopracciglio, inizialmente scettica, ma quel poveretto era troppo provato, per avere la forza mentale di sostenere un farsa, così chiese semplicemente.
<< Quale voce? Riesci a descriverla in qualche modo? >>.
L'altro scosse la testa, dicendo semplicemente.
<< Non lo so, so solo di averla seguita e poi ho cominciato a cadere >>.
Come se fosse uno scherzo della fortuna, in quel momento si udì la voce di Alisia, che aveva alzato leggermente i toni, per attirare l'attenzione dei medici appena arrivati.
Sentendo la voce della bibliotecaria, lo straniero parve riscuotersi leggermente, puntando i suoi occhi stanchi, in direzione della fonte del suono, per poi guardare la proprietaria della voce e dire.
<< Eccola, è sua la voce che ho sentito prima di cadere >>.
La giovane sovrana rimase spiazzata per qualche minuto, poi però sorrise, rendendosi conto che lo straniero, anche se vicino all'incoscienza, continuava a guardare Alisia, con un misto di interesse e confusione.
Pensandoci bene, poteva essere vero, forse il ragazzo si trovava davvero nell'eterium e il rituale di Alisia, l'aveva in qualche modo tirato giù.
Fece passare lo sguardo dallo straniero, alla sua amica storica, in un breve momento di ponderazione.
Poi, con un sorriso di chi aveva realizzato un idea a dir poco deleteria disse.
<< Va bene ragazzo, per ora avrai il beneficio del dubbio, ti aiuterò >>.
Il ragazzo sorrise stancamente, con una leggera smorfia causata dalle ferite.
<< Grazie, chiunque … tu sia … ti ringrazio … ora … scusami ma … non riesco … a tenere gli occ... >>
In quel preciso momento svenne, rovinando nuovamente a terra.
Catherine diede subito l'ordine.
<>.
Detto questo, se ne andò con un largo sorriso soddisfatto, come di un bambino che aveva appena trovato un nuovo gioco da fare.

  
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