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Autore: poison spring    06/12/2015    9 recensioni
Prendete la figlia del Salvatore del Mondo Magico, appioppatele una cuginetta a cui fare da baby sitter e mettetela sulla strada di una folle impresa suicida alla ricerca di fortuna e gloria. Datele una migliore amica con l'intelligenza della madre, l'astuzia del padre e il carattere della nonna paterna. Datele un ex ragazzo inopportuno, un mistero o due da risolvere e un paio di fratelli da schiantare.
Agitate, non mescolate e spruzzate tutto con un bel po' di Malfoy, Lucas Malfoy.
NG Post Bellezza del Demonio. [Lucas Malfoy/Lily Luna Potter]
[I personaggi di Lucas Altair Malfoy, Lyra Joanne Narcissa Malfoy non sono presenti nella Saga della Rowling per motivi più che ovvi e sono da considerarsi di proprietà dell'autrice]
Lyra sorrise. «Sei stata grande, li hai zittiti tutti».
«Non mi si avvicinerà nessuno per il resto dell’anno, ma ne è valsa la pena. Non credo di essermi mai sentita tanto bene».
Lyra le strizzò l’occhio e la prese sottobraccio. «È genetico. Non puoi farci niente».
«Stai ancora parlando del fattore Potter?»
«E di che altro?» rise Lyra, trascinandola su per le scale.
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ciclo della Bellezza'
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II


Il fattore Potter


“I've been making a list of the things they don't teach you at school.

They don't teach you how to love somebody. They don't teach you how to be famous.

[…]

They don't teach you how to know what's going on in someone else's mind.

They don't teach you what to say to someone who's dying.

They don't teach you anything worth knowing.”


- Neil Gaiman, Sandman Vol. 9 - The Kindly Ones -


In settembre, la città aveva indossato il suo vecchio manto grigio e vi si era avviluppata, riempiendo le sue vie di una foschia familiare. Lily indossava un soprabito leggero: sua madre aveva insistito perché si coprisse e suo padre si era raccomandato di usare abiti che passassero inosservati. Naturalmente, Al aveva fatto orecchie da mercante: il suo mantello scuro, su cui era appuntata la spilla di Caposcuola, frustava la brezza di fine estate, occupando la visuale dei passanti come un presagio di sventura.

Al momento di uscire di casa, James li aveva salutati con un sorriso eloquente; lui aveva finito la scuola l’anno prima e, nella miglior tradizione di famiglia, giocava come cercatore nei Chudley Cannons. Questo riempiva d’orgoglio gli zii - George, Bill e Charlie - ma non migliorava di molto la situazione della squadra: i Cannons erano così scarsi che riuscivano a perdere anche se lui prendeva il boccino. Ma erano tutti così entusiasti dei risultati di Jamie - che a tempo perso frequentava i corsi da Auror e probabilmente avrebbe seguito la carriera del padre - che nessuno se ne rendeva conto: James Sirius Potter era wonderboy e, se il fratello mezzano sfuggiva alla sua ombra grazie alla propria peculiare natura indipendente, lei ne era miseramente investita: sapeva volare, ma non abbastanza bene da essere presa in squadra, aveva buoni voti, ma non eccellenti, era carina, ma non popolare, perché univa alla propria avvenenza un carattere schivo che non l’aiutava a socializzare.

Forse avrebbe dovuto sorridere di più.

Su questo meditava, trascinando il proprio baule con la mano destra, mentre nell’altra stringeva saldamente quella piccola e sudata della cugina e camminava svelta lungo il marciapiede della stazione di King’s Cross.

«Qui c’è scritto nove e tre quarti».

Un gemito d’impazienza le sfuggì dalle labbra socchiuse. «Sì».

«Non ho mai visto il binario nove e tre quarti».

«Lo so, Meg. È nascosto, così i Babbani non possono vederlo».

«Oh».

Albus si voltò, con una smorfia beffarda sul viso. «Questa è la quarta volta che glielo spieghi, vero?»

«La quinta» replicò lei, insofferente. «Siamo quasi arrivati alla barriera, venite».

Scattarono in una corsa improvvisata, sfrecciando tra i viaggiatori ignari: qualcuno di essi si voltò, incuriosito da quei tre bizzarri ragazzi che portavano con sé due gufi - Maggie non aveva potuto prendere un animale: su questo, Mrs. Dursley era stata molto chiara - e tre bauli zeppi di strani ammennicoli. Albus rideva, reggendosi gli occhiali sul naso.

«Corri, sorellina, o il treno partirà senza di noi!»

«Dice sul serio?» strillò Maggie, preoccupata, evitando per un pelo di urtare una signora con una pelliccia viola.

«Siamo… » Lily ansimò, scartando di lato e tirandosi dietro la cugina, « … Perfettamente… In orario! Vieni, Meg, contro il muro!»

«Ma così ci schianteremo!»

«Fidati di me!»

Udì solo le urla di Maggie e, in sottofondo, un fischio lontano che le rammentava le distese sconfinate attorno alla scuola, le piccole case e i negozi di Hogsmeade, la cioccolata e gli zuccotti di zucca. Come sempre, varcare la barriera era un salto nel vuoto: oltre il buio, vide un balenio rosso fiammante, poi la locomotiva dell’Espresso per Hogwarts prese forma dinnanzi a lei e Lily si concesse un sospiro di sollievo.

«Non male, eh?»

L’aria era carica di fumo e vapore e ovunque c’erano capannelli di studenti, radunati in attesa di salire sul treno. Li scorse velocemente con gli occhi, cercando di riconoscere qualcuno.

«Come abbiamo fatto?»  Maggie, stupefatta, mosse qualche passo in avanti.

Lily le strizzò l’occhio. «Magia».

«Vado a cercare i miei compagni». Albus fece loro un cenno con la mano e si allontanò verso un gruppo di Slytherin che scherzava ad alta voce. Di norma, sarebbe rimasto ancora con lei, finché non avessero incontrato qualcuno con cui trascorrere il tempo del viaggio, ma Lily sapeva che non aveva preso di buon grado la presenza di  Maggie. Dal canto suo, lei sembrava non dare importanza alla scortesia del cugino: era troppo occupata a stupirsi di ogni cosa che la circondava.

«Vieni» la invitò. «Andiamo a cercare uno scompartimento».

Quella annuì. Avrebbe camminato per tutta la mattina con il naso all’insù, probabilmente, emettendo gemiti di felicità, se non fosse stata travolta da una ragazzina con i capelli color carota ugualmente smarrita. Le due rovinarono a terra e Lily imprecò.

«Vi siete fatte male?» Si chinò per aiutarle.

La ragazzina con i capelli rossi scosse la testa. «Io sto bene» cantilenò. «Scusa, sai» si giustificò, tendendo la mano a  Maggie, «non guardavo dove andavo».

Meg, gli occhi lucidi, scrollò la testa. «Non fa niente». Si raddrizzò, spolverandosi la giacca, e strinse educatamente la mano che le veniva porta. «Mi chiamo Maggie Dursley».

«Wendy, ehm, Wendy Curran». Sembrava imbarazzata: il viso, trapuntato di efelidi, aveva assunto una sfumatura di rosa intenso. Si girò a chiamare qualcuno e Lily vide che si trattava della signora in viola di poco prima.

«Oh, Wendy, sta’ un po’ attenta» la rimbrottò quella, con un forte accento irlandese. «Scusa» disse poi, rivolta a Lily, «primo anno». Rassettò il cappottino di Wendy, che teneva lo sguardo contrito fisso sulla punta delle proprie scarpe.

«Non fa niente. È sua figlia?»

«Nipote» la corresse la signora, con voce gutturale. «È la figlia di mio fratello».

«Capisco». Scrutò i lineamenti della bambina, trovandoli piuttosto comuni; era la classica fisionomia britannica spesso sormontata da una folta capigliatura fulva, alterata da un naso appena più camuso. Lei stessa era abbastanza sicura di somigliarle, almeno un po’. «Questa invece è mia cugina Maggie e io sono Lily, Lily Potter».

La signora si portò una mano guantata alla bocca. «Potter, certo!» esclamò, guardandola bene per la prima volta.

«Già» ammise Lily. «Immagino abbia sentito parlare di mio padre».

Ottenne, in risposta, un gran sorriso. «È proprio così, sì. Sono una sua ammiratrice».

«Glielo saluterò» replicò lei. Aveva imparato sin da piccola a gestire il gran brusio attorno al proprio cognome. «Chi devo dire?»

«Oh, ehm…» La signora sembrava in imbarazzo. «R-Roberta Curran. Lui non mi conosce» si affrettò ad aggiungere.

«Fa niente». Lily fece spallucce. «Gli farà piacere».

«Bene, uhm, grazie. Ora noi dobbiamo andare, vero, Wendy?» Acchiappò la ragazzina per un braccio. «Dobbiamo trovare uno scompartimento libero».

«Lo stiamo cercando anche noi. Su,  Maggie, andiamo».

Si salutarono, le due bambine con un po’ di rimpianto e loro assai di fretta. La signora in viola sembrava essere ansiosa di trovarsi altrove e Lily non chiedeva altro che trovare la sua compagna di stanza e salire sul treno. Si fece largo tra i bauli e resistette a un paio di spintoni, uno dei quali assestato da Michael Rowland, un ragazzo massiccio dai capelli castani che giocava come battitore nella squadra di Quidditch di Ravenclaw, di cui era il Capitano. Erano usciti assieme per metà dell’anno precedente e lui l’aveva scaricata poco prima delle vacanze estive.

«Chi aspettiamo?»  Maggie s’era alzata sulle punte e faceva vagare il suo sguardo tra la folla.

«Un’amica». La migliore che avesse, per la precisione.

La intravide tra la folla: Lyra Malfoy, precisa e impeccabile nel suo blazer blu scuro, con la cravatta intonata e una camicia bianca dal colletto inamidato, i capelli bruni accuratamente raccolti in uno chignon sulla nuca; aveva gli occhi profondi e scuri, orlati da ciglia incurvate, il naso della madre, la bocca del padre - e della nonna e della sorella, quella matta - e il carattere più impossibile che potesse aver ereditato dai suoi geni controversi. Lily l’adorava e Lyra ricambiava a modo suo: con discrezione.

«Lyra!» vociò, agitando una mano in aria. A voltarsi, tuttavia, non fu lei, ma il giovanotto che l’affiancava; disinvolto tanto quanto lei era impostata, biondo quanto lei era bruna, teneva le mani nelle tasche dei calzoni dell’uniforme grigia in forza a qualche Divisione Speciale del Ministero. La blusa, chiusa da lacci di cuoio scuro che s’incrociavano fino all’attaccatura del collo, si tendeva su un torace robusto e i fregi sulle spalle, d’argento che scintillava nella tiepida luce di quel mattino, raccontavano una carriera esemplare. Il colletto, una semplice striscia che si chiudeva con un bottone all’altezza della cucitura laterale, era slacciato, quasi distrattamente. Un sottufficiale richiamato al comando centrale, forse in visita alla famiglia.

«Chi cavolo è quello? Lo conosci?» Maggie, dimentica della propria timidezza, lo guardava come si contempla una visione. Non che lei potesse darle torto, in ogni caso.

«Sì, so chi è».

Lui, di rimando, inclinò il capo di lato, noncurante come se la cosa non lo toccasse, gli occhi chiarissimi socchiusi in una smorfia di incredulità nel guardarla. Sfilò le mani dalle tasche e finalmente sorrise, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchissimi; il cuore di Lily prese a battere in maniera disordinata, senza che lei volesse assecondarlo e, tuttavia, senza che potesse impedirgli di perseverare nell’errore che, già negli anni più acerbi della sua adolescenza, l’aveva spesso sprofondata in uno stato emotivo di completa desolazione. Seguì i movimenti di lui, che si passava una mano sul volto e poi sotto la mandibola, velata di un casuale accenno di barba; lo vide chinarsi e sussurrare qualcosa a Lyra, che si voltò a guardarla e le fece un cenno, invitandola a raggiungerli.

«Lilou» la salutò il giovane, quando furono abbastanza vicini.

Il respiro le si mozzò, chiudendole la gola con un groppo amaro. Si riscosse in tempo, prima che qualcuno facesse domande inopportune, e tentò di sorridere. «Ciao, Lucas» disse. «Come stai?»


***


«Avrei dovuto avvertirti». Lyra accavallò le gambe ed emise un sospiro contrariato. «Per la verità, stavo pensando di farlo, ma poi mi sono messa a leggere il Profeta e l’ho scordato».

«Qualche notizia interessante?»

«Oh, Lily, non hai intenzione di tenermi il broncio, vero?» Lyra si protese verso di lei ed esibì un’espressione contrita. «Guardami, mi dispiace sul serio. Sto facendo la mia faccia desolata

«È proprio per questo che ti terrò il broncio. È molto sleale da parte tua usarla contro di me». Lily si lasciò sfuggire una risatina, osservando la campagna inglese che scorreva monotona fuori dal finestrino dell’Hogwarts Express. Maggie guardava entrambe rapita, lusingata forse dalla compagnia di due ragazze più grandi di lei di diversi anni che non sembravano trattarla come una mocciosa.

«Così questa è la cugina Dursley». Lyra aveva archiviato l’argomento scuse e Lily gliene fu grata. Era già abbastanza imbarazzata.

«Già» annuì. «L’ultimo ed inaspettato acquisto di una lunga genia di Maghi e Streghe».

Maggie gonfiò il petto e arrossì compiaciuta.

«Mia madre ne sarà deliziata, com’è ovvio» commentò Lyra, sorridendo.

Lo pensava anche Lily. «È quel che ha detto mio padre. Certe volte sono così prevedibili».

«Come procedono le cose in casa Potter?»

«Oh, al solito. Non vedevo l’ora di tornare a scuola». Si sistemò contro lo schienale. «Gli orari sono un po’ proibitivi, ma almeno non devo dividere il soggiorno con due cavernicoli».

Lyra rise. «Ah, no. Ma c’è Michael Rowland pronto a prendere il loro posto quando vuoi. Esce con Devonne Pierce, a quanto pare».

«Sai quanto me ne importa». Lily fece spallucce, pensando a Devonne e al suo petto procace.

«Già» commentò Lyra, estraendo un tascabile dalla borsa. «I palpiti del tuo cuore sono riservati a un altro».

«Piantala» protestò Lily, arrossendo. «La cotta per tuo fratello mi è passata da tempo».

«Sì, sì, come no».

Anche Maggie la guardava con scetticismo; Lily sbuffò: non riusciva ad essere convincente neppure per una ragazzina di undici anni.

«È normale che ti piaccia» sentenziò infatti quella. «È molto carino».

«Attenta, Lils. Hai una rivale». Lyra rideva apertamente adesso.

«Oh, no»  Maggie scosse la testa, facendo ondeggiare le trecce, «non ti ruberei mai il fidanzato».

«Non è il mio fidanzato!» sbottò Lily, provocando l’ennesimo scoppio d’ilarità. «E non mi piace, quindi smettetela subito».

Si richiuse in un silenzio ostinato, volgendo lo sguardo oltre le colline, dove il verde dei declivi della Cornovaglia sfumava nel blu intenso dei confini del suo cielo. Cessate le risa, anche le sue compagne di viaggio dovevano aver trovato qualche passatempo che non includesse prendersi gioco di lei. Non che portasse loro rancore; al massimo, ne serbava per se stessa e per la sua sciocca infatuazione.

Si voltò: Maggie era immersa nella contemplazione del paesaggio e Lyra leggeva il suo romanzetto, sorridendo sotto i baffi: il titolo era “Il bacio del Dissennatore” e, in copertina, una figura incappucciata ghermiva una fanciulla procace.

«Bel titolo» osservò, guadagnandosi un’occhiataccia.

«Ne ho trovato uno anche peggiore» trillò Lyra, sollevando gli occhi al cielo. «C’erano le parole cavalcare e ippogrifo. Nella stessa frase».

Sghignazzarono entrambe.  Maggie le osservava, perplessa.

Lily si affrettò a fornire una spiegazione accettabile. «Sono titoli buffi di libri, ehm, piuttosto sciocchi».

«Alta letteratura» ironizzò Lyra, riponendo il tascabile.

Maggie gli diede uno sguardo distratto. «Sembrano quelli che legge la nonna. Cos’è un Dissennatore?»

«Uno dei tuoi futuri argomenti di studio. Dubito ci siano, nei romanzi della prozia Petunia».

Maggie storse il naso. «Quanto manca all’arrivo?» chiese, sporgendosi a guardare dal finestrino.

«Un po’. Perché non ti fai un giro? Magari conosci qualcuno dei tuoi futuri compagni di casa». Lyra scrollò le spalle, scoccando uno sguardo in tralice a Lily che era già sul punto di obiettare. «Tanto deve comunque godersi la gita sul lago con vista panoramica, non può fare il tragitto con noi, giusto?»

Lily si rassegnò:  Maggie sembrava entusiasta di quella nuova prospettiva. «Gita sul lago?» chiese infatti. «C’è un lago? Oh, ma come faccio con i bagagli?»

«Puoi venire a prenderli dopo. Ci penso io a sorvegliarli».

Ottenne in cambio un sorriso smagliante. Poco dopo, Maggie era uscita dallo scompartimento; probabilmente si sarebbe cacciata nei guai, ma Lyra aveva ragione. Doveva stare con i suoi coetanei.

«Così, finalmente sole». Lyra sorrideva, lo sguardo malizioso sotto le lunghe ciglia scure a suggerire un’intima soddisfazione. Certe volte quegli occhi di velluto si spalancavano, illuminati di una scintilla ambigua. Adesso invece erano socchiusi, allusivi.

Lily conosceva quello sguardo. «Raccontami» disse.

«Tu sei proprio sicura che ti sia passata la cotta per mio fratello, eh».

«Lyra!» protestò, ma prima che potesse continuare, la sua amica mise le mani avanti.

«Lo chiedo solo perché quest’anno lo vedrai spesso».

Quella rivelazione la spiazzò. «Che?» balbettò, imprecando mentalmente. Non era neppure capace di incassare la notizia senza vacillare. Deglutì, nervosa, turbata dal ricordo di sogni non così remoti come avrebbe voluto. Lucas e il grigio fumo dei suoi occhi, la chioma scomposta in cui era impossibile non desiderare di affondare le dita, il sorriso sfrontato da schiaffeggiare e baciare così a lungo da fargli rimanere il segno.

Lyra interruppe il corso dei suoi pensieri. «Quest’anno c’è il Torneo Tremaghi. Lui è nelle squadre di sorveglianza, quindi sarà a scuola con noi per la maggior parte del tempo».

«E con lui, decine di studentesse straniere che gli svolazzeranno attorno. Benvenuta al tuo sesto anno, Lily Potter» si lasciò sfuggire, con rammarico. Pensò che Lyra avrebbe riso, ma quando incrociò il suo sguardo la vide seria e composta. «Ti faccio proprio pena, allora».

Lyra colse l’allusione. «No. A dir la verità pensavo che è piuttosto strano che mandino addirittura i Corpi Speciali. Secondo me c’è qualcosa di losco».

«Se lo dici tu». Aveva avuto intenzione di liquidare la faccenda in fretta - Lyra Malfoy e le sue fissazioni potevano essere estremamente stancanti, talvolta - ma non poté fare a meno di ricordare lo sguardo reticente di suo padre quando gli aveva chiesto se stesse succedendo qualcosa. Allora aveva pensato che la sua ritrosia avesse a che fare con l’ombra che da sempre si proiettava sui suoi rapporti con i Dursley, ma improvvisamente non si sentiva più così sicura. Osservò Lyra, che aveva ripreso in mano il suo tascabile e lo sfogliava, annoiata, giocherellando con le pagine.

«C’è dell’altro, vero?» la incalzò.

«Potrebbe» rispose Lyra. Aveva una ruga verticale in mezzo alle sopracciglia corrugate e le labbra strette in una linea dura d’apprensione.

«Ma tu non vuoi dirmi cosa» concluse Lily, con una certa stizza.

Il volto di Lyra si distese. «Scusami» si giustificò, «è solo che non sono sicura. Mio padre non è mai a casa, ma ora casualmente è tornato e in famiglia sono tutti agitati. Non penso possa essere soltanto colpa del Torneo Tremaghi, no? Io comunque non ho nessuna intenzione di partecipare e loro lo sanno bene. Perderei troppo tempo con lo studio».

Lily annuì. «Già, dovrebbero saperlo che non è da te inseguire qualcosa di vacuo come un Trofeo» commentò, non priva di sarcasmo.

«Inseguo ben altri onori, io». Lyra le fece l’occhiolino, mettendo in mostra la sua spilla da Prefetto. «E, a proposito di onori e oneri, devo raggiungere quella zucca vuota di Carmichael e gli altri nello scompartimento riservato. Tu non crucciarti troppo» le raccomandò. «E non farti venire strane idee in testa. Ci vediamo a terra?»

«Va bene. Quali strane idee?»

«Oh, lo sai. Fortuna e gloria. Tieni a bada il fattore Potter».

«Io non sono Jamie» protestò Lily, gonfiando le guance.

Lyra sospirò. «No, ma qualcosa in comune l’avete. E sarà quello a cacciarti nei guai, prima o poi».


***


Raggiunsero Hogwarts sulle carrozze, come al solito; Lily aveva perso di vista  Maggie dopo averla scorta mentre si allontanava con Wendy al seguito del Custode, il quale, tutto trafelato, come da tradizione scortava gli alunni del primo anno durante la loro traversata. Era un uomo tarchiato, con una vistosa zoppia e il viso da folletto, che si chiamava Wilder Boyle e aveva sostituito Rubeus Hagrid qualche anno dopo la Grande Maledizione del Sonno.

Hagrid viveva in Francia con la moglie; scriveva, ogni tanto. Una volta erano andati a trovarlo: le aveva chiesto di Hogwarts, non senza una certa malinconia, che lei aveva veduta riflessa pure negli occhi di suo padre.

«Ti muovi?» Lyra la chiamò. «Ci perdiamo lo smistamento!»

Si fecero strada tra la calca; Lily intravide Albus che manteneva l’ordine tra le fila degli studenti più giovani e li dirigeva ai rispettivi tavoli con pochi cenni efficienti. Gli fece una linguaccia e lo vide sollevare le spalle, insofferente. Era così diverso da Jamie o da lei, così quieto e ligio al dovere che spesso, nonostante l’evidente somiglianza con il padre, in molti si chiedevano da chi avesse preso. Da Harry Potter, il suo figlio mezzano aveva preso una certa asprezza del carattere, ma non quella turbolenza che Lily aveva sempre sentito menzionare associata al padre. Quella se l’era presa James, assieme a una baldanza che, invece, proveniva da più lontano.

Lily sorrise al fratello, che le indicò il tavolo di Ravenclaw.

«Va proprio fiero del suo ruolo, eh?» osservò Lyra, precedendola e conquistando due posti.

«Oh, lui è fatto così. Mamma dice che somiglia allo zio Percy». Le venne da ridere. «E di solito aggiunge che è solo una fase».

«Non saprei». Lyra incrociò le braccia davanti al petto e scosse la testa. «Comunque, ci siamo perse lo smistamento di tua cugina, com’era prevedibile. È laggiù, seduta al tavolo di Hufflepuff».

Maggie sollevò timidamente una mano e la salutò: aveva ricevuto le insegne giallonere e indossava la sua cravatta annodata storta. Era seduta in mezzo a due ragazzine, una bruna dall’aria smarrita e una dalla folta capigliatura arancione vivo.

«Chi è quella con i capelli fluorescenti?» chiese Lyra, che le stava osservando a sua volta.

«Si chiama Wendy; l’abbiamo incontrata sul binario».

«Sembrano grandi amiche». Lyra si versò del succo di zucca. «Oh, guarda!» esclamò poi, indicando il grande palco dove gli ultimi studenti stavano per essere smistati. «C’è zio Neville, cioè, il Professor Paciock che legge i nomi».

Ben presto, lo smistamento si concluse. Neville Paciock, l’insegnante di Erbologia, prese posto al tavolo dei Professori, tra la Cooman - che ormai era più che altro una figurante, in quella compagine - e l’insegnante di Pozioni, Claire Morgan, una bella donna dai corti capelli scuri e dallo sguardo penetrante. Di fianco a lei sedeva il titolare della cattedra di Difesa contro le Arti Oscure,  un ex Auror di mezza età che rispondeva al nome di Parsifal Dalamar, il cui predecessore, poi divenuto Preside, era stato il primo a conservarsi il posto per più vent’anni di fila sfatando il mito della malasorte che ancora aleggiava attorno a quell’incarico nonostante la dipartita di Voldemort. Dalamar era un uomo dal viso austero, gli zigomi alti e appuntiti e gli occhi neri scintillanti che spiccavano sotto le sopracciglia grigio ferro.

«Benvenuti» disse in quel momento una voce chiara, sovrastando il brusio degli studenti, che si placò immediatamente. «Benvenuti ai nuovi studenti, naturalmente, e bentornati a tutti gli altri».

Gli occhi di tutti si posarono sul leggio al centro del palco, davanti al quale sostava un Mago dalla folta capigliatura scura e dal sorriso caloroso, che indossava una lunga veste chiara. «Io sono il Preside, naturalmente, e il mio nome è Renwick Faulks».

«Ammettiamolo» bisbigliò Lyra, «quest’anno è vestito meglio del solito».

«E non ha nemmeno un anello colorato» l’assecondò Lily. «Ne sentirò la mancanza».

Indossava, però, diversi bracciali, che tintinnavano al movimento delle sue mani. Il professor Faulks aveva una fama più che giustificata di eccentrico; l’opinione più diffusa sul suo conto era che fosse un buon Preside ma che non sarebbe mai stato grande. Lui pareva non curarsene: anzi, era perennemente ben disposto nonostante i più non lo considerassero degno della carica che ricopriva;  aveva preso il posto del successore di Minerva McGranitt, Q.J. Masterson, dopo che quest’ultimo, a metà dell’anno precedente, aveva improvvisamente deciso di partire per l’oriente. Il consiglio scolastico si era riunito e aveva optato per nominare Renwick Faulks come Preside ad interim, una carica che era divenuta ufficiale solo quell’anno e che lasciava molti insegnanti piuttosto perplessi. Faulks era cordiale e simpatico, ma certe volte sembrava uno sprovveduto; era sbadato e sovente lo si poteva incontrare nei corridoi alla ricerca di qualcosa che aveva smarrito.

In quel momento, per esempio, rovistava nelle tasche alla ricerca della propria bacchetta.

«Molto bene» cominciò, quando l’ebbe trovata. «Prima di dare inizio al banchetto, qualche avviso». Si schiarì la voce, mentre, ad un suo cenno, una serie di foglietti colorati cominciava a fluttuare ordinatamente di fronte ai suoi occhi. «So che siete quasi tutti al corrente del fatto che il Torneo Tremaghi, quest’anno, si terrà qui a Hogwarts. Pertanto, tra un mese esatto arriveranno i rappresentanti delle Scuole di Magia di Durmstrang e Beauxbatons. Fate in modo che i nostri ospiti si sentano i benvenuti…»

Lyra stava osservando i post-it. «Bel trucco» disse. «Dovrei usarlo per studiare, così non avrei le mani sempre occupate».

«Hai già scelto le lezioni che frequenterai?»

«Ti ho segnato tutto qui. Quelle sottolineate sono le nostre e di fianco c’è il motivo per cui dovresti darmi retta». Lyra le porse una copia dell’orario - ma come aveva fatto a procurarsela? - corredata di sottolineature e appunti a margine.

«Non credo di voler seguire tutte queste materie». Si attorcigliò una ciocca fulva attorno all’indice, sbuffando. «Erbologia avanzata? Chi diavolo segue Erbologia avanzata?»

«Chiunque voglia inseguire fortuna e gloria e partecipare a una folle impresa suicida». Lyra la gratificò di un sorriso angelico. «In altre parole, tu».

«Ma io…» tentò di obiettare Lily.

«Vuoi dirmi che non hai nemmeno pensato di infilare il tuo nome nel Calice di Fuoco?»

Il ragazzone biondo seduto di fronte a loro rise di gusto: era Carmichael, l’altro prefetto di Ravenclaw. «Ehi, Mikey» esordì, dando di gomito a Rowland che si stava pavoneggiando con Devonne Pierce, «la tua ex vuole partecipare al Torneo».

Gli studenti lì attorno ridacchiarono. Lily era nota nella sua classe come una studentessa dalle poche ambizioni al di là della media scolastica, che era in effetti piuttosto alta; in realtà, la sua era la timidezza naturale dell’eterna seconda. Portava a termine con un discreto successo ogni compito che le veniva assegnato, ma offrirsi volontaria non aveva mai fatto per lei: passare inosservata, tutto sommato, era più sopportabile di quanto lo fosse anche solo l’idea di essere scartata. Lyra, tuttavia, aveva visto giusto: il Torneo Tremaghi la tentava. Mettere un biglietto nel Calice di Fuoco non era come alzarsi in mezzo alla Sala Grande: garantiva comunque una certa forma di anonimato.

«E anche se fosse?» butto lì, senza pensarci troppo.

Molte paia d’occhi si spalancarono. Poi Devonne emise un risolino. «Non hai speranze».

«E chi lo dice» rispose lei, serrando i denti. «Magari il Calice di Fuoco ha gusti migliori del tuo ragazzo».

«Scommettiamo?» la provocò Devonne.

Lily stava per alzarsi e risponderle a tono, ma Lyra la trattenne per una manica, facendo un cenno verso il tavolo di fronte. Sheila Warren, la caposcuola di Hufflepuff, osservava torva la compagine dei Ravenclaw e sembrava sul punto di prendere provvedimenti. Le risatine cessarono di botto e persino Rowland sedette compunto ad ascoltare le ultime parole del discorso del Professor Faulks.

«In ultimo» stava dicendo il Mago, «per la vostra sicurezza è stato necessario isolare l’area del Lago. A quanto pare abbiamo un’inopportuna e imprevista invasione di piante acquatiche, ehm, piuttosto irritabili». Tossicchiò e sorrise, allargando le braccia. «Il nostro Professor Paciock sta studiando la questione e ci auguriamo tutti che la cosa si risolva nel minor tempo possibile».

Neville si alzò e fece un breve inchino, cui seguirono una serie di fischi di approvazione. Lily applaudì con gli altri: tutti amavano gli eroi di guerra, soprattutto se la loro fama era dovuta all’aver decapitato un serpente gigantesco con la spada di Godric Gryffindor.

Il Preside alzò le mani e il clamore cessò. «Molto bene, molto bene. Credo di aver detto tutto» annunciò e detto questo si avviò verso il tavolo. Uno dei suoi foglietti lo inseguì, svolazzandogli davanti agli occhi in  maniera insistente. Faulks lo afferrò e lo lesse. «Oh, sì! E buon appetito!»

In Sala Grande riecheggiarono diverse risate. Lyra si portò una mano sulla fronte. «È un caso disperato» commentò, servendosi una porzione di pesce.


***


«È un peccato che Maggie non abbia potuto fare la gita sul Lago». Albus stava ritto in piedi, vicino alla porta, e controllava i movimenti del corpo studenti.

Lily si morse la nocca dell’indice. «Scommetto che sei distrutto per lei».

«Facevo una semplice osservazione» puntualizzò lui. «Dovresti essere già nel tuo dormitorio, comunque».

«Aspetto Lyra».

«Lyra è un Prefetto, ha il permesso di stare fuori. Tu no».

Lily represse un gemito. «Sei davvero insopportabile».

«E sono un Caposcuola».

Probabilmente, se fossero stati a casa, Lily avrebbe tirato fuori una delle sue rispostacce. A Hogwarts, tuttavia, Albus godeva di un potere che a lei era negato e, poiché da un paio d’anni erano Ravenclaw e Slytherin a contendersi la Coppa delle Case, se gli avesse concesso la possibilità di approfittarsi così della sua posizione avrebbe presto dovuto pagare la sua ingenuità. Così confezionò l’imitazione di un sorriso e la esibì in mezzo alla folla, che tutti potessero assistere e testimoniare la sua educazione.

«Ma certo, Caposcuola Potter. Vado subito» disse.

Seguì gli altri studenti e lasciò che il loro mormorio la stordisse, per qualche istante. Salì le scale con le braccia conserte e fu solo all’ultimo che sentì una mano sottile agganciarla e darle una stretta amichevole.

«Dovresti smetterla di deprimerti per colpa di quel cazzone».

Lily spalancò la bocca. «Credo di non averti mai sentita dire cazzone in diciassette anni».

Lyra fece spallucce. «Ma mi hai sentita dire Rowland. Che io sappia sono sinonimi».

«Non è per lui, comunque» disse Lily, sbuffando.

Rowland era qualche passo più avanti, intento a dare spettacolo per il diletto di alcuni ragazzini del secondo anno. Raccontava le sue imprese sul campo da Quidditch, un argomento che aveva sempre molta presa sul pubblico. Anche Devonne lo contemplava ammirata, come se non fosse stata testimone delle numerose sconfitte subite dalla squadra di Ravenclaw da quando lui era diventato Capitano. Come stratega non valeva un granché, a dispetto della Casa in cui era stato smistato, ma questo importava poco. Lui era popolare.

«È che comincio a pensare di aver ereditato tutto il peggio della famiglia. Non sono nemmeno capace di mettermi in gioco senza farmi venire i sudori freddi. Nessuno scommetterebbe uno zellino sulla sottoscritta».

«Scema». Lyra aveva inarcato il sopracciglio sinistro. «Sai, credo che dovresti provarci. Metti il tuo nome nel Calice. Sfida la sorte».

Lily la studiò. «Non avevi detto che dovevo tenere a bada il fattore Potter?»

«Già. Ma sarebbe come chiedere al mare di stare all’asciutto. E poi sarebbe una gradevole ventata di novità, se tu facessi qualcosa d’imprevisto».

«Devo farmi ammazzare perché tu ti annoi?»

«Come sei melodrammatica» sospirò Lyra. Si era appoggiata a una delle colonne che reggevano il soffitto a volta dell’anticamera e guardava con insofferenza il gruppetto di studenti giovani che confabulava nei pressi dell’entrata del Dormitorio. «Ehi, voi, là davanti, perché siete tutti fermi?»

«Non riusciamo a farci aprire la porta» rispose una delle ragazzine.

«Che cosa vi ha chiesto?» domandò, facendosi strada. Lily la seguì e in breve si ritrovò anche lei attorniata da ragazzini.


«Sono la Morte, sono un cane a tre teste, sono la furia delle tempeste.

Una sola mossa contro tre nemici. Che arma scegli?»


La voce incolore della porta tacque.

«Oh, su, è facile». Lyra arricciò le labbra. «Possibile che nessuno qui lo sappia?»

Un brusio sommesso riecheggiò tra i ragazzi più giovani. Gli studenti anziani sembravano non badare a loro, come se non avessero alcuna fretta di entrare. Persino Carmichael se ne restava in disparte, a dispetto del suo ruolo di Prefetto: era una sorta di tradizione, a Ravenclaw, che i nuovi arrivati risolvessero da soli il primo indovinello.

«Non possiamo rimanere qui fuori tutta la sera» brontolò qualcuno.

Carmichael fece spallucce; guardava Lyra, quasi sfidandola a fare qualcosa di cui, chiaramente, la riteneva incapace. Sbagliava, naturalmente: infrangere le regole senza darlo a vedere era il suo passatempo preferito. Di certo, però, non avrebbe sfidato apertamente la legge non scritta del rito d’iniziazione, se non in caso di estrema necessità. Lily la vide scuotere il capo con aria rassegnata.

Si levò una debole protesta: quell’indovinello non era adatto a ragazzini del primo anno.

«Non potremmo chiedere una domanda di riserva?» propose una di loro.

Lyra sollevò un sopracciglio. «Non credo sia mai successo».

«Io vorrei entrare» s’intromise Devonne, che si era avvicinata all’ingresso.

«Risolvi l’indovinello, allora». Lyra le dedicò un largo sorriso.

«Fossi matta, Malfoy. Non lo sai? Porta sfortuna infrangere la tradizione». Devonne fece una smorfia. «Non ricordi la leggenda? Chiunque impedisca il rito d’iniziazione discende nell’Averno. Non ho voglia di morire entro l’anno!»

«Sono sciocche superstizioni. Nessuno muore per una risposta esatta».

«Perché non lo fai tu?» Una serie di consensi si levò alle spalle di Devonne. Se proprio una regola doveva essere infranta, era bene che lo facesse un Prefetto. Era quello che pensavano tutti.

«Lo faccio io» disse Lily e si ritrovò immediatamente tutti gli sguardi puntati addosso. «La musica, come nel mito di Orfeo. Orfeo riesce a placare la natura suonando la lira e il suo canto placa le fiere. Anche Cerbero, il guardiano dell’Ade; e il Dio della Morte si commuove tanto da concedere a Orfeo di riportare la sua amata in vita» concluse.

Tutti trattennero il fiato. La serratura si sbloccò con uno scatto anonimo e la porta si aprì, rivelando l’imbocco della scala; appeso a mezz’aria a fili invisibili c’era, come ogni anno, uno striscione di benvenuto, con una grande aquila al centro.

«Beh, non si è aperta nessuna voragine con accesso diretto all’Aldilà, mi sembra» commentò Lyra, con una nota di sollievo nella voce. «Tutti dentro, coraggio».

Devonne scrollò la testa. «C’è ancora tempo» mormorò, avviandosi.

Lily rabbrividì. «Gentile».

«Come sempre. Ignorala». Lyra sorrise. «Sei stata grande, li hai zittiti tutti».

«Non mi si avvicinerà nessuno per il resto dell’anno, ma ne è valsa la pena. Non credo di essermi mai sentita tanto bene».

Lyra le strizzò l’occhio e la prese sottobraccio. «È genetico. Non puoi farci niente».

«Stai ancora parlando del fattore Potter?»

«E di che altro?» rise Lyra, trascinandola su per le scale.



Ciao. Ehm.
Che dire. Intanto, grazie a chi ha recensito, seguito, preferito, likato, cuorato e via andare. Poi dopo:
Note, citazioni, luoghi, etimo e nomenclatura:
• i romanzetti Harmony dei maghi. Mi fanno buttare via dal ridere e non posso farci niente.
Fortuna e gloria è una citazione da Indiana Jones e il Tempio Maledetto.
• Parsifal Dalamar è un nome che viene da due fonti: Parsifal, uno dei cavalieri della tavola rotonda, e Dalamar Lo Scuro, un personaggio di Dragonlance.
La leggenda di Ravenclaw e la tradizione dell'indovinello sono una libera invenzione della sottoscritta. Quel discende nell'Averno fa un po' eco a un vecchio teen movie che conosco solo io.
• I corpi speciali che conoscerete come W.A.T.S. sono una libera invenzione di me medesima.
• Hagrid sposato con Madame Maxime è, a quanto sembra, inesatto. Ma ormai l'avevo scritto.

Sarebbe carino se mi diceste cosa ve ne pare. E anche se mi raggiungeste qui.

   
 
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