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Autore: alaskha    05/12/2015    3 recensioni
“No, aspetta – fui lui a fermarmi, quella volta – non ti va un caffè?”
“Io non bevo caffè”
“Sei davvero newyorkese o bluffi? Non mi piace la gente che bluffa”
Avevamo usato lo stesso verbo, quindi probabilmente Luke Hemmings non era un bugiardo bluffatore.
“Sono newyorkese e non bluffo, semplicemente non mi piace il caffè ed io e te non ci dobbiamo piacere, non dobbiamo neanche mai più rivederci, quindi non importa”
“Giusto”
Rimanemmo a guardarci per qualche istante.
Istanti nei quali lui non si tolse mai dalle labbra quel sorrisino sfacciato.
“Quindi?” mi riscosse lui, dal mio stato pietoso di trance.
“Quindi addio, Luke Hemmings”
“Mi dici addio perché New York è grande ed è facile sbagliarsi?”
Annuii.
“Esatto”
“Speriamo non sia così grande come dicono, allora”.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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chapter eight

weakness



 
“Che idea del cazzo, Jen”
Odiavo Jonathan Benjamin Stratford con tutta me stessa, ed avevo una voglia matta di prenderlo a sberle e disconoscerlo come fratello.
“Va’ al diavolo, John”
Ero andata a trovarlo nel pomeriggio, indossando uno dei miei più pregiati vestitini di Chanel: quello di quel giorno era nero, e l’avevo abbinato a delle Dr. Martens. Davo sempre il mio tocco di stile.
“Ehi, voi due – si intromise Sabine, arrivando nel salotto con due tazze stra colme di the caldo – che succede?”
Guardai Sabine Thomas sedersi affianco a quello che era il suo compagno di vita da ben due anni, e ad oggi, non capisco come una ragazza dolce, carina e disponibile come lei, riuscisse a convivere con un decerebrato come mio fratello.
John inarcò un sopracciglio, voltandosi nella direzione di Sabine.
“Beh? - gli chiese lei – che hai?”
“The caldo? – domandò, stranito – mi stai davvero dando del the caldo? Sei seria, Sabine? Non ce l’abbiamo tipo una birra?”
Sabine lo assassinò con lo sguardo.
“John sono le tre del pomeriggio, dannazione”
Guardai entrambi, di sottecchi, con la tazza di the tra le mani, appoggiata alle mie ginocchia.
“Scusate? Vi siete dimenticati che esisto?”
Sabine scosse la testa, rivolgendomi poi un ampio sorriso.
“Scusa, Jen – cominciò, rivolgendosi poi a Jonathan – ma tuo fratello si sta trasformando in un alcolizzato, ultimamente”
John roteò gli occhi al cielo, ed io soffocai una risata.
“Che vita interessante – commentai, sarcastica e veloce – ma il punto è, Sabine, convincerai John il guastafeste a venire a cena da noi, sabato?”
La biondona mi guardò stranita, aggrottando le sopracciglia.
“E perché mai dovrei convincerlo io?”
“Chiedilo a lui – feci, appoggiandomi allo schienale della poltrona sulla quale ero seduta – ha deciso di fare il prezioso, persino con me, sua sorella”
Feci leva sul lato sensibile del suo carattere, anche se il più delle volte sembrava essere inesistente.
“Piantala di fare la vittima, Jenelle – s’intromise, subito – lo sai che ti adoro, ma un’intera sera con papà e Daniel è troppo anche per me, non se ne parla”
Lo guardai alzarsi dal divano: portava un paio di pantaloncini sportivi e non indossava la maglietta, facendo sì che i suoi tatuaggi su braccia e petto fossero esposti alla luce del sole.
Sbuffai, guardando Sabine, cercando di farle pena il più possibile. Sempre detto io, che mi merito un cazzo di Oscar.
“Jonathan, amore – iniziò Sabine – almeno ascolta le motivazioni di tua sorella, sono sicura che se lei, proprio lei, ha avuto quest’idea della cena, un motivo ci sarà”
“Ti ringrazio, Sabine, infatti è proprio così”
John roteò per l’ennesima volta gli occhi al cielo, e gliel’avrei detto prima o poi che continuando così si sarebbe danneggiato la retina.
“Cos’è, vi state alleando contro di me, voi due? – ci accusò, accendendosi una sigaretta – al diavolo la solidarietà femminile”
Mi alzai anche io dalla poltrona, raggiungendo mio fratello alla finestra. Guardai il suo profilo, ed una boccata di fumo uscì dalle labbra piene: non ci somigliavamo per niente, io e John, lui era la copia del nostro fratellino minore.
“È per Jai”
A quelle mie parole, John si voltò immediatamente verso di me, per cercare i miei occhi.
“Ancora?”
Annuii, abbassando lo sguardo sulle piccole crepe del parquet di casa Stratford - Thomas.
“Jen.. – cominciò, incerto – non so più cosa fare”
“Passa un po’ di tempo con noi – lo supplicai – Jai ti adora e gli manchi molto, ma credo capisca la situazione, sai che è molto sveglio”
Rubai un sorriso, a quelle labbra di ghiaccio.
“Molto più di te, comunque” scherzò.
Ridacchiai, per poi tornare seria, ancora occhi negli occhi con mio fratello maggiore.
“Verrai?”
John guardò prima me, poi Sabine, trovandola a sorridergli dolcemente. Lo guardai sbuffare, per poi scompigliarmi i capelli, come quando eravamo più piccoli.
“Riuscirò mai a dirti di no?”.
 
 
 
 
 
 
Soho non era molto distante da Brooklyn, così ne approfittai per farci un salto, prima di tornare a casa, a Wall Street. Mi infilai nelle strade trafficate, respirando un po’ di estate. Avevo dimenticato le cuffie a casa, ed avevo già imprecato più e più volte. Passai davanti al Paradiso, ed un sorriso istintivo comparve sulle mie labbra. Avevo voglia di sedermi ad un tavolino del bar di Chace, con un the freddo davanti ed il mio Romeo e Giulietta tra le mani. Stavo per spingere la piccola porta di vetro, quando sentii gridare il mio nome ad alta voce.
“Jenelle! Ehi!”
Mi voltai, sentendomi una schizofrenica, dato che non vidi nessuno. Iniziai a pensare che quelle voci esistessero solo nella mia testa.
“Da questa parte!”
E finalmente vidi il possessore di quella voce squillante, o posseditrice? Esiste? Boh, comunque, era Cherrie, la fidanzata di Calum. Con la sua lunga chioma di capelli biondi ribelli e le lentiggini sul viso.
“Ciao! – la salutai, insicura su come si facesse tra ragazze – come stai?”
Cherrie mi raggiunse, con un sorriso radioso sulle labbra. Che aveva da sorridere in modo così vistoso?
“Benissimo! – esclamò, su di giri - e tu? Che ci fai dalle parti di Soho? So che stai a Wall Street, non conosco nessuno di quelle parti!”
Aveva una voce così allegra e gioiosa, quella ragazza sarebbe stata capace di distogliere un suicida dalle sue intenzioni.
“Quante cose che ti dice Calum, di me” osservai.
Lei mi guardò stranita, stringendosi un po’ nella sua maglietta extra large di una band rock che non conoscevo.
“Non me l’ha detto Cal – rettificò – è stato Luke”
“Oh..” fu questo, il mio arguto commento.
“Sei sorpresa – notò, con un sorriso furbo – come mai?”
Gesticolai, in modo davvero patetico. Al solo sentire il suo nome, il mio cervello entrava in modalità blackout.
“Non lo so, io.. – balbettai – non mi aspettavo che Luke parlasse di me”
“Hemmings? – esplose poi in una risata – Hemmings parla solo di te, tesoro!”
Non riuscii a nascondere un sorrisino compiaciuto, e Cherrie se ne accorse.
“Senti – cominciò – io stavo per andare a fare un po’ di shopping sulla Broadway, se ti va, mi piacerebbe avere un po’ di compagnia”
Guardai il suo sorriso, dipinto alla perfezione sul suo bel viso, e pensai che Calum era davvero un ragazzo fortunato, ad aver trovato una tanto bella come Cherrie. Non che Cal fosse da meno, s’intende. Anzi..
“Allora?” mi richiamò lei, dai pensieri poco consoni che stavo facendo sul suo ragazzo.
Valutai le due opzioni: entrare nel Paradiso e continuare quella mia vita da ameba asociale che conducevo da diciotto tragici anni, oppure, approfittare dell’occasione e tentare, almeno per una volta, di farmi un’amica femmina. Che non avesse 27 tatuaggi per braccio, una canna sempre tra le dita ed una spiccata passione per rimorchiare ragazzine, per esempio. Ogni riferimento a Zayn e Louis è puramente casuale.
“Perché no?”.
 
 
 
Eravamo da American Apparel da una buona mezz’ora. Avevo sempre amato quella griffe, ma mio padre per me preferiva Chanel, Prada o Stella McCartney.
Cherrie stava provando dei deliziosi jeans chiari, strappati sulle ginocchia, come li portava il suo ragazzo ed il resto della sua band sgangherata, ma meno larghi. Ironia della sorte, Cherrie portava i pantaloni che avrebbe dovuto indossare Calum, e viceversa.
“Ho fatto milioni di regali, a Calum, qua dentro!” esclamò Cherrie, con la voce resa ovattata dal camerino.
“Gli piace molto?” mi informai, accavallando le gambe, seduta su un piccolo sgabello.
“Stai scherzando? – chiese lei, retorica – Calum e i ragazzi adorano American Apparel”
“Però – cominciai io – sai un sacco di cose, su di loro”
Beh certo idiota, mi dissi, Calum Hood, il bassista, è il suo fidanzato. Avevo bisogno di una vacanza, al più presto. Cherrie uscì dal camerino, interrompendo quei miei pensieri, facendo una piroetta su se stessa.
“Che ne pensi?” mi chiese, con un ampio sorriso.
Cherrie non aveva le sembianze di una principessa, come Luke diceva di me, ma era bella a modo suo, era particolare ed originale, quando Cherrie camminava per strada, ti giravi a guardarla, sempre, senza dubbio.
“Stai molto bene, Cherrie” le dissi, accennando un sorriso.
“Ti ringrazio, Jenelle!” fece per scomparire nuovamente nel camerino, ma dopo pochi secondo riemerse, con un vestito argentato tra le mani.
“Cos’è?”
Cherrie si morse il labbro, sorridendo sorniona.
“L’ho preso per te – fece, incerta – diciamo che mi è piaciuto da subito, ma se ti dicessi che su di me starebbe malissimo, sarei fin troppo gentile con me stessa”
Mi fece ridere, dopodichè mi alzai, raggiungendola allo specchio del camerino. Lei posò il vestito lungo e argento sulla mia figura, facendolo aderire alle mie (inesistenti) curve.
“Provalo, Jen, ti starà una bomba ne sono sicura”
Non seppi dire di no al suo sorriso, così mi ritrovai chiusa nel ristretto spazio vitale del suo stesso camerino, mentre lei parlava senza sosta di quanto fosse bello fare shopping con un’amica e dimenticarsi di tutto il resto.
Quando però uscii, Cherrie si zittì all’improvviso.
“Beh? – cominciai – faccio così schifo?”
Cherrie mi guardò come se avessi appena parlato in russo stretto.
“Schifo? Ma mi prendi in giro, Jenelle? – mi fece voltare verso lo specchio – non ho mai visto nessuno essere così sexy ed elegante allo stesso tempo, il tuo è un dono”
Le sorrisi, istintivamente, non ero abituata a sentirmi dire determinate cose.
“Non sapevo che American Apparel facesse articoli di questo tipo” ammisi.
“Oh sì, eccome, anche American Apparel ha i suoi assi nella manica” disse, facendomi l’occhiolino.
Continuai ad ammirarmi con quel vestito indosso: non ero il tipo da fissarmi ore ed ore davanti allo specchio, non ero una di quelle ragazze che meditava interi pomeriggi, su cosa indossare. Forse perché non avevo molta scelta, forse perché gli abiti di Chanel che avevo nell’armadio mi sembravano tutti uguali.
“Che ne pensi?” mi chiese Cherrie, guardandomi da sopra la mia spalla.
“Non credo di essere molto adatta per l’argento” le esternai i miei dubbi.
Lei schioccò la lingua sul palato, in disaccordo.
“Sembri una sirena”
“Una sirena?” le chiesi stranita.
“Sì! – urlò lei, convinta – le sirene sono creature bellissime e desiderabili!” mi spiegò.
Così risi, trascinandomi dietro anche lei. Mi piaceva la compagnia di Cherrie: era tremendamente dolce, divertente, vera, vivace e doveva anche essere una persona dedita ai casi sociali, dato che si apprestava a passare il pomeriggio insieme a me.
“Se lo dici tu, Cherrie” convenni, continuando ad osservarmi.
Si portò un dito alle labbra, improvvisamente dubbiosa.
“Sai già quando potresti indossarlo?”
Mi strinsi nelle spalle, ma senza neanche volerlo, mi venne in mente qualcosa che credevo non sarebbe mai nemmeno entrato nell’anticamera del mio cervello.
“Ci sarebbe il ballo di fine anno, ma è uno stupido evento – misi le mani avanti - non so..”
Era la prima volta che pensavo al ballo di fine anno come a qualcosa a cui avrei voluto partecipare. L’avevo sempre visto come una brutta copia di festa d’addio per la classe del 2014 e, non so, le farse non mi erano mai piaciute granché.
“Ma è fantastico! – Cherrie prese a battere le mani, entusiasta – e sai già con chi ci andrai?”
Mi voltai verso di lei, per guardarla in viso, portandomi le braccia conserte al petto.
“No – scossi la testa – in realtà non mi ha invitata ancora nessuno”
Lei annuì, mentre io pensavo a quanto drammatica e patetica fosse la mia situazione.
“Capisco – recepì lei – beh, so che Jj, il fratello di Luke, sarebbe più che felice di accompagnarti”
Aggrottai le sopracciglia, stranita.
“Non voglio andare al ballo con Jj!” le feci presente.
“È carino Jj, no?”
“Certo, è carino – non quanto il fratello – ma non voglio illuderlo, Luke ed i ragazzi mi hanno detto che ha questa strana ossessione per me, ed io gli voglio bene come un amico”
“Già, e poi Luke non glielo permetterebbe mai..” rimuginò.
“Come?” chiesi, confusa.
Cherrie si rianimò improvvisamente, puntando i suoi occhioni scuri nei miei, scuotendo poi freneticamente la testa e sfoggiando un sorriso perfetto.
“No, nulla, pensavo ad alta voce”
“Ah”
Cherrie sembrava ancora pensierosa, forse stava pensando al single più appetibile di New York da affibbiarmi per quella sera. Probabilmente non sapeva che, il miglior partito in circolazione, a detta di mio padre, me l’ero già accaparrato proprio io.
“Tu hai un fidanzato, giusto?” riemerse dai suoi pensieri.
“Sì – confermai, annuendo – ma è fuori discussione, Daniel non balla e tanto meno partecipa a questi eventi mondani per ragazzini”
Cherrie mi guardò sconcertata, ed anche un po’ divertita. Io liquidai la faccenda con un gesto della mano e guardando da un’altra parte.
“Lui li definisce così”
“Capisco..” disse.
“Quindi – ricapitolai – credo proprio che finirò accompagnata da due tossicomani convinti”
Il bel visino di Cherrie divenne un punto interrogativo.
“I miei migliori amici” spiegai.
“Oh! – fece lei, esibendo un sorriso divertito – almeno ti divertirai parecchio”
Stavo per risponderle che partecipare al ballo di fine anno con un vestito di quel tipo, in compagnia di Zayn e Louis che avrebbero passato tutto il tempo a fumare erba sul terrazzo della scuola e correggere il ponche con della tequila, non sarebbe stato proprio il massimo del divertimento, ma il mio iPhone vibrò, avvisandomi dell’arrivo di un messaggio.
 
05:27 PM
Luke Hemmings:
“Principessa, ti hanno rapita prima che potessi farlo io? Se così non fosse, e lo spero tanto, mi raggiungi al garage di Calum? Ho una cosa da farti sentire”.
 
Un sorriso idiota mi si dipinse sul volto. Avevo anche smesso di maledirmi, ormai non riuscivo più a controllare né i muscoli della mia faccia, né tanto meno i miei pensieri.
“Jen?”
La voce di Cherrie mi fece sussultare, e quasi mi cadde il telefono per terra.
“Cavolo Cher, mi hai fatto venire un infarto!”
“Rilassati – mi consigliò, ridendo appena – chi è che con un solo messaggio riesce ad estraniarti dal mondo?”
“Luke” risposi, incolore.
“Oh – si sorprese un po’ – e che vuole, Hemmings?”
“Dice di raggiungerlo al garage di Cal – raccontai – forse una nuova canzone della band”
Cherrie mi guardò stranita, scuotendo poi la testa, decisa.
“Ma Cal e gli altri sono a casa di Mike e Luke, non al garage”
Aggrottai le sopracciglia, confusa. Perché Luke voleva che andassi al garage di Calum per farmi sentire una cosa, se il resto della band non era lì?
 
 
 
 
Raggiunsi Brooklyn con un taxi, che pagai 13 dollari esatti. Mio padre mi avrebbe ucciso, se avesse saputo che prendevo ancora i mezzi pubblici, dal momento in cui avevo una Limousine tutta per me. Se avesse saputo che me ne andavo in giro sullo skateboard malandato di un rocker di Brooklyn, probabilmente mi avrebbe disconosciuta come figlia. O forse già per il fatto che me ne andassi in giro per Brooklyn.
Scossi le spalle, liberandomi di quei pensieri e mi avvicinai all’entrata del garage di Calum Hood. Entrai lentamente, godendomi poi lo scenario che vidi davanti ai miei occhi: Luke era seduto sul divano in pelle marrone, con le gambe fasciate da skinny jeans neri appoggiate ad un tavolino in vetro davanti a lui ed una maglia a mezze maniche bordeaux, semplice. Stava giocando con il labret, ed aveva la sua chitarra poggiata sulle gambe. Inclinai la testa, osservando le sue dita accarezzarne le corde, rimasi incantata da quell’immagine così pacifica e tremendamente affascinante.
“Jen – fece poi lui – sei qui”
Sorrisi, guardandolo alzarsi dal divano e poggiare la chitarra accuratamente al muro. Si avvicinò a me, azzardando un sorriso, anche lui.
“Beh? – cominciai io – perché mi hai fatta venire qui se gli altri non ci sono? Come fai a farmi sentire quella famosa cosa di cui mi hai scritto?”
Manifestai tutta la mia confusione, e lui ne rise, ovviamente.
“Quante domande”
“È solo che non capisco”
“Ho interrotto qualcosa di importante?”
“No – non avrebbe mai interrotto niente, lui – stavo facendo shopping con Cherrie”
Luke inarcò un sopracciglio, improvvisamente confuso.
“Tu? – chiese, retoricamente, indicandomi - tu, Jenelle Stratford, stavi facendo shopping con Cherrie Williams? Sto sognando? Se lo sapesse Ash, gli cadrebbe un mito”
“Ehi! – m’indignai, colpendolo su una spalla – Ashton può andare a farsi fottere, Cherrie è una ragazza meravigliosa” la difesi.
Luke mi mostrò un mezzo sorriso, ed io mi sforzai per non imbambolarmi.
“Ho una nuova canzone” proclamò.
“Fantastico – ne gioii io – posso sentirla?”
Lui annuì, tornando a prendere la sua chitarra, che aveva definito l’amore della sua vita, una delle prime volte in cui ci eravamo incontrati.
“Ho pochi accordi – mi avvisò, mentre si passava una mano tra i capelli e si sedeva su un alto sgabello nero davanti all’asta del microfono – ed una sola strofa, che però voglio farti ascoltare”
“Ne sono onorata, Hemmings” lo presi in giro.
Osservai ammirata il suo modo di sorridermi, guardando in basso, mentre accordava lo strumento.
“Pronta?”
“Quando lo sei tu”
Luke si schiarì la voce, sistemò il microfono davanti alla sua bocca, ed attaccò.
Quando suonava, Luke, era rilassato, molto più di quanto non lo fosse normalmente. Smetteva di giocare freneticamente con il suo piercing e si lasciava totalmente trasportare dalla musica, senza preoccuparsi di altro. Il suo sguardo, che mi rivolgeva mentre cantava, e le parole che aveva scritto, mi facevano sorridere, insieme a lui.
*“Allora?” mi chiese, una volta concluso.
Mi strinsi nelle spalle, sorridendo a più non posso.
“È bella Luke, mi piace”
Sorrise anche lui, alzandosi dallo sgabello e riponendo la chitarra al suo posto.
“Sono contento”
“Perché proprio io?”
Fu una domanda che mi uscì di riflesso, una di quelle cose che dici senza neanche pensarci. Luke mi guardò a lungo, senza dire una parola. Dopodiché si mosse verso la sua giacca di pelle nera, appesa alla batteria di Ashton, che se lo avesse saputo probabilmente un pugno non glielo avrebbe tolto nessuno, e ne estrasse dalla tasca sinistra un pacchetto di Marlboro.
“Ne vuoi una?”
“No – rifiutai – non fumo”
“Peccato”
“Vuoi che muoia?”
“Le sigarette hanno il potere di rilassarti – spiegò mentre si sedeva a terra, con la schiena appoggiata al muro – e chi più di te ne avrebbe bisogno?”
“T’ignoro”
Luke rise, e battè un colpo con la mano sul posto vuoto affianco a sé.
“Vieni qui” m’invito.
Mossi qualche passo nella sua direzione, sedendomi poi esattamente dove mi aveva indicato lui.
“Tutti moriremo un giorno”
Voltai il viso nella sua direzione, inarcando un sopracciglio, mentre lui increspava le labbra in un sorrisetto già vagamente divertito.
“Questa vena da pessimista cronico ti aiuta nella stesura dei tuoi testi?”
Luke si strinse nelle spalle.
“A volte”
Nessuno dei due aveva intenzione di distogliere lo sguardo dagli occhi dell’altro.
“Mi rispondi, ora?”
Indugiò qualche secondo, per poi annuire.
“Ho iniziato a scrivere questa canzone il primo giorno che ti ho vista” confessò.
Strabuzzai gli occhi, e lui non riuscì a nascondere una mezza risata.
“Alla cerimonia del diploma?”
Annuì, ancora, tirando con i denti il labret. Distolse per un secondo lo sguardo, mentre prendeva una boccata profonda di fumo dalla sua sigaretta.
“Portavi dei tacchi su cui non sapevi camminare, e mentre ti osservavo da lontano, per evitare Kyle, eri davvero divertente”
Non sapevo se offendermi per l’insulto, spaventarmi per la sua attitudine da stalker o restare lusingata, dal fatto che mi avesse osservata, quel giorno.
“Mi guardavi?”
“Non potevo non farlo, con quel rossetto rosso che avevi sulle labbra”
Sorrisi, distogliendo imbarazzata lo sguardo dai suoi occhi così tanto azzurri da mettermi soggezione. Lui abbozzò una risata, invece.
“Come pensi di chiamarla?”
Lui si strinse nelle spalle, senza sapere cosa dire.
“Non saprei proprio, sinceramente – confessò – tu hai qualche idea?”
Ci pensai su, mentre sentivo il suo sguardo addosso.
“You’re just a little bit out of my limit.. – canticchiai, mentre lui sorrideva – che ne pensi?”
Incontrai i suoi occhi, voltandomi.
“Out of my limit?”
Annuii, aspettando una risposta dal front man della band.
“Potrebbe andare?”
“Aggiudicato”
Mi sentii immediatamente soddisfatta.
“Vuoi un tiro?” mi chiese poi, avvicinandomi la sigaretta al viso.
Guardai lui, poi la Marlboro che stringeva tra pollice e indice, poi ancora lui.
“Non ti sto offrendo un’arma nucleare, Jen”
Sbuffai, afferrando con forza la sigaretta. La avvicinai alle labbra, incerta.
“Così?”
“Ah – ah” assentì lui.
Aspirai lungamente, ed al momento di buttare fuori il fumo, temetti di morire in quel preciso istante. Tossii per almeno due minuti buoni, sopra le risate di Luke, ed i suoi colpi sulla schiena.
“Omicida! – lo accusai – stavi per uccidermi!”
Praticamente gli lanciai la sigaretta addosso, ma lui non smise comunque di ridere.
“Adesso calmati – mi consigliò, mentre io incrociavo le braccia al petto, come una bimba capricciosa ed arrabbiata – la prima volta è normale, migliorerai col tempo”
“Tempo? – gli chiesi, retorica – non proverò mai più quella roba”
Luke scoppiò in una risata vivace, buttando la testa all’indietro, riuscendo a portarsi dietro anche me. Ma quella magia venne interrotta dal suo iPhone, che squillò all’improvviso. Lo guardai sbuffare, una volta letto “Kyle” sul display, e poi rispondere.
“Che c’è? – attaccò – no, non lo so, no Kyle – passò qualche lungo secondo in silenzio, ad ascoltare - non dire niente a mia madre, ci parlerò io dopo – scattò, con le spalle in avanti - fai un po’ come ti pare” concluse poi, chiudendo la chiamata.
Non dissi nulla, lo osservai solamente appoggiare la testa al muro, esasperato, socchiudendo piano gli occhi e torturandosi il labret.
“Ehi? – lo richiamai – tutto bene?”
Sembrò ricordarsi della mia presenza, quando alzò la testa, voltandosi poi verso di me. Finse un sorriso, ma non annuì, perché era chiaro: non andava tutto bene.
“Era Kyle – spiegò – il padre di Jj”
“Sì, l’avevo capito”
Luke accinse nuovamente al suo pacchetto di Marlboro, accendendosi avidamente un’altra sigaretta. Guardarlo fumare era un passatempo estremamente controproducente per le solite farfalle che avevano affittato un monolocale nel mio stomaco.
“Crede di potersi comportare come se fosse mio padre – continuò – ma non lo è e non lo sarà mai, ma credo proprio che non abbia intenzione di capirlo”
Lo guardai, mentre fumava a capo chino. Avevo voglia di accarezzargli una guancia, e dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma che potere ne avevo io?
“Qual è il vero problema tra di voi?” azzardai.
Lui scosse la testa, continuando a non guardarmi.
“Kyle è un perfezionista ed io, evidentemente, tutto il contrario – cominciò a spiegare – ma non ho voglia di raccontarti queste cose”
“Perché? – gli chiesi, sinceramente – ti potrebbe fare solo bene, parlarmene”
Non ero mai stata così con qualcuno, ma per Luke sentivo davvero il bisogno di esserci. Gli toccai un ginocchio, per fargli capire che io ero lì, per davvero. E lui alzò lo sguardo nei miei occhi, mordendosi ancora una volta il suo lip piercing.
“Voglio essere io, quello forte dei due – disse, colpendomi – non voglio mostrarti la mia debolezza, voglio che tu ti senta al sicuro, almeno insieme a me”
Sfoderai il sorriso più sincero di tutta la mia vita, lì, con Luke, seduti per terra nel garage di Calum.
“Mostramela”
Lo guardai indugiare per un minuto, dopodiché fece un cenno col capo, decidendo di lasciarsi andare, con me.
“Quando mio padre è morto, tre anni fa, credevo che mia madre non si sarebbe mai risposata – raccontò, gesticolando più del dovuto – e invece, cinque mesi dopo, ecco Kyle alla porta di casa nostra”
“Come andavano all’inizio le cose tra di voi?”
“Lui cercava di farsi accettare, era un continuo volermi comprare, ed io non facevo altro che odiarlo maggiormente”
“Posso capirti”
Lui annuì, spegnendo la sua terza sigaretta nel posacenere affianco alle sue gambe.
“Mi ha anche regalato quella – disse, indicando la sua chitarra – forse l’unica cosa buona che ha fatto nella sua vita”
Abbozzai una risata, nonostante tutto, osservando il profilo della sua mascella contrarsi, mentre parlava.
“E poi?”
“E poi hanno annunciato il loro matrimonio, lui e Jj si sono trasferiti a casa nostra e, quando Kyle ha trovato un pacchetto di sigarette nella tasca del suo zaino – fece una pausa, per guardarmi – indovina di chi è stata la colpa?”
“Tua”
“Già – confermò – da quel momento in poi è stata una lotta continua, non mi farò mai trattare come un figlio, da lui – disse, convinto – Kyle non è mio padre, nemmeno lontanamente”
Appoggiai la testa sulla sua spalla, in un gesto meccanico.
“Per questo ti sei trasferito da Michael?” gli chiesi.
“Sì”
“Capisco”
“Non volevo annoiarti”
“Non l’hai fatto”
Luke inclinò la testa, appoggiando poi delicatamente la guancia ai miei capelli.
“Grazie”

“Quando vuoi”.
 
 
 
 


 
sounds good feels good!
ciao bimbe! come state? io sono reduce da ogni malanno di questa terra, ma sempre bene.
premetto dicendo che l'ultima parte del capitolo, è una delle mie scene preferite in assoluto. spero di aver reso l'idea.
e spero quindi che vi sia piaciuto, se viva, come sempre, vi chiedo di lasciarmi un parere, così per sapere cosa ne pensate.
io sono molto molto arrabbiata perchè avrei voluto che GionnyScandal entrasse ad Amici, ma okay, non c'entra un cazzo. però dovevo dirvelo, perchè dai cazzo, a me è sempre piaciuto e lo adoro. ma chiudo qui ahahahah scusate.
e nulla, BENJI E GIULIA SONO LA MIA NUOVA OTP IN ASSOLUTO.
un abbraccio grande da me, Benji, Giulia, Genn e NOLO. vi amiamo.
p.s: passate dalla mia nuova storia "21 grammi" dai dai dai vi amo da matti 

   
 
 
 
 
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