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Autore: LittleGinGin    04/12/2015    3 recensioni
La grande guerra ninja è terminata e una nuova pace sembra essere sbocciata dalle macerie di un sanguinoso scontro. Eppure qualcosa non quadra ...
Una nuova minaccia sorge da un passato sconosciuto.
Un nuovo pericolo insorge alle porte di Konoha.
Due innamorati separati dal destino avverso.
Riusciranno i due amanti a ricongiungere il filo rosso che li univa?
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Dopo la serie
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No, non state avendo un allucinazione e sì, contro ogni aspettativa, a distanza di una sola settimana, ho pubblicato il nuovo capitolo. Sono sorpresa quanto voi XD e se devo essere sincera, era già pronto qualche giorno fa ma mancava solo il titolo che dovevo ancora trovare eche anche in questo momento, mentre sto scrivendo queste paroline a casaccio, manca. In questi giorni, avendo un po' più di libertà, mi sono messa al computer e ho scritto scritto e scritto - che bello -. E insomma eccoci qui! Con il diciannovesimo capitolo, contro ogni aspettativa, sia perchè solitamente passa minimo un mese da pubblicazione a pubblicazione, sia perchè nella mia idea iniziale doveva durare massimo fino al quindicesimo (mentre ora credo decisamente di più). Ma bando alle ciance ... vi lascio alla lettura, spero piacevole, di questa storiella e ringrazio tutti coloro che hanno recensito e chi non l'ha fatto, ma continua a seguirmi. Siete voi che mi date la forza per continuare la storia :*
PS. Sicuramente avrò scritto qualche cavolata, anche grossa. Voi non trattenetevi! Qualsiasi critica è ben accetta, perchè mi aiutano a migliorare.





Capitolo XIX - Inizia il conto alla rovescia -

Tutto intorno a lui aveva perso di consistenza e forma. Le forme divennero come nebbia sottile che si diradò tutta intorno a lui, cingendogli con forza la testa, ma senza procurarli dolore.
Non poteva sentire dolore, non poteva sentire nulla.
I suoni si persero in flebili sussurri, morendo sin un pressante silenzio non appena toccavano l’aria.
Non poteva sentire il loro lamento mentre si perdevano attorno a lui, non poteva sentire nulla.
Il corpo non era nient’altro che un vuoto contenitore, freddo e immobile, un pezzo di carne modellata secondo il piacere dell’artista.
Non poteva sentire la sua anima dilaniarsi tra grida soffocate dal pianto, non poteva sentire nulla.
Nulla sfiorava quella mente distrutta e stanca, nulla toccava quel cuore torturato e piangente, nulla lo toccava, nulla lo feriva, perché non si può ferire un corpo morto, non si può far provare dolore a un cadavere.
 
Tremò con violenza quando sentì delle mani scuoterlo con violenza, mentre voci conosciuto lo chiamavano smarrite e spaventate.
“Naruto … tutto bene?” Aveva gli occhi sgranati, lo sguardo immerso in una violenta tempesta, le labbra asciutte schiuse nel vuoto mentre le parole morivano nella laringe in sibili strazianti.
Quando aveva sentito quelle parole … quando aveva realizzato ciò che significavano e tutto quello che comportavano, i suoi sospetti, i suoi timori, i suoi incubi più profondi, era come sprofondato nel vuoto più totale, come morto. Le informazioni gli passavano la mente senza fermarsi, ogni sensazione era svanita, ogni ricordo polverizzato. Aveva sentito – sarebbe più appropriato non aveva sentito – la sua anima dissolversi come materia distrutta, aveva sentito ogni particella del proprio corpo sgretolarsi nell’aria volteggiando sopra ciò che rimaneva ancora di se prima che anche questa parte non seguisse le altre. Poi si era come risvegliato da un profondo coma. Aveva inspirato con foga quell’aria calda e aromatizzata torturandosi le mani smaniosamente, stringendo la stoffa della tuta tra i pugni serrati, temendo che tutto potesse scomparire nuovamente.
“Sei pallidissimo!” Naruto scosse la testa, alzandosi con forza e vigore, nonostante sentisse il proprio corpo sgretolarsi ad ogni respiro. Una goccia di sudore scese dalla sua tempia.
“Grazie mille per l’ospitalità.” Disse inchinandosi leggermente e andando alla porta.
“Aspetta Naruto!” gridò la madre di Sakura sbilanciandosi verso di lui con le punte dei piedi – quel ragazzino era decisamente cresciuto -. Portò l’indice in avanti, pronta ad ammonirlo severamente, quando incontro i suoi occhi profondi e blu come il mare. Erano carichi di qualcosa, carichi di molte cose che non seppe distinguere immediatamente, ma che le fecero chiudere le labbra rosee e abbassare la mano. Strinse quei petali scarlatti raccogliendo una grande quantità d’aria nei polmoni.
“Riportala da me.”
 
Corse con i denti stretti, un grido strozzato in gola. Corse con la vista appannata mentre l’aria si scagliava come lame sul suo volto. Corso con il cuore in gola e le gambe sempre più tremanti ad ogni passo incerto. Corse per la strada più veloce che poteva mentre la tenue luce dei lampioni si infrangeva sul suo corpo contratto e rigido.
Corse fino a perdere il fiato, perché non gli rimaneva altro.
Sbatté la porta di casa dietro le spalle, il corpo rigido, il respiro ansante. Si lasciò ricadere all’indietro mentre la tensione colava a fiocchi dal suo corpo trascinando con se la poca forza che aveva raccolto. Il petto si sollevava a ritmo incalzante, l’aria gli perforava i polmoni infiammandogli la gola riarsa. Sentì il corpo fremere mentre una morsa gli attanagliò lo stomaco provocandogli violenti conati di vomito. Lasciò ricadere la testa all’indietro, gli occhi socchiusi, la bocca impregnata di quel gusto nauseabondo.
Perché? Perché?!
I pensieri si accavallavano li uni sugli altri togliendogli il respiro, un cerchio stretto attorno alle tempie. Era stanco, stremato, distrutto da tutti quei sentimenti che non riusciva più a controllare, da tutti gli eventi che gli accadevano senza che lui li potesse comandare. Ormai non era più padrone di se stesso, non era più artefice della propria vita, solo suo succube. Si sistemò meglio contro la porta digrignando i denti per lo sforzo compiuto, i muscoli dolevano terribilmente. Si piegò nuovamente di lato, assalito da un altro conato che fortunatamente riuscì a trattenere. Cercò di rialzarsi, ma nessuna parte del corpo sembrava volergli dare ascolto mentre un senso di impotenza lo divorava rabbiosamente dall’interno, facendogli stringere i pugni nell’aria, il respiro ancora strozzato.
E si lasciò andare contro la notte, mentre le tenebre lo celavano al mondo e lacrime copiose calcavano ardenti quei suoi zigomi arrossati e sfregiati.
 
Fu svegliato da un caldo tepore. Un raggio di sole gli accarezzava la pelle richiamandolo alla chiarezza del giorno. Sbatté un paio di volte le palpebre affondando maggiormente la testa sul cuscino stringendosi con flebile forza le coperte attorno a sé. Si lasciò cullare ancora dalle nebbie sottili di Morfeo, in quella dolce ingenuità che precede ogni risveglio, dove i ricordi e i pensieri sono ancora relegati in un angolo della mente, famelici. Quando indugiare non fu più possibile e i primi segni del risveglio si fecero avanti, Naruto si alzò stirando le braccia trascinandosi in bagno.
Lo specchio fu testimone di tutti quei problemi e di tutti quei pensieri che lo avevano marchiato indelebilmente da molti anni. Sul volto pallido e spigoloso, facevano sfoggia grosse e pesanti occhiaie insieme a lividi giallognoli e cicatrici che col tempo stavano scomparendo per lasciare posto ad altre più nuove e fresche. Gli occhi ricolmi di un azzurro tormentato, distante, rotto da qualcosa di profondo, difficile da riparare – se non impossibile -. Le labbra increspate in un sottile ghigno verso la propria immagine, i capelli, di un giallo spento, smorto, ricadevano placidamente sulla fronte.
Si sciacquo con l’acqua gelida lasciandosi percuotere da piccoli brividi. Quando riposò lo sguardo su quel ragazzo sconosciuto, vide inciso col sangue tutti quei pensieri, tutte quelle paure, gli sbagli, le fughe, le malignità. Ogni azione, ogni pensiero, erano riportate su quel dannato specchio in modo chiaro e indelebile.
Andò in cucina scoprendosi indifferente al cibo, quasi nauseato, e allora si lasciò ricadere su una sedia, le mani al volto mentre quello che non aveva ancora voluto affrontare ricompariva tra i meandri della mente, reclamando attenzione, pretendendo ascolto.
Si rassegnò sbuffando e lasciando ricadere le braccia sul tavolo.
La sera prima, dopo aver lasciato libero sfogo alla frustrazione che da troppo tempo lo ricopriva come una coperta, era barcollato fino al bagno. Si era tolto malamente gli stracci, buttandoli poi da qualche parte nella stanza e lasciando che l’acqua gelida della doccia portasse via ogni cosa. Era rimasto lì sotto per un po’, con a stento la forza per tenersi in piedi, mentre rivoli di sangue cadevano sul pavimento e l’odore di vomito si intrecciava ai resti delle pesanti lacrime che avevano segnato quelle guance. Dopo era uscito, si era asciugato alla bene meglio e si era buttato tra le coperte, sperando che Morfeo lo accogliesse tra le sue braccia, regalandogli quell’attimo di pace tanto agognata.
Si guardò le mani piene di tagli – segni di quella corsa sfrenata -. Poteva sentire il sangue sottopelle mentre cercava di ricostruire quella lacerazione che si era andata a creare, quello strappo imperfetto nel suo corpo. Prese un bel respiro alzandosi a fatica dalla sedia e afferrando una penna e un block-notes.
Non poteva più starsene a guardare. Avrebbe dovuto tentare di ricucire quello strappo, di sistemare quei cocci abbandonati da una parte perché troppo codardo per riaggiustarli e troppo vigliacco per buttarli.
Iniziò a scrivere, un leggero bruciore alle mani, che ignorò senza pensarci mentre serrava le labbra fino a farle impallidire e la penna volava lasciando scarabocchi sulla carta stropicciata. Troppe cose non tornavano, troppe domande rimanevano senza risposta, volteggiando senza meta. Sentiva che qualcosa gli sfuggiva, che c’era qualcosa che non andava, Ma cosa?!, eppure non riusciva ad afferrarla. Poteva sentirla sfiorargli la pelle, ma ogni volta che provava ad afferrarla, quella scappava, diventando nebbia inconsistente.
Si alzò di scatto afferrando la giacca e precipitandosi fuori dalla porta di casa. Avrebbe chiesto in giro.
E così passò l’intera giornata a vagare per Konoha, da una zona all’altra del villaggio, chiedendo a questo e a quello se sapessero qualcosa, quando l’avevano vista l’ultima volta. Ma niente, alla fine non venne a capo di niente. Eppure correva a perdifiato, il foglietto stretto tra le dita, come l’unico appiglio sicuro in quella follia.
Corse, perché per troppo tempo era rimasto immobile.
“Tsunade!” Urlò spalancando la porta, il sudore che scendeva lungo la tempia.
“Naruto! Ti sembra questo il modo di entrare?!” Strillò Shizune buttando, preoccupata, qualche occhiata in direzione dell’Hokage.
“Non c’è più tempo da perdere! Dobbiamo partire seduta stante.”
“Ma di che stai parlando?” chiese la donna stringendo al petto il maialino. Tsunade lo osservava, le mani sotto il mento.
“Sakura è assente da troppi giorni e nessuno ha avuto più sue notizie.”
“Ti stai preoccupando troppo. Sarà rimasta a-“
 “I suoi genitori sapevano che sarebbe partita per una missione. Perché mentirli?!”
“Beh … forse voleva starsene tranquilla e non ha detto nulla.”
“Ma non ha senso!” Gridò, il fiato ancora corto per la corsa.
Perché si ostinano a non credermi?!
“Naruto, capisco che tu sia preoccupato, ma non c’è motivo di creare certi castelli solo perché-“
“Shizune ti dico che non è così! Accidenti, Sakura ha detto ai suoi genitori che sarebbe partita per una missione, ma non ha senso! Perché mentire a loro? Posso capire a me …” E la voce scemò in un sussurro mentre una morsa gli strinse il cuore facendogli portare una mano al petto.
Tsunade non aveva ancora proferito parola. Lo guardava con aria seria e cupa, il corpo rigido e la mandibola serrata, con quella tipica espressione di coloro che sono costretti a sopportare in silenzio un enorme peso. Ma Naruto era troppo travolto da tutte quelle emozioni ormai fuori controllo per accorgersene.
“E allora non ti viene da pensare che abbia chiesto anche ai suoi di mentirti? Di dirti, nel caso avessi fatto qualche domanda, che era partita per una missione?”
Si congelò. Quel dubbio lo penetrò con una tale violenza da fargli fermare il cuore. Aveva veramente organizzato una cosa del genere solo per tenerlo all’oscuro di tutto?
“Probabilmente è andata fuori città per rilassarsi, nulla di più.”
No, non poteva essere vero.
“In questo periodo il vostro rapporto non è dei migliori e se ciò che dicesti l’altra volta era vero … non ti ha informato della sua destinazione, perché non voleva.”
Impossibile. I genitori di Sakura non avevano potuto mentirgli, non dopo averlo trattato con così tanta premura.
“Ma …”
“Avanti Naruto, smettila. Qui abbiamo molto da fare.”
Lui aveva visto gli occhi di quella donna mentre da una furia giocosa si trasformavano in smeraldo liquido, disciolto nel più puro e tormentato dei dolori. “Riportala da me”
“Adesso esci.”
La porta si chiuse dietro le sue spalle, il proprio corpo immobile, rigido come pietra, mentre dentro ribolliva di lava incandescente, grida che ruggivano rabbiose. Se ne andò stringendo i pugni, le unghie affondate nella carne e lo sguardo cupo ma deciso.
 
- C’è mancato poco … -
- Non importa quanto può essere doloroso, ma dobbiamo impedirgli di continuare a scavare. Nessuno deve sapere che Sakura è stata rapita. -
 
Non avrebbe lasciato perdere.



 


 
Note dell'autore: Eh sì, questa volta il capitolo si concentra unicamente su Naruto. Non voglio dilungarmi troppo quindi scrivo solo qualche appunto che vi può rimanere utile per la completa comprensione del capitolo.
  • Le ferite sulle mani se le è procurate cadendo, più volte, quando correva
  • Credo si sia capito, ma lo ribadisco, Tsunade non parla mai quando c'è Naruto
  • Il discorso finale di Tsunade e Shizune, (quello tra - le liniette -), Naruto non lo sente
  • Ecco cosa scrive Naruto sul blocchetto:
Partita da 10 giorni di notte
Missione o vacanza? à ha detto anche ai suoi che andava in missione
Missione à(?)

Grazie a tutti coloro che hanno regalato il loro tempo a questo capitoletto :*


 
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