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Autore: Marra Superwholocked    04/12/2015    1 recensioni
Una misteriosa ragazza di nome Annabeth è l'unica che può fermare l'Oscurità.
Ma Crowley ha nascosto ai Winchester un segreto a dir poco imbarazzante... Cosa c'entra la dolce e potente Annabeth con il diabolico e sadico Re dell'Inferno?
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Castiel, Crowley, Dean Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Annabeth, la saga'
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Capitolo 9

Remember me

 

Moose Jaw, Canada, tre mesi prima
Annabeth si guardava attorno come se fosse un mondo del tutto differente da quello da cui era saltata fuori e in effetti era proprio così. Un attimo prima aveva di fronte un angelo ed ora eccola in quella cittadina di cui non sapeva nemmeno il nome. La gente le correva di fianco senza accorgersi della sua presenza, senza notare il suo turbamento. Sentì inoltre qualcosa di strano in lei, come se fosse una persona diversa e notò, con sua grande meraviglia, che, qualunque cosa fosse successa, i suoi poteri erano letteralmente azzerati e non sarebbe riuscita a rintracciare Castiel da sola, ridotta in quello stato. Anche fare lo stesso incantesimo che l'aveva portata su quella spiaggia richiedeva un minimo di magia e lei sembrava esserne del tutto sprovvista. Non capiva perché; in fondo, pensava, le sarebbe sempre rimasta una piccola riserva su cui fare affidamento, ma si sentiva così... umana.
Pensò bene alle varie alternative che aveva: cercare un negozio dove potevano vendere ingredienti adatti all'incantesimo e tentare, girare e chiedere ai passanti se conoscevano un angelo di nome Castiel oppure pregare e aspettare. Non le sembravano molto allettanti e realistiche come possibilità. Ma all'improvviso, girata la testa verso una vetrina, vide un paio di ragazzini alle prese con dei macchinari che occupavano quasi tutto lo spazio delle scrivanie. Uno strano quadro animato ed una tavola con delle lettere sopra. Si mise ad osservarli per qualche istante, affascinata. Dallo specchio delle macchine, Annabeth vide apparire immagini e scritte, video accompagnati da notizie di giornale che essi leggevano o guardavano.
La ragazza non ci mise molto a capire che quello era un metodo di ricerca moderno e più veloce; si distrasse un secondo e i suoi occhi intercettarono una lavagnetta con una scritta in gessetto, posta proprio sopra il bancone, la quale recitava la promozione della giornata: Internet gratis per 30 minuti per chi entra e dà il buongiorno a tutti. Sii gentile!
Dopo aver ragionato sul nome di quella ricerca a lei nuovissima, pensò alla promozione. Le sembrava ridicolo, ma non le costava davvero nulla, letteralmente, quindi ne approfittò, nonostante non sapesse come affrontare quelle strane macchine colorate. In un lampo, eccola entrare nel negozio e, con un sorriso che non sfoggiava da più di duemila anni, salutò tutto il personale lì presente, girando poi il saluto ai pochi clienti, facendo attenzione a non esagerare: l'esagerazione avrebbe insospettito il personale e lei aveva assolutamente bisogno di fare una ricerca, il più velocemente possibile! E senza soldi con sé, sarebbe stato un po' difficile. Anche solo capire dov'era le sarebbe bastato, forse.
«Ciao! Ti sei appena meritata mezz'ora di internet assolutamente gratis» le disse il ragazzo dietro al bancone. «Nel frattempo, posso farti qualcosa?»
Annabeth ricordò il sapore dell'unico caffè che aveva mai assaggiato: non era affatto buono. Sarà che lo aveva assaggiato nel 1700 e le miscele all'epoca non è che fossero poi così deliziose come adesso, ma non voleva rischiare e questo la aiutò ad assumere un'espressione onesta: non aveva nemmeno i soldi per un misero caffè! «No, grazie» rispose un po' imbarazzata. «Mi serve solo...» Com'era quella parola? «Solo internet.»
Il ragazzo le sorrise un'ultima volta. «Se cambi idea, mi trovi qui» le disse allontanandosi per servire una coppia di anziani ad un tavolo poco oltre l'angolo del bancone. Quasi immediatamente dopo, il ragazzo più giovane dei due che erano alle macchine – che avrete certamente capito siano computer – si alzò e lasciò il posto ad Annabeth, la quale si sedette.
Come regola del negozio, quando uno finiva la sua ricerca, doveva lasciare al prossimo la pagina iniziale già aperta, fu così che Annabeth vi trovò pronta la pagina del motore di ricerca che usavano lì dentro. La ragazza non sapeva bene da dove cominciare: per prima cosa, però, pensò fosse stato almeno un po' utile osservare le mosse del ragazzo affianco a lei. Egli usava lo stesso motore, solo ad una ricerca già in atto, ma quel rettangolino in cui lampeggiava una strana righetta verticale era la stessa e lo vide pigiare velocemente sulla tastiera; raccolse dunque l'informazione e imitò il ragazzo.
«So che muori dalla voglia di parlare a Fergus, vale a dire Crowley. Ebbene, ci sono due ragazzi, due uomini, che possono aiutarti. Si chiamano Sam e Dean Winchester. Sono due fratelli e loro hanno Crowley, ma stanno cercando Castiel, un angelo, il quale è più facile da ritrovare, credimi. Ho bisogno che tu vada da Castiel, riportalo in carreggiata, poi lui ti condurrà dai Winchester ed allora avrai Crowley.»
Quelle erano state le parole dell'uomo vestito di bianco che era entrato nel suo sogno. Trovare un angelo le sembrava alquanto impossibile: loro cercano di rimanere nell'anonimato il più possibile, quindi scartò subito l'opzione di digitare il nome di Castiel, ma i due Winchester sembravano più facili da trovare: erano umani e come tali dovevano aver lasciato qualche traccia dietro di loro.
Annabeth cercò le lettere e le digitò lentamente: sam e dean winchester ed una cascata di informazioni riempirono la schermata del computer. Per prima cosa lesse Supernatural – Wikipedia e scartò a priori quella pagina dalla lista. Poi vide una lunga serie di link riguardo a dei certi Jensen Ackles e Jared Padalecki, un paio ad un certo Misha Collins, deceduto nel febbraio del 2011 e sostituito dal fratello quasi identico di nome Sasha, e parecchi ad un certo Mark Sheppard. Non sapeva da chi dei quattro iniziare: cosa c'entravano con i Winchester? Apparentemente nulla, ma una foto di quel Misha attirò la sua attenzione. Stessi occhi, stessa bocca, in alcune immagini indossava anche l'impermeabile, lo stesso impermeabile che indossava Castiel. Pensò ad una coincidenza, ma, scorrendo le prime frasi della notizia riportata dal link, lesse il nome dell'angelo. Incuriosita, cliccò – dopo aver capito come fare – sulla notizia e poté leggerla per intero. A quanto pareva, quel Misha era un attore ed interpretava il ruolo dell'angelo che lei aveva conosciuto solo poche ore prima. Ma com'era possibile? Annabeth si sentiva sempre più confusa e disorientata.
Scrollando la pagina, trovò poi altre immagini, alcune delle quali ritraenti Misha con un uomo dall'aria severa ma dolce. Paffuto, barba incolta e abito nero. E se fosse finita in un qualche universo parallelo? Un universo parallelo in cui un certo Mark Sheppard era l'attore che interpretava il ruolo di suo padre? Suo padre... Non era proprio così, ma forse, pensò la ragazza, aveva la possibilità di ricominciare da zero, una nuova vita, da umana, vicino all'uomo che vedeva come un padre, senza mai averlo conosciuto. Non le importava se quel Mark si fosse poi rivelato un antipatico e burbero attore capace solo di ammucchiare soldi senza regalare mai un sorriso: Annabeth lo avrebbe trovato e gli sarebbe stata accanto, cascasse il mondo.


Vancouver, Canada, tre mesi dopo
«Mark, ti aspettano sul set, tocca a te.» Aspettò qualche istante; non sentendo alcun rumore, Annabeth bussò sulla porta della roulotte di Mark Sheppard una seconda volta. «Svegliati, Mark!» urlò sorridendo.
Subito dopo, una ciotola o qualcosa del genere parve cadere sul pavimento del mezzo ed un uomo assonnato e col passo leggero quanto quello di un orso di montagna fece capolino dalla porta. Mark aveva i capelli spettinati e un occhio praticamente chiuso, mentre con l'altro cercava di inquadrare la ragazza della troupe. «Crowley» bofonchiò quasi per capire dove si trovasse.
Annabeth avvertì un leggero brivido lungo la schiena. Cercò di far finta di nulla. «Sì, Crowley. Dai, sbrigati ad uscire di lì.»
Mark sbatté la porta della roulotte con un grugnito e Annabeth lo sentì tossicchiare. In un baleno era pronto: aprì di nuovo la porta e Annabeth poté accompagnarlo esattamante dove lo volevano: sul set con la neonata, la "prima" Amara.
Annabeth, la prima volta che venne a sapere di Amara, si sentì un po' confusa: un universo parallelo avrebbe dovuto seguire più o meno la storia del suo universo, eppure non esisteva nessuna Annabeth se non lei. Il finto Crowley, come lo chiamava lei nella sua mente, non aveva nessuna figlia, nonostante anche qui i Winchester dovessero affrontare l'Oscurità, e non riusciva a capire perché i due universi avessero preso due strade così simili e diverse allo stesso tempo. Probabilmente non avrebbe mai avuto la risposta...
All'improvviso, Jensen, l'attore che interpretava Dean, le cinse le spalle facendola barcollare e le mise davanti un piattino con sopra un paio di tramezzini. «Non dirlo a nessuno» le sussurrò all'orecchio. «So che oggi non hai pranzato pur di star dietro a tutti noi.»
Annabeth prese il piatto di plastica e gli sorrise. Quel ragazzo era davvero incredibile: rubacchiava cibo per Jared – il quale interpretava Sam – e ora anche per lei. «G-grazie, Jensen» disse Annabeth un po' rossa in volto.
«Shh» le sussurrò di nuovo lui. «Non mi devi ringraziare, Ann: sei tu quella che corre per venirci a cercare ogni volta che ci allontaniamo dal set! Ora mangia» disse Jensen, poi si diresse verso Mark, vestito da prete.
Tutta la troupe si mise al lavoro, stando in silenzio per non compromettere la registrazione, mentre Annabeth sgattaiolò fuori, all'aperto, dove nessuno poteva disturbarla. Addentò un tramezzino e si sentì inebriata: la salsa era così gustosa che pensò di non averne mai assaggiata una così buona ed essa accompagnava uno squisito prosciutto cotto non troppo saporito; delle verdurine morbide e ben speziate lo rendevano semplicemente perfetto. Annabeth fece un secondo morso, senza aspettare di aver ingoiato il precedente, e subito le venne in mente il pic nic organizzato dagli Ackles pochi giorni prima. Quei tramezzini avevano lo stesso sapore di quelli che aveva preparato la moglie di Jensen, Danneel. Stupita, Annabeth fissò il tramezzino poi spostò lo sguardo nella direzione in cui in quel momento vi erano la troupe e Jensen stesso. Non ci credo, pensò: mi ha lasciato lo spuntino che gli ha preparato la moglie...


«È il quinto giro che facciamo; se non è qui, mollo tutto e chissenefrega!» esclamò un ragazzotto alto e massiccio. Non grasso, solo un po' imbottito di una massa muscolare da brividi. Portava i capelli lunghi fino alle spalle, senza mostrare agli altri dove portasse la riga poiché indossava un berretto malconcio e liso in vari punti. Due grossi baffi nascondevano le labbra giovani e piene mentre sul naso poggiava il paio di occhiali da sole più normali per un americano: degli splendidi Ray-Ban color cioccolato. Certo non era ben vista una coppia di motociclisti in un bar come quello, abbastanza serio e rispettabile, ma il suo compagno di viaggi era più sobrio e forse un po' più affidabile. Strano per un motociclista che vive la giornata, non trovate?
«Ehi, non è colpa nostra» gli rispose l'altro, sedendosi ad un tavolo. Anche lui portava un paio di occhiali, ma questi erano notevolmente meno appariscenti. I capelli, tenuti all'indietro con del gel che egli sembrava odiare, erano più lucidi della cera d'api e sembrava morire dentro quella giacca di pelle attillata. Anche per lui baffi fantastici, accompagnati però da una barba lasciata crescere ai limiti dell'impossibile che permetteva tuttavia di intravedere un nasino a punta.
«Ehm... Paul, giusto?»
«Sì» gli rispose il barbuto. «E tu sei Bill, giusto?»
L'altro sembrò distratto; guardava le gambe della cameriera con occhi incantati, come se gli si fossero incollati addosso.
«Bill» lo chiamò Paul. «Bill!»
Finalmente Bill si girò. «Sì?»
Paul roteò gli occhi e sospirò. Agli occhi di tutti, lì dentro, sembrava che quei due si conoscessero appena; in realtà, però, si prendevano cura l'un l'altro da una vita intera. Paul sorvolò e si guardò in giro. «Dalla descrizione, non dovrebbe essere difficile trovarla» disse Paul, cercando di sembrare positivo. Gli era molto difficile, tuttavia: lui e Bill avevano già girato altre quattro città, identiche a quella, senza trovare ciò che stavano cercando. Avevano sempre meno ore a disposizione e, poichè la loro fonte non sapeva dire loro in che coordinate precise andare, era come cercare un ago in un pagliaio grande come l'universo.
I due motociclisti, finite le loro birre, tornarono in strada a scrutare i volti delle persone che passavano vicine a loro. Amareggiati e ormai rassegnati, stavano per rimandare la ricerca e andarsi a cercare un posto in cui dormire, quando una ragazza attirò la loro attenzione. Stava comprando una ciambella ad uno di quei carretti che girano per la città. Sorrideva e Bill pensò che stavano facendo una cavolata enorme, ma non avevano altra scelta. Il ragazzone dagli occhiali fighi diede una manata sullo stomaco di Paul ed entrambi si fermarono all'istante.
«Riccia è riccia» disse piano Bill. «Tentar non nuoce... La chiamiamo e vediamo se si gira?» chiese e il compagno di viaggio fece una smorfia buttando in giù gli angoli della bocca e alzando le sopracciglia, il suo solito modo per dire che non era affatto una cattiva idea. Dunque Bill si schiarì la voce e, dopo assersi avvicinato abbastanza, cercò il suo sguardo. «Annabeth?»
La ragazza rimase a fissare i due sconosciuti con due occhi preoccupati e ammutoliti; era rimasta con un boccone mezzo masticato in bocca, ma quasi non se ne accorse. «Chi siete?» chiese con la bocca piena.
In risposta alla sua domanda, Bill si tolse gli occhiali da sole e la guardò con i suoi occhioni incredibilmente verdi, più scintillanti ora che la luce del tramonto li filtrava di lato.
Annabeth spostò lo sguardo sull'altro ragazzo e capì subito. «A-ha, ragazzi, molto divertente» disse sorridendo. «Ma perché non siete nelle vostre roulotte a parlottare tra di voi come due vecchie pettegole?»
Bill lanciò uno sguardo al suo compare; la sua espressione era tutto: era emotivamente a terra. Cosa caspita erano diventati in quella realtà?! «Senti» riprese Bill. «Chiariamoci subito: dimmi che non sono un attore e mi sentirò meglio.»
Annabeth lo guardò spaventata. Forse era uno scherzo... «Jensen, che ti prende?»
«Jensen? J-Jen-? Oh, porca miseria!»
«Ma state scherzando, vero?» chiese Annabeth ora sull'orlo di una crisi isterica.
Paul strinse le labbra e si accigliò. «No, Annabeth, non stiamo affatto scherzando» le disse dolcemente. «Ricordi cos'è successo?»
Panico. «Perché?»
Bill e Paul si chiesero se avessero sbagliato qualcosa e – sì – era proprio così: le erano piombati addosso senza dire prima la cosa più importante di tutte: «Annabeth, siamo Sam e Dean Winchester. Veniamo dal tuo stesso mondo... Tuo padre ha fatto un incantesimo centinaia di anni fa per metterti in salvo in caso di emergenza! Devi tornare con noi!»
«Cosa?» chiese Annabeth fingendo di non ricordare, ma la paura era più che visibile sul suo volto sincero. «Voi due siete pazzi!» esclamò e si lanciò in una marcia spedita appena diede loro le spalle. Sul marciapiede su cui quasi correva, aleggiava una strana nebbiolina fredda oltre che umida che le incollava i pantaloni ai polpacci e le rendevano difficile una vera e propria corsa. Cercava, tuttavia, di porre sempre più distanza tra lei e quei due il più veloce possibile, ma proprio quando pensò di averli finalmente seminati... Se li vide rispuntare davanti!
«Non verrò con voi! Non si discute!» esclamò Annabeth puntando verso di loro la ciambella quasi fosse un'arma. «Perché mai dovrei?»
«Per salvar-» stava per dire Sam, ma Annabeth lo interruppe.
«Salvare il mondo, sì, certo» tagliò corto la ragazza, senza assolutamente credere alle sue parole. «Vi pare roba da poco? E a quel prezzo, poi?» chiese un po' alterata. «Sapete? In questi tre mesi e mezzo ho avuto modo di studiarvi, ragazzi. Oltre che a capire di essermi persa un bel po' di storia in tutti questi secoli, ho guardato tutte le puntate della serie e ho capito molte cose, ma la più importante è che fareste di tutto per salvarvi le chiappe. Pensate che, facendo così, salverete il mondo, ma la verità è che non riuscite ad arrendervi, come tutti gli umani! L'Oscurità sta per annientare il mondo? Mettiamo una ragazza a scegliere tra la sua nuova vita e la morte! Be', io dico passo! Non ci sto! E poi, scusate, ma che accidenti avete fatto per tutto questo tempo?»
«Ti abbiamo cercata ovunque, Annabeth! Esistono circa un trilione di realtà alternative e parallele, senza contare le stesse viste come passato e futuro! Era impossibile trovarti al primo tentativo!» esclamò Sam.
«E quello che abbiamo visto ti sembrerà impossibile» continuò Dean spalancando gli occhi, parecchio agitato. «Prima siamo capitati di nuovo su Terra2, poi scopro che sono ancora all'Inferno e mio fratello è un cacciatore senza scrupoli, poi ancora vengo a sapere che Cas... no, Misha... Misha ha una famiglia fantastica come le nostre, esiste qualcosa chiamato Cockles e siamo finiti in una serie di fanfiction da far venire i brividi, subito dopo scopriamo che sono un modello, Jared fa volontariato in ospedale e Misha ha un programma di cucina per bambini e lo conduce insieme al figlio di nome West... West! Quindi non credo ci sia tempo per spiegare: seguici!» La prese poi per la manica del maglioncino e la trascinò, ma lei si divincolava, per nulla d'accordo con i due fratelli. Finalmente pensò a qualcosa di più utile del divincolarsi dalla stretta di un ragazzone forzuto e gli morse la mano.
Dean esclamò dal dolore e si massaggiò la mano. Sentiva il segno dei denti della ragazza sul dito, ma non la perse di vista. Be', a dire il vero non c'era nulla da perdere di vista: Annabeth era ad una distanza di sicurezza – la gente passava indisturbata tra lui e suo fratello e la ragazza – ma era rimasta di fronte a loro. «Posso capire che voi vogliate salvare il mondo un'altra volta, ma... Esiste solo una via d'uscita, da questo problema che, a dirla tutta, avete scatenato proprio voi e mio padre...»
I Winchester sapevano a cosa la ragazza si riferisse e si sentirono in colpa per averla trovata. Castiel aveva preannunciato loro che se quella volta non l'avessero trovata, sarebbe stato meglio mollare tutto e lasciare che accadesse l'inevitabile. L'Oscurità avrebbe vinto, portando più morte e devastazione dell'Apocalisse di Lucifero. Era una fine ingiusta, ma questa volta non avrebbero potuto fare altro che stare a guardare. Avrebbero potuto lasciare Annabeth esattamente lì dov'era, tornare indietro, raccontare una frottola... Stare al fianco di Castiel, come lui aveva sempre fatto con loro due. Annabeth avrebbe avuto una vita tranquilla, finalmente. Era una possibilità da prendere in considerazione.
«Perché prima hai parlato di una nuova vita?» chiese Dean all'improvviso.
Annabeth rimase in silenzio qualche istante, il vento frizzantino del tramonto le spettinava qualche riccio ribelle, ma a lei non importava. «Qui ho una seconda possibilità, Dean. Sono umana! Lavoro con le vostre versioni alternative e l'attore che interpreta il ruolo di mio padre è così simpatico e dolce, Dean... Non ce la faccio ad abbandonare questa vita in cambio del nulla! Dall'altra parte non mi attende che la morte, in qualsiasi caso.»
«Ma, Annab-»
Dean frenò il fratello ponendogli una mano sul petto. Guardava in basso, pensieroso. «Capiamo perfettamente, so cosa vuoi dire, Annabeth» disse ricordando il giorno in cui Zaccaria lo aveva praticamente illuso di avere una vita normale, senza caccia nè disperazione nè morti atroci. Il viso felice di sua madre era ancora un ricordo ben stampato nella sua mente e gli fu così semplice capire il tormento e il desiderio di Annabeth. «Ti auguro il meglio, Ann» le disse «Ma se per caso dovessi cambiare idea, credo tu sappia dove trovarci» proseguì, poi prese suo fratello per le spalle e lo portò via, lontano.
Annabeth sostò su quel marciapiede per dei minuti che le sembrarono infinti. Agli occhi della gente che passava di lì poteva sembrare che aspettasse qualcuno, in realtà cercava solo di ragionare bene su quello che doveva fare. Dean l'aveva chiamata Ann, proprio come la chiamava Jensen. Le si strinse il cuore, sentiva già il rimorso invadere le sue viscere, aveva paura di quello che sarebbe accaduto al suo modo, ma non voleva lasciare quella vita! Voleva così bene a tutti e tutti sembravano volerle bene! Mark poteva sembrare scorbutico e "britannicamente freddo", ma era tutt'altro. Almeno lì, era un uomo buono...
Fu in quel momento che Annabeth decise di dire addio ai Winchester.


«E... Azione!»
Le riprese notturne. Era da un po' che non si facevano, su quel set. Vancouver era sprofondata nel suo solito silenzioso sonno, ma la tropue lavorava sodo, non solo per loro stessi, ma anche per i fan.
Come tutti, anche Annabeth si dava da fare. Appena tornata al lavoro, Mark le disse che Jared si era preso una pausa, ma non rispondeva al cellulare e lui aveva assolutamente bisogno di provare con Jared alcune battute. Anche se stanca e assonnata, Annabeth andò alla ricerca dell'attore. Non le ci volle molto per trovarlo: era vicino alla mensa e ad un primo momento la ragazza pensò che Jared avesse fame.
«Ehi, Jared» esclamò radiosa. «Vaghi alla ricerca di cibo?»
Lui si voltò. Aveva un'espressione un po' triste, in viso, ma felice al tempo stesso e Annabeth capì che la fame non c'entrava proprio nulla.
«Ehi, cos'è successo?» chiese preoccupata.
«Ho sentito la mia famiglia» sospirò Jared.
«E?»
«Mi mancano» rispose con un sorriso forzato.
Annabeth non lo conosceva di certo bene quanto gli altri, ma vederlo così... Vedere un gigante di ragazzo ridotto in quello stato la fece sentire davvero inutile. «Devi pensare alla felicità che proverai quando tornerai a casa, Jared! È un buon motivo per continuare a lottare» le uscì. Nemmeno lei sapeva perché aveva detto quelle esatte parole, non le sentiva vicine e per un istante pensò di aver peggiorato le cose, eppure era riuscita a fare centro e lo poté constatare dal sorriso che Jared le regalò. Era un sorriso così semplice e grande che rimase a fissarlo incredula dell'effetto ottenuto. «Ah, un'altra cosa» riprese Annabeth. «Mio padre vorrebbe parlare con te di lavoro, ti aspetta sul set» disse con un sorriso.
Lui, tuttavia, la guardò confuso. Si era accorto di qualcosa che a lei era passata come normalità: «Tuo padre?»
Annabeth rimase di ghiaccio. Sentì il suo stesso sangue congelarsi nelle vene e le si rizzarono i capelli sulla nuca. «No, cioè, volevo dire...» balbettò mentre Jared sogghignava divertito.
«Mark, sì, lo so» le rispose. «Ti sei confusa per la somiglianza» rise.
«Eh, già... Scusa» gli disse, anch'essa sorridendo per non destar sospetto. Dov'eva stare più che attenta o la sua storia del padre sosia di Mark Sheppard sarebbe crollata da un momento all'altro. E se poi un giorno Jared o gli altri le avessero chiesto di vedere una loro foto? O peggio: e se le avessero chiesto di conoscerlo? Solo a pensarci, le veniva l'ansia. E proprio in quell'attimo Annabeth comprese che c'era solo una cosa da fare.


«E ora?»
Dean posò sul tavolino della loro camera il cappello e la parrucca. «Innanzitutto, diremo a Cas che non l'abbiamo trovata, semplice!»
Sam sospirò rumorosamente. «Non lo so, Dean. Non so nemmeno perché hai lasciato lì Annabeth e mi hai portato via quando sai benissimo che lei è la nostra unica speranza...»
«Ma hai sentito le sue parole?!» esclamò suo fratello abbandonando bruscamente gli occhiali da sole sul tavolino. «Castiel ha detto che ha vissuto nell'ombra per secoli, si è dovuta nascondere perché non accettava la sua natura, non sapeva gestire i suoi poteri e ha mantenuto lo stesso stile di vita anche dopo che ha capito cosa aveva ereditato da papino e mammina! E ora che finalmente ha una vita normale, da umana, in cui può stare accanto al finto Crowley senza rischiare la vita... Noi la reclutiamo come kamikaze? Credimi, Sam, quando ti dico che nemmeno tu lo vorresti.»
Sam ascoltò attentamente le parole di Dean. Aveva ragione. Come poco prima al fratello, anche a lui venne in mente il trucchetto bastardo di Zaccaria e capì che non potevano costringerla a compiere un atto del genere; era da matti anche solo pensarlo!
«Quanto tempo rimane?» chiese Dean all'improvviso.
Sam diede uno sguardo sbrigativo all'orologio con il conto alla rovescia. «Ventisette minuti scarsi» rispose e si buttò sul letto. «Abbiamo il tempo per riposarci un po', direi.»
E così entrambi si sdraiarono, aspettando che Castiel li riportasse indietro, ma Dean, che teneva l'orecchio sempre ben teso e la guardia mai abbassata, avvertì una presenza fuori dalla porta del motel. «Sam» sussurrò e gli indicò la porta della camera; prese la sua pistola e si alzò dal letto senza emettere alcun rumore. Sam, invece, rimase seduto ma sempre all'erta, anche lui armato. Il maggiore afferrò la maniglia della porta e, dopo aver contato fino a tre, l'aprì con sua grande sorpresa. «Annabeth!»
«Primo motel sull'elenco telefonico» disse lei.
«Ah!» esclamò Dean mettendo via la pistola mentre Sam faceva lo stesso. «La ragazza ha studiato!»
Annabeth sorrise, una smorfia triste e impaurita.
Senza molti complimenti, Sam andò dritto al punto: «Come mai sei qui? Hai cambiato idea?»
Lei si diresse verso la sedia sotto al tavolino. Si sedette, dando le spalle al tavolo stesso per guardare in faccia i due fratelli. Sentì Dean chiudere la porta; era sempre più lontana dalla sua nuova famiglia e questo la faceva sentire minuscola e indifesa. «Sì, ho cambiato idea» sussurrò. «Posso provare in mille modi a stare vicino a Mark, lavorando per e con lui, aiutarlo, facendomi assumere come babysitter... Ma non sarà mai lo stesso come avere il proprio padre affianco...» Annabeth tentò di scacciare una lacrima, ma quella non ne volle sapere di starsene nel suo occhio e fulminea attraversò la sua guancia, bagnandole la maglia. «Non potrò mai chiamarlo papà» confessò ora totalmente distrutta e, mentre l'orologio andava avanti inesorabile, Annabeth capì che ormai aveva deciso.


«Mark! Mark! Mark!» Sarah strillava ed incuteva terrore coi suoi capelli scompigliati, il viso che sembrava in fiamme e gli occhi quasi fuori dalle orbite per lo sforzo. Il figlio Max da una parte ed il marito dall'altra cercavano di calmarla, tenendole le mani.
«Un'ultima spinta, Sarah!» esclamò l'ostetrica. «La bimba sta per uscire!»
«Ti giuro, Mark, che questa è l'ultima Sheppard che mi darà filo da torcere!» gridò al marito e lui rise lasciando cadere una lacrima nervosa e felice allo stesso tempo. Sarah spinse ancora, ancora, ancora e quella piccola peste, finalmente, si decise ad uscire. Un colpetto leggero dall'ostetrica e Sarah la sentì, più che piangere, miagolare. Poi gliela misero in braccio subito dopo che Mark ebbe tagliato il cordone che le rendeva ancora una cosa sola.
Sette mesi prima stavano già pensando al nome. Sembrava che nessuno di questi le potesse stare bene. I loro due figli li aiutarono, ma nessuno era convinto dei nomi che ognuno di loro proponeva ogni giorno. Finché Mark, lì in sala parto, non ricordò una persona: era scomparsa all'improvviso, senza lasciare tracce... Solo una cosa aveva lasciato: un biglietto sulla porta della roulotte di Mark con scritto Remember me. Ma la polizia non era ancora riuscita a trovarla. Sembrava brancolare nel buio...
Mark tornò al fianco della moglie e guardò la bambina. Teneva i pugnetti serrati, forti. Gli occhietti sereni e chiusi la facevano sembrare una principessa. Era incredibile che quella fosse proprio sua figlia; a Mark sembrò di innamorarsi una seconda volta.
Accarezzando un braccino della bimba, Mark prese fiato. «Ehi, Sarah?»
«Sì?» chiese lei felice.
«Che ne dici di chiamarla Annabeth?»
A Sarah scese una lacrima. Sapeva quanto Mark tenesse a quella ragazza, quanto le volesse bene e la sua scomparsa aveva sconvolto tutti, suo marito in particolar modo, poiché lui la considerava come una figlia. Guardò di nuovo il fagottino che teneva in braccio e sorrise. «È perfetto, Mark. Benvenuta al mondo, Annabeth Sheppard!»

   
 
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