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Autore: Michan_Valentine    02/12/2015    4 recensioni
La nascita e l'evoluzione di un rapporto in cinque momenti diversi della vita. Il viaggio di una ragazza alla scoperta di se stessa.
✩Questa storia ha partecipato al "Random Contest" indetto da Fabi_Fabi sul forum di EFP✩
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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  Capitolo 5 - Capolinea
Spinse con ambo le braccia e l’uscio del Seventh Heaven le si schiuse innanzi. Lo scroscio dell’acqua l’accolse a braccia aperte, l’umidità che le frustava la pelle e i piedi che affondavano nelle pozzanghere, mentre alle spalle il caloroso eco di risa e voci familiari si spegneva. Il gelo divenne più pungente. Interiore.
Si strinse nelle spalle, allacciò le braccia al corpo e sollevò il viso. Fronteggiò la distesa plumbea. Il cielo piangeva senza posa e rovesciava sulle gote indifese il proprio cordoglio. Condivise le lacrime, celandole agli altri e a se stessa.
La risata fragorosa di Barret la raggiunse anche attraverso la porta, ormai serrata alle sue spalle. Seguì la pronta e volgare bestemmia di Cid, cui in altre circostanze avrebbe sicuramente fatto eco, aggiungendo questo o quest’altro. Qualsiasi cosa. Da condividere assieme alla compagnia e a una buona tazza di cioccolata calda, amorevolmente preparata da Tifa – perché nonostante fosse una buona forchetta lei proprio non era capace di cucinare, né di essere altrettanto gentile. Ma era così che funzionava. Era il suo ruolo, il suo posto. E Cloud avrebbe scrollato la chioma bionda con bonaria rassegnazione. L’avrebbe pungolato, per questo. Forse Cid le avrebbe perfino dato manforte, ma fra le risate e i commenti i suoi occhi sarebbero corsi nell’angolo più dimesso, dove avrebbe incontrato i rubini di Vincent Valentine, incastonati fra la fascia rossa e l’alto collo del mantello. E si sarebbe illusa, certa che stessero aspettando lei.
L’oppressione al petto crebbe e si sentì soffocare, la gola stretta in un nodo. Avrebbe voluto urlare, far uscire quanto le stava dentro e inseguire il riverbero del tuono o il fragore del fulmine. Invece si portò la mano alla bocca e premette, intrappolando i singhiozzi. Non le spettavano, dopotutto. Anzi, era strano che la consapevolezza l’avesse colta così d’improvviso – e più intensamente di quanto potesse sopportare – quando era da sempre sua inseparabile compagna.
Il rumore metallico s’insinuò inaspettatamente fra lo scrociare della pioggia, strappandole un sussulto. Voltò il capo da quella parte, gli occhi grandi e i capelli gravidi d’acqua attaccati al viso. Tremò quando sprofondò in quegli stessi occhi rossi che aveva immaginato con tanta intensità solo una manciata di secondi prima. Trattenne il respiro, perché l’aveva dimenticato. Ancora.
Vincent Valentine se ne stava poggiato alla parete, sotto il cornicione del palazzo, avvolto dal mantello rosso. A braccia incrociate l’osservava con l’espressione seria e un po’ cupa che lo contraddistingueva da sempre, forse appena spenta. E le emozioni faticavano ad emergere, trattenute dai tratti immutabili del viso sempre giovane. Un dato di fatto che spesso lasciava a languire, forse in quel momento più che mai.
Eppure, messa faccia a faccia con l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare, Yuffie raddrizzò le spalle, sciolse la morsa delle braccia e sfoderò un ampio sorriso, come se a lambirle le gote fosse il sole e non la pioggia.
“Ci risiamo, Vinnie Valentine,” disse, scrollando il capo. “Ricordi quella volta al Gold Saucer? Quando eri appena uscito dalla bara e mi stavi pesantemente sul cazzo, per intenderci. Beh, non mi ero accorta che fossi lì. Caspita, hai mai pensato di buttare via il cannone e d’imbracciare il Conformer? Saresti un ninja provetto!” Fece spallucce. “Certo,” indicò, “con quel rosso è come avere scritto target in fronte, ma…”
“Che cosa succede, Yuffie?”
La domanda improvvisa – e ferma – tagliò il discorso, attraversò lo scrociare dell’acqua e le si conficcò nella coscienza, lasciando piccole e dolorose crepe dietro di sé. Non poteva fregare Vincent Valentine nella stessa misura in cui Vincent Valentine non poteva fregare lei. Le sopracciglia accusarono un tremolio più del dovuto, mentre la maschera si sgretolava. E per un attimo Yuffie si chiese se perseverare nella farsa valesse ancora la pena.
Richiuse la bocca, abbassò le braccia e puntò lo sguardo altrove, rifuggendo gli occhi attenti – e penetranti – che la fissavano senza indecisioni. Con una calma che, ora lo sapeva, non era indifferenza. O Freddezza.
“Non succede niente. NI-EN-TE! E se ho l’espressione… seria, è solo perché ho un annuncio da fare. Sì, sì. Ma Wallace fa troppo chiasso e parlare è impossibile. Mica per altro!” continuò, stringendosi nelle spalle. “E Highwind ha appena proclamato con orgoglio l’arrivo del suo secondogenito, perciò… Gioisci! Quello che ho da dire può anche aspettare un momento migliore.”
Tornò a puntare l’interlocutore e ne incontrò le iridi rosse. L’aspettavano, proprio come aveva immaginato. E volevano risposte. Tipico. Dopotutto Vincent Valentine sapeva essere assai eloquente anche nel silenzio più assoluto.
S’irrigidì innanzi a tanta fermezza. A tanta ostinazione. Strinse i pugni lungo i fianchi e serrò la mandibola, messa alle strette da quegli occhi. Da quel colore e da ciò che significava per lei. Forse pungolata da ciò, indurì l’espressione, schiuse le labbra e sputò quanto l’altro desiderava ascoltare.
“Mio padre si ritira. Pensionamento, diciamo. L’ho sempre chiamato decrepito, ma ehi, il tempo passa davvero e ora decrepito lo è sul serio,” disse; e un sorriso sghembo le tagliò il viso. “Ci pensi? Diventerò Imperatrice di Wutai e, chissà, magari troverò pure marito. T’immagini la scena? Godo è fuori di sé dalla gioia alla sola prospettiva di un pargolo o due in giro per la pagoda.”
Ridacchiò, ma se di se stessa o della situazione non seppe dirlo, mentre le parole appena pronunciate rendevano tutto più reale. Concreto. Disegnando una linea di confine fra la Yuffie che era stata e la Yuffie che sarebbe diventata. Il vecchio che lasciava spazio al nuovo; e una parte di lei sarebbe probabilmente perita nel divenire. Una prospettiva che raggelava ancor più della pioggia e che tagliava fuori legami, abitudini e persone fino a quel momento ovvi. Pilastri di un’intera esistenza.  
Tremò sotto il peso del temporale e del domani, gli occhi fissi in quelli dell’interlocutore. Ma non c’era sorpresa nello sguardo di Vincent Valentine, solo consapevolezza e cupa determinazione. La stessa che forse avevano condiviso da che si erano incontrati, camminando fianco a fianco lungo il tragitto.
“Non sei sorpreso,” constatò.
“No,” fu la rapida e lapidaria risposta.
Si era aspettata una reazione diversa, un rifiuto, una confessione o delle parole d’incoraggiamento. Anche un semplice commento. Qualcosa. E invece lo spaventapasseri in rosso la fissava di lontano, ammantato di una quiete quasi dolorosa. Per lei così poco avvezza alla rassegnazione di sicuro. E un po’, in quel momento come in passato, lo odiò per il suo silenzio.
“È normale,” continuò quindi, infrangendo la stasi e lo scroscio dell’acqua. “Dopotutto è il mio destino, non è così? Insomma, prima o poi avrei dovuto appendere lo shuriken al chiodo, mettere la testa a posto e bla, bla, bla. Robe così. Beh, almeno Highwind la smetterà di prendermi per il culo. Avrò un titolo – e che titolo! – e fra due settimane è il mio compleanno. Ventott’anni. Non potrà più darmi della ragazzina stracciapalle, non trovi?”
La domanda sfumò nuovamente nella pioggia e nella certezza che per alcuni, a dispetto del rango e degli anni compiuti, sarebbe sempre stata una bambina. La Yuffie Kisaragi che s’infilava nelle stanze apparentemente incustodite per sgraffignare Materia, che s’ingozzava di granita alla menta, che parlava a mitraglietta, indovinava la forma delle nuvole col naso all’insù e che soffriva il mal d’aria sulle ali della Shera – dopo aver mangiato non meno di due uova fritte e due etti di pancetta bella croccante, perché la speranza era sempre l’ultima a morire.
Eppure senza accorgersene era rimasta accecata dallo stesso sentimento che l’aveva sostenuta e guidata, proprio come l’uomo della bara aveva ammonito tempo addietro. Si era illusa di avere tempo, più di quanto fosse. E che il futuro per il quale aveva combattuto – per il quale era saltata sul treno in corsa, dritta verso la sua meta – fosse tutto ciò per cui valesse la pena desiderare, stringere i denti e sospirare. Ma ora che l'inganno era sbiadito nella consapevolezza degli anni e che il suo destino stava per compiersi non era mai stata più insicura. Più spaventata.
Deglutì, immobile sotto la pioggia, col sorriso tirato, i vestiti attaccati al corpo e i capelli grondanti, gravidi quasi quanto il suo cuore.
“Parlare da sola con te è sempre un piacere,” scherzò. Poi fece spallucce e soggiunse: “Ripartirò per Wutai domattina.” Seguì lo scroscio dell’acqua e un tremito che la percorse da sopra a sotto, facendo esitare labbra, parole e perfino le intenzioni. “Oppure potremmo scappare. Lontano, io e te, in questo stesso momento. Chessò, potremmo rubare due chocobo e fare il giro del mondo – e sì, lo so che l’idea di rubare qualcosa manda in pappa il tuo cervello da pignolo, ma potremmo considerarla l’eccezione che conferma la regola. Ci pensi?” domandò; e allargò le braccia sotto la pioggia. “Correremmo liberi lungo le pianure o lungo le coste, vedremmo il sole sorgere e tramontare. Andremmo a trovare Red e c’intrufoleremmo lungo i cunicoli più bui e inesplorati di Cosmo Canyon.” Una lacrima le scivolò rapidamente lungo la gota e si mescolò alla pioggia che le delineava il viso. “E alla sera ci siederemmo attorno al fuoco a parlare di tutto e di niente, dormiremmo all’addiaccio e perderemmo le ore e il conto delle stelle sopra di noi, senza un solo pensiero… come se… come se al mondo non esistesse altro…”
Il fiato le si strozzò in gola e le impedì di proseguire, mentre una seconda e una terza lacrima si univano alla precedente. Chinò il capo e trattenne nuovamente i singhiozzi, i denti serrati sulle labbra. Si nascose, succube dello sguardo sopra di sé. Che la giudicava una sciocca ragazzina piena di sogni e d’inutile speranza, probabilmente.
Gli stivali di Vincent tintinnarono. Seguì scalpiccio di passi nella pioggia e la consapevolezza delle distanze sempre meno influenti. Yuffie trattenne il respiro, colta alla sprovvista. Poi le dita guantate dell’altro le afferrarono le spalle nude, bagnate e fragili con un trasporto che non avrebbe mai immaginato. Non dal silenzioso e riservato Vincent Valentine. E che avrebbe potuto spezzarla perfino nell’animo.
Percepì un tremito propagarsi dal contatto. Un languore, forse. Sentì il metallo acuminato del braccio mostruoso premere e graffiare. E la stretta decisa – disperata – le sembrò fuoco sulla pelle. Sollevò il capo e lo guardò, le sopracciglia corrucciate e le labbra dischiuse, avide d’ossigeno e di qualcos’altro che non aveva mai osato ammettere neppure a se stessa. Non prima di allora.
Chino sotto la pioggia, coi capelli appesantiti dall’acqua e le spalle curve, Vincent Valentine non era mai stato così stravolto. Né così vicino. E gli occhi rossi la fissavano dall’alto con un’intensità – una vividezza – che sapeva di braci incandescenti. Pericolose, voluttuose…  
Yuffie fremette e scese con le iridi sulla bocca dell’altro, tradendo la propria debolezza e presagendo quella dell’altro. Deglutì, assaggiò la pioggia e attese, ascoltando il battito esasperato del suo cuore. Ma nello stiracchiarsi degli attimi niente di ciò che si era figurata accadde; e la realizzazione la colpì con la violenza di un pugno, lasciandola a boccheggiare sotto il temporale. Perché Vincent Valentine non l’avrebbe mai baciata, né pretesa per sé. Perché era Chaos ed era eternamente giovane – o vecchio, a seconda dei punti di vista –  e giusto. E stupido insieme – o forse proprio per questo. Perché non l’aveva mai toccata prima di allora ed era per dirle addio, ligio alla propria ottusa e ingombrante rettitudine. La stessa che gli impediva di approfittare dell’occasione e di… rubarla.
“Non hai motivo di temere. Sei una donna forte e piena di risorse, Yuffie Kisaragi. Sarai un’imperatrice altrettanto grandiosa,” disse lo stoccafisso.
Il tocco di lui divenne più accorato e meno impetuoso, come le parole spese; e sotto quelle dita si riscoprì finalmente la donna che avrebbe voluto essere e di cui l’altro parlava. Di rimando i singhiozzi che aveva trattenuto fino a quel momento irruppero incontrollati. Le lacrime si mescolarono alla pioggia, i gemiti allo scroscio dell’acqua. La corsa era terminata, capolinea, ma quelle parole rendevano il proseguo del viaggio su binari distinti più facile e più arduo al contempo.
Fece un passo avanti e poggiò il capo sul petto della persona dirimpetto. Inspirò l’odore dell’umidità e l’essenza del vento, assaporò il profumo di lui, e strinse spasmodicamente le dita alla stoffa del mantello. Rosso come la passione. Come l’amore, ora lo sapeva. Sorrise.
“Sai una cosa, Vinnie Valentine? Per quanto abbia imparato ad amare il rosso, fa sempre male. Così male da togliere il respiro.”

Salve a tutti e grazie infinite per essere giunti al termine di questa fanfic. Suppongo che a questo punto qualcuno voglia randellarmi, ma... MA! Nella mia testa Vincent ci ripensa e va a Wutai direttamente per rapire Yuffie! xP Lol. Quindi, per chi come me è un'inguaribile romanticona e amante del lieto fine, può benissimo immaginare questa piccola clausola aggiuntiva alla storia! xD
Pooooi chiedo venia alla cara Manila che da tempo desidera Yuffie e Vincent nello stesso letto. E ovviamente io continuo a deluderla. E ancora, chiedo venia alla preziosa Lady 666 per le risposte mancate agli mp. Chiedo venia a tutti quelli che aspettano il quarto capitolo de "I 5 Modi, etc" che continua a essere rimandato per mancaza d'ispirazione e a quelli che meritano i ringraziamenti per il tempo e le parole spesi nelle recensioni. Insomma, chiedo venia a tutti, ma la vita ultimamente mi sta strappando l'anima oltre che le energie, per cui, al solito, spero di farmi sentire presto e di ottemperare a tutto ciò che ho lasciato in sospeso. Non vi ho dimenticati! çOç
Detto ciò, smammo prima di prendermi sedie, pomodori e insalate in faccia. oo' Alla prossima!
   
 
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