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Chissà perché gli esseri umani erano tanto affascinati dai vampiri. Nonostante l’istinto li spingesse a stare lontani da noi, ne erano tremendamente attratti, come le mosche quando sentono il miele. Certo, per un vampiro normale questo facilitava notevolmente la caccia, ma per quelli come me poteva essere un fastidio non indifferente. È proprio per questo che mi ero sempre chiesta perché la natura ci avesse dotati di quest’arma infallibile, perché avesse dato un potere così grande a delle creature così infime, come se volesse spingerci a dare libero sfogo a tutti i nostri appetiti. Me ne rendevo conto ovunque andassi: nonostante Forks avesse a disposizione un’intera famiglia di vampiri da ammirare, nel momento stesso in cui varcai la soglia della città mi sentii immediatamente al centro dell’attenzione. Sarà stata certamente anche colpa dell’auto (mi rendevo perfettamente conto che il candido bianco perla del mio macchinone attirava non pochi sguardi ammirati, in mezzo a tutte quelle utilitarie grigie), ma ogni singola persona che incontravo sbirciava insistentemente all’interno del finestrino, soffermandosi non più di qualche secondo sulla sfolgorante carrozzeria del mio mezzo, quasi sapessero che alla guida c’era qualcosa di ben più interessante dell’auto stessa.
Come dicevo prima, era un’arma davvero molto, molto potente.
Pericolosissima.
Abbassai il finestrino, non perché volessi facilitare le cose ai passanti, ma perché avevo bisogno di una traccia, di un odore. Ero arrivata a Forks, ma non avevo la minima idea di dove dirigermi; benchè la cittadina fosse così piccola, non mi andava di gironzolare a vuoto. Aguzzai i sensi, annusando il gelido vento che squassava la città.
Muschio.
Per forza, con tutta quella vegetazione; il verde inghiottiva il territorio circostante, non mi sorprese il fatto che quello fosse l’odore predominante. Era anche più forte di quello umano.
Animali. Erbivori…dei cervi, forse.
Legna bagnata.
Benzina. Olio per motori. Qualcuno che riparava un’auto.
Fumo. Legno bruciato, d’acero, di quercia e di frassino. L’odore dei caminetti accesi.
Odore di pioggia, di autunno, freddo, pungente. Il mio preferito.
Poi, tra le migliaia di fragranze diverse che si libravano nell’aria, finalmente la sentii.
Era appena accennato, ma riuscivo comunque a sentirlo distintamente. Era un odore inconfondibile, unico, sarebbe stato impossibile sbagliarsi. Mi affrettai a seguirlo, senza nemmeno guardare la strada, mi bastava l’olfatto per capire che quella era la pista giusta.
La pioggia batteva incessante. Dopo parecchi minuti, in cui ero oramai arrivata oltre il confine della città, la scia cambiò radicalmente direzione; alla velocità a cui andavo, mi ritrovai a dover svoltare bruscamente in una stradina sterrata, seguendo l’odore che via via si faceva più intenso, e un ramo di agrifoglio andò a sbattere violentemente contro la fiancata della mia auto. Avevo abbassato entrambi i finestrini: fogliame, pioggia e terriccio entrò nella mia macchina, ma non me ne curai, me ne sarei occupata più tardi. Non ci pensavo nemmeno a tirare su i finestrini. Dovevo seguire quella scia, ero eccitatissima, non volevo assolutamente perderla.
Poi finalmente la vidi.
Si stagliava maestosa e fiera alla fine di un lungo viale costeggiato da alberi, le cui chiome nascondevano alla vista dei più la radura in cui sorgeva la grande casa bianca. Le luci erano accese, segno che qualcuno era in casa, l’odore inconfondibile. Non riuscii a trattenere un sorriso.
Finalmente, ero arrivata.