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Autore: LadyRealgar    08/12/2015    4 recensioni
(Sequel de La sua Paura, crossover The Avengers, The Amazing Spiderman; possibili riferimenti ad altri personaggi fumettistici)
Sono passati quattro anni dagli eventi che hanno portato Chiara ad Asgard e, nuovamente sulla Terra, la ragazza cerca di riprendere una vita normale, ma nulla sfugge all'occhio attento dello S.H.I.E.L.D. e la giovane senese è costretta di nuovo ad affrontare la separazione dalla sua famiglia, ma questa volta ha uno scopo: proteggerla.
Dal capitolo 1:
-Lei è Arianna Watson?- chiese poi, simulando la voce di Nick Fury; con una mano si copriva l'occhio sinistro, imitando la benda, mentre con l'altra faceva scorrere sullo schermo il file con le domande che aveva l'obbligo di porre alla sua cavia ogni volta prima di procedere al trattamento.
-Affermativo- rispose Chiara in uno sbuffo -Seriamente, dobbiamo fare tutte le volte questa sceneggiata?
-Nata a Washington DC il 12 Aprile del 1992?- continuò l'uomo, ignorando la domanda.
-Affermativo.
-Dichiara libertà allo S.H.I.E.L.D. di eseguire le dovute analisi sul suo metabolismo e di sottoporle i farmaci necessari per perpetrare le suddette analisi?
-Affermativo.
Ps. Possibili riferimenti ad Avengers:Age of Ultron. Spoiler Alert
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton, Loki, Nick Fury, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il rumore di un clacson in lontananza fece sobbalzare la ragazza sulla sedia e una scarica di dolore lungo tutta la schiena le mozzò per un momento il respiro: si era addormentata piegata sulla penisola, circondata da una decina di fogli di carta imbrattati di graffite e sanguigna. Il soggetto di tutti quegli schizzi era uno solo: Spiderman.

Chiara si alzò lentamente in posizione eretta, già percependo il principio di quello che sarebbe divenuto da lì a poco un forte mal di testa; -Ohi, ohi..- si lamentò, intontita dal sonno, mentre Annibale, comodamente disteso sul divano, se la dormiva nella grossa.

-Bella la vita, eh?- ridacchiò, osservando le labbra del cane sollevarsi leggermente durante i profondi respiri che l’animale, rilassato, emetteva; si strofinò gli occhi con i pugni chiusi e rimase per un momento ad osservare la produzione di quella notte d’ispirazione: aveva ritratto il vigilante in varie pose molto dinamiche e complicate, cercando di mettere su carta l’agilità e la velocità dei movimenti a cui aveva assistito durante quel breve combattimento.

Non aveva mai visto nulla del genere e ne era rimasta affascinata, ma tra quei disegni non ve n’era uno che si avvicinasse abbastanza alla realtà. Non c’era nulla che suggerisse tanta abilità e lei, come artista, agognava riuscire a catturarla e a fissarla nel colore.

Mentre si massaggiava il collo, l’occhio le cadde sull’orologio appeso al muro a lato della porta e un “Porcavacca!” le scappò di bocca: erano le 6.23 e lei avrebbe dovuto essere al Daily da almeno venti minuti.

Si gettò in bagno come una furia, lavandosi e vestendosi a tempo di record, poi, infilato in borsa il sacchetto del cibo di Annibale, agganciò il cane al guinzaglio ed entrambi corsero alla fermata dell’autobus, riuscendo a prenderlo per un soffio.

Pur non essendoci il solito traffico mattutino che solitamente bloccava tutte le strade di Brooklyn, la corsa parve alla ragazza infinita e, quando finalmente raggiunse il Caffè, le sembrò strano che il signor Bailey stesse ancora alzando la saracinesca davanti alla vetrina: -Arianne, eccoti!- le sorrise cordialmente, prendendo tra le dita la sigaretta che stava fumando ed emettendo una densa nuvoletta grigia -Ho finito da poco di farcire i croissant, se il tuo amico ha fatto la sua magia anche questa volta puoi andare a scaldare il forno.

-Mi scusi per il ritardo…- esordì Chiara, ma l’uomo sventolò la mano con noncuranza, come per dire “Non ti preoccupare”, e le indicò con un’occhiata la cucina attraverso la vetrina, così la ragazza, risollevata nel morale, corse dentro al Caffè e sistemò il fusibile al suo posto.

Sopra i fornelli ben tre teglie piene di panciuti croissant erano in attesa di essere infornate e, mentre il forno, ora di nuovo funzionante, raggiungeva la giusta temperatura, Chiara accese la macchina del caffè e iniziò a distribuire le tovagliette di carta sopra i tavolini, mentre Annibale, a cui la padrona aveva riempito la ciotola di croccantini, faceva la sua colazione in un angolo della sala.

Quando Chiara ebbe messo la prima teglia in forno, il campanello all’ingresso suonò e una trafelata Talia entrò al Daily, lanciando il cappotto sull’appendiabiti e inforcando il grembiule, sbiascicando scuse sul suo ritardo per via di un autobus non passato.

Finalmente tutto il personale aveva raggiunto il posto di lavoro e il Daily Coffee poté accogliere propriamente la sua affezionata clientela: il primo a far suonare il campanello d’ingresso fu il signor Hevon, che accompagnava il nipotino Trevor a scuola.

-Buongiorno- salutò l’anziano signore, aiutando il nipote ad accomodarsi sugli alti sgabelli del bancone.

-Buongiorno!- rispose allegramente Talia -Allora, Trevor, come è andato il test di matematica?

-Bene, bene- disse evasivo il bambino, la cui attenzione era concentrata maggiormente sul vassoio di brioches che non sulla conversazione -Posso avere quella?- chiese poi puntando il ditino verso la più grossa.

-Certamente, tesoro! E lei cosa gradisce, signor Hevon?

-Delle uova e un po’ di pane bianco abbrustolito, per favore.

-Arrivano!

La ragazza entrò in cucina e Chiara iniziò a distribuire il caffè a signor Hevon e a un paio di altri uomini in abito da ufficio che si erano seduti a un tavolo.

-Buongiorno signor Hevon! Trevor!- salutò la ragazza, mentre riempiva la tazza all’anziano uomo, che rispose sorridendo: -Ciao Arianne, come stai?

-Come se mi avesse investito un’automobile- rise quella -Ma per il resto va bene. Come sta sua figlia? È da un po’ che non viene a trovarci.

-Mamma lavora un sacco, ultimamente- lo anticipò il piccolo Trevor, che già era riuscito a impiastricciarsi la faccia di marmellata -Però ha detto che verrà al saggio di musica ad Halloween!

Il nonno gli diede una carezza sul capo, mentre con l’altra mano gli porgeva un tovagliolo -Trevor è stato nominato primo clarinetto della banda quest’anno- disse l’uomo, i cui occhi brillavano di orgoglio.

-Allora dovresti accompagnarmi al provino di oggi- si intromise Talia, rientrando in sala con un grosso piatto pieno di uova strapazzate -Tu suoni e io canto.


*


Aveva passato la notte in bianco e le occhiaie che gli si erano formate sotto agli occhi liquidi ne erano la prova lampante. Quando zia May l’aveva visto scendere in cucina con una faccia da zombie, aveva insistito per fargli misurare la febbre, ma Peter, adducendo come motivo la severa politica dei professori sulla puntualità, aveva afferrato il sacchetto del pranzo ed era letteralmente scappato fuori di casa.

In fondo, si disse poi mentre scendeva le scale che portavano alla metropolitana, quella scusa non era poi così falsa: quello era il suo secondo anno alla facoltà di Biotecnologie e, dato che la retta era stata pagata per la maggior parte da sua zia, ci teneva a dare il massimo e, dati i primi esami, a risultare il primo tra i suoi compagni di corso.

Lo doveva a zia May e lo doveva a Gwen.

Dopo la sua morte, Peter aveva passato un anno terribile, trascorrendo le sue giornate in piedi di fronte alla lapide che riportava il nome di Gwen Stacy. La sua Gwen.

Sua zia si era dimostrata molto comprensiva e disponibile a dargli tutto l’aiuto possibile, credendo di comprendere appieno i sentimenti del ragazzo, ma il dolore di Peter non stava solo nella perdita, bensì a fondo, molto più a fondo. Quello che lo distruggeva dall’interno era il senso di responsabilità.

Di giorno rivedeva i grandi occhi verdi della ragazza che lo guardavano mentre cadeva nel baratro, di notte sentiva nel rumore dei rami che ondeggiavano al vento il suono del suo collo che si spezzava per il contraccolpo della ragnatela che si tendeva.

Aveva perso l’appetito e, con esso, diversi chili, riducendosi ad essere ancora più gracile e allampanato di quanto già non fosse e questo, aggiunto alla mancanza di sonno, lo aveva reso estremamente instabile, portandolo a oscillare tra l’irritabilità e l’apatia.

Nel frattempo, l’indice di criminalità era aumentato vertiginosamente e la polizia aveva avuto un bel da fare per tenere a bada tutti quei malviventi che, non vedendo più in giro il vigilante in maschera rossa, potevano delinquere in tutta libertà.

Poi, finalmente, un atto di coraggio aveva risvegliato in lui il Peter determinato e intrepido che si era nascosto sotto la coltre di depressione, ed era tornato a indossare la sua maschera; questo non significava che il suo senso di colpa si fosse attenuato, ma, almeno, aveva trovato un modo per tentare l’espiazione del peccato che gli macchiava indelebilmente la coscienza.

Facendo del bene, anche il suo umore era migliorato e, finalmente, si era deciso a riprendere gli studi: gli ottimi voti con cui si era diplomato al Midtown High gli avevano aperto le porte dell’università, ma la retta era comunque una bella batosta per la finanza familiare, così zia May aveva richiesto di poter fare gli straordinari in ospedale, presso cui era infermiera, e lui tentava di racimolare qualcosa vendendo le sue foto e facendo qualche lavoretto per i vicini.

Il vagone della metropolitana in cui salì era incredibilmente pieno e per tutta la tratta a Peter sembrò di essere un’acciuga in una scatola di latta, ma quando fu ridisceso i suoi polmoni poterono tornare a respirare e l’ambiente stimolante dell’università gli fece quasi dimenticare di essere uscito senza aver fatto colazione.

Peccato però che a metà mattinata il suo stomaco decise di esibirsi nel canto della balena, proprio durante la lezione del più burbero dei suoi professori, che commentò l’accaduto affermando che mai si sarebbe aspettato di ritrovarsi un cetaceo come allievo. Inutile dire che per la vergogna il povero Peter cercò malamente di nascondersi dietro allo zaino appoggiato sul banco.

Durante la pausa, si precipitò in caffetteria, dove si servì con del caffè freddo e un muffin che, da quanto era vecchio e malconcio, probabilmente aveva militato in Vietnam.

Annusando diffidente il muffin veterano, Peter non poté fare a meno di pensare all’invito che quella ragazza aveva avanzato la notte precedente e, di improvviso, si rivide davanti agli occhi tutti i siti internet e le pagine che aveva consultato per individuare quel modello di teaser, ma il risultato era stato: zero. Il nulla assoluto.

Sembrava quasi che le Stark Industries non avessero mai prodotto un simile oggetto e questo non faceva altro che incrementare i suoi sospetti; era addirittura arrivato a pensare che potesse essere una criminale, ma aveva subito scartato quell'ipotesi: era alquanto improbabile che le aziende di proprietà di Tony Stark alias Iron Man fossero coinvolte in attività illegali e, in secondo luogo, un furfante non avrebbe avuto ragione di dargli suggerimenti su come proteggere la sua identità segreta.

Ma allora cosa si nascondeva sotto?

Ad un tratto un’ombra gli si parò davanti e una deliziosa voce femminile gli domandò: -Scusa se ti disturbo, ma sto cercando l'auditorium, puoi indicarmi dove si trova?

Peter alzò svogliatamente gli occhi dal proprio caffè e per poco non si strozzò con l’ultimo sorso che aveva appena bevuto: in piedi davanti a lui, vestita con un paio di leggins neri e una giacca a vento rossa, stava una ragazza dai lineamenti piú graziosi che avesse visto da diverso tempo. Il suo viso era un ovale perfetto, in cui erano racchiusi un paio di profondi occhi a mandola e una bocca dalle carnose labbra colorate da un leggero velo di rossetto, il personale era sottile e armonico e le mani, che sbucavano appena dalle maniche della giacca a vento, erano molto curate. I capelli, invece, neri e lucenti, le scendevano morbidi lungo le spalle e una simpatica frangetta le incorniciava il viso.

La ragazza aveva uno sguardo gentile e gli sorrideva cordiale, ma il silenzio si stava protraendo un po’ troppo, così Peter si impose di concentrarsi sulla risposta: -Secondo piano, quarta porta a sinistra- disse in un lampo, poi, accorgendosi di quanto fosse stato brusco, aggiunse -Vuoi che ti accompagni?

-No, grazie- declinò quella, accennando un sorriso -Credo di potermela cavare. E comunque, se fossi in te, eviterei di mangiare quel muffin, sembra uno zombie di The Walking Dead.

-Eh già- ridacchiò il ragazzo, pensando a una frase intelligente da dire, ma quella era già uscita dalla caffetteria prima ancora che potesse proferire mezza parola.

-Idiota- mugugnò contro se stesso il ragazzo, facendo cadere la fronte sul piano del tavolo. Quella giornata era cominciata davvero male!

Nel corso delle lezioni successive, Peter cercò con lo sguardo quella ragazza e, passando davanti all'auditorim, buttò un occhio attraverso il vetro della porta, ma non gli parve di scorgerla, così si rassegnò alla figuraccia fatta e, una volta conclusa l’attività scolastica, si diresse dal suo fotografo di fiducia per far sviluppare i suoi ultimi scatti.

Questa volta si era concentrato maggiormente sul quartiere di Hell’s Kitchen: aveva sentito che da qualche tempo un nuovo vigilante mascherato era apparso in quella zona, dando diversi grattacapi alla criminalità organizzata che l’appestava.

Le foto di Spiderman, oramai, vendevano poco o niente e, inoltre, sarebbe stato pericolosamente sospetto se il suo nome fosse stato associato a una grande quantità di scatti dell’Uomo Ragno, così aveva provato a dare la “caccia” al nuovo collega, ma i risultati non erano stati quelli che aveva sperato: a differenza sua, il vigilante di Hell’s Kitchen non era un tipo loquace, ma, al contrario, preferiva agire nell’ombra e non lasciar parlare molto di sé.

Nessuno scatto del vigilante e nessuna notizia, ma in compenso i ritratti di vita urbana gli erano parsi molto buoni e sperava di riuscire a piazzarli a qualche giornale locale.

Compiuta anche quella commissione, i pensieri di Peter tornarono a focalizzarsi sull’incontro della sera precedente e sui suoi sospetti, decise, dunque, dato che erano le tre del pomeriggio passate e che non aveva ancora mangiato adeguatamente da quando si era alzato dal letto quella mattina, di andare a fare una visita al Daily Coffee.



Il viaggio in aereo da Roma Fiumicino a Washington Dulles National Airport. con uno scalo di tre ore a Madrid in compagnia di Nick Fury era durato quindici, interminabili ore, trascorse con il cuore pesante come un pezzo di piombo, al punto tale che, se fossero precipitati in acqua, Chiara era sicura che sarebbe andata irrimediabilmente a fondo.

Fury, abbigliato come un turista con grossi Rayaban scuri, un cappellino da baseball calato sulla fronte, una felpa degli Yankees sulle spalle e un paio di larghi blue jeans, teneva tutto e tutti sotto controllo, mentre Natasha, che aveva preso un secondo volo per Los Angeles assieme a una terza agente abbigliata alla stessa maniera di Chiara, aveva il compito di depistare eventuali inseguitori.

Dio solo, pensava Chiara, sapeva chi accidentaccio potesse essere interessato a lei oltre che a quei due pazzi americani.

Al check out dell’aeroporto, mimetizzato tra la folla, un uomo dalla mascella squadrata e i capelli biondo cenere tagliati a spazzola era giunto ad accoglierli: -Chiara, I'd like you to meet Agent Barton- aveva detto Fury, mentre l’uomo lo aiutava a caricare i bagagli su una vecchia Ford grigia e anonima.

L’agente l’aveva squadrata dall’alto della sua statura, il suo sguardo era freddo e impassibile e Chiara se lo sentì addosso come una doccia gelata.; stanca e a disagio, poté solo sbiascicare un vago: -Ciao.

Clint Barton non era un uomo di molte parole e durante il tragitto, in cui lui aveva avuto il ruolo di autista, non proferì verbo né tentò di fare conversazione, ogni tanto però, notò Chiara, lanciava occhiate allo specchietto retrovisore per studiarla e lei sentì quei glaciali occhi azzurri scrutarla attraverso il vetro, sforzandosi di ignorarli. Troppe erano le emozioni da gestire in quel momento per poter pensare anche a quegli occhi: certo, non era lontana da casa come quando era finita ad Asgard, ma ugualmente si sentiva sperduta e intimorita da ciò che quelle persone, che l’avevano allontanata dalla sua famiglia dall’oggi al domani, volessero da lei; la sua maggior preoccupazione, però, era quanto tempo sarebbe durato quella forzata separazione.

Seduta sul sedile posteriore dell’automobile, guardava distrattamente il paesaggio all’esterno, cogliendo solo le luci che si stagliavano sulla grande città notturna, ma senza effettivamente vedere alcunché.

Dopo circa un’ora, la vettura si arrestò nel parcheggio interno di un enorme edificio che svettava sopra un’isola nel bel mezzo del Potomac River e allora i due uomini scesero ed estrassero le borse dal bagagliaio: -Please, come- disse il Falco, aprendole la portiera, sulle spalle teneva lo zaino in cui Chiara aveva stipato lo stretto necessario per partire. Alla luce delle lampade, la ragazza notò che indossava un paio di jeans, una camicia a scacchi e una giacca di tela nera, era molto informale e i suoi modi, sebbene distaccati, erano tutt’altro che bruschi.

Con il sedere ancora dolorante per tutte le ore trascorse seduta in aereo, scese riluttante dal veicolo e seguì i due uomini attraverso il parcheggio senza dire una parola; era un ambiente piuttosto cupo, illuminato qua e là da qualche neon, e la ragazza notò che, pochi metri più a destra della Ford, era parcheggiata anche una BMW nera.

I tre entrarono in un ascensore, Fury premette il tasto 11 e la scatola metallica salì silenziosamente.

-Hill is already here, I saw1- disse Fury, fissando la porta dell’ascensore davanti a lui.

-Yes, she said she couldn’t wait ‘till tomorrow- rispose l’agente Barton

-How thoughtful.

-She couldn't wait for listenin' to what she has to tell. The lab-rats said that the amount of energy was massive, lots more intense than the last time Thor visited us.

Sanno di Thor?”Chiara riuscì a cogliere il nome dell’amico nella conversazione e tutti i suoi nervi iniziarono a fremere.

-Yeah- sospirò Fury, togliendosi il cappello da baseball e passandosi una mano sulla pelle del capo -This time was necessary to move the population of an entire city, we never considered how many people the so called “Bifrost” can bring and take away.

-But asgardians are our allies, aren’t they?- c’era un velo di inquietudine nella sua voce e Chiara non seppe se essere felice di scoprire che anche quello strano uomo provasse emozioni o se essere spaventata da cosa le avesse provocate.

-Yes, they are, but we don’t know who else can use that tecnology. Do you remember the Chitauris, don’t ya?

-Pretty clearly, sir.

-Well, we must find out more about this stuff and something interesting about the girl came out too, but some researches are needed to prove it.

-What do you mean?- la conversazione doveva essere volta attorno a lei, perché Barton si girò fulmineo a guardarla -She’s just a kid, what help can she bring to us?

-We’ll see- sospirò l’uomo -By now she can give us her knowledge. Did I mention that she went to Asgard?

Il campanello dell’ascensore suonò e il trio si ritrovò in un corridoio lungo e affiancato da numerose porte di uffici, sul viso di Barton si era dipinta un’espressione piuttosto sconcertata e Chiara, in qualche modo, sapeva di esserne stata la causa.

Venne scortata attraverso il corridoio, fino all’ultimo ufficio, l’ultimo in fondo, sulla cui porta stava appesa una targhetta di metallo nera con una scritta argentata che diceva: “Maria Hill, commander”.

Dling dlong.

Lo squillante suono del campanello appeso all’ingresso della tavola calda annunciò l’arrivo di Talia, avvolta dalla sua inseparabile giacca a vento rossa; la ragazza appese giacca e sciarpa all’appendiabiti, inforcò il grembiule e svanì dietro la porta della cucina senza dire una parola.

Chiara la fissò sconcertata, la bocca semiaperta dallo stupore: da quando si erano conosciute, circa un anno prima, Talia si era sempre dimostrata cordiale e aperta, sempre con il sorriso sulle labbra e una parola gentile nei confronti di tutti. Mai e poi mai si sarebbe aspettata di vederla attraversare il locale come una furia senza nemmeno rivolgere un saluto ai clienti abituali e senza sommergerla di parole, raccontandole con abbondanza di dettagli lo sviluppo del provino e…

Il provino!” la ragazza si batté la mano aperta sulla fronte, realizzando finalmente la causa di quello strano comportamento dell’amica e, servito il caffè a un cliente al banco, si affacciò timidamente dalla porta della cucina, dove in un angolo, seduta su una cassa vuota di gassosa, Talia singhiozzava.

-Ehi…- sussurrò la ragazza, rivolgendole il sorriso più caldo di cui fosse capace, che divenne una risatina trattenuta quando vide l’amica sobbalzare dalla sorpresa -Avanti, dimmi chi devo picchiare per farti tornare il sorriso!

Talia si passò velocemente le dita sotto agli occhi, cercando di celare il più possibile le lacrime, ma Chiara, avvicinatasi e inginocchiatasi di fronte a lei per poterla guardare in viso, le porse una manciata di tovaglioli: -Se vuoi far finta di niente, pulisciti almeno la faccia dai rivoli di mascara, anche se ti suggerisco di tenere in considerazione la possibilità di travestirti da Alice Cooper per Halloween. Ora che ti guardo bene, gli somigli abbastanza.

Talia prese i tovaglioli e iniziò a strofinarseli sulle guance, mentre il suo volto assumeva un’espressione indecifrabile; passarono qualche secondo in completo silenzio, finché la cantante, dopo aver preso un profondo respiro, si decise a parlare, anche se con voce piuttosto tremula e incerta: -Gallina strozzata…- singhiozzò -Mi hanno chiamata così, senza nemmeno permettermi di completare la canzone. Quei… quei…

-Lasciali perdere!- la interruppe Chiara, prevedendo un nuovo sfogo di pianto e anticipandolo -Erano soltanto gli organizzatori di una stupida festa universitaria! Cosa vuoi che ne sappiano di musica? E comunque quanto ti avrebbero pagata per esibirti? 20 dollari a dire tanto!

-Uno di loro era il docente di musica…- sussurrò piena di vergogna la ragazza, nascondendo il volto in un fazzoletto.

-E allora?- sospirò Chiara, facendo spallucce -Hai la voce più bella che abbia mai udito, hai iniziato a studiare canto quando avevi appena sei anni e, te lo giuro sulla sacra macchina del caffè di Bailey, che troverai un paio di orecchie abbastanza sturate da riuscire ad apprezzare il tuo talento. E, stanne certa, non le troverai tra quei vecchi tromboni!

La risata di Talia tolse al cuore della ragazza un grosso peso: Chiara non poteva definirsi un’esperta di musica e del suo business, se possibile, ne sapeva ancora meno, ma pensava sinceramente che la sua amica fosse dotata di una voce e di una passione nel canto invidiabile e, come sua fan n°1 ufficiale, aveva il sacro compito di spronarla a non arrendersi.

Le avvolse, così, le braccia attorno al collo e la strinse forte, cercando di trasmetterle tutto il suo sostegno; abbraccio che la ragazza ricambiò, sospirando forte e godendo della vicinanza dell’amica, ma il tintinnio del campanello all’ingresso spezzò presto quel momento di serenità e le due cameriere dovettero inforcare di nuovo i loro grembiuli e tornare in sala, dove un ragazzo allampanato con i capelli spettinati e una Reflex appesa al collo, si guardava attorno come un turista a Times Square.


*


Le ruote dell’autobus stridettero sull’asfalto allorché il mezzo fermò la sua corsa, le porte si aprirono sbuffando e Peter scese con un balzo sul marciapiede. Non era tanto male usare i mezzi pubblici, di quando in quando: non sprecava il liquido per le ragnatele, non sforzava inutilmente i muscoli delle braccia e poteva sfruttare il maggior tempo impiegato per svuotare la propria mente da ogni pensiero.

Ne aveva avuto parecchio da riflettere negli ultimi tempi: prima di tornare a indossare la maschera si era nascosto dietro al muro dei propri pensieri al punto tale che, completamente assorbito dalle sue riflessioni, aveva trascorso giorni interi senza nemmeno proferire mezza parola, con grande preoccupazione da parte di zia May, abituata da anni a sentirlo parlare per ore ininterrottamente.

Tornare alla sua attività di vigilante di New York City era stata, senza ombra di dubbio, la migliore delle decisioni prese dopo tanto pensare.

Appena in tempo per fermare Rhino” pensò tra sé e sé il ragazzo, aggiustandosi lo zaino sulle spalle e guardandosi attorno alla ricerca dell’insegna luminosa del Daily Coffee: era abituato a osservare Brooklyn da un punto di vista ben più alto e di bar in quella sola frazione di New York City ve n’erano un’infinità. Non era cosa facile cercarne uno specifico nel labirintico intreccio di strade della penisola.

Una folata di vento gelido lo fece stringere nelle spalle: avrebbe dovuto stare a sentire zia May e indossare il maglione che gli aveva regalato a Natale (anche se era decorata con un raccapricciante motivo a renne stilizzate). Il solo pensiero della pessima figura che avrebbe fatto, se fosse andato in giro con addosso le renne stilizzate, lo fece rabbrividire più del vento newyorkese.

Mille volte meglio affrontare il gelo!”

Per sua fortuna il campanello di una bicicletta attirò la sua attenzione e, alle proprie spalle, trovò quello che stava cercando: il neon blu dell’insegna stile anni ’70 del Daily mandava allegri bagliori nella sua direzione, mentre sull’ampia vetrina l’invitante immagine di una pila di caldi e soffici pancakes gli fece brontolare lo stomaco.

-Ora di merenda!- esclamò Peter, attraversando in fretta la strada e spingendo la porta d’ingresso, mentre l’allegro tintinnio del campanello annunciava il suo arrivo.

L'ambiente era più piccolo di quello che ci si poteva aspettare dall'esterno, c'erano solo quattro tavoli, ordinatamente separati dalle corte file dei divanetti foderati in sintetico color verde bottiglia e, sul lato opposto della vetrina, il bancone si estendeva solo per metà della lunghezza della parete; nonostante ciò, le luci, il profumo di caffé e l'arredamento vintage riuscivano a rendere l'ambiente caldo e accogliente.

Una serie di cornici ordinatamente appese sulla parete a lato del bancone attirò l'attenzione di Peter, che vi si avvicinò: lungo tutta l'area che da un metro e mezzo da terra arrivava fino al soffitto erano esposte decine di fotografie, poster e fogli di spartito riguardanti il mondo del jazz. Vi erano ritratti in bianco e nero di Louis Armstrong, Benny Gooodman, Duke Ellington, Cab Calloway, Woody Herman, Count Basie, Chick Webb, Ella Fitzgerald, Artie Shaw, Glenn Miller, Billie Holiday e molti, moltissimi altri; un paio di essi erano addirittura stati autografati.

Era una collezione vasta e invidiabile e persino lui, che di musica non poteva considerarsi un esperto, rimase affascinato da quella piccola Hall of Fame di straordinari artisti. In mezzo a quel mare di cellulosa e albumina dal sapore retrò, Peter notò che vi era una sola fotografia a colori: rappresentava un quartetto di musicisti, di cui tre uomini in giacca e camicia e una donna in un lungo abito rosa, su un modesto palcoscenico di teatro intenti a suonare e a cantare, sui loro visi la fotografia aveva impresso per i posteri il fuoco della passione che ardeva in loro.

Non poté resistere alla tentazione: tolse il coperchio dall'obiettivo della macchina fotografica, fece un paio di passi indietro e, aggiustata la messa a fuoco, scattò una fotografia della parete.

-Cosa stai combinando, di grazia?

Quella domanda inaspettata lo fece sobbalzare e per un pelo la Reflex non gli scivolò dalle mani: -Ehm, io... ecco...- balbettò Peter, sentendosi l'imbarazzo arrossargli le guance e le orecchie.

-Non volevo spaventarti, scusami- proseguì la cameriera, il cui ghigno sulle labbra tradiva il divertimento che la sua reazione le aveva provocato -Ma dovresti chiedere prima al proprietario se puoi fare fotografie al suo Jazz Wall. Ne è molto geloso.

Peter, riconoscendo nella cameriera la ragazza incontrata la sera precedente durante la ronda, boccheggiò per un altro mezzo secondo, mentre il suo cervello riordinava le idee, soprattutto quando notò che sulla targhetta appuntata sul suo grembiule era stato scritto a penna, con una calligrafia tonda e semplice, il nome Arianne.

-Posso aiutarti in qualche modo?- domandò di nuovo la ragazza, che iniziava a spazientirsi (ma che accidenti aveva quel giorno?).

-Sì, io- esordì finalmente Peter, esibendo un largo sorriso -Ecco, vorrei ordinare dei pancakes!

-Va bene, con cioccolata o sciroppo d'acero?- riprese la ragazza, appuntandosi l'ordine su un blocchetto di fogli che aveva prontamente estratto dalla tasca laterale del grembiule.

-Cioccolata, per favore- rispose Peter, scrutandola attentamente: era possibile che la ragazza che aveva salvato la sera precedente avesse una sorella gemella?

-La cioccolata è per i poppanti!- urlò un uomo seduto al bancone, brandendo una tazza ricolma di caffè e agitandola nella loro direzione -Solo lo sciroppo d'acero è il condimento dei veri americani.

-Si comporti bene signor Frederick- lo intimò scherzosamente la cameriera -Non mi spaventi così i nuovi clienti!

-È lui quello che ha ordinato la cioccolata!- ribatté convinto il signor Frederick.

-Mi arrendo, vada per lo sciroppo- sospirò Peter, disorientato, soprattutto quando l'uomo, lanciatagli un'occhiataccia penetrante, emise uno sbuffo, borbottando sottovoce un "L'avevo detto che lo sciroppo era meglio" per poi tornare silenziosamente sulla sua tazza di caffé.

-Accomodati pure- lo invitò Arianne, indicandogli con la penna un tavolo libero -I tuoi pancackes saranno pronti tra due minuti. Vuoi anche qualcosa di caldo da bere? Oggi si gela.

-Sì, grazie. Del caffè nero sarebbe ottimo.

La ragazza si congedò con un sorriso e svanì in cucina, così Peter, chiuso l'obiettivo della macchina e appoggiatala cautamente sul tavolo (era stata l'ultimo regalo di zio Ben), poté lasciarsi cadere sulla soffice imbottitura delle panche e scaldarsi un po', mentre la sua mente elaborava le informazioni appena acquisite.

Sebbene non fosse del tutto improbabile che potesse avere una sorella omozigote, il suo istinto gli suggeriva che ci fosse qualcosa di poco chiaro dietro l'identità di quella strana ragazza e che fosse necessaria un'indagine più approfondita.

"Perché mai una cameriera di Brooklyn" si chiese il ragazzo, giocando a far scivolare la zuccheriera sul piano del tavolo "Dovrebbe avere un nome falso e un teaser Stark post-Afganistan?".

Il cigolio della porta della cucina gli arrivò stridente alle orecchie e si girò istintivamente in quella direzione, aspettandosi di vedere Arianne/Chiara/chiunque fosse uscire con i suoi pancakes, ma una lunga e ondeggiante chioma corvina gli suggerì che non si trattava della bassa ragazza con i capelli corti che aveva preso la sua ordinazione.

Gli ci volle una frazione di secondo per riconoscere nella cameriera, che ora si era messa al bancone a preparare una nuova brocca di caffé, la stessa ragazza che aveva incontrato in università quella mattina.

Che coincidenza! E dire che New York è una città enorme!

Seguì con lo sguardo i movimenti della ragazza, mentre estraeva una scatola di latta colma di caffè macinato, ne metteva una certa quantità dentro il filtro della macchina con un cucchiaio, inseriva l’acqua e poneva la brocca nel suo incastro all’interno della macchina del caffè. La sicurezza e la fluidità di quei gesti denotavano una ripetitività nella loro esecuzione e, per quanto banali, Peter si scoprì ad ammirarli, affascinato dalla grazia e dalla leggerezza di quelle dita sottili che si destreggiavano sul bancone.

In pochi minuti la bevanda fu pronta e la ragazza la versò in una grossa tazza verde, pose la tazza su un vassoio e la affiancò ad un cucchiaino, un tovagliolo e un tubo di panna montata, prese il tutto e si avvicinò al suo tavolo.

Ok Parker, è la tua occasione per rimediare alla figuraccia! Sii calmo e divertente, come tuo solito”

-Ehi, questo caffè sembra molto meglio di uno zombie di The Walking Dead!- esclamò, appoggiandosi all’imbottitura dello schienale e distendendo le braccia su di esso, cercando si assumere una posa disinvolta.

Quello che ne seguì fu un silenzio imbarazzante, freddo e pesante come una cappa di ghiaccio sui due ragazzi, che si fissarono per qualche istante: Talia con un'espressione sconcertata e incredula e Peter con lo sguardo di qualcuno che avrebbe desiderato venire risucchiato dal sottosuolo per la vergogna.

-Fammi sapere se hai bisogno di altro- si congedò la cameriera, lasciando sul tavolo il contenuto del vassoio, per poi fuggire dietro al bancone.

"Calmo e divertente un corno, testa di ragnatela!" si rimproverò Peter, abbassando lo sguardo sul suo caffè e, brandito il barattolo della panna, ve ne versò una generosa quantità: un po' di dolce forse lo avrebbe tirato su di morale.

Iniziò a sorseggiarlo con calma, concentrando la propria forza di volontà sul non fissare Talia come un idiota: per quel giorno aveva già fatto abbastanza; il tocco umido di qualcosa dalla consistenza spugnosa sulla mano sinistra sotto al tavolo lo portò istintivamente a guardare in basso e i suoi occhi si incrociarono con quelli larghi e dolci di un cane meticcio dal manto color nocciola.

-Ciao Annibale!- salutò sottovoce Peter, accarezzandogli la testa pelosa mentre quello gli leccava le dita, scodinzolando allegramente -Come stai oggi, bello?

In tutta risposta, l'animale alzò la testa e, annusando l'aria, si voltò di scatto nella parte opposta da cui Chiara, portando un abbondante piatto di pancackes, stava arrivando: -Annibale!- chiamò la ragazza -Quante volte ti ho detto di lasciar stare i clienti? Torna nella tua cuccia, sciò!

-Non da nessun fastidio, davvero- si intromise Peter, lasciando un'altra carezza al vello dell'animale, che, concentrato sui pancackes ora appoggiati sul tavolo, iniziò a dimenare la coda ancora più velocemente.

La cameriera gli rivolse un ampio sorriso, poi, sporgendosi con il busto, continuò a bassa voce: -Ti chiedo scusa per il signor Frederick: può sembrare un po' strano sulle prime, ma è un cliente affezionato e, te lo assicuro, innocuo. Gli manca solo un venerdì (e forse anche un sabato), ma è un uomo gentile.

-Non c'è problema- ripeté Peter -Ne ho visti di peggiori.

-Questo non è uno di quei lussuosi bar di Broadway, ma abbiamo una clientela molto selezionata e più pittoresca- ammiccò l'altra -Se tornerai a trovarci, te ne accorgerai. Comunque, se vuoi la cioccolata ti porto un barattolo di sciroppo d'acero pieno di quella.

-Sono a posto così, grazie...Arianne- Peter si sporse, leggendo il cartellino sul grembiule -È un bel nome! È francese?

-Deriva dal greco, a dire il vero. Dalla principessa di Creta.

-Io sono Peter- riprese il ragazzo, anticipando la ritirata della cameriera, che gli lanciò un'occhiata interrogativa -Piacere...- disse poi, tornandosene in fretta a servire gli altri clienti.


*


-Hai notato quello strano tipo al tavolo tre?- chiese Talia all'amica, intenta a scaldare un piatto di zuppa a un cliente: -Quello carino ma che sembra non aver mai intavolato una conversazione in vita sua?- domandò Chiara.

-Esatto, lui- annuì -L'ho incontrato stamattina in università.

-Spero per la sua salute che non fosse una di quelle teste di rapa dell'audizione.

-No, no, non temere- sorrise divertita Talia -È uno studente, o almeno credo. Che coincidenza ritrovarlo qui, non trovi?

Chiara appoggiò sul bancone le stoviglie che stava adoperando e concentrò tutta la sua attenzione sull'amica: -Già, davvero una strana coincidenza!- esclamò con un tono eloquente, che fece alzare gli occhi al cielo alla cantante: -Non cominciare a fare strane congetture- ridacchiò Talia -Magari si tratta davvero di una coincidenza.

-Ti ricordi mio cugino Clint?- domandò Chiara, lanciando una veloce occhiata a Peter, che mangiava il suo dolce sotto lo sguardo torvo del signor Frederick -Lui dice sempre che le coincidenze sono in realtà fatti i cui collegamenti non ci appaiono ancora chiari, ma a me questo sembra piuttosto lampante.

-Non ti seguo- ammise la cantante, svuotando la lavastoviglie dai bicchieri e riponendoli in bell'ordine nella vetrina accanto alla macchina del caffè.

-New York conta 8 milioni di abitanti- iniziò Chiara -La sola Brooklyn ne vanta 2, di milioni, e non oso nemmeno immaginare quanti bar e tavole calde ci siano distribuiti sui suoi 789km². A te non sembra bizzarro che un ragazzo incontrato in un'università di Midtown si presenti lo stesso giorno nel bar in cui lavori a Brooklyn?

-Magari vive qua vicino oppure è venuto a trovare degli amici o...- iniziò Talia, le cui guance cominciarono a imporporarsi vistosamente mentre le sue dita si attorcigliavano nervose attorno a una ciocca di capelli corvini; -Pensala come vuoi- ammiccò Chiara, divertita -Ma sono pronta a scommettere che tu ti sia appena procurata un ammiratore. E comunque, questo qua è mooolto più carino di Thomasstempiatura.

-Aveva solo la fronte un po' ampia- ribatté la cantante, afferrando al volo l'occasione di cambiare discorso; -Solo un po'?- rise Chiara -Nemmeno la Piazza Rossa è così ampia.

-Sei crudele, ma ti voglio bene lo stesso- ammiccò Talia -Stasera cinese e film spazzatura da te?

-Certamente.



Note

1. Traduzione del dialogo

F: Hill è già qui, ho visto.

C: Già, ha detto che non poteva aspettare fino a domani.

F: Che premurosa.

C: Non poteva aspettare di sentire quello che ha da dire. I ratti di laboratorio (gli scienziati in termine gergale-dispregiativo) hanno detto che la quantità di energia era imponente. Molto più intensa dall'ultima volta che Thor è venuto a farci visita.

F: Sì, questa volta era necessario spostare la popolazione di un'intera città. Non abbiamo mai considerato quanta gente il così detto Bifrost può prendere e portare via.

C: Ma gli argardiani sono nostri alleati, vero?

F: Sì, ma non sappiamo chi altro può usare quella tecnologia. Ti ricordi dei Chitauri, vero?

C: Molto chiaramente, signore.

F: Beh, dobbiamo scoprire di più su questa roba e qualcosa di interessante riguardo alla ragazza è saltato fuori, ma sono necessarie delle ricerche per provarlo.

C: Cosa intende? Lei è solamente una bambina, che aiuto può portarci?

F: Vedremo. Per il momento può darci la sua conoscenza. Ho detto che è stata su Asgard?




Angolo dell'autrice: buonasera a tutte quante e benvenute al capitolo di Dicembre di Panacea Project! Come prima cosa, vorrei mandare un grossissimo abbraccione a Angel27, Emily Mortensen e Calliope82 per aver iniziato a seguire la storia e Stardust97 che l'ha inserita tra le preferite! Grazie!! ^-^

In secondo luogo, questo capitolo è incentrato sulla quotidianità dei nostri protagonisti e li seguiamo sui loro luoghi di lavoro/studio e nelle loro relazioni con chi li circonda. Spero di non avervi troppo annoiate ^-^"

Entriamo per un po' anche nella testa di Peter e iniziamo un po' a vedere come ha affrontato il lutto per Gwen e la ripresa dei suoi eroici intenti. Che ve n'é parso? Spero di essermi mantenuta attinente al personaggio e di non averlo reso troppo ridicolo.

Sono cominciate al contempo le indagini di Peter, che, non del tutto convinto di questa storia del teaser, vuole saperne di più. Cosa succederà?

Ma, soprattutto, vi è piaciuto quello che avete letto? Spero tanto di sì e che, alla fine della lettura, non abbiate avuto la sensazione di aver perso tempo ^-^"

Riguardo al dialogo in inglese (prometto che è l'ultimo pezzo in lingua straniera che inserisco, ma qui era necessario per far capire che Chiara non ha ancora dimestichezza con la lingua), questa volta non sono stata corretta da una persona più competente di me, perciò, qualora trovaste orrori grammaticali, vi prego di segnalarmeli in maniera tale che possa correggerli (e imparare anche qualcosina ^-^).

Ad ogni modo, vi ringrazio per essere passate di qua, spero di avervi intrattenute piacevolmente e che ci rivedremo presto!

Un abbraccio forte

Lady Realgar


Ps. Per ricambiare la gentile cortesia fattami, se siete interessate a leggere fanfiction a tematica Captain America, vi consiglio caldamente Certe cose non cambiano mai di Ragdoll_Cat (non sono capace a mettere il link, perciò potete cercarla tra le mie seguite o direttamente nella sezione Capitain America).

   
 
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