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Autore: Michan_Valentine    02/12/2015    2 recensioni
La nascita e l'evoluzione di un rapporto in cinque momenti diversi della vita. Il viaggio di una ragazza alla scoperta di se stessa.
✩Questa storia ha partecipato al "Random Contest" indetto da Fabi_Fabi sul forum di EFP✩
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Autore: Michan_Valentine
Titolo: Rosso Dolore
Fandom scelto: Final Fantasy VII
Prompt scelti: Rosso, Binari, Immagine 1Immagine 2 Citazioni, "Vuoi passare il resto della tua vita a vendere acqua zuccherata, o vuoi avere la tua occasione per cambiare il mondo?”
Personaggi principali: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Missing Moments, What If?
Introduzione: La nascita e l'evoluzione di un rapporto in cinque momenti diversi della vita. Il viaggio di una ragazza alla scoperta di se stessa.
Note dell'autore: Si vede che non avevo assolutamente idee per l’introduzione? xD 
A parte ciò sono contenta di aver portato a termine questo piccolo progetto e intanto ti ringrazio per avermi dato l’opportunità, tramite il tuo contest, di mettermi alla prova e d’infrangere il periodo d’inattività, causato ovviamente da un calo spaventoso d’ispirazione. 
Premetto che partecipo a pochissimi contest e non sono bravissima con i prompt, per cui sono già preparata all’eventualità di non averli saputi ben usare o amalgamare alla storia. Lol. Mea culpa! xD
I binari sono stati intesi come “strada da percorrere”, “viaggio”, “svolte" e anche “evoluzione” in qualche modo, giacché l’atto stesso di viaggiare è in fondo mettersi in gioco e affrontare quanto s’incontra sul cammino. Ho tentato d’inserire il concetto come filo conduttore durante tutta la narrazione, ma, ahimè, non sono affatto sicura del risultato. E infatti sono qui a spiegarmi. xD
La prima immagine, quella delle nuvole, mi ha rimandato al wallpaper di Dirge of Cerberus. Questo  per la precisione. Da lì, nel quarto capitolo, mi è venuto automatico associare l’immagine a quella di un angelo.
La seconda immagine invece compare sotto forma di citazione nel terzo capitolo, una battuta effettuata da Yuffie in riferimento alle quattro diverse entità che albergano in Vincent. Non è stata ben sviluppata, ovviamente, ma dato che c’era addirittura la possibilità di escludere una delle due immagini dai prompt ammetto di non essermi scervellata troppo su come adoperarla. ^^’’’
La citazione scelta è quella di Steve Jobs che appare nella lista dei prompt, ma  ho voluto comunque inserire una seconda citazione presa dalla stessa pagina wiki: “La morte con tutta probabilità è la più grande invenzione della vita. Spazza via il vecchio per far spazio al nuovo”. Ed è ripresa nel terzo e nel quinto capitolo, amalgamandosi al discorso dell’evoluzione, del cambiamento. 
La coppia in analisi è forse una delle più improbabili, ma personalmente trovo che siano divertenti, oltre che affascinanti, se posti l’uno accanto all’altra. Ciononostante non ho voluto calcare la mano assecondando i miei gusti e ho dato finale alla storia nella maniera che ritengo oggettivamente più plausibile. 
L’avvertimento “missing moments” si riferisce ai primi tre capitoli. Il "what if?” è invece per il quarto capitolo, che vede Yuffie presso la caverna di Lucrecia al posto di Shelke. L’ultimo capitolo rappresenta ovviamente un ipotetico futuro.
Purtroppo temo che per rendere la parlata e la caratterizzazione di Yuffie io abbia commesso un mucchio di errori grammaticali, ma… Amen. Spero che ne sia valsa la pena e sia almeno divertente! xD
Bene, credo che sia tutto! °A° Grazie ancora e buon lavoro per le valutazioni! xD


  Capitolo 1 - Partenza

Yuffie si approssimò alla porta con estrema nonchalance. Controllò che il corridoio dell’inn fosse sgombro e che dall’interno provenisse il silenzio. Quindi scassinò la serratura con eleganza e una buona dose di sicurezza, certa di avere campo libero. E per un lungo attimo s’illuse che fosse così.
Schiuse l’ingresso di uno spiraglio e sgusciò all’interno. Sulle prime furono i lampi ad accoglierla, proiettando bagliori violacei sulla discutibile mobilia della stanza. Non che fosse mai stata così ingenua – o paurosa – da credere alle storie di fantasmi, ma se c’era un posto in cui poteva mettere in discussione le sue certezze era proprio quello. Ed era più che certa di aver visto qualcosa giocare a scacchi nella hall dell’albergo solo qualche ora prima, quando i suoi compagni avevano deciso di pernottare al Gold Saucer.
Forse per questo passò in rassegna l’inquietante arredamento, prima ancora di dedicarsi a ciò che l’aveva condotta lì.
Un flagello stava abbandonato a terra, sulla moquette rosso scuro, mentre una piccola ghigliottina in scala faceva bella mostra di sé sulla sommità del tavolino. E quella nell’angolo in alto a destra non era forse una vergine di ferro? Senza contare il manichino inquietante posto accanto alla finestra e quella specie di candelabro a forma di demone che la fissava malvagiamente dalla parete accanto, con le fauci arricciate in un sogghigno e gli occhi accesi come due tizzoni ardenti. Un brivido le risalì lungo la schiena. Un attimo soltanto; poi corse a frugare nei cassetti, negli zaini incustoditi e perfino sotto i letti alla ricerca del prezioso bottino: le Materia di Cloud Strife e co.
E in quel momento il manichino le parlò.
“Che stai facendo?”
Balzò sul posto come una molla e urlò a squarciagola come se da questo dipendesse la sua stessa esistenza. E pensò: “i fantasmi esistono!” E, un po’ più a fondo nel subconscio: “sono fottuta. Ma tanto.” Eppure quando Yuffie si voltò, stretta nelle minute spalle e tutta tremante, ravvisò nella figura del manichino i tratti di quello nuovo. Il tipo assurdo – e da brividi – che Cloud si era trascinato dietro da Nibelheim. E di cui fino a quell’istante aveva dimenticato perfino l’esistenza. Mai come in quel momento la cupa figura avvolta di rosso le parve un succhiasangue a tradimento.
“Eeer… Valentine, giusto? Giusto,” rispose da sé; tanto l’altro non parlava quasi mai e quando lo faceva sembrava quasi seccato. E a lei seccava che lo fosse. “Lo sai? Sarà il mantello, sarà l’incarnato pallido, l’espressione truce o lo sguardo fisso – e un po’ vacuo – ma i lampi ti stanno d’incanto! Altroché. Pensavo che fossi parte integrante della tappezzeria, pensa un po’! E mi hai fatto venire un infarto. Sai che ti dico? Che dovresti provare a fare domanda, magari ti assumono come gargoyle o vampiro a tempo indeterminato. Il lato positivo è che in questo modo nessuno penserà che sei fuori di testa se dormi in una bara – e non penso aaaaaassolutamente che tu sia fuori di testa. Chi, io? No, no.”
Non diceva tanto per dire; dal cimitero nel cortile alla tortuosa e fatiscente scalinata d’ingresso, dalla hall oscura e un po’ stantia a quella raccapricciante stanza da letto, l’inn del Gold Saucer sembrava essere stata progettata e costruita su misura per lui. Peccato che Valentine non fosse interessato al posto di lavoro, perché assottigliò le palpebre e perseverò sulle sue posizioni, in un silenzio gravido d’accuse. E stava ancora aspettando risposta. Perciò Yuffie gli mostrò la dentatura completa e ripose accuratamente lo zaino di Strife lì dove l’aveva trovato, premurandosi addirittura di distenderne le pieghe.
“Ok, ok, ho capito. Lo so a cosa stai pensando,” convenne quindi. Con un saltello fronteggiò lo spaventapasseri in rosso e lo puntò con l’indice. “Ma ti sbagli. È un… malinteso, sì. MA-LIN-TE-SO. Capisci? E posso spiegare tutto, ovviamente.”
Il silenzio seguì l’affermazione, se possibile ancora più greve. A braccia incrociate, Valentine se ne stava immobile in prossimità della finestra, carezzato dal riverbero delle saette. E la fissava dritto coi suoi occhi scarlatti: uno sguardo che riusciva a metterla a disagio per un mucchio di motivi diversi e che, a dispetto del colore, esprimeva una freddezza quasi intollerabile. Non era a lei che guardava ma all’idea che si era fatto di lei. E sembrava trapassarla.
S’imbronciò.
“Ti ringrazio per il beneficio del dubbio, eh,” continuò; e incrociò le braccia al petto anche lei.
“Non mi piacciono i ladruncoli.”
“Beh, a me non piacciono gli sputasentenze. E comunque questa è la tua versione dei fatti. Sì, sì. E dubito che i tuoi più intimi amici, l’inquietante candelabro e la terrificante vergine di ferro, siano ansiosi di confermala. Perciò,” ribatté, dondolandosi spavaldamente sui piedi, “ufficialmente io sono qui per… controllare che sia tutto a posto. Sto fornendo un servizio pubblico. Perché fidarsi è bene e non fidarsi è meglio! E perché l’occasione fa l’uomo ladro, etc, etc. E Highwind si sta sbronzando con Wallace al bar, Cloud è sulla gondola a tubare con Aeris e Tifa… Tifa è da qualche parte a piangersi addosso, quando sono io quella che non è stata nemmeno considerata per l’appuntamento! E sono incastrata qui a giustificarmi con te, l’uomo della bara che non sa dove sia di casa il divertimento. Il che è davvero avvilente, credimi.”
Soprattutto perché nel caso specifico la particolare indole dell’interlocutore le aveva dato uno svantaggio tattico a dir poco compromettente, piazzandolo nel posto sbagliato al momento sbagliato – e che si fosse dimenticata di lui rappresentava solo un piccolo, microscopico dettaglio. Perché se per mettere le mani sul prezioso bottino poteva contare sulla distrazione degli altri compagni – quelli che sapevano ancora estorcere attimi di svago al destino tiranno – di certo non poteva fare altrettanto con lo stoccafisso lì presente, il cui unico scopo nella vita – ammesso e non concesso che potesse definirsi vivo – era fare… nulla? A parte starsene lì impalato con la maschera dell’impassibilità e della rettitudine calcata sul viso. A giudicarla, probabilmente. Il che la faceva innervosire tanto quanto il colore rosso delle sue iridi. O del vestiario che sfoggiava con così tanta disinvoltura – o menefreghismo – nonostante al di fuori di una festa in maschera risultasse a dir poco ridicolo.
Lo odiava.
Dubitava che a Valentine importasse, comunque. O che ci fosse qualcosa al mondo in grado di accendere in quegli occhi un barlume di coinvolgimento, di calore. E odiava ancora di più il fatto che non la vedesse affatto, se non attraverso le lenti dell’indifferenza. E di una moralità tanto rigida quanto sterile che in definitiva si addiceva poco a entrambi.
Non aveva ben chiaro come lo stoccafisso fosse finito nei sotterranei di Nibelheim e perché – le storie lunghe e noiose non erano adatte alla sua mente giovane e iperattiva, sempre in cerca di nuovi stimoli – ma sapeva quale oscuro obbiettivo l’aveva spinto a strisciare fuori dal feretro per unirsi all’allegra brigata di Cloud e co. E di fronte al silenzio ostinato, al viso inespressivo trincerato dietro i lembi scarlatti degli indumenti, Yuffie sciolse la morsa delle braccia e serrò invece i pugni lungo i fianchi.
“Pensa quel che ti pare, non m’interessa,” stabilì quindi. “La verità è che tu non sai niente di me. Né sei migliore della sottoscritta. Perciò non hai il diritto di giudicarmi.”
“Vale lo stesso per te.”
Yuffie serrò le labbra, sorpresa dalla stoccata. Doveva rettificare: a dispetto delle apparenze – e dell’evidente fastidio che gli provocava trasformare i pensieri in parole – Vincent Valentine aveva la lingua tagliente almeno quanto la sua. Solo in piccolo – cioè con l’ausilio del minor numero di sillabe possibili. Da quel punto di vista poteva quasi considerarsi il genio assoluto delle battute!
Si strinse nelle spalle.
“Beccata! Non ho fatto i compiti a casa,” convenne; e si portò le mani sui fianchi. “E sì, mi ero perfino dimenticata che esistessi – anche se qui la colpa è tua, che te ne stai sempre in disparte col muso lungo. Ma c’è una bella differenza fra me e te. Io ho uno scopo, anzi, un’ambizione. Qualcosa per cui valga la pena lottare e mettere un piede davanti all’altro. Qualcosa di nobile. Niente a che vedere con la vendetta, comunque. Che cosa c’è alla fine del binario? Niente. Non c’è alcuna speranza in un simile proposito, solo la fine. Caput. The End. Capolinea, fine della corsa, siete tutti pregati di scendere e di togliervi dalle balle. E sai che ti dico? Magari non ti piace il modo in cui svolgo il mio… servizio pubblico, ma di questi tempi la gente ha bisogno di sperare. Io ne ho bisogno.”
Ciò detto sollevò anche il mento, gli occhi d’onice fissi nei cupi e freddi rubini che tanto l’irritavano. In qualche modo lo stava sfidando. O forse non stava sfidando Vincent Valentine, ma tutto ciò che rappresentava col suo distacco, con la sua morale, col suo desiderio di morte. Col colore scarlatto che l’avvolgeva da capo a piedi, come una fiamma. E che bruciava…
L’interlocutore scosse appena il capo e le cinghie del mantello scarlatto – troppo scarlatto – tintinnarono. Seguì un breve sospiro. Una manifestazione che la diceva assai lunga. Ragazzina, le risuonò nella coscienza. Valentine non aveva ancora parlato, ma il messaggio le era arrivato ugualmente forte, chiaro… e insopportabile, perché per un attimo si sentì proprio così – e non nella maniera figa e spensierata che solitamente intendeva lei, sempre pronta a rinfacciare ad Highwind gli anni in più.
“La speranza è all’opposto della disperazione. Ma entrambe potrebbero accecarti,” commentò infine lo spaventapasseri, con la voce cavernosa e vagamente atona.
Yuffie fremette da capo a piedi e proprio come una ragazzina, le sopracciglia inarcate e le labbra tese in una linea dura. Specie perché avrebbe preferito che a reagire così fosse l’altro, non lei; e il solo pensarlo la faceva incazzare di più.
“Disse il filosofo di ‘sto paio di peri!” sentenziò infine; poi inclinò il capo, fece spallucce e sfoderò un sorrisino irriverente. Col cavolo che gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla perdere le staffe! Anche se era più probabile che a Valentine non facesse né caldo né freddo. “Che altro potevo aspettarmi da uno stramboide che veste rosso dolore come niente fosse? Il colore del sangue, delle fiamme che bruciano e anneriscono ogni cosa. Il colore della guerra,” e solo a dirlo sentì il fumo graffiarle la gola. Deglutì. “Di certo non che potesse capirmi. Ma chi se ne frega? Parlare col muro sarebbe più interessante, sì sì. Potrei quasi trovarlo simpatico, il muro! Ma tu resta sul tuo binario, tieniti stretta la disperazione che al resto ci penso io. Anzi, dacché sei qui a contemplare l’atmosfera rassicurante dei lampi e delle candele tremolanti pensa tu a badare agli zaini, non sia mai che qualcuno faccia sparire qualcosa mentre Cloud e co. sono fuori a divertirsi, eh! E in quel caso t’informo che la colpa sarebbe soltanto tua, perché io – la ragazzina cieca di speranza – sarò lontana mille miglia da te e da tutto ciò che ti riguarda. Questa è una promessa. Un giuramento solenne, altroché. Una missione di vita! Perciò addio, stoccafisso triste e saccente. SAC-CEN-TE! E, ripensandoci, lascia perdere l’impiego come tappezzeria dell’albergo. Hai mai pensato alla vita monastica? Solitudine, rigore da castigati e tante – ma taaaaaante – seghe mentali!”
E non era certa che nell’ambiente le seghe si limitassero alla sola mente. Ma ci stava bene in ogni caso – ammesso e non concesso che Valentine avesse impulsi sessuali di qualche tipo. E ne dubitava, per quanto le interessasse.
Ciò stabilito girò i tacchi e se ne andò a passo di marcia, il naso rigorosamente per aria: aspettare una risposta sarebbe stato superfluo. Innanzi tutto non aveva intenzione di prolungare ulteriormente la conversazione. Secondariamente era certa che almeno su quel punto si trovassero perfettamente d’accordo.
Imboccò l’uscita quando il secondo sospiro di Valentine andò a sussurrarle nuovamente alle orecchie “ragazzina”. Accusò un tremito ai lineamenti. Forse per questo si rischiuse la porta alle spalle con più violenza del previsto. E dentro di sé pensò: È esattamente ciò che sono, problemi? Ma non ebbe il coraggio di gridarlo ai quattro venti.
   
 
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