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Autore: Amantide    05/12/2015    8 recensioni
Una FF in cui vedremo i sette semidei nella loro quotidianità alle prese con una convivenza forzata e un satiro dal carattere difficile. Vi siete mai immaginati Jason ai fornelli o Percy versione lavapiatti? Beh, io ci ho provato e il risultato è piuttosto divertente. Ovviamente non mancheranno i colpi di scena, gli imprevisti e le storie d'amore.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I sette della Profezia, Jason/Piper, Percy/Annabeth
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo dell'autrice: Ok, ce l'ho fatta... ecco il capitolo tanto atteso. Sì, è proprio quello che stavate tutti aspettando. Avevo ben chiaro questo aspetto della storia fin dall'inizio, ma ovviamente non poteva essere spiegato prima. Spero che capiate e che apprezziate l'idea. Come sempre avrete la possibilità di farmelo sapere tramite commento/recensione, che ovviamente non vedo l'ora di leggere. Ora vi lascio leggere in santa pace... anche perchè devo andare a lavoro e sono in ritardo ma non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo! A prestissimo. Mi raccomando commentate eh! Un grosso abbraccio a tutti voi e grazie molte a chi ha commentato i capitoli precedenti!
 






Azione e reazione


 
 
Annabeth e Percy stavano camminando nel Tartaro almeno da un’ora; lei procedeva a passo abbastanza spedito nonostante la caviglia malridotta, mentre Percy la seguiva poco distante, le braccia conserte e l’espressione corrucciata.
“Dove stiamo andando?” si decise a dire dopo l’ennesimo minuto di silenzio. Lei si limitò a voltarsi per lanciargli un’occhiataccia ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Continuò a camminare imperterrita e fu solo quando sentì Percy sbuffare che tornò a voltarsi e si decise a parlare.
“Non è standocene fermi che usciremo da questa situazione” si limitò a dire.
“Grazie per questa esauriente spiegazione!” commentò Percy con una risata di scherno.
“Ok, hai un’idea migliore? Tirala fuori allora!”
Percy scrollò le spalle, non voleva litigare, non in quel momento, non nel Tartaro, ma sentiva una rabbia implacabile emergere pian piano. E poi accadde.
“Quando ti deciderai a dirmelo?” sibilò serrando i pugni come se quel gesto potesse aiutarlo a contenere la rabbia.
Quelle parole sembrarono trafiggere Annabeth come frecce incandescenti perché la ragazza s’immobilizzò, sussultò per un momento e poi si decise a voltarsi.
“Non so di che parli” disse con sguardo impenetrabile.
“Per tutti gli dei! Parlo di quello che mi stai nascondendo, parlo del fatto che ho scoperto che sei incinta perché ho trovato un test di gravidanza quando avrei voluto saperlo da te! Speravo me lo dicessi ora che siamo in questo casino e non so nemmeno se ne usciremo, ma tu continui a far finta di niente!”
“Hai frugato tra le mie cose?” Sbraitò lei furiosa.
“Non ho frugato! L’ho trovato per caso! Ma sì, l’ho trovato dove l’avevi nascosto, perché è questo quello che hai fatto, me l’hai tenuto nascosto… e io non ci posso ancora credere.” Disse con una nota di rammarico nella voce.
“Non avevo alternative!”
“Certo” sbraitò Percy sbracciandosi, “mi sono solo gettato nel Tartaro per te… perché mai dovresti essere sincera nei miei confronti?”
“Non ti ho chiesto io di condividere questo destino!” Sibilò Annabeth.
“No, hai ragione, non me l’hai chiesto, è una decisione che ho preso da solo, e che riprenderei altre mille volte perché ti amo. Ti amo e non riesco nemmeno ad immaginare cosa potrebbe voler dire essere in superficie sapendoti nel Tartaro!” Finì quella frase e si fermò di colpo per riprendere fiato, sputare fuori la verità così tutta di colpo lo aveva stremato. Annabeth lo osservava poco distante, ammutolita, si sarebbe aspettata di tutto da Percy, ma non una dichiarazione d’amore nelle profondità del Tartaro. Si sforzò di trattenere le lacrime, non poteva permettersi di cedere, ma lo sguardo triste di Percy la uccise e lei non riuscì più a sostenere il peso della corazza che indossava da troppo tempo. Quella corazza era stata la sua unica arma di difesa, ma adesso la sentiva sgretolarsi pezzo a pezzo, come se le parole di Percy ne avessero annullato il potere. Era nuda, non c’era più nulla a frapporsi tra loro. Annabeth ne prese coscienza e poco a poco si accasciò a terra sotto il peso di quella verità.
“Annabeth” sussurrò Percy preoccupato vedendola piegarsi. “Scusa” le sussurrò all’orecchio mentre si chinava per sostenerla, “ho sbagliato momento, non avrei dovuto arrabbiarmi, non qui.” Annabeth sollevò il capo e i suoi occhi colmi di lacrime si piantarono in quelli di Percy, si strinse a lui e nascose il viso nel suo petto. Percy sentì quello che restava della sua maglietta inumidirsi mentre Annabeth singhiozzava senza sosta.
“Annabeth, lo so che sei spaventata, non c’è nulla che stia andando per il verso giusto ultimamente quindi capisco che tu abbai avuto paura di dirmelo...” costrinse Annabeth a sollevare il capo per guardarla negli occhi, “ma io sono felice di questa cosa… non sarò il migliore tra i padri ma penso di non poter fare peggio del mio…”
“Ti prego stai zitto!” Guaì Annabeth mettendogli una mano sulla bocca. Percy si accigliò, stupito da quella reazione.
“Annabeth, dico sul serio, sono contento di questo bam…”
“No!” Esclamò lei scattando in piedi. “Non dire altro.” E così dicendo riprese a camminare senza riuscire ad interrompere il flusso di lacrime.
“Ma…” gemette Percy, allibito. “Annabeth” la chiamò senza saper più cos’altro dire.
“Stai solo peggiorando le cose!” Gli urlò dietro lei. Era rossa in volto e non riusciva a smettere di singhiozzare.
Percy era confuso. Come poteva aver peggiorato le cose dimostrandole il suo supporto e confessandole di essere felice. Fortunatamente in quel momento Annabeth ritrovò un barlume di lucidità e si decise a fare chiarezza.
“Ok” disse sollevando entrambe le mani mentre prendeva fiato. “Devo spiegarti tutto dall’inizio.”
“Te ne sarei molto grato…”
Annabeth sospirò, sembrava che non sapesse da che parte incominciare. “Quello che è successo… non è colpa tua.”
Percy s’irrigidì, la salivazione completamente azzerata.
Annabeth sembrò cogliere il suo disagio perché si affrettò a precisare: “Cioè, dal punto di vista biologico ovviamente è colpa tua… ma qualcuno ha interferito.”
Percy sgranò gli occhi, era più confuso di prima.
“È da quando siamo partiti con la Argo II che faccio dei sogni strani… anzi, ormai sono sempre più convinta che non fossero sogni.”
“Che tipo di sogni?”
“Era, sempre lei, sai che non le sono mai andata a genio…”
“Continuo a non capire” ammise Percy che cominciava a sentirsi un po’ stupido.
“Percy! Era è la dea…”
“Del matrimonio.” Concluse Percy.
“E della fertilità!” sottolineò Annabeth.
“Mi stai dicendo che Era ha accentuato le tue possibilità di concepire? E perché mai avrebbe dovuto farlo?”
Annabeth si passò entrambe le mani sul viso, perché doveva essere tutto così difficile?
“Percy, ragiona!”
Percy lasciò vagare un attimo lo sguardo grattandosi il capo, poi tornò a fissare Annabeth. Perché davanti a lei doveva sentirsi sempre così stupido?
“Era ti odia, questa è l’unica cosa che so… ma non trovo il nesso con questa faccenda.”
“Percy!” Esclamò lei. “Io sono una figlia di Atena” gli suggerì come se quell’affermazione fosse la soluzione dell’enigma.
“Non ti seguo” ammise in preda allo sconforto.
“Ok, ti ricordi com’è nata Atena?”
“Certo” disse lui come se fosse ovvio, “dalla testa di Zeus.”
“Bene… e ti ricordi quando mi hai chiesto come sono nata io?”
“Sì… devo anche aver detto qualcosa di stupido riguardo al tuo ombelico.” Ricordò Percy lasciandosi sfuggire un sorriso.
“Sì, me lo ricordo.” Tagliò corto Annabeth. “Ma adesso capisci?”
“No” sospirò Percy.
“Percy, i figli di Atena hanno una devozione innata per lo studio e la conoscenza… mettiamo il sapere davanti a tutto, anche davanti ai sentimenti, ed è per questa ragione che non siamo fatti per riprodurci.”
“Mi stai dicendo che…” sussurrò Percy mentre un’idea orribile si faceva strada nella sua mente.
“Io non sono fatta per avere figli… non sono anatomicamente fatta per avere figli… è una cosa che tutti i figli di Atena sanno da sempre, ma di cui parliamo di rado, anche perché per noi non è facile arrivare ad un’età in cui si pensa seriamente di averne. I semidei muoiono giovani, lo sai.”
Percy sentì un brivido percorrergli la schiena, lo sapeva, eccome se lo sapeva, ormai aveva perso il conto dei mezzosangue che aveva conosciuto e a cui aveva dovuto dire addio, Bianca, la sorella di Nico, era solo uno dei nomi su quella lunghissima lista.
“Ma quindi…”
“Era non mi ha fatto un favore a farmi concepire… sta cercando di uccidermi! Speravo di trovare una soluzione prima di dovertelo dire… ma guarda dove siamo! Non ci sono soluzioni, Percy, non nel Tartaro!” La sua voce era spezzata e Percy notò più di una volta che si sforzava di non incrociare il suo sguardo. Annabeth detestava mostrarsi fragile e vulnerabile. In quel momento sentì le gambe molli, come se potessero cedere sotto il suo peso da un momento all’altro. Si sentiva morire, e non era convinto che si trattasse solo dell’influenza negativa che il Tartaro stava esercitando su di loro. Fece per dire qualcosa ma le parole gli morirono in gola, in compenso, una lacrima sgorgò dal suo occhio sinistro e gli scivolò lungo la guancia.
“Percy” sussurrò lei seguendo il percorso della sua lacrima e piangendo a sua volta, “è importante che tu sappia che non porterò a termine questa gravidanza.”
“Che cosa dobbiamo fare adesso?” balbettò lui cercando di mascherare al meglio il tremore della voce.
“Non lo so” ammise lei con un sospiro, “ma so cosa non dobbiamo fare, non dobbiamo affezionarci a questo bambino… quindi ti prego, non fare cose tipo accarezzarmi la pancia o parlargli… sarebbe solo peggio.”
Percy annuì. In quell’esatto momento un suono agghiacciante riecheggiò nella vastità del Tartaro facendoli voltare di scatto.
 
Se nelle profondità del Tartaro la situazione era critica, a bordo della Argo II gli altri semidei non se la passavano di certo meglio. Frank si era risvegliato in infermeria con un bozzo in testa. Per sua sfortuna la botta non gli aveva fatto perdere la memoria, quindi ricordava perfettamente la frase che aveva sentito dire a Leo. Si alzò dalla brandina su cui si era risvegliato ed ebbe uno svarione così forte che per poco non crollò a terra. Mantenendosi la testa con le mani raggiunse la porta e fece per aprirla, constatando con tristezza che era chiusa a chiave. Era chiuso dentro. I suoi amici lo avevano imprigionato.
Tirò un pugno alla porta urlando il nome di Jason a pieni polmoni.
Sul ponte subito sopra il figlio di Giove sobbalzò per lo spavento.
“Credo che Frank si sia appena svegliato” disse Hedge fissando Jason.
Il ragazzo si alzò e scese le scale diretto al ponte più basso pensando a come affrontare la situazione.
“Frank” esordì con voce ferma fissando la porta davanti a lui ancora chiusa a chiave.
“Fammi uscire!” Sbraitò il figlio di Marte con un tono che non suonava per niente amichevole.
“Prima di farti uscire devo essere sicuro che tu non sia una minaccia” spiegò Jason appoggiandosi alla porta con entrambi i gomiti. “Prima, mentre Hedge ti portava in cabina, lo hai scaraventato a terra, eri fuori controllo, per fortuna Piper ti ha messo KO con una padella.”
“Fantastico!” Esclamò Frank sarcastico, “appena la vedo ricordami di ringraziarla.”
“Ti ho dovuto chiudere qui dentro perché è l’unica stanza che si chiude da fuori e non dall’interno.”
“Jason, fammi uscire! Non puoi tenermi chiuso qui per sempre!”
“Ha ragione” intervenne una voce prima che Jason potesse ribattere. Era Hazel. Jason la squadrò per un istante, poi le fece segno di andarsene sperando che Frank non avesse sentito la sua voce.
“No” disse lei con convinzione, “non me ne andrò Jason. Non posso far finta di non sapere che tutto quello che sta succedendo è colpa mia.”
Jason scrollò le spalle, adesso che Hazel si era fatta più vicina era impensabile che Frank non l’avesse sentita.
“Hazel” mormorò da dietro la porta. Il suo tono era diverso: calmo, pacato, quasi comprensivo.
“Lasciami entrare” disse Hazel rivolta a Jason, “sono l’unica che può farlo ragionare.” Era vero, il potere che Hazel esercitava su Frank era unico, forse quello era il solo modo di ristabilire l’ordine; dopotutto Piper non avrebbe potuto continuare a calmarlo usando la lingua ammaliatrice. Per il bene della loro missione era fondamentale che l’ordine a bordo venisse ristabilito il prima possibile.
Annuendo in silenzio, Jason fece scattare il chiavistello e aprì lentamente la porta.
  
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