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Autore: Brooke Davis24    05/12/2015    6 recensioni
Emma Swan e Killian Jones. I ruoli sono invertiti, gli animi diversi. Emma è il capitano della nave pirata più temuta che abbia mai toccato le coste di Thrain, la città in cui Killian è tenente al servizio della Corona, ed Emma ha una missione da compiere, una missione che si porrà in netto contrasto con quella di Killian. E se fosse difficile essere nemici ma non potessero essere altro? E se i sentieri di Emma Swan e Killian Jones si fossero incontrati nella vita sbagliata? E se, invece, non ci fossero tempo, luogo, motivo più esatto?
Genere: Angst, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questo capitolo lo dedico alla mia Silvia White. Spero che possa costituire il tuo porto sicuro, in questo momento. <3
A voialtri, miei prodi marinai, dico di mettervi seduti per bene e godervi il viaggio. Ad un certo punto, troverete un link che vi porterà ad una canzone:
vi consiglio sinceramente di ascoltarlo per la restante parte del capitolo e fino alla fine. 

Capitolo XIX
Il canto della balena
 
Emma ricordava. Era accaduto la notte del loro arrivo a Telos, alla luce aranciata del fuoco nell’Ufficio Strategie, che le memorie dell’accaduto l’avevano investita con un’irruenza tanto molesta quanto inattesa e senza darle opportunità di fuga. Come per magia, lo scrigno dei ricordi le aveva restituito ciò che credeva di aver perduto irrimediabilmente e con un’abbondanza di dettagli da averle impedito completamente il sonno fino alle prime luci dell’alba, quando era crollata per un paio d’ore su una scomoda panca in legno. Finalmente sapeva chi fosse la giovane la cui uccisione aveva scatenato le ire di un uomo potente come Richard Anthony Lively; finalmente ricordava i particolari di quel fatidico giorno; finalmente aveva coscienza delle sue colpe. Ma una parte di lei rimpianse di aver recuperato ciascuna sfumatura di quella consapevolezza. Nella sua mente, l’immagine del volto della ragazza e dei suoi ultimi istanti era divenuta nitida al punto da far male e la dolenzia latente che era seguita a quel recupero era ancora in grado di sfiancarla nella sua imperterrita costanza. Come se il pensiero di Henry non fosse abbastanza!
 
Le cose non erano andate esattamente come tutti pensavano, ma, a quel punto, Emma sapeva che poco importava quanto sottile fosse la linea tra realtà e finzione e da che parte di essa ella dovesse essere collocata in verità.  Erano trascorsi troppi anni, periodi di ineliminabile dolore e sensi di colpa, e ognuno di quegli istanti aveva invelenito il cuore dell’uomo come era accaduto per quello di Emma, al punto da rendere puerile la speranza che le parole potessero bastare per porre fine al loro dissidio. L’unico modo in cui si sarebbe conclusa quella faida era uno spargimento di sangue e il capitano della Nostos lo sapeva con una certezza scevra da rimorsi o titubanze. Le vicende che avevano reciso la fragile esistenza della piccola Lively, infatti, erano la dimostrazione di quanto poco affidamento gli uomini potessero fare sul destino, poiché era una forza arbitraria e volubile che, per natura, mancava di regolarità. Era, sì, vero che la responsabilità dei fatti dovesse essere imputata agli uomini della Nostos ed era, sì, altrettanto vero che il colpo finale l’avesse inferto la mano di Emma, ma, ad onor del vero, quella storia si colorava di sfumature sì variegate che avrebbero potuto scagionare - se non il gruppo di pirati - quantomeno il loro capitano. E quest’ultimo rimembrava che il susseguirsi degli eventi fosse stato inarrestabile, non meno che funesto.
 
Recatasi presso il molo in uno stupido moto di curiosità e innocenza, la giovane Lively era stata travolta da un cavallo in corsa che un manipolo di pirati della Nostos aveva atterrito al punto da causarne la fuga impazzita. Nessuno era riuscito ad intervenire in tempo per evitare che la ragazza fosse travolta e calpestata dalle possenti zampe dell’animale, nessuno aveva potuto fare alcunché per tamponare i danni. Per un arco di tempo che era parso durare un’infinità, non vi era stata anima viva che avesse avuto il coraggio di raggiungere il corpo inerme sulle assi del molo. Infine, Emma si era fatta avanti. Il suo cuore aveva mancato un battito, quando aveva posato lo sguardo su un volto di una bellezza così eterea da risultare irreale: ricordava distintamente il senso di inappropriatezza che aveva provato al suo cospetto, come se i peccati di cui si era macchiata non potessero sfuggire agli occhi di quella creatura angelicata, come se non meritasse di bruttarne la purezza. L’attenzione della ragazza si era spostata su di lei con gentilezza e un rivolo di sangue le aveva lasciato la bocca, il respiro affannato di chi sta per lasciare il mondo in una corsa tutta dell’anima. Emma aveva lentamente estratto il pugnale dalla cintola.
 
“Vivi sul mare?” le aveva chiesto la ragazza con voce mezzo soffocata ma col sorriso sulle labbra e il pirata aveva annuito. “Anch’io vorrei vivere sul mare. Mi rende felice!” A quel punto, il corpo aveva cominciato a tremare, scosso da spasmi via via più intensi, ed Emma l’aveva vista accigliarsi, quasi non capisse per quale ragione avesse perso il controllo del suo corpo. Solo quando i suoi occhi si erano posati sulla lama che il capitano della Nostos avea tra le mani, la paura l’aveva sopraffatta. “Mi ucciderai?” le aveva domandato in preda al terrore, ma Emma le aveva preso le mani e sorriso dolcemente, più di quanto non avesse mai fatto in vita sua con qualcuno che non fosse Henry. “No, sta’ tranquilla. Sei stata investita da un cavallo e ho bisogno di aprirti le vesti per assicurarmi che tu non sia ferita,” l’aveva rassicurata, materna, benché la differenza d’età tra loro fosse stata relativamente esigua. La giovane Lively, che nulla sapea dei meccanismi che muovevano il mondo, era parsa tranquillizzarsi. “Ah, allora devi essere un dottore! Ti spiace fare in fretta? Comincio ad avere freddo,” e aveva chiuso gli occhi. Era occorsa una manciata di secondi perché tutto finisse: Emma aveva calato la lama sul cuore della ragazza e, con un verso a metà tra lo stupore e il sollievo, ella se n’era andata.
 
Il capitano della Nostos si era chiesto a lungo, la notte in cui i ricordi le erano tornati alla memoria, come avesse potuto riporre nel dimenticatoio una vicenda simile, poiché aveva accompagnato lei e i suoi uomini con la medesima pacata insistenza con cui la nebbia mattutina soleva poggiarsi sul mare. Mai, in tutta la sua vita, le era accaduto di vedere qualcuno morire in un simile stato di pace e semi incoscienza, col volto sereno e la beatitudine nello sguardo, e mai più le sarebbe capitato. E, ogni volta che si trovava al cospetto di un moribondo per il quale provava compassione – come il mozzo che era stata costretta a finire a seguito della tempesta, diversi mesi prima -, pregava che lo avvolgesse quello stesso sentimento di inconsapevolezza, affinché non ci fosse spazio per il terrore e il gelo che arrivavano con la morte. A volte, aveva l’impressione di implorare proprio quella ragazza - della quale per molto tempo non aveva saputo nulla e che non era stata in grado di riconnettere al rapimento di Henry - , perché donasse a uomini e donne morenti la stessa pace che era stata concessa a lei.
 
Non l’aveva uccisa per cattiveria, bensì per pietà e, se una colpa poteva esserle attribuita, era quella di non aver saputo tenere a freno l’indisciplinatezza dei suoi uomini. E, tuttavia, col senno di poi, pur nella consapevolezza che vi fossero tutte le attenuanti del caso, Emma aveva realizzato che agli occhi di un genitore ci fosse un solo colpevole e, in quella circostanza, il colpevole era lei.
 
Percorrendo con passo lento ma deciso uno dei tanti corridoi che l’avrebbero condotta a destinazione, Emma si sentì padrona di sé e del suo destino come si era aspettata che accadesse: sapeva che, in prossimità dell’azione, il suo spirito e tutto il suo corpo venivano affetti da uno stato di torpore che impediva loro di provare qualsivoglia sentimento. Riusciva a visualizzare solo ed esclusivamente l’obiettivo, conscia che qualunque cosa si fosse messa in mezzo sarebbe stata eliminata senza margine di ripensamento. Era con quella stessa freddezza che aveva raggirato il tenente Jones, costringendolo a fare la guardia oltre la porta di una delle tante stanze con la scusa di dover recuperare qualcosa. Era con quella stessa freddezza che, invece, aveva sfilato l’abito da domestica per tornare ad vestire i panni da pirata e svignarsela dalla porta che collegava la camera a quella adiacente.
 
Non provava alcun rimorso per averlo ingannato, né sentiva di dovergli qualcosa. Era stato utile a suo modo, sì, ma questo non implicava che si fidasse di lui al punto da dimenticare chi fosse davvero Killian Jones. Checché ne potesse dire e per quanto evidenti fossero i cambiamenti che gli ultimi due anni avevano lasciato su di lui, Emma poteva scorgere in quegli occhi il fuoco della giustizia in cui egli così ardentemente credeva, lo stesso che avrebbe potuto esserle d’intralcio per rispettare un codice al quale ella non sentiva di appartenere. Perché quella non era la sua giustizia, la versione dell’ideale in cui, a modo suo, le era capitato di credere.
 
Se c’era una cosa che quell’esperienza le aveva fornito, era la forma mentis che le aveva assicurato il successo in ognuna delle imprese che aveva intrapreso.
Nella sua versione della giustizia, non c’era spazio per la pietà o i tentennamenti, men che meno per la redenzione. Emma voleva salvare suo figlio, non essere salvata. E, se per raggiungere quell’obiettivo le fosse toccato di ardere tra le fiamme dell’inferno, il demonio avrebbe dovuto rassegnarsi all’idea di avere tra i suoi servitori un’anima che avrebbe richiesto al fuoco di bruciare più forte e alle lingue di lava di allungarsi con maggiore prepotenza verso l’alto, allora. Nella sua versione di giustizia, il primo passo per la corretta esecuzione di quel piano consisteva nel tagliare la gola a Richard Anthony Lively nella comodità del suo letto e attendere finché non l’avesse visto farsi cinereo e spirare. E di quell’immagine si sarebbe nutrita fino a saziare il suo proposito di vendetta e ad appagarlo come da anni bramava di fare.
 
Attraversò spedita i corridoi che l’avrebbero condotta a destinazione e neppure una volta si guardò indietro o temette di essere scorta da qualcuno. Era al piano inferiore che si muoveva la servitù nel disperato tentativo di eliminare le tracce del passaggio degli invitati e, se alcuni di essi ancora si attardavano, era nel giardino che tenevano le loro conversazioni. Inoltre, il capitano della Nostos aveva appositamente scelto il percorso interinale, quello che meno dava nell’occhio poiché passava per un sentiero di porte, stanze e cunicoli assai discreti, e sapeva che le probabilità che qualcuno si imbattesse in lei mentre attraversava quell’ala del palazzo quieta e avvolta nella semioscurità fossero infinitamente basse. Emma, tuttavia, conosceva la sua nemesi, il Destino, e, memore di quanti impedimenti avesse messo sul suo cammino da che la sua avventura aveva avuto inizio, non tolse mai la mano dall’elsa della spada che portava alla cintola.
 
Fu per quella ragione che accolse con un sorriso quasi di scherno il primo enorme contrattempo che finì per incrociare. Prevedibile, dolcezza, prevedibile!
La figura di un uomo di stazza robusta, assai simile a quella del tenente Jones, svoltò l’angolo per immettersi nel corridoio che Emma aveva percorso per una buona metà e, nel vederla, si arrestò di colpo. Non le fu necessario udirne la voce per comprendere che colui che aveva innanzi altri non fosse che il tronfio capo delle guardie che ella e Killian avevano udito parlare con Lively poco più di un’ora prima. E anche l’altro dovette riconoscerla, poiché il suo sguardo s’indurì e la mano si strinse con fermezza attorno all’elsa della spada. Emma poté scorgere in quegli occhi, insieme alla realizzazione di essere al cospetto del famigerato Capitan Swan, un misto di sorpresa ed eccitazione: benché fosse giunta alle loro orecchie la notizia che fosse una donna, non era il tipo di donna che Emma rappresentava che si sarebbe aspettato di vedere, né aveva mai osato sperare che fosse proprio lui il primo ad avere l’opportunità di farle la pelle. Era un peccato dopotutto, si disse!
 
«‘Tutto fila liscio come l’olio, signore’.» Emma ruppe gli indugi, facendogli il verso, le labbra atteggiate ad un sorriso spavaldo e raccapricciante nella sua assenza di tensione. Poi, compì un passo verso di lui e con suo enorme piacere lo vide sobbalzare impercettibilmente. La smorfia sulla sua bocca divenne più ampia, compiaciuta. «Avete intenzione di battervi, non è così?»
 
L’uomo non parlò. I suoi occhi si limitarono a studiarla, mentre ella avanzava ancora di pochi passi, e finì per chiedersi come avesse fatto quella ragazza ad ottenere i risultati che la loro porzione di mondo le tributava: bastava pronunciare il suo nome in qualunque porto e, che si sapesse che era una donna o meno, gli uomini divenivano tremebondi e le puttane smettevano di agitare le mammelle, a disagio. Un’ondata di stizza e di orgoglio lo attraversò, indurendogli l’espressione del viso squadrato, quando realizzò che non soltanto non gli venisse portato nemmeno un decimo del rispetto che era dovuto a lei, ma che quella stessa giovane rischiava di mandare per aria la missione che il signor Lively gli aveva assegnato quella sera. Se tutto fosse andato in fumo, avrebbe perduto molto più che il buon nome che aveva tentato di farsi in tanti anni di onorato servizio e questo non poteva permetterlo.
 
Sguainò la spada. «Non uscirete viva di qui, ragazzina,» disse e la sottigliezza del suo insulto lo rese così fiero di sé che una scarica di adrenalina gli corse giù per il corpo e lo spinse ad avanzare. «Vi conviene arrendervi e, forse, non soffrirete troppo.»
 
Emma rimase imperturbabile, il sorriso che faceva ancora bella mostra di sé sulle labbra vermiglie. Dando prova di indicibile destrezza, ella imitò l’altro e impugnò l’arma con una padronanza che la diceva lunga sulla sua capacità di manovrare quell’arnese.  Un’immagine peccaminosa attraversò la mente dell’uomo al collegamento che la sua mente creò con quella constatazione e si chiese se, dopotutto, Lively gli avrebbe concesso di scoparsela un paio di volte, prima di farne quello che voleva. Chissà se le sarebbe piaciuto, si chiese, o se l’avrebbe supplicato di smetterla o se, con l’alterigia che sembrava appartenerle, avrebbe sopportato con stoica rassegnazione. Rifletté un istante per realizzare che, probabilmente, ella sarebbe stata troppo distrutta dalla morte del figlioletto per curarsi di ciò che le avrebbe fatto; e, stranamente, quel pensiero lo eccitò.
 
Il clangore che le spade riprodussero nello scontrarsi interruppe il flusso dei suoi pensieri, costringendolo ad affrontare la realtà.  Il suo avversario, benché fisicamente meno forte, dimostrò di avere dalla sua una tecnica che l’uomo non aveva mai visto adoperare: si muoveva a tratti rapidamente, in una successione di passi brevi e quasi ballati, e a tratti con fluidità, lentezza e precisione. Rassomigliava tanto ad una danza, talvolta incalzante, talvolta perfettamente calibrata, e la passione con cui ella la stava eseguendo rendeva imprevedibile ciascuna delle sue mosse. Voleva vincere, credeva di poter vincere e questo la conferiva una forza perfino maggiore di quella che il suo corpo avrebbe dovuto mostrare. Ma l’altro non era disposto a cedere almeno quanto lei, poiché i vantaggi che gli sarebbero derivati dalla sopraffazione del nemico erano un deterrente sufficiente contro qualsiasi genere di distrazione. E, se costei era agile, egli avrebbe puntato sulla forza fisica.
 
La attaccò con ferocia, sferzando l’aria con una serie di colpi che avevano il suono della morte, ed ebbe a mostrare tutte le sue doti di fine combattente, benché il suo animo fosse rozzo e meschino come il più inetto degli uomini. Emma parò e schivò i colpi con maestria, ma il suo corpo cominciò presto ad accusare la fatica dovuta all’inferiorità fisica e, dopo un po’, si ritrovò ansante. Forse, rifletté, lasciare indietro il tenente Jones non era stata l’idea più brillante che avesse avuto negli ultimi tempi! E il timore che, di lì a breve, qualcuno fosse allertato dal rumore delle loro lame e questo facesse perdere a lei e alla sua ciurma il vantaggio dell’effetto sorpresa colmò il suo cuore. Ancora col fiato corto, si lanciò in un’ulteriore serie di affondi, costringendo l’altro ad indietreggiare per evitare di rimanere ferito, e, per un istante, la situazione parve volgere a suo vantaggio, perché uno squarcio si aprì sulla coscia di lui quando l’arma di Emma si conficcò nella carne così rapidamente da impedire all’avversario di ripararsi.
 
Non ci fu tempo per esultare, però, perché come caricato dal dolore della ferita, con la lama ancora conficcata nella carne, l’uomo scattò in avanti a sua volta. Aiutata dall’esilità del suo fisico, Emma fu più rapida e, non mollando la presa sull’arma che stringeva, riuscì a scansarsi. Eppure non fu abbastanza, perché, quando al primo seguirono un altro fendente, e un altro e, infine, un altro ancora in una successione tanto rapida quanto poderosa nella sua intensità, la giovane finì per schivare l’ennesimo attacco ma, nel farlo, perse l’equilibrio e cadde stesa lungo il pavimento. La lama dell’altro brillò alla luce della torcia più vicina ed Emma la vide calare su di lei con violenza implacabile. Stringendo ambedue le mani sull’elsa della spada prima che fosse troppo tardi, riuscì a schermarsi e a rimandare il momento della sua fine, ma il contraccolpo le storse un polso e senza che se ne rendesse conto urlò di dolore.
 
La sensazione durò un battito di ciglia. Probabilmente avvisato sulle attitudini violente e imprevedibili dell’avversario, l’uomo non perse tempo: come aveva fatto più volte in battaglia in presenza di un ostaggio prezioso, afferrò l’elsa della spada e la abbatté con decisione sul capo della donna. Emma svenne.  
 
*
Aveva scoperto della morte di sua figlia nella maniera più straziante che ci si potesse aspettare, così lacerante che le memorie di quegli istanti, tratteggiati con la nitidezza che soltanto il dolore di un cuore infranto poteva avere, lo tormentavano ancora con la medesima irruenza della prima volta in cui li aveva sperimentati. E il suo cuore, quel giorno, era andato in frantumi con la prospettiva di non ricomporsi mai più.
 
Aveva deciso di far loro una sorpresa. Dopo mesi di peregrinazioni e affari andati a buon fine, Richard Anthony Lively si era trovato a scorgere il porto di Durin con una trepidazione che non aveva mai saggiato in anni di onorato servizio, una trepidazione che aveva scioccamente imputato all’avanzare dell’età. La vita gli aveva donato sporadiche, ben soppesate gioie da che era venuto al mondo e alcune di essere erano giunte solo quando il suo riflesso allo specchio gli aveva restituito l’immagine di un uomo dalla chioma non più folta, con profonde rughe d’espressione ad arricchire il suo volto in nome degli innumerevoli viaggi ai quali si era dedicato anima e corpo. E, in qualche modo, il sopraggiungere dell’età canuta aveva addolcito la personalità del mercante col quale si era definito negli ultimi tempi, quasi a ricordargli che, se avesse avuto intenzione di godersi la vita e i suoi picchi d’intensità, avrebbe dovuto approfittarne ora che di tempo a disposizione non ne aveva quanto in passato; ora che alcuni dei patimenti che lo avevano visto imbrunirsi dolevano un po’ di meno.
 
Dopo anni di vedovanza, aveva sposato una moglie più giovane di lui di quasi vent’anni e da lei aveva ricevuto il regalo che la vita gli aveva negato col perdere, durante una battuta di caccia finita in tragedia, la donna alla quale si era legato per quello che pensava sarebbe stato il resto della sua vita. Rose, la sua unica figlia, era un fiore prezioso e delicato attorno al quale girava il suo mondo intero e, benché quest’amore non gli avesse impedito di partire per mare per lunghi periodi di tempo, né di temperare l’apparente durezza del suo carattere, i ritorni si erano fatti più dolci e agognati con la sua nascita.
 
Con passo baldanzoso e un sorriso che la sua anaffettività era a malapena riuscito a mascherare, quel giorno aveva attraversato il giardino della sua tenuta, nella mente l’aspettativa di vedere la reazione delle due persone che più amava al mondo quando avrebbe comunicato loro che intendeva portarle con sé per la spedizione successiva e quando avrebbe presentato loro il bambino che aveva salvato dai mercanti di schiavi. Georgie, come lo aveva affettuosamente soprannominato, era il figlio che non erano riusciti ad avere nonostante gli sforzi e il fratello per cui Rose li aveva instancabilmente supplicati; ed era forse merito dei mesi trascorsi in sua compagnia l’accresciuta tenerezza che mai si era concesso di mostrare in base all’educazione impartitagli.
 
 Tutto si era spento in lui con brutalità acuita dall’attesa letizia, quando i suoi occhi si erano posati sulla figura emaciata e distrutta della moglie che, gettandosi ai suoi piedi, gli aveva comunicato cosa fosse accaduto poco più di un mese prima. Era nitido nel suo cuore il ricordo della pena che aveva provato, tanto quanto lo era stata l’impressione di aver cagionato con la sua lontananza la morte dell’unico essere vivente che avesse mai avuto una presa sul suo cuore. Aveva fatto ciò che aveva ritenuto più giusto per tutelarle, costringendo la moglie, in seguito al parto, ad una vita nell’entroterra, persuaso che i pericoli delle città di mare fossero di gran lunga superiori a quelli da cui avrebbe potuto proteggerle con il giusto numero di guardie e precauzioni. E, invece, rimandando di anno in anno la promessa fatta a Rose di condurla alla scoperta del mondo su una delle sue navi, non aveva fatto altro che spingerla tra le braccia di una morte certa, che nessuna fatica aveva fatto a trovarla.
 
Alla pena e al senso di colpa, tuttavia, erano subentrate presto l’ira e il desiderio di vendetta ed aveva finito per rimanere ossessionato dal proposito di trovare e uccidere il pirata che, secondo il racconto della moglie, aveva colpito a morte Rose, gettandone il corpo tra le onde e impedendo loro di darle onesta sepoltura. E l’ossessione lo aveva circuito a tal punto da fargli prestare la minima attenzione al benessere della sua sposa: col senno di poi, Richard Anthony Lively aveva ammesso a se stesso che, se non fosse stato per Georgie e la gioia puerile che egli aveva portato con sé, ella non sarebbe sopravvissuta a lungo, vittima della spada o della malattia.
 
Come aveva già fatto in passato in nome del benessere che si era ripromesso di garantire alla sua famiglia, poche settimane dopo aver ricevuto notizia della tragedia che li aveva colpiti, Richard era tornato per mare con un obiettivo preciso: trovare il capitano che governava una nave di pirati chiamata Nostos. E, con quelle poche informazioni e le immagini del momento in cui lo avrebbe finito sul ponte del suo vascello, poco prima di affondarlo con tutti i suoi uomini, egli si era nutrito e tormentato per mesi, fino a rendere quell’unico pensiero la sua sola ragione di vita. La verità era che non avrebbe potuto fare altrimenti, poiché il costo dell’ammissione delle sue colpe sarebbe stato talmente alto da spingerlo a fare ciò che a molti aveva biasimato: togliersi la vita.
 
Erano stati mesi interminabili di ricerche prive di fondamento, finché non era arrivato ad un punto di svolta: alleggerendosi di una capiente borsa di pezzi d’oro a favore dell’ennesimo informatore, aveva appreso che il tanto famigerato Capitan Swan altri non fosse che una donna e che, se era alle sue origini che desiderava attingere, avrebbe dovuto navigare verso Ovest fino a una città chiamata Tartaros e, una volta lì, chiedere di Jack il guardaboschi; nel frattempo, aveva aggiunto il manigoldo col piglio soddisfatto di chi ha intascato un bel gruzzolo, gli sarebbe convenuto pregare che quell’uomo non si fosse ancora ucciso a forza di bere. Le prospettive, a quel punto, gli erano parse meno rosee che mai, ma non era servito a nulla fare pressioni per spillare qualche dettaglio in più sull’identità di tale Jack o sulle mire del capitano della Nostos: quell’uomo si era categoricamente rifiutato di aggiungere qualsivoglia informazione ulteriore, a qualunque prezzo avesse tentato di estorcergliela, sulla scorta del peso che dava alla sua vita e della consapevolezza che non sarebbe mai sopravvissuto alla spietatezza di Capitan Swan se avesse osato troppo.
 
Era stato frustrante constatare quanto largamente diffuso fosse quell’atteggiamento di omertà. Molti erano parsi inorriditi all’idea che qualcuno fosse stato tanto sciocco da concedergli quelle informazioni per denaro, convinti che il letto di morte fosse l’unica possibilità ammissibile per lasciarsi andare a tanta sconsideratezza. Richard ricordava ancora lo sguardo di un vecchio sdentato, che nella caccia alle balene aveva perso molto più di una gamba e un braccio, e il modo in cui aveva aspirato avidamente il fumo dal sigaro logoro che stringeva tra le dita mozzate: “Ti sei messo alle calcagna del demonio, eh? Spera solo che gli Dei siano tanto benevoli da non volere che sia il demonio a mettersi alle tue!” E quel vecchio e le sue parole erano divenute presto provvidenziali, perché Richard era, sì, arrivato a Tartaros e aveva, sì, incontrato Jack il guardaboschi, ma aveva anche realizzato di essere passato da predatore a preda contro ogni sua aspettativa.
 
Già, perché Jack il guardaboschi, ridottosi all’ombra dell’omone che doveva essere stato in passato, si era rivelato il padre della donna che Richard stava cercando. Come persuaso che ammettere a voce alta ciò che aveva commesso potesse costargli la dannazione eterna più del fatto di esserne stato artefice a suo tempo, il guardaboschi gli aveva confessato la responsabilità della persona che sua figlia era diventata guardandosi continuamente intorno con circospezione; e la putredine della casupola ove Richard era stato costretto ad incontrarlo gli era parsa nulla a confronto con lo stato in cui l’altro gli si era presentato, una volta sollevato il lenzuolo con il quale soleva coprirsi. 
 
Stando al racconto dell’uomo, un anno dopo aver perduto le tracce del figlio ed essersi impossessata della Nostos, Emma era tornata a Pleuk, il villaggio in cui era nata, per dare il benservito al padre e di lui aveva fatto una cavia per le torture più atroci: assicurandosi l’assistenza di un medico, ne aveva bruciato la pelle delle gambe quel tanto che bastava perché il ricordo di quel dolore rimanesse impresso a fuoco sulla carne e, tuttavia, stando ben attenta a non provocarne la morte; e, infine, ne aveva riempito di sale le ferite per il solo gusto di vederlo soffrire. Quello che aveva avuto davanti, si era reso conto poco dopo Richard, non era stato un uomo, bensì il risultato di ciò che Emma Swan aveva fatto di lui e, cioè, un mostro dalle sembianze spaventose che ella aveva a tal punto manipolato da impedire che cercasse il suicidio. Sarebbe stato troppo semplice, troppo rapido, troppo poco.
 
Quale dolore e soddisfazione insieme gli aveva procurato realizzare di avere tra le mani colui che rappresentava lo strumento perfetto per la sua vendetta e, insieme, l’unica ragione per la quale sua moglie era ancora in vita. Non soltanto la storia di Georgie – che aveva scoperto chiamarsi Henry –corrispondeva esattamente a quella che gli aveva narrato a grandi linee Jack il guardaboschi, ma, se questa non fosse stata sufficiente a convincerlo, vi era un dettaglio in più in grado di togliergli ogni dubbio: nella spirale sconclusionata dei sensi di colpa che era venuta dopo la ricognizione degli errori della sua vita, l’uomo aveva ammesso di aver perso il controllo quando, portato con sé il nipote in osteria, quel bambino di soli cinque anni si era ferito con un coltello al volto; annebbiato dai fumi dell’alcool, la soluzione più plausibile gli era parsa quella di venderlo al primo mercenario e continuare ciò che aveva dovuto interrompere nell’osteria come nulla fosse. E Georgie aveva una cicatrice nella porzione di pelle sovrastante il labbro superiore proprio come il nipote di cui Jack rimpiangeva le sorti.
 
Aveva provato disprezzo e vergogna per la caricatura d’uomo che aveva avuto davanti, ma ne aveva provato ancora di più per se stesso nel realizzare quanto miserabile lo avesse reso il dolore della perdita. Durante il percorso di ritorno, una freddezza impenetrabile era calata su di lui, annichilendo la sua parte emozionale al punto che la prospettiva di uccidere Georgie era finita per sembrare l’unica reazione plausibile al male ricevuto. Poi, in una notte di abominevole viltà, aveva compreso che non sarebbe stato abbastanza mettere fine alle pene di quella donna con cotanta semplicità, non quando lei lo aveva privato perfino del privilegio di piangere sul cadavere di sua figlia. Come il mare aveva inghiottito il corpo di Rose, il desiderio di rivalsa aveva ottenebrato la sua umanità fino a fargli partorire un piano che lo avrebbe cambiato per sempre: mentendo a sua moglie, aveva simulato la fuga di Georgie e, con la promessa di starle accanto, l’aveva condotta a Telos e alla loro nuova vita. La verità era che, svuotato di qualsivoglia parvenza di affezione nei confronti del bambino, dopo averlo sbattuto nelle segrete e posto sotto la stretta sorveglianza di due uomini a lui fidati, si era ripromesso di fare esattamente ciò che quel pirata aveva fatto a Rose.
 
Da allora, la sua vita non era stata che finzione e attesa.
 
*
 
Emma amava la nebbia. Era sempre stato così da che aveva messo piede sulla Nostos. Quel giorno di cinque anni prima, quando aveva letteralmente eviscerato il previo capitano della prima nave pirata che avesse mai visto, sottraendogliela un po’ come la vita aveva privato lei di suo figlio, ricordava di essersi mossa nell’ombra, sospinta e aiutata da quello stesso velo di cupa tristezza. Non avrebbe ottenuto nessuna vittoria, quella mattina, se la nebbia non fosse stata dalla sua parte: il pavimento in legno della Nostos non si sarebbe fatto scivoloso, l’uomo non avrebbe rischiato di perdere l’equilibrio e allentato la presa sul suo polso ed ella non sarebbe mai riuscita a trafiggerlo da parte a parte. Ma, al di là di ciò, Emma era convinta che non avrebbe mai trovato in cuor suo il coraggio per assecondare la brutalità dei suoi istinti, se l’atmosfera  tutto intorno a lei non fosse stata tanto surreale.
 
La nebbia di quel giorno aveva portato con sé la discrezione di cui il Fato spesso mancava e, aiutando Emma ad ottenere la sua rivincita, aveva lasciato che la giovane uccidesse la ragazzina che ancora era in lei per farsi donna, con tutto ciò che quella mutilazione avrebbe comportato. A ripensarci, nello stato di attonita confusione nella quale la sua mente si trovava, il capitano della Nostos realizzò di aver ricevuto molto più aiuto di quanto non avesse mai sperato nel corso della sua vita: quante erano le probabilità che una ciurma di spiantati senza onore né gloria accettasse di sottomettersi ad un’anima debole come lei? Qualcuno doveva aver messo appositamente Diego lungo il suo cammino, perché scorgesse il fuoco che perfino Emma aveva dubitato di possedere e si schierasse dalla sua parte contro le resistenze degli altri. Qualcosa doveva averla guidata lungo il molo perché scegliesse la Nostos tra tutte le navi ivi presenti e non facesse la fine della giovane Lively. Del resto, non aveva avuto che la medesima età e, soprattutto, la medesima inesperienza.
 
Con un mugugno soffocato a malapena, Emma si mosse e un indolenzimento sparso la colse impreparata, accompagnato da una sensazione di freddo fin troppo reale per poter essere scambiata con il gelo dell’aldilà. Inoltre, se non fosse bastato quello a convincerla, lo spasimo che seguì un breve movimento al polso, mozzandole il fiato, avrebbe fatto il resto. All’improvviso, realizzò il perché della sua condizione e i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa mista a terrore, quando comprese di essere nelle mani del nemico: ricordava lo scontro con il tronfio capo delle guardie e ricordava anche di esse stata sopraffatta; e questo era sufficiente a risvegliare in lei gli antichi demoni che, fino a quel momento, aveva serbato per l’incontro con Richard Anthony Lively. Tuttavia, la sua razionalità prese subitaneamente il sopravvento e seppe che l’ira funesta che stava montando dentro di lei non avrebbe cambiato il fatto che fosse numericamente e fisicamente in svantaggio. Doveva prendere tempo ed escogitare un piano per togliersi dalla situazione in cui si era cacciata, ma, prima di tutto, doveva capire in quale luogo l’avessero portata e se ci fosse possibilità di scampo.
 
Muovendosi contro il pavimento con l’intento di attirare l’attenzione dei presenti su di sé, Emma fece per mettersi a sedere e tanto bastò perché capisse quanto precaria fosse la situazione in cui si trovava. Una fitta al polso le mozzò quasi il respiro e, proprio nel mettere in atto il tentativo di reggersi sulle ginocchia, scorse la fonte del rumore di ferro che aveva udito ad ogni sua movenza: grosse catene arrugginite pendevano dalla parete alle sue spalle e fino ai suoi polsi, terminando in due grosse manette cosparse di aculei interni che premevano sulla sua carne fino a farla sanguinare. Quello era uno strumento di tortura che aveva visto usare a Barbanera nei bassifondi di uno dei tanti porti ove si erano incontrati e nella sua mente era ancora impresso lo sguardo di terrore misto a pena che era apparso sui volti dei prigionieri, quando avevano realizzato che l’unico modo per liberarsi fosse quello di perdere buona parte della mano.
 
«Ho aspettato questo momento per un tempo che è parso una vita.»
 
Una voce mascolina, quasi innaturale nella sua spettralità, pronunciò quelle parole ed Emma seppe, prima ancora di incontrarne lo sguardo, che le mire di quell’uomo erano inarrestabili e che, sì, avrebbe ucciso Henry se ne avesse avuto l’opportunità. Lo cercò e trovò in pochi istanti ed il verde dei suoi occhi – che molti avevano definito spietato e gelido come lo era la sua anima – divenne improvvisamente l’elemento di maggior calore dell’intero ambiente. Pur mantenendo l’attenzione fissa su di lui, ella riconobbe nell’immediato il luogo in cui era stata condotta, poiché aveva avuto modo di trascorrervi l’intera serata: si trovava nella sala ove era stato organizzato l’evento in onore della figlia dei Lively, sotto il dipinto della giovane che Emma e molti dei commensali avevano rimirato a lungo durante il ballo perché espressione di una bellezza eterea, senza tempo. Lo sfondo di canti e di balli si era trasformato in un teatro di vendetta e dissapori, in penombra. L’ironia!
 
«Non siete il primo uomo ad avere un’ossessione per me, Richard.»
 
Gli sorrise semplicemente, con il modo di fare disarmante che Richard si sarebbe aspettato da un pirata come lei. Nel conoscerne, finalmente, i tratti del viso, benché il racconto del guardaboschi gli avesse fornito un’indicazione orientativa in merito, egli non poté comunque impedirsi di rimanere sorpreso: era giovane e bella di un fascino come non ne aveva mai conosciuti. C’era qualcosa di arcano e turbolento in lei, come un antico incantesimo che, sottopelle, pareva renderla splendida di una bellezza immortale e spaventosa a un tempo. Quegli occhi, verdi quanto gli smeraldi – gli stessi che, si disse, erano stati gli ultimi a incrociare quelli di sua figlia Rose -, erano uno specchio di brutture patite e inflitte insieme e, per un istante, così breve che quasi temette di averlo solo immaginato, l’uomo provò pietà per lei. Una creatura come quella che gli stava innanzi, che non aveva conosciuto che spietatezza nella vita, che altro avrebbe potuto portare in quella di chi la circondava, se non miseria e sofferenza?
 
Mettendosi a sedere sui talloni con un mugugno stanco, Emma sospirò e inclinò appena il capo. «Dunque, dimmi un po’,» fece, abbandonando il tono formale per assumerne uno più colloquiale, a dimostrazione del fatto che non provasse alcun timore per lui nonostante la situazione di svantaggio in cui si trovava, «sei soddisfatto dell’aspetto di questo capitan pirata?»
 
Aveva una bella faccia tosta, doveva ammetterlo. «Le catene ti donano, non c’è che dire,» la imitò, parlandole con la stessa confidenza che ella gli aveva usato, ma non le sorrise. Non voleva abbassare la guardia. «Sono curioso, però, di vedere se ti doni anche la disperazione di perdere un figlio.» A quel punto, rise freddamente e si guardò distrattamente le mani, prima di tornare a prestarle la sua piena attenzione. «Ti rendi conto di aver passato tanti anni alla ricerca di una persona, solo per vederla morire?»
 
Voleva ferirla, assaporare l’anticipazione del dolore che avrebbe provato nel rivedere il figlio sporco e provato con la consapevolezza di averlo messo al mondo per nient’altro che quello.  Il muscolo della mascella di Emma vibrò  a quelle parole e gli occhi le si oscurarono di un sentimento terribile e temibile insieme, trasfigurando quella bellezza fino a renderla raccapricciante. Infine, accennò un sorriso con la bocca femminea.
 
«Almeno io sarò al suo fianco e Henry non trapasserà sulle tegole umide e sudice di un porto che sa di piscio più che di pesce.»
 
Quelle parole lo colpirono con una dirompenza che si era aspettato, poiché rappresentavano la statuizione verbale di ciò che non aveva mai avuto il coraggio di ammettere a voce alta, nemmeno con se stesso. Preda dell’istinto, si alzò e mosse grandi passi verso di lei, la mano alzata con l’intento di colpirla e rispedirla a faccia al suolo come un cane, ma questo non lo portò che a fare l’unica cosa che si era ripromesso di evitare: permetterle di manovrarlo fino a privarlo della lucidità. Quando Richard fu vicino abbastanza da caricare il manrovescio, in un colpo di scena che nessuno si era aspettato, dalla porta-finestra che dava sul giardino spuntò fuori Diego: a grandi falcate l’omone si precipitò in aiuto del suo capitano e, nel farlo, scalciò così forte contro la schiena di Lively che costui cadde a terra, senza fiato.
 
«Signor Lively!»
 
L’urlo del capo delle guardie, rimasto in prossimità della porta all’altro capo della sala in quei brevi minuti successivi al suo ritorno, dopo aver intimato ad un suo sottoposto di recarsi presso le segrete per prelevare il ragazzo, riecheggiò per l’enorme stanza prima di spegnersi in un silenzio carico d’attesa. Questi ed Emma, entrambi consapevoli della figura rannicchiata che giaceva a pochi passi da lei ma ancor di più dell’energumeno che lo aveva brutalmente tramortito, si osservarono per un tempo che sembrò dilatarsi oltre i limiti consentiti e ciascuno ponderò la pericolosità della situazione. Dalla prodezza della loro mossa avrebbero potuto dipendere le sorti di quello scontro e, poiché nessuno dei due desiderava uscirne sconfitto, fecero l'inutile tentativo di soppesarne la portata nella speranza di limitare gli effetti collaterali. Alla fine, fu il capo delle guardie a rompere gli indugi, ma il suo balzo sgraziato, quasi animale nella sua foga, finì per arrestarsi con la stessa rapidità con cui si era riprodotto dinanzi alla non-reazione di Emma: lo sguardo fisso su di lui e l’espressione imperturbata, ella si tese in avanti e così rimase, apparentemente immobile, dando l'impressione di non temere alcun attacco, né che ne fosse lui l'artefice, né che tale si dimostrasse il destino. Ma non era che un'apparenza fallace e contraddittoria, quella!
 
Un suono sinistro, gutturale venne fuori dalle sue labbra serrate e il sangue prese a cadere copioso sul pavimento della sala, mentre gli aculei penetravano, fino a lacerarla, la carne delle mani di Emma. La gamba di lei si mosse appena in avanti, quel tanto che bastava a caricarsi per lo strattone finale, e in quel breve lasso di tempo raccolse in sé tutto il coraggio che aveva accumulato negli anni.
 
Si era preparata al dolore per una vita intera. La vita l’aveva forgiata col patimento quasi a volerla marchiare perché non dimenticasse qual era il suo destino: la figlia di uno sciocco inetto, privo di qualunque forza di volontà che non avesse a che fare col bere, che speranze avrebbe potuto avere di vivere felicemente? E, allora, Emma aveva accettato la sua condizione con la stessa rassegnazione con la quale uno storpio accetta la menomazione di cui è affetto. Piangersi addosso non le avrebbe migliorato la vita come non l’avrebbe migliorata al cionco. Dunque, tanto valeva rimboccarsi le maniche e fare dei suoi punti di forza un’arma per contrastare quell’imperituro flagello cui era stata designata.
 
Fu con quella disposizione d’animo e con un ringhio di rabbia, strazio e frustrazione insieme che strattonò in avanti quel tanto che bastava a liberarsi dalla presa delle manette aculeate con le quali avevano sperato di incastrarla. Oh, come doleva la carne sua… per quello che ne rimaneva! Doleva a tal punto che, col viso rigato di lacrime di patimento, Emma partorì per un istante il pensiero di privare Lively della spada e mozzarsi entrambi gli arti. Lunghi solchi le percorrevano il dorso e i palmi delle mani, così profondi che non ebbe il coraggio di guardare una seconda volta, poiché l’aspetto che avevano avrebbe finito per scoraggiarla. Si disse, però, che quelle ferite fossero ben poca cosa al cospetto del dolore che aveva provato cinque anni prima nel sentire la vecchia megera del porto confermare le parole di colui che si era rifiutata di chiamare padre; e inaspettatamente rivisse quegli istanti con un nitore che non aveva mai sperimentato da che li aveva vissuti.
 
“Un piccoletto delizioso che si dimenava come un matto, sissignora,” le aveva detto l’anziana dai vestiti logori, leccandosi le labbra secche per la denutrizione con avidità, fino a dare l’impressione che le fosse impossibile smettere di pensare a un buon pasto caldo con cui dare sollievo allo stomaco. Era difficile per una poveraccia come lei sperare nella fortuna che qualcuno perdesse una moneta, così da assicurarsi, una volta tanto, una cena per la quale non lottare coi topi. E, tuttavia, la speranza era tutto ciò che le era rimasto. “Lo hanno pagato poco perché pensavano fosse gracilino,” aveva aggiunto prima che i suoi occhi tormentati dai crampi della fame si spostassero su Emma. A quel punto, come non era mai accaduto da che la vita l’aveva condotta a mendicare per i porti, l’ossessione per il cibo si era spenta nei suoi occhi e nella sua mente dinanzi allo strazio sul viso della giovane che le stava accanto. L’aveva osservata crollare sulle assi del pavimento, il volto sfigurato dalla profondità di un dolore che, nonostante la sua veneranda età, la donna si era resa conto di non aver mai sperimentato, non spiritualmente almeno. E aveva provato pietà, una pietà materna che le aveva fatto dolere il ventre rinsecchito per i figli che non aveva mai avuto.
 
“Mi dispiace,” le aveva detto e si era allungata per afferrarle le mani. Ma, in quel momento, come ridestata dal contatto con un altro essere umano, Emma aveva urlato e lo aveva fatto così forte da sovrastare, per un istante, i rumori del porto e attirare l’attenzione dei presenti. La vecchia era trasalita e, d’istinto, aveva ritirato il braccio, ma non era stato sufficiente ad impedire che l’onda d’urto emanata dalla sofferenza dell'altra la colpisse. “Su, su, piccina,” le aveva detto, dopo essersi inginocchiata e averne stretto il corpo scosso da spasimi tra le braccia fragili, ma, presto, la sua voce aveva finito per incrinarsi fino a rendere poco credibili quelle rassicurazioni alle sue stesse orecchie. Allora, aveva taciuto.
 
Erano rimaste in quella posizione, rannicchiate sulle ginocchia contro il pavimento logoro di un porto a loro indifferente come loro lo erano ad esso, finché le membra non avevano chiesto pietà e, consapevole di doversi riguardare, la più anziana delle due si era fatta coraggio. Per una serie di sfortunate circostanze, il suo mondo era andato a rotoli e lei non aveva mai trovato la forza per impedire che la vita la dominasse. Non avrebbe lasciato che la giovane che aveva tra le braccia facesse lo stesso, che quello squarcio nell’anima finisse per cancellare la sua voglia di stare al mondo fino a renderle dolce l’evenienza di lasciarsi affogare in tanta pena. Per quanto infingardo potesse mostrarsi il destino, la vecchia megera aveva imparato che avevano una sola occasione per godere delle bellezze della vita e quell’unica opportunità non poteva andare sprecata.
 
“Basta così,” le aveva detto con il tono dolcemente perentorio che era stata solita adoperare quando lavorava come governante; poi, l’aveva presa per le spalle e, guardandola negli occhi, l’aveva scossa con una forza che le sarebbe costata parecchio nei giorni successivi. “Ascoltami, bambina mia, non farti questo e non farlo a quel bambino. Lo senti il dolore che porti dentro? Li senti il freddo e la rabbia che si scontrano come titani? Non lasciarli vincere, nessuno dei tre. Raccogli quelle poche forze che ti sono rimaste e cambia il tuo destino.” Le sue mani sporche e rugose, a quel punto, avevano allentato la presa quel tanto che bastava ad asciugare il viso dell’altra e cancellare i segni della desolazione che ne avevano colto lo spirito. “Prendi la vita a due mani, caricatela sulle spalle e cammina, corri finché non ti sarai abituata a quel peso e il tuo corpo non avrà imparato a reggerlo senza spasimare per la fatica. E fai tutto a testa alta. Tu non sei debole, non sei una fanciulla da salvare, non sei la vittima del destino. Sei una cazzo di donna con una cazzo di volontà di ferro che può ottenere tutto quello che cazzo vuole.” La durezza delle sue parole aveva penetrato la coltre di indifferenza a qualunque energia vitale che la perdita di Henry aveva portato con sé e gli occhi di Emma si erano accesi di un fuoco che non aveva mai saputo di avere. “Trova qualcosa per cui combattere e combatti fino a morirne. Ma muori solo in combattimento, mai nello squallore della resa poiché, se così non fosse, l'avresti data vinta due volte al fato, permettendogli di farsi beffe di te.”
 
“Henry. Voglio combattere per Henry,” aveva trovato la forza di dire Emma e la vecchia sconosciuta aveva annuito seccamente. “E, allora, va’ e combatti! Trovalo! Questo è il tuo nostos.” L’espressione di Emma si era fatta confusa e, con la stessa condiscendenza che aveva usato ai suoi allievi, l’altra le aveva sorriso e spiegato: “Nostos è quello che i Greci consideravano il viaggio della vita. Un viaggio alla ricerca di qualcosa, di qualcuno ma, soprattutto, di se stessi. Una prova di grandezza, di eroismo, di ardimentosa e prode virulenza. Va’ e, solo quando avrai trovato ciò che stai cercando, torna a casa. Torna e scopri la persona che sei diventata, quella che non conoscevi ma eri già.”
 
Spostando il proprio sguardo sul carceriere di suo figlio per trovarvi lo stesso attonito sgomento che vi era sul volto del capo delle guardie all'altro capo del salone, Emma ignorò i segnali della sofferenza fisica, avendo in mente solo il compimento di quel viaggio iniziato anni prima. Alzando la mano lacera per distrarlo, gli sferrò un calcio così forte che due denti e un copioso schizzo di sangue macchiarono in lunghezza la parete più vicina. Infine, dopo aver ottenuto da Diego il cenno d’intesa che si era auspicata, si accostò a Richard e lo afferrò per il colletto della giacca col fine di trascinarlo in prossimità delle catene dalle quali si era liberata. C’era in lei una forza sì belluina ed efferata che solo il nitido ricordo della vecchia di cui non conosceva neppure il nome avrebbe potuto ispirarle! Era un vigore direttamente proporzionale al patimento provato in quegli istanti, acuito da sentimenti molesti di ira, vergogna e risentimento che aveva covato lungo l’intero percorso e che, adesso, sentiva esasperati dalla prossimità dell’incontro col figlio.
 
Il clangore di due lame che cozzavano la distrasse un istante, solo per mostrarle l’immagine del tenente Jones che si batteva furiosamente con il tronfio capo delle guardie. In quel fuggevole sguardo, Emma ebbe il tempo di provare ammirazione per il soldato della marina e per la sua tempra fisica e morale, perché si stava battendo con una maestria che apparteneva alla parte più retta di lui e che il capitan pirata sapeva di non essere riuscito ad intaccare, per quanti tentativi avesse fatto. Alla fine, si disse, Killian aveva mantenuto davvero la promessa di assisterla nella sua missione ed era accorso in suo aiuto quando ne aveva avuto più bisogno, senza risparmiarsi, senza arrendersi dinanzi agli affronti e alla mancanza di fiducia cui ella lo aveva sottoposto. Tenne a mente il proposito di ringraziarlo in futuro, laddove ve ne fosse stata occasione, prima di tornare alla figura che versava in stato di semi incoscienza tra le sue mani. Il momento della resa dei conti era finalmente giunto.
 
Mettendosi a cavalcioni su di lui, Emma ne osservò il viso tumefatto, sporco di sangue e realizzò di avere tra le mani un uomo che, le sue, doveva averle sporcate poche volte nella vita. Non era un combattente addestrato, non era un uomo fisico o d’armi, ma un padre disperato che aveva fatto del denaro l’unica arma a suo favore per ottenere tutto ciò che voleva. Nel catturarla grazie all’aiuto del capo delle guardie, doveva essersi illuso di aver realizzato il suo proposito, di aver compiuto il grosso del lavoro e, se il capitan pirata non fosse stato avvezzo tanto agli scherzi del destino quanto al temperamento di chi non ha intenzione di arrendersi alla morte, avrebbe anche potuto giustificarlo per il suo ottimismo. La posizione in cui si trovavano le ricordò la sera in cui aveva torturato suo padre fino a istupidirlo, fino a supplicarla di ucciderlo e porre fine alle sue sofferenze, e quella stessa smania finì per impossessarsi di lei. Come in quell’occasione, Diego era accorso per impedire i movimenti della vittima.
 
Allungandosi in direzione delle manette, ne afferrò una e, caricando il colpo, la abbatté sul viso di Richard. Un aculeo gli sfregiò il viso e una parte del naso ed egli urlò di dolore più forte di quanto non avesse fatto Emma. E fu così ancora, ancora e ancora, le strilla acute appena soffocate dal duello che imperversava alle loro spalle, mentre ad ogni goccia di sangue che spillava dal corpo del suo nemico la concupiscenza che ella stava provando si accresceva. Fu il tocco di una mano fragile eppure decisa a fermarla dall’assestare il colpo che avrebbe messo fine allo stato di belligeranza in cui versavano. Gli occhi di Emma, scuri come non lo erano mai stati, incrociarono quelli caldi, stranamente familiari di una donna più grande di lei per trovarvi un orrore e una disperazione anch’essi risaputi, perché li aveva visti negli occhi di Harold quando Ulan aveva colpito Olly.
 
«Siete una donna molto coraggiosa, o molto sciocca, se avete l’ardire di accostarvi proprio a me in un momento come questo,» disse e la freddezza del suo sguardo e della sua voce fece trasalire l’altra, al punto che questa interruppe il contatto e ritirò la mano. Era come una fiera, indomita e bellissima!
 
«Vi prego, vi supplico,» fece l'altra al suo indirizzo con voce tremante, tentando di articolare una richiesta che suonasse allettante. «Non so cosa vi abbia fatto mio marito, ma lasciatelo vivere e prendete tutto quello che volete dal castello. Non mi è rimasto che lui!»
 
Ecco dove aveva visto quegli occhi. Adesso, riconosceva perfino i tratti dell’innocenza di quel viso, poiché era la trasposizione nel futuro di colei che la giovane Lively sarebbe diventata se il Cielo non l’avesse chiama a sé in maniera tanto perentoria quel giorno di quasi sei anni prima. Lo sguardo di Emma scorse lentamente dal viso della sua interlocutrice a quello che rimaneva di Richard e, infine, si posò su Diego per trovarvi la stessa fiducia assoluta che aveva riposto in lei da che si erano incontrati, perfino nel realizzare i piani che l’uomo aveva trovato meno condivisibili. Non proruppe alcun suono, eppure, com’era suo solito, la sua espressione parlò per lui, suggerendole la strada meno violenta fintanto che era possibile prenderla senza correre rischi: le disse che avrebbero fatto meglio a filarsela prima che qualcosa andasse storto, che era giunto il tempo di trovare Henry e ricongiungersi con lui, che probabilmente Lively sarebbe morto comunque e tanto valeva lasciare a quella donna la consolazione di non vederlo ammazzato dinanzi ai suoi occhi. Innocente quanto la figlia, aveva già pagato il prezzo che la vita le aveva imposto. Come lo aveva imposto ad Emma, a Henry, perfino allo stesso Lively.
 
«Assicurati che tuo marito stia lontano da me e da mio figlio il più possibile o finirò quello che ho iniziato.»
 
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Gettando a terra la catena, Emma si scostò da lui e si trascinò carponi quel tanto che bastava a prendere le distanze dal corpo morente del suo nemico. All’infuori delle parole sussurrate che la signora Lively stava rivolgendo all’anima di suo marito, nella stanza imperava il silenzio più assoluto, nell’aria il sapore ferroso del sangue versato come in un campo di battaglia ove lo scontro si sia oramai consumato. Nel tentativo di ignorare il frenetico pulsare del suo cuore e quello dei suoi arti laceri, il capitan pirata comprese che quello stato di quiete fosse imputabile solo ed esclusivamente all’intervento dei suoi uomini, ma che non sarebbe durato a lungo: Diego doveva essersi occupato della servitù e gli altri delle sentinelle disposte per il giardino. Prima che fosse troppo tardi e che il loro vantaggio venisse cancellato, era necessario che si affrettassero a lasciare quel luogo per fare ritorno sulla Nostos. Ma Henry? Che ne era stato di lui?
 
Uno scalpiccio frettoloso, proveniente dal corridoio esterno alla sala, raggiunse i presenti e sia Emma che Killian che Diego si voltarono appena in tempo per assistere all’unica scena che avessero avuto a cuore da che avevano pianificato l’ingresso in quel palazzo. Le figure di Ulan e Liam fecero la loro apparizione nel quadro disegnato dallo stipite della porta per dare loro la certezza che, sì, anche loro erano vivi. Killian tirò un sospiro di sollievo nell’incrociare lo sguardo dell’amato fratello e parte della tensione accumulata parve svanire. Diego sorrise e annuì all’indirizzo di Ulan per ottenere la tacita conferma in cui aveva sperato. Emma si limitò ad osservare un punto imprecisato tra i due, restia ad osservarli in volto nel timore di leggervi ciò che il suo cuore più paventava. Distrutta com’era, in ginocchio su un pavimento che grondava di sangue quanto lei, con gli arti scorticati, attese e trattenne il respiro, pregando perfino gli dei che aveva giurato di disconoscere tempo prima perché il suo desiderio si realizzasse.
 
Infine, accadde e la terza figura che tutti avevano atteso con impazienza fece la sua apparizione. Un ragazzetto dinoccolato, alto per i suoi dieci anni, col viso scavato dalle privazioni e pallido per la mancanza di luce, si fermo tra Liam e Ulan e si voltò in direzione della sala ove stavano gli altri tre. Emma scorse su quei lineamenti tanto amati la stessa espressione di attesa che sapeva di avere lei stessa. Henry la osservò a lungo, incredulo e sgomento insieme. Quella che giaceva sul pavimento, a diversi metri di distanza da lui, era una donna come mai ne aveva viste, eppure sorprendentemente rassomigliante al ricordo che aveva tentato di mantenere vivo negli anni. Quei capelli, così biondi da rammentargli l’oro filato dal protagonista della storia che Dorothy gli aveva raccontato spesso, restituirono i colori alle sue memorie in bianco e nero e accesero in lui qualcosa che aveva sempre provato ad immaginare in un’impresa dimostratasi presto fallimentare: il calore di un affetto vecchio come il mondo, tanto intenso e genuino da rendergli semplice accettare che quella altri non fosse che sua madre. Quello, il tempo non aveva potuto cancellarlo, né manipolarlo come aveva fatto con i ricordi di entrambi. Quello rappresentava qualcosa che sfuggiva al controllo della logica e delle regole su cui si basava il vivere umano, poiché era l’espressione più nobile e alta di ciò che gli dei avevano sempre invidiato agli uomini: la capacità d’amare e di farlo incondizionatamente, anche quando appariva sbagliato, impossibile, insensato.
 
Con una sensibilità che gli era sempre appartenuta e che aveva sviluppato perfino di più nei lunghi anni di prigionia, colse in ognuna delle ferite che il corpo di Emma presentava la profondità delle lesioni che la lontananza da lui le aveva causato. Era una donna che aveva lottato instancabilmente e che non solo non si era mai arresa, ma non aveva mai neppure pensato di farlo. Negli squarci che aveva sulle mani quasi irriconoscibili, nel colore torbido dei suoi occhi, nel sangue che intaccava la pura beltà della sua pelle e dei suoi capelli, egli trovò la smentita ai dubbi che Richard Anthony Lively aveva instillato in lui in tutti quegli anni, poiché ciascuno di quegli elementi era una dichiarazione d’amore nei suoi confronti che il fitto silenzio che si era creato in quella stanza con la sua apparizione non sarebbe bastato a soffocare. E, in cuor suo, trovò non solo la forza di perdonarla ma, con lo stesso impeto, trovò la forza di amarla di eguale intensità.
 
Un sorriso si aprì sul viso emaciato di Henry, illuminandolo di una luce che Emma ricordava con nitore, e senza perdere altro tempo il piccolo si lanciò in una corsa che il lungo periodo di immobilità rese buffa e sgangherata. Quando fu a pochi passi da lei, le gambe lo abbandonarono e d’istinto si slanciò in avanti per percorrere quanta più distanza possibile. Non cadde mai, non avrebbe potuto. Con un ultimo sforzo, Emma si trascinò in avanti quel tanto che bastava perché, in un unico, fluido movimento, il suo corpo potesse accogliere quello di Henry come il porto sicuro che avrebbe voluto essere per lui. L’impatto fu violento: petto contro petto, ossa contro ossa, patimento contro patimento, ma Emma fu più solida della roccia e il colpo parve non muoverla di un solo millimetro. Era come se avesse allenato ciascuno dei suoi muscoli perché fossero pronti al momento opportuno, perché non la deludessero in occasione dell’istante per cui aveva vissuto in quei lunghi cinque anni. Ed Emma non si deluse neppure quella volta, ottemperando al suo compito con la solerzia che l’aveva contraddistinta come capitano della Nostos.
 
Henry si strinse a lei e pianse della stessa dolce, amorosa melanconia della balena, il cui canto mira a suscitare amore nel compagno di specie prescelta. Ma era un corteggiamento privo di scopo, il suo, poiché la devozione che Emma provava nei suoi confronti non aveva trovato occasione per spegnersi o affievolirsi. Ella fece per stringerlo a sua volta, ma, quasi come promemoria di ciò che era servito per arrivare a quel risultato, il rosso acceso di cui erano cosparse le sue mani ne attirarono l’attenzione e non trovò, in cuor suo, il coraggio di macchiarlo dei suoi peccati. Era ironico e giusto a un tempo che proprio quelle mani, che tanta morte e devastazione si erano lasciate dietro, avessero ricevuto il benservito proprio quel giorno.
 
Incrociando le braccia in maniera scomposta, fece il possibile per ricambiare la stretta e tacitamente desiderò che quel momento rimanesse imperituro, non solo nella sua mente ma nella realtà sostanziale. Porre fine a quell’abbraccio avrebbe significato mettere in atto la restante parte del piano, andare incontro alla Nostos e affrontare le conseguenze del suo agire, una dopo l’altra e senza sconti: decidere cosa farne dei fratelli Jones; stabilire quale sarebbe stata la tappa successiva da imporre alla sua ciurma; scegliere il tipo di vita che avrebbe voluto vivere; meritarsi l’amore e il perdono di suo figlio; dare compimento al suo nostos con una quadratura del cerchio che avrebbe richiesto di trovare un equilibrio tra Emma e Capitan Swan.
 
Si concesse un ultimo, fuggevole istante per assaporare l’unico momento di pura letizia che avesse provato in quei lunghissimi cinque anni e, nel farlo, poggiò il viso contro il capo di Henry e chiuse gli occhi. Richiamò alla mente solo i ricordi più belli che conservava della loro vita prima che tutto cambiasse, quelli che si era costretta a relegare in una parte remota di sé ma che il contatto con suo figlio aveva ridisegnato con inequivocabile chiarezza, e li scorse uno dopo l’altro in rapida successione. In quel preciso istante, realizzò che, per quanto dolore avesse provato nella sua vita e nonostante le brutture di cui si fosse macchiata come pirata, la sua capacità di amare era rimasta intatta sotto le pressioni di un’emotività non sempre chiara. Perfino nei momenti di più violenta crudeltà, lo slancio ad aggredire le era venuto dalla sua parte sensibile, non da quella razionale. In un modo o nell’altro, nascondendosi dietro le sembianze di Capitan Swan, Emma era riuscita a sopravvivere dentro di lei in tutte le sue sfaccettature di madre, di donna, di sorella, di amica. In fondo, non era stata che questo per i suoi uomini, per Killian, per Liam, per Olivia e la sua famiglia e, prima che tutto precipitasse, anche per Harold e Olly; e ciascuno di loro era stato infinitamente più abile di lei nel realizzarlo, convinta com’era di essersi perduta per sempre nelle maglie della pirateria.
 
Questo significava che non soltanto non avrebbe dovuto ma nemmeno potuto lasciare che Henry andasse incontro ad una vita migliore con gli uomini più retti che la sua ciurma avesse accolto. Con l’egoismo di cui si imbelletta anche l’amore più sincero, non sarebbe mai stata in grado di lasciarlo andare, un po’ come non sarebbe mai riuscita a separarsi dalla Nostos perché l’uno e l’altra definivano chi fosse nella contraddizione di tutto il suo spirito.
 
Delicatamente, si fece indietro finché non incrociò lo sguardo di suo figlio. «Dobbiamo andare, Henry. Ti porto sulla Nostos.» Fu strano pronunciarne in nome, abituata com’era ad evitare di scandirlo anche solo con la mente, ma, per la prima volta in cinque anni, non le provocò una fitta al petto, piuttosto una piacevole sensazione di calore. Lo sguardo di lui si illuminò a quelle parole e le sorrise di nuovo, di un’espressione incredula che le ricordò un po’ la sua e le spezzò il cuore. «Diego?»
 
L’altro accorse prontamente e, senza troppa fatica, rimise in piedi entrambi. Non fu necessaria nessuna ulteriore precisazione da parte di Emma, sicché l’omone prese Henry e se lo caricò  mo’ di sacca sulle spalle, intimandogli di fare attenzione e di tenersi stretto. Una voce si alzò alle loro spalle proprio mentre Emma faceva per dirigersi verso la porta e, al fianco di Killian, raggiungere gli altri che li aspettavano per compiere l’ultima parte del piano.
 
«Georgie?»
 
Gli occhi di Emma incrociarono quelli della donna, ancora china sul corpo rantolante del marito, e, seguendone la direzione, ebbe a comprendere il perché di cotanta sorpresa, sebbene i particolari li avrebbe recuperati solo in seguito. Costei doveva avere conosciuto Henry per un breve lasso di tempo senza avere notizie ulteriori circa la sua sorte. Richard Anthony Lively doveva averle nascosto buona parte della verità, forse per non addolorarla, forse perché se ne vergognava, e quest’improvvisa realizzazione condusse Emma a provare un inaspettato moto di pietà per la persona che aveva innanzi e per il suo destino: somigliava tanto alla versione fanciullesca che Emma era stata sulle assi del porto più vicino a Pleuk, dopo che Henry le era stato portato via.
 
«Spero tu possa trovare il tuo nostos,» le disse, prima di voltarsi e raggiungere gli altri.
 
*
Il percorso verso l’esterno del palazzo fu pressoché privo di ostacoli. I ragazzi avevano svolto un ruolo ineccepibile, per il quale Emma si ripromise di premiarli una volta che ce ne fosse stata occasione, e non incontrarono contrattempi lungo la via. L’espressione con cui l’accolse Stecco, quando lo raggiunsero all’inizio del sentiero che li avrebbe condotti al cancello e fuori le mura della tenuta, le suscitò un sorriso: dal tripudio nel vedere il piccoletto sobbalzare sulle spalle possenti di Diego passò alla preoccupazione nel rendersi conto dello stato in cui versavano le mani di Emma. Ma ella lo liquidò con un movimento rapido, consapevole del fatto che l’adrenalina stesse giocando a suo favore, alleviando la pena che le sarebbe spettato di provare in realtà. Rapidamente, presero a percorrere il sentiero alla volta dell’ultima parte della missione.
 
Fu a quel punto che, inaspettatamente, la sorte ebbe a mutare e quello che era parso un percorso tutto in discesa modificò la sua pendenza. Un rumore di passi e lo sguainarsi di una spada li misero in allarme e tutti si voltarono per scorgere la figura del capo delle guardie venire loro incontro con l’arma che scintillava alla luce lunare. Emma cercò, d’istinto, la sua spada, ma realizzò ben presto di essere stata disarmata durante il periodo di incoscienza. Stecco si fece avanti prima di tutti gli altri e, senza pensarci due volte, fece cozzare la propria lama contro quella del nemico. Il contraccolpo fu forte, considerata la differente stazza dei due, e Ulan fu lesto a sguainare la propria, seguito a ruota da Killian la cui espressione accigliata la diceva lunga sul biasimo che stava provando verso se stesso. Aveva deciso di non uccidere l'uomo con cui si era battuto per evitare un inutile spargimento di sangue e gli era parsa una scelta priva di risvolti consistenti, dopo averlo messo al tappeto una volta per tutte. E, invece, proprio il suo errore di giudizio si stava rivelando l’unico contrattempo di un piano perfettamente eseguito. Ma poteva davvero considerare un errore il fatto di aver optato per la vita di un uomo piuttosto che per la sua morte? Emma lo aveva cambiato davvero, se era arrivato al punto da fare simili considerazioni.
 
Per fortuna, la questione parve risolversi in pochi attimi. Fingendo una inesperienza che non gli apparteneva affatto, Stecco diede all’altro l’impressione di essere una preda facile alla sopraffazione e, quando l’altro abbassò la guardia nella convinzione di aver vinto, si limitò a sciabolare a destra e a manca un paio di volte per sorprenderlo e spingerlo, con un calcio, col culo a terra. Con un sorriso soddisfatto e il legnetto tra le labbra, guardò il suo nemico sudare nella sua spessa armatura e convenne con se stesso che anche in versione fantasma avrebbe avuto la meglio su quel damerino.
 
«Non uccidermi, ti prego,» gli disse il capo delle guardie, disarmandosi e alzando le mani in segno di resa. «Stavo solo facendo il mio dovere.»
 
«Il tuo dovere, eh?» Stecco ridacchiò, malevolo. «Mi spiace, amico mio, ma noi pirati non siamo tipi clementi. Com’è che dite voi, capitano?» le chiese, lanciandole un’occhiata di scherno, l’ultima che le avrebbe rivolto. «Ça va sans di-»
 
Stecco non ebbe mai a terminare la frase. Il capo delle guardie, che giaceva inerme sul pavimento, poteva non essere uno dei più esperti spadaccini che avessero conosciuto, ma aveva dalla sua una spasimante e incontrollata brama di gloria che, ben nascosta fino a quell’istante, emerse e servì al suo scopo. Ingannevole come una faina, schivò l’arma che lo smilzo pirata gli aveva puntato contro e, con alla mano il piccolo pugnale che teneva nascosto alla cintola, si issò in tutta la sua statura e pose fine all’esilarante, coraggiosa esistenza di uno degli uomini più inusuali e affezionati che Emma avesse mai conosciuto. La piccola lama seghettata penetrò nel petto con violenza, mozzando il respiro di Stecco che guardò il suo carnefice con occhi sbarrati, increduli.
 
«… sans dire,» completò il traditore al posto suo, con un misto di tripudio e sete di sangue nella voce.
 
«Nooooooooooo.»
 
L’urlo di Emma risuonò per i giardini della dimora e per i vicoli di tutta Telos come un grido di battaglia e un verso funereo insieme. Mentre Ulan si lanciava all’inseguimento dell’impostore assassino per piantargli la spada tra le scapole e affondare fino a creare un taglio netto per tutto l’addome, il capitano della Nostos si gettò ai piedi del suo uomo più fidato, prendendogli la testa fra le mani e poggiandosela in grembo.
 
«Tieni duro, Stecco,» gli disse, carezzandogli delicatamente il collo mentre tentava di individuare il punto in cui il coltello era rimasto incastrato al fine di appurarne la profondità. «Ti portiamo subito da un fottutissimo dottore. Liam?» La domanda rimase sospesa, quando Emma realizzò che Diego avesse passato Henry al capitano della marina per liberarsi le braccia. Ma non era dal medico che aveva intenzione di condurlo, poiché sapeva che non sarebbe servito a nulla, poiché non ne avrebbero avuto il tempo. «NO,» fece lei, furiosa, gli occhi iniettati di sangue mentre una folata di vento le muoveva i lunghi capelli biondi, dandole l’aspetto di una strega. «NOOOOOOOOO!»
 
«C-Capitano,» rantolò Stecco, il sangue che usciva a fiotti dalla ferita sul petto, il viso già cinereo. Emma chinò il capo verso di lui con gli occhi ricolmi di lacrime non ancora versate. «S-Siete la c-cosa più b-»
 
«Sta’ zitto, idiota!» lo interruppe lei, con la voce rotta dal pianto.
 
L’uomo smilzo ridacchiò appena, il sangue che dalla bocca scendeva in rivoli  sui lati del volto. «V-volete vincere sempre, e-eh? P-Prepotente,» bofonchiò tra un rantolo e l’altro ed Emma rise di un singulto che non aveva il suono divertito che Stecco era solito strapparle. Le lacrime le rigarono il viso, mentre con quello che rimaneva delle sue mani, carezzava il volto dell’uomo il cui sguardo stava rapidamente perdendo il suo zelo. La fissò per un’ultima volta, gli occhi inumiditi in un misto di estasi e commozione. «Io… Io sono f-felice, mio c-c-capitano.»
 
«Mi dispiace, Stecco. Perdonami!»
 
Stecco le sorrise, stringendole la mano insanguinata per trovare conforto in lei e dargliene a sua volta. «Grazie, mio capitano. Au... Auguratemi b-buon viaggio.»
 
Il legnetto cadde dalle sue labbra per perdersi sul manto erboso.
 
*
 
Il dolore piegò Emma fino a spezzarla e di quello spezzarsi furono testimonianza gli spasimi che le scossero il corpo, echeggiando di uno strazio che la sua anima aveva già conosciuto. I suoi uomini, increduli e devastati quanto lei, la osservarono chinarsi su di lui come schiacciata da un peso al quale non avrebbe potuto reggere; e accostarsi al viso di Stecco fino a poggiare la sua fronte contro quella dell’altro. I capelli di lei, già macchiati dal sangue suo e del suo nemico, si imbevettero dell’essenza dell’uomo che ella stringeva a sé e che, per un tempo lunghissimo, non fu in grado di lasciare andare. Eccolo il prezzo della sua missione, dei suoi crimini, della sua violenza! Un prezzo che non era stata lei a pagare, non con la vita; un prezzo che non poteva, non riusciva ad accettare poiché non vi trovava alcuna giustizia. Perché non prendersi la sua di vita? Ma la verità era che conosceva già la risposta: sarebbe stato troppo facile, troppo poco.
 
«Dobbiamo andare, capitano.»
 
Fu Diego a interrompere quello stato di immota sofferenza in cui tutti si erano rifugiati e, quando Emma alzò il capo, nessuno dei presenti riuscì a impedirsi di trasalire. Qualcosa di nuovo, diverso e spaventoso insieme era apparso su quei lineamenti, spegnendo la luce negli occhi di lei su un volto ancora scosso dal dolore delle emozioni. Ricordava tanto l’immagine di un’anima perduta nelle trame incandescenti dell’inferno che, una volta arrivata sulla terra, non sapesse come e dove muoversi. Era come se, per sopravvivere all’intensità di quegli accadimenti, l’unica soluzione plausibile che avesse trovato fosse stata quella di spegnere ogni emozione e relegarla lontano da lei.
 
Ella annuì seccamente. «Dobbiamo portare il cadavere con noi,» disse e Diego si limitò ad accondiscendere, mentre Emma lanciava un ultimo sguardo a quel luogo di morte e desolazione ove vi erano più vinti che vincitori. «Ma non è tutto,» aggiunse, bloccando sul nascere qualunque propensione alla fuga fosse sorta nella mente dei suoi compagni di viaggio. Costoro la osservarono perplessi e, tuttavia, incapaci di formulare la domanda che indugiava sulle labbra di ciascuno. «Voglio radere ogni cosa al suolo.»

*
 
Le fiamme arsero ciò che rimaneva della dimora di Richard Anthony Lively, comprese le costruzioni circostanti alla tenuta. Nel disperato tentativo di arginare i costi di quello scempio che sapevano di non potere arrestare - non senza andare incontro a morte certa a loro volta -, i fratelli Jones fecero del loro meglio per mettere in salvo la servitù imprigionata da Diego e arrivarono addirittura a perlustrare il giardino in groppa a un cavallo per ridestare le guardie che Stecco e Julio erano riusciti a mettere fuori gioco prima del loro arrivo. Ma si trattò di una magra consolazione, quando le urla della signora Lively - che avevano dovuto trascinare di peso fuori dalla dimora perché non si lasciasse morire insieme al marito - li penetrarono fin nell'anima per renderli consapevoli dei compromessi cui erano scesi.

Quando le fiamme lambirono il luogo in modo da soddisfare il capitan pirata, silenziosamente il gruppo si incamminò verso il cancello d’entrata e, una volta superato quello, essi trovarono i cavalli che Stecco e Julio avevano preparato per l’occasione. Il giovane, rimasto indietro per tenere d’occhio le bestie, osservò sconcertato la combriccola che gli veniva incontro per realizzare, solo in un secondo momento, che la figura inerte che Diego portava sulla spalla con espressione distrutta altri non fosse che il suo compagno di malefatte. La sua espressione si fece greve e fu sul punto di cedere sotto il peso della tragedia, quando incrociò lo sguardo del suo capitano e comprese di non potersi permettere alcun cedimento, non in quel momento.
 
Tutti divisero un cavallo per comodità e per dare meno nell’occhio, tutti tranne Emma: Diego portò con sé la salma di Stecco, Julio divise la cavalcatura con Ulan e i due Jones presero con loro Henry, il cui sguardo non aveva abbandonato la madre un solo istante. Attraversarono Telos avvolti nei loro mantelli e l’abbandonarono come si lascerebbe una dimora infestata da strane creature, con il cuore pesante e sollievo a un tempo. E, se possibile, percorsero la foresta con celerità ancora maggiore, su di loro una coltre di silenzio più pesante del freddo notturno. A chi aveva udito le urla provenire dalla dimora dei Lively e aveva trovato il coraggio di affacciarsi dalla sicurezza della propria dimora, rimase impressa nel cuore l’impressione di aver visto i cavalieri della morte portare con sé il sapore metallico del sangue e anche chi non credeva in un dio piuttosto che in un altro provò l’istinto di farsi il segno della croce.
 
Adesso che la quiete era giunta, le ferite cominciarono a pulsare, sia quelle dell’anima che quelle del fisico, e ciascuno di loro credette di aver sbagliato qualcosa: Emma rimpiangeva di aver modificato il suo proposito iniziale di procedere per conto suo; Killian di non aver finito il capo delle guardie quando ne aveva avuto occasione; Liam di aver proposto l’idea della separazione iniziale; Julio di essere rimasto indietro e di aver mandato avanti l’amico; Ulan di non essersi prontato per primo nell’affrontare il maledetto traditore. L’unico a non avere rimpianti era Diego. Egli sapeva, con la maturità dei suoi anni e della sua persona, che non soltanto ciascuno dei presenti avesse assolto al proprio compito nel miglior modo possibile, ma che le perdite facessero parte della vita e, soprattutto, delle battaglie. Se non fosse stato Stecco a morire, il destino si sarebbe preso qualcun altro dei presenti ed egli era convinto che ciascuno di loro avesse ancora un ruolo da giocare in quella grande partita che aveva portato esseri umani tanto diversi ad unirsi per una causa comune.
 
Quando, come prestabilito, arrivarono il prossimità del fiume, più in basso di qualche miglia rispetto al punto in cui si trovava il ponte dei fantasmi, vi trovarono Dorothy e un altro uomo in loro attesa. L’espressione di entrambi, da sollevata che era, mutò ben presto nel realizzare quanti dettagli a loro ignoti stessero nascondendo la notte e i mantelli, addolcendo l’aspetto delle molestie che ognuno dei membri del gruppo doveva aver subito. Emma fu la prima ad andare loro incontro, mentre gli altri si affrettavano a caricare la piccola imbarcazione che avevano sistemato lì quello stesso pomeriggio.
 
«Tu,» disse, rivolgendosi all’uomo che accompagnava Dorothy con espressione diffidente.
 
«Lui è Rodrigo, la guardia di cui ti ho parlato.»
 
Rodrigo altri non era che l’informatore incontrato a Durin, quello che aveva fornito ad Emma le informazioni più importanti che avesse reperito da che erano iniziate le sue ricerche. Curioso che non le avesse spiegato da principio il suo ruolo e la sua identità, ma probabilmente, convenne Emma, sarebbe stato un rischio troppo grosso da correre, conoscendo il temperamento del capitano della Nostos.
 
«Ci sarà tempo per le spiegazioni quando saremo sulla Nostos.»
 
Dopo che tutti ebbero preso posto sull’imbarcazione, prestando attenzione alla forza della corrente, guadarono il fiume fino alla foce, aiutati dall’assenza di piogge che rese, se non gli animi più leggeri, il percorso meno impervio, .
 
La balena, perduto lo slancio d’amore, aveva smesso di cantare e tutto taceva, adesso, nello spirito di Emma.
 
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Spazio dell'autrice:

Sono in ritardo, come sempre, forse più delle altre volte. Ma una spiegazione ce l'ho: come avrete visto, questo è il capitolo centrale, in cui molti nodi vengono al pettine e si compie quello che abbiamo aspettato per la bellezza di quasi due anni e 19 capitoli. E' la quadratura di una parte del cerchio e volevo dedicarci tutta l'attenzione possibile. Avevo bisogno che l'ispirazione mi prendesse e mi facesse sua senza possibilità di tirarmi indietro e così è stato: ieri sera, quando stavo per spegnere il pc, ho avuto la prontezza di aprire il documento di word e, dalle 22:30 fino alle 6 del mattino, non ho fatto che scrivere. Instancabilmente, incessantemente, senza riuscire a frenare il flusso di parole che avevo frenato fino ad allora. Ho inserito cose che non avevo previsto [come il flashback sul molo con l'anziana signora], ho cambiato parti che ritenevo fosse giusto migliorare e ho vissuto a Nostos per la bellezza di più di 7 ore. E' stato liberatorio, meraviglioso, inatteso più delle altre volte e spero di non avervi deluso in alcun modo. 
Quello che volevo e voglio da questo capitolo può riassumersi in una parola: emozione. Volevo prendervi il cuore e tirarvi giù con me nel vortice degli eventi di questo capitolo, fino in fondo dove non si distingu più chi legge da chi scrive da chi vive. Siamo tutti 'nostossiani'.

Stavolta, non mi dilungo troppo nei ringraziamenti, perché, se leggete dall'inizio, sapete che non riuscirei comunque ad esprimere a parole quanto significhino per me le vostre parole, la vostra costanza e il tempo che mi dedicate. Posso solo dirvi, mie care k_Gio_, emmec94, Lely_1324 e pandina, che le vostre recensioni mi regalato sempre, sempre, sempre un sorriso ed è uno di quei sorrisi che mi godo di più perché li sento davvero fin nell'anima. E amo il fatto che si percepisca all'esterno, che mia cugina, la mia coinquilina e chi mi sta intorno arrivino a chiedermi cosa mi faccia sorridere e io non riesca comunque a spiegarlo. E' una felicità, quella, così pura e profonda che non potrei mai tradurla a parole, proprio io che ne uso tante per tracciare una storia. 
Il mio ringraziamento per voi è l'intera nottata trascorsa a scrivere e il risveglio con il dito sul computer, pronta a leggere e rileggere per limare il più possibile e rendere il capitolo migliore della prima stesura. E sono le lacrime che ho versato per Emma, Henry e Stecco; e i miei 'No' nella parte finale del capitolo, come se io non avessi potere in merito alle loro sorti e fosse mera spettatrice inerme di ciò che stava accadendo. Come dicevo a Gra, del resto, è un po' così: la storia finisce per travolgermi e dirmi quale direzione prendere e io non ho altra scelta che seguitare lungo quel percorso.

Un ringraziamento speciale, poi, va a Herman Melville che mi ha ispirato il titolo del capitolo e che mi ha costretto a vedere video sulle balene e a trascorrere la prima parte del mio Venerdì sera a piangere come una cretina nel sentirne il canto e nel vedere il video dei loro spruzzi felici nell'essere salvate da quella o quell'altra rete. Sto leggendo Moby Dick e, a dispetto della complessità della narrazione che rende più difficile immedesimarsi nella storia di quanto non accada con altri libri, deve essermi proprio entrato dentro per ispirarmi in questo modo. Ah, le magie dei grandi capolavori! Grazie, Herman, grazie.
Segue il ringraziamento a mio fratello che, come al solito, mi fa da consulente sulle parti strategiche ed è sempre sincero. E' un po' la voce della mia coscienza, perché riesce sempre a trovare i punti che non mi convincono e a spingermi a ritornare a lavoro anche quando sono stanca e vorrei non essere pignola come al solito. Grazie, Linolà! Sei il miglior consulente di sempre.
E un altro ringraziamento voglio farlo alla mia amica Martina, che mi ha stupita, l'altro giorno, dicendomi di essersi messa in pari con la storia in tempi record. Quasi non ricordavo di averle passato il link e lei se n'è uscita dal nulla con questa sorpresa. Grazie, grazie, grazie!

Mi scuso in anticipo per eventuali errori o per le parti che non scorrono bene come dovrebbero, ma ho davvero bisogno di staccare un attimo e andare a scaricare. La seconda parte del capitolo mi ha scossa e non mi fermo da tante, troppe ore. 
Buona lettura, miei prodi!

 
  
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