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Autore: Frava    10/12/2015    3 recensioni
[...]Era stato facile convincerla a farsi accompagnare nel viaggio alla ricerca di Wendell e Monica Wilkins. Non che lei non si fosse lamentata, anzi, lo aveva prima minacciato, poi aveva pianto, e infine lo aveva pregato di lasciarla andare da sola perché “ Non sopporterei di tenerti lontano dalla tua famiglia, Ron!’’. Ma lui le aveva afferrato il viso e l’aveva baciata quasi con rabbia, lei era arrossita, poi aveva farfugliato qualcosa che lui non aveva assolutamente capito poiché troppo preso dal battito accellerato del suo cuore (Ron era stato assolutamente sicuro che gli sarebbe uscito fuori dal petto), e poi le era bastato guardarlo negli occhi per capire che non ci sarebbe stato nulla che gli avrebbe fatto cambiare idea. E infatti adesso si trovavano proprio di fronte all’Ufficio Passaporte e- Per Merlino!- era deserto. Che avessero perso la Passaporta? [...]
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Mi dispiace! Che altro dire se non quella che mi dispiace davvero, davvero, davvero tanto per la mia mancanza. Non so nemmeno se c’è ancora qualcuno che si ricorda di questa storiella ( o semplicemente l’ha appena scoperta) ma, per la gioia di alcuni (spero!) e il dispiacere di altri, sono tornata!
Ebbene sì, il nuovo capitolo è pronto per essere letto. Vorrei poter dire con certezza che è un capolavoro, dato l’innumerevole quantità di tempo che mi sono presa, ma non è così. Anzi, probabilmente, è davvero una schifezza. Vi assicuro ( o almeno spero!) che i prossimi capitoli vi ripagheranno dell’attesa. Intanto vi auguro buona lettura e  spero con tutto il cuore di vedervi a fondo pagina… e tra le recensioni ;)

 
 
 
3.
Passo dopo passo.
 
Time is
Too slow for thosewhoWait,
Too swift for thosewhoFear,
Too long for thosewhoGrieve,
Too short for thosewhoRejoice,
But for thosewho Love,
Time iseternity.
 
Henry van Dyke.
 
 
 
Il panorama al di fuori del finestrino del taxi mostrava la vasta distesa dell’oceano Pacifico, un’enorme coperta lucente sorvolata da gabbiani ed incorniciata dalla macchia scura della vegetazione locale. Stavano percorrendo la  Grand Pacific drive, un’enorme ponte sospeso che seguiva la lunghezza di tutta la costiera,  una delle strade con il paesaggio più suggestivo di tutto il New South Wales. Ma Hermione, in quasi due ore di viaggio,  aveva studiato con minuziosa attenzione il fondo del sacchetto di carta  nel quale aveva rischiato più volte di rimettere.
Il loro autista, un ometto sudaticcio che fumava una sigaretta dopo l’altra  e che si era presentato con il nome di Ben, guidava con disinvolta imprudenza, evitando per un pelo continue collisioni e non interrompeva mai l’incessante torrente di parole che straripava dalla sua bocca. Hermione aveva sperato più volte che intuisse che il suo silenzio non era un invito a continuare i suoi monologhi, ma non aveva avuto cuore di interromperlo e così si era sorbita i suoi racconti da quando erano partiti. Ron si era addormentato appena dopo dieci minuti.
-Ma basta parlare di me, sono quasi…Aye! Circa un’ora che sto parlando. Il tempo vola quando ci si diverte, eh?- annuì convinto accendendosi un’altra sigaretta. Il piacevole odore dell’arbremagic scomparve del tutto, lasciando nell’aria uno sgradevole misto di fumo, sudore e del bacon che Ron aveva mangiato a colazione.
-Siete stati davvero fortunati a trovarmi…non ci sono molti tassisti disponibili alle sei di mattina. Ma sapete, il lavoro non è mai abbastanza e i soldi servono per mantere la mia famiglia. A proposito di famiglia, chi avete detto che state cercando? I vostri zii?-
Hermione annuì debolmente certa che, se solo avesse aperto la bocca, avrebbe fatto un gran macello. Non era molto sicura che Ben l’avesse vista attraverso lo specchietto, ma forse prese il suo silenzio come un assenso e continuò a parlare. Il russare di Ron era un sottofondo a cui ormai si era abituata.
-Avete fatto bene a partire così presto, non abbiamo trovato quasi nessuno per la strada. Anche se prima ce la siamo vista bella con quella Holden che ci stava venendo addosso, non è vero?- proruppe in una risata fragorosa, terminandola in un’orribile cacofonia di singhiozzi e colpi di tosse. Si girò sorridente e paonazzo verso di Hermione, mentre la macchina sbandò leggermente. Hermione emise una specie di squittio spaventato.
-Santo cielo, guardi la strada davanti!-
-Aye, che distratto!- si voltò di scatto recuperando il volante, mentre evitarono per un pelo di schiantarsi dentro il guardrail.
Ron continuava a dormire ignaro di tutto, nonostante la radio accesa e il ragliare di Ben. Lo guardò stupita e anche un po’ invidiosa:  lei aveva sempre sofferto la macchina, da bambina preferiva di gran lunga muoversi a piedi che con l’auto, ma forse il suo stomaco era completamente in subbuglio per l’ansia. Tra poco avrebbe visto i suoi genitori e non sapeva come sentirsi…che cosa avrebbero detto? E se non fosse riuscita ad invertire l’incantesimo? Non poteva proprio pensare a questa opzione…
Appoggiò la testa contro il finestrino, il freddo del vetro contro la pelle la fece sentire un po’ meglio. Seguì con gli occhi gli arbusti che sembravano sfrecciare al loro passaggio, la spiaggia incontaminata che, a mano a mano che si avvicinavano alla loro destinazione, diveniva più popolata.
Poco oltre un grande cartello bianco dagli angoli arrugginiti, Ben fece loro notare che stavano entrando effettivamente nella cittadina di Wollongong, una piccola località costiera che però vantava tra le  più belle spiagge del paese, interessanti attrazioni turistiche ma, soprattutto, una gran bella tradizione culinaria.
-Ed è questa la cosa più importante, dico bene?- esclamò ad alta voce dando una poderosa gomitata a Ron, seduto al suo fianco: sobbalzò di scatto, sbattendo la testa contro il tettuccio della macchina e strofinandosi la testa dolorante, gli occhi ancora socchiusi e sonnolenti.
-Mmmh mmmh...- mormorò nervoso, grattandosi i capelli. Ben sembrava tutto preso dai racconti delle sue vacanze alla Stanwell  Park Beach e Ron, ormai sveglio, ne approfittò per girarsi verso Hermione; gli sembrava di aver appoggiato la testa sul sedile appena cinque minuti  prima mentre pareva proprio che fossero quasi arrivati a destinazione.
-Hermione penso che ci siamo quasi.- sussurrò nella sua direzione, notando solamente adesso il vago colore verdastro sul suo viso. – Ehi, ma ti senti bene?-
Lei lo guardò con gli occhi sgranati, la lunga treccia tutta scompigliata. Rimase interdetto un momento, poi si ricordò che Hermione detestava tutto ciò che aveva a che fare con la velocità e di cui non aveva il controllo. E forse, il fatto che il modo di guidare del loro autista era peggio che salire in groppa ad un drago, aveva avuto la sua incidenza.
-Vuoi che ci fermiamo qui? Hai un aspetto orribile.- constatò con sincerità ottenendo una debole occhiataccia. Ma non ebbe bisogno di chiedere a Ben di fermarsi perché, con una brusca sterzata, l’autista accostò vicino al marciapiede rischiando seriamente che la cintura di sicurezza lo decapitasse.Hermione, invece, capitombolò lunga distesa sul sedile posteriore.
- Eccoci arrivati, Harbour Street.- canterellò Ben,soddisfatto, guardandoli raggianti. Li aiutò a scendere dal taxi, scaricando le valigie dal portabagagli e profondendosi in estenuati e lunghi saluti alla vista della mancia che Hermione gli aveva lasciato.
-Magari così salveremo qualcuno dalle sue grinfie- spiegò, mentre l’auto si allontanava sempre più, lisciando la giacca spiegazzata da uno degli abbracci stritolatori – Ha detto che aveva bisogno di soldi-
-Peccato che a noi non ci pensi mai nessuno, non vedo certo dei lingotti d’oro lì dentro- e indicò la borsetta di perline nella quale, facendo attenzione a non essere osservata, Hermione  infilò i bagagli. – Mi piacerebbe non ripetere l’esperienza della tenda-
-La prossima volta andremo a piedi, contento?- disse un po’ nervosa, aggiustandosi inutilmente i capelli scarmigliati. –E magari gradirei che fossi sveglio, sai, non vorrei doverti trascinare come un sacco per tutto il tragitto-
-Ma se ho dormito appena cinque minuti…-
-Hai russato per un’ora e mezza- ribatté, in tono piatto.
Ron aveva imparato ormai che, in situazioni come quella, era meglio battere in ritirata e rimediare prima che fosse troppo tardi: le andò vicino, scostandole con delicatezza una ciocca dal viso, indugiando con la mano sulla sua guancia, e fu felice di notare come la fronte aggrottata di Hermione si distese un po’.
- Comunque non dovrebbe esserci una prossima volta, no?  I tuoi dovrebbero stare qui, giusto?-
-Giusto…- Ma più che dargli una risposta sembrava aver riproposto la stessa domanda.
Hermione chiuse gli occhi, abbandonandosi per un momento contro il palmo della sua mano, in uno dei suoi rari momenti di debolezza. Ormai vivevano a stretto contatto da settimane eppure fu la prima volta che Ron vide davvero la condizione in cui si trovava: così, abbandonata contro la sua mano, gli parve più piccola e sottile che mai. Non che lei se ne fosse mai curata troppo, del resto Hermione non aveva mai dato molta importanza all’apparenza esteriore. Ricordava i giorni sereni di Hogwarts, il suo viso tondo e le fossette che si formavano ai lati del suo sorriso troppo ampio, ma un anno di privazioni e preoccupazioni le avevano lasciato le spalle sporgenti e il naso diritto che pareva più pronunciato sul volto sciupato. Si chiese se anche in lui ci fossero dei cambiamenti tanto evidenti. Le accarezzò con il pollice i profondi solchi scuri sotto gli occhi e la consapevolezza che se ne fosse accorto solo adesso lo investì come un Nottetempo: si sentì tremendamente egoista nell’averla sobbarcata di ulteriori problemi con il suo comportamento scostante e nervoso e che, senza volerlo, pur avendola accompagnata fisicamente in questa avventura era stato completamente avviluppato da se stesso . Era sempre  così attenta a tutti, Hermione, che anche adesso, nonostante tutto, metteva sempre i bisogni degli altri prima dei propri. Il suo polpastrello scese teneramente a sfiorarle le labbra e lei tremò sotto il suo tocco: sospirò profondamente e poi riaprì gli occhi castani, guardandolo con quella determinazione e sicurezza che lui le ammirava ed invidiava allo stesso tempo.
-Giusto- ripeté, e questa volta il suo tono non lasciava dubbi.

La casa dei Signori Wilkins si trovava al numero ventinove di Harbour Street, un piccolo palazzotto di mattoni in terracotta incastrato tra due edifici identici. All’ingresso si estendeva un praticello ingiallito, circondato da una staccionata di legno che faceva da divisorio dalle case dei vicini. Dai racconti di Hermione aveva potuto intuire che i Signori Granger fossero ben più che benestanti  ( anche se faceva ancora fatica a credere che esistessero davvero Babbani disposti a sborsare dei soldi per farsi mettere le mani in bocca). Aveva sempre immaginato la dimora dei genitori di Hermione come unabella villa bianca, con il cancello in ferro battuto,  il prato tagliato all’inglese, un posto che trasudasse una sobria e raffinata ricchezza, ovvero, un luogo completamente opposto alla Tana .
Eppure la casa che gli stava davanti aveva un aspetto così vissuto, così in contrasto da come se l’era prospettato che faceva fatica a immaginarsi, al di là di quel pesante portone lucido, i genitori di Hermione. E, dalla sua faccia, anche lei pareva incredula.
-Sembra una discarica- borbottò perplessa affondando il piede in un’aiuola piena di erbacce. Scavalcarono facilmente il basso cancelletto dipinto di verde, attraversarono il vialetto di ghiaia ormai ricoperto di terriccio e Ron rischiò quasi di inciampare in un grosso tubo che scambiò per un serpente (-Che ridi, ci somigliava veramente!-)poi, si fermarono davanti alla massiccia porta  in noce, un piccolo campanello si trovava proprio al suo lato.
-Bussiamo?- le chiese Ron vagamente in apprensione. Hermione annuì agitata.
Pigiò il dito sul bottoncino ma questo non emise nessun suono; bussò un altro paio di volte, giusto per esserne sicura, ma era evidente che non funzionava.
-Forse stanno dormendo- la tranquillizzò Ron che appoggiò l’orecchio contro la porta cercando di avvertire eventuali passi. –Magari l’hanno silenziato per non essere disturbati. Quale persona sana di mente si sveglia a quest’ora, di domenica mattina?
-Mio padre- mormorò Hermione avvilita continuando a premere inutilmente il tastino del campanello. – Soffre d'insonnia, non riposa mai troppo a lungo-
-Forse è l’aria di mare. Fa venire un gran sonno e…- ma Ron lasciò la frase in sospeso dato che Hermione pareva non voler essere rassicurata in nessun modo. Mentre lei afferrò la grossa maniglia di ottone e incominciò a batterla più volte, lui scese le scalette e si avvicinò a una delle strette finestre, schiacciando la faccia contro il vetro, le mani a mo’ di binocolo per vederci meglio.
-Vedi qualcuno?
-No, non direi. Aspetta! Invece sì…
-Allora?- chiese Hermione, trepidante.
Ron si allontanò dalla finestra con una faccia poco incoraggiante.
-No… non si vede un accidente. Era solo il mio riflesso- ammise, con riluttanza.
Hermione incassò la notizia con calma stoica, cercando di non perdersi d’animo. Per un istante a Ron parve di poter vedere gli ingranaggi che lavoravano febbrili nella sua testa; nella sua, invece, sembrava che qualsiasi idea avesse deciso di impacchettare le proprie cose e abbandonarlo del tutto. Osservò Hermione che continuava a rimuginare e – tra i vari pensieri che erano tutti rivolti a quanto fosse bella quando aveva su quell’espressione concentrata ( Sì, la sua mente aveva iniziato decisamente a divagare) gli venne in mente una cosa. Anche se forse non era molto legale.
-Ho trovato!- dissero all’unisono, guardandosi poi divertiti dalla circostanza.
-Dai parla prima tu- le concesse  Ron, perché adorava vedere quella luce energica nei suoi occhi e, se il merito era anche un po’ suo, non poteva che esserne felice.
Hermione si avvicinò verso di lui, il tono stranamente cospiratorio.
-Probabilmente i vicini di casa conoscevano i miei genitori, giusto? Quindi, perché non chiedere a loro? Forse i miei genitori hanno lasciato un indirizzo a qualcuno oppure un recapito telefonico. Magari il nome del loro studio dentistico…Tu che ne pensi?-
-Io dico che è un’ottima idea- confermò Ron, veemente. Si abbassò verso di lei, trascinandola in un posto un po’ meno in vista. – Però perché prima, insomma, non diamo direttamente un’occhiata in casa?Una volta che ci saremo accertati che effettivamente non c’è nessuno e che non ci siano eventuali indizi sulla loro nuova casa, allora importuneremo un po’ i vicini -
-Ron sarebbe violazione di domicilio!- sussurrò Hermione, spaventata. – Non possiamo farlo, non sarebbe corretto. E…metti il caso che queste siano solo paranoie e in realtà si trovano in casa e che stanno semplicemente dormendo, non credi che potrebbero un filino spaventarsi vedendo due estranei piombare all’improvviso nel bel mezzo del loro salotto? Non vorrei che il nostro primo incontro da mesi provochi un attacco cardiaco a mio padre, me l’ero immaginato un po’ diverso questo momento-
-Magari è un rischio da correre. Ovviamente non l’infarto!- balbettò Ron chiarendo la cosa. – Intendo dire che i vicini potrebbero non essere così disponibili, anche se potremmo sempre usare un Imperius per convincerli… Sto scherzando!- aggiunse divertito, prima che Hermione lo rimproverasse di nuovo – Niente magia, non sono mica stupido-
Hermione gli lanciò uno sguardo ben poco lusinghiero; non sembrava del tutto d’accordo con la sua ultima affermazione, eppure sembrava anche un po’ colpita.
-Ma sì, perché no? D’altronde pare che tutte le idee geniali scaturiscano dalla tua testa, ultimamente- borbottò, un po’ avvilita. – Da quando in qua sei diventato così convincente?-
Ron sorrise, con quel mezzo sorriso così tipico di lui: impacciato e sardonico allo stesso tempo.
-Dovrei prenderlo come un complimento?
-È solo che faccio piuttosto fatica a ricordare i tuoi memorabili discorsi. Ah no, adesso che ci penso, me ne vengono giusto un paio in mente …
Scherzò Hermione, facendo finta di contare sulle dite quelle che Ron, immaginò, non fossero altro che tremende figuracce. Avvertì le orecchie riscaldarsi e, sentendosi improvvisamente molto poco scherzoso, le diede una piccola pacca impacciata sul braccio, incitandola a smettere.
Era felice che Hermione avesse riacquisito un po’ di buonumore, ma non era molto entusiasta che questo fosse a sue spese. Erano ancora in quella fase del rapporto- o almeno lui lo era- in cui e non desiderava altro che mostrarsi al meglio con lei (anche se con poco successo), e il fatto che Hermione ricordasse ancora tutta la sua goffaggine e la sua insicurezza  lo mettevano un po’ a disagio. Erano scivolati nel loro ruolo di fidanzati come si calza un vecchio paio di pantofole: non era cambiato molto il loro modo di comportarsi ( se si escludevano i baci, le carezze o quell’essere sicuramente più affettuosi a vicenda), eppure talvolta Ron avrebbe tanto voluto che Hermione non conoscesse tutti quei suoi orrendi lati del carattere che si erano manifestati nel corso di quei sette anni: gelosia, invidia, insicurezza, mancanza di tatto e tutto quello che avevano comportato.
Si era accorto di quanto poco fosse stato galante, affascinante, o semplicemente gentile con lei grazie alla lettura di “Dodici passi infallibili per sedurre una strega”. Ricordava quanto si era sentito stupido e frivolo nel cercare di sfogliarlo di nascosto alla vista indiscreta degli altri ( anche se erano stati proprio Fred e George a regalarglielo) mentre cercava di assimilare più informazioni possibili. Adesso sembrava impossibile che, con tutto quello che stava accadendo loro intorno, avesse potuto perdere tempo con quelle sciocchezze. Ma, all’epoca, quella con Tu-sai-chi non era l’unica guerra in cui si trovava a combattere e quella con Hermione non poteva altro che considerarsi come una semplice strategia di azione. Non che poi ci fosse stato molto tempo, o molte occasioni per metterla in atto: non l’aveva mai corteggiata nel senso biblico del termine, né le aveva fatto capire per bene le sue emozioni. L’aveva perfino abbandonata, se tutto il resto non fosse bastato. Quasi sempre si chiedeva come Hermione l’avesse perdonato ( faceva ancora fatica lui stesso a farlo) , chi avesse spinto Hermione tra le sue braccia, e cosa effettivamente ci trovasse in lui. Anche se preferiva non pensarci troppo.
-Su, simpaticona, muoviamoci prima che qualcuno ci noti.

Aggirarono la casa sperando che ci fosse una porta sul retro e, fortunatamente, fu così. Si trovava in compagnia di una finestra poco distante, coperta da una zanzariera, e due cespugli di rose selvatiche. Si avvicinarono cautamente , facendo ben attenzione a non essere visti, ed Hermione si assicurò che la serratura fosse davvero chiusa. Guardò Ron e fu chiaro, almeno per lui, che volesse avere la conferma di star facendo la cosa giusta.
-Dai, cosa aspetti?- la incitò, sperando in un tono che non fosse perentorio. – Non ci guarda nessuno.
Hermione annuì, agitata. Sentiva le mani sudate, lo stomaco chiuso, come poche volte le era successo nella vita. Da piccola si sera sentita così prima di ricevere la correzione di un compito particolarmente importante, o prima di un qualsiasi esame ad Hogwarts. Poi, nel corso degli anni, la sua scala di priorità era mutata drasticamente ( le era servita una guerra per rendersene  del tutto conto) e aveva avvertito questa sensazione nei momenti più disparati: quando aveva pensato di poter perder Harry o Ron, quando si era sentita così schiacciata da tutta quella pressione da aver solamente voglia di poter lasciarsi andare alle lacrime ( e non solamente nella sicurezza del suo sacco a pelo),la prima volta che aveva scagliato un incantesimo con la possibilità di ferire mortalmente un’ altra persona, quando si era praticamente gettata al collo di Ron certa che quella sarebbe stata l’ultima occasione per confessargli  il suo amore prima di andare incontro a morte certa.
Fu proprio il tocco rassicurante della mano di Ron, poggiata sulla sua schiena, a ricordarle tutto questo e riportarla alla realtà: avevano affrontato di tutto in quell’anno passato, e quella che aveva davanti non era altro che una stupida porta.
Cercò di relegare nell’angolino più nascosto del suo cervello il fatto che quella, in realtà, non era una porta qualsiasi ma forse l’unica barriera che la separava dai suoi genitori. Scosse la testa, come per scacciare questa idea fastidiosa dalla mente come un insetto molesto, e si raddrizzò, respirando profondamente. Asciugò i palmi delle mani sui jeans e, con un movimento fluido del braccio, si fece scivolare nella mano la bacchetta seminascosta nella manica del suo maglione pesante.
-Alohomora - sussurrò.
L’uscio di aprì con un cigolio, avvertendola che l’incantesimo era andato a buon fine. Sorrise da abitudine, come ogni volta che una magia- seppur semplice-  le riusciva così bene e salì l’unico gradino che la separava dall’interno dall’abitazione.
Si intrufolò quasi in punta di piedi, e si accorse di star trattenendo il respiro solamente quando arrivò al centro della stanza  e annaspò alla ricerca di aria : era vuota.
Lo sapeva, era consapevole della cosa dal primo momento in cui aveva varcato il cancelletto d’ingresso e visto le condizioni dell’abitazione, ma non aveva voluto crederci. Purtroppo, l’evidenza la costrinse a sbattere la faccia contro la cruda realtà dei fatti: i Signori Granger non erano qui.
Anzi, probabilmente, non erano qui da settimane, se non mesi come constatava lo spesso strato di polvere che ricopriva il pavimento.
Sentì Ron tossire come da una grande distanza; si sentiva vuota, persa, smarrita, mentre girovagava in quello che, sicuramente, un tempo era stato un ampio soggiorno. Immaginò un divano di pelle proprio lì, sotto quella grande finestra con le imposte chiuse, e una libreria al suo fianco, piena di opere di autori Inglesi, gli immancabili volumi di una grande Enciclopedia, ed un reparto riservato all’Odontoiatria, in modo tale da poter essere consultato in qualsiasi momento. Sfiorò con dita tremanti i muri, la sottile carta da parati chiara, la cornice dorata di quello che doveva essere un quadro- forse di quella copia delle “ Due donne tahitiane” di Gauguin che tenevano nella loro casa Londinese-  e sentì gli occhi pizzicare. Forse era solo frutto della sua immaginazione, ma poteva quasi sentire il profumo agrumato di sua madre. 
Lì immagino chiacchierare felici su quel divano, inconsapevoli di avere una figlia che aveva pensato a loro con così tanta intensità da sperare, anche solo per un attimo, che si ricordassero della sua esistenza. In realtà nel corso dei mesi era stata così presa dalla ricerca degli Horcrux e ad aiutare Harry che non aveva avuto tempo-  o meglio non si era permessa- di pensare troppo ai suoi genitori. Non che non ci fosse stato giorno in cui un pensiero non era stato rivolto a loro, ma quello che aveva vissuto in quell’anno era stato così assurdo, che sembrava aver fatto tutto parte di un brutto sogno. Ma ora che l’incubo era finito, ed era ritornata alla normalità ( se così si poteva definire un limbo doloroso, fatto di ricordi e sensi di colpa) poteva pensare a tutto quello che si era persa e, all’improvviso, si sentì piccola e spaurita, ed incredibilmente sola. Non desiderava altro che l’abbraccio di sua madre ma lei non c’era e, forse, di questo passo non l’avrebbe mai ritrovata. La verità, inequivocabile e deprimente, era però che i “ I Signori Wilkins” non avevano figli e probabilmente erano felici di non averne. Si chiese se tutto questo fosse giusto, se forse non sarebbe stato meglio lasciarli ignari di tutta la situazione, lasciarli credere che questa era la loro vera vita. D’altronde avevano vissuto un anno senza di lei, e piuttosto serenamente, perché doverli riportare in Inghilterra e magari farli soffrire facendoli partecipi del suo dolore?
Ma per una volta si sentì egoista: voleva che suo padre le accarezzasse la testa, che la rassicurasse, che le dicesse che tutto sarebbe andato bene, proprio come quando era bambina. Ed era proprio come una bambina che si stava comportando: abbassò la testa, coprendo il viso con la sua massa voluminosa di capelli scuri. Non voleva che Ron la vedesse in queste condizioni, si vergognava della sua debolezza. Se Ron non cedeva, come poteva farlo lei?
Si asciugò il naso con la manica della giacca, giusto in tempo, prima che i passi pesanti di Ron la facessero partecipe della sua presenza. Lui le poggiò una mano sulla spalla, e Hermione si stupì di come riuscisse a sentirne il calore nonostante i diversi strati di stoffa che la separavano dalla sua pelle.
-Ehi, tutto ok?
L’apprensione e  la tenerezza nel tono di voce di Ron la commossero: era stata davvero un’ingrata. Come aveva potuto pensare di essere sola? Ron l’aveva accompagnata in questa avventura, anche se la sua famiglia aveva bisogno di lui. Il minimo che poteva fare era mostrarsi forte e fu con sincerità e riconoscenza che gli rispose.
-Sì, va tutto bene.
Si trattennero ancora per poco nella casa, controllarono giusto per semplice curiosità il piano superiore, constatando che davvero era disabitata. Uscirono dopo poco, chiudendo la porta delicatamente, e raggiungendo la via principale ancora più silenziosamente. In un certo senso, Hermione si sentiva quasi sollevata di non averli trovati. Voleva che il loro primo incontro fosse perfetto e, forse, adesso lei non sarebbe stata pronta. Non voleva che la vedessero in questo modo: erano sempre stati fieri di lei, della sua forza, del suo coraggio. Adesso si sentiva una ragazzina debole e lamentosa, non la donna che aveva deciso di sacrificarsi per salvarli.
Questa brutta delusione le era servita, adesso poteva ripartire con più energie di prima e li avrebbe trovati una volta e per tutte. Avevano bisogno di un nuovo piano, però. E, infatti, lo fece notare a Ron, improvvisamente taciturno.
-Per me va bene.- constatò Ron, le mani affondate nelle tasche del giaccone.- Vuoi chiedere ai vicini? Era la tua idea di partenza.
-Sì, proviamoci.

Aspettarono che si facesse un’ora “più umana”, come la definì Ron, per importunare le persone: ma Hermione era impaziente e quella mezz’ora le sembrò infinita. Verso le dieci si alzò di scatto dalla panchina sulla quale si erano appoggiati per un po’ e a Ron fu chiaro che la sua pazienza si era esaurita. Decisero che si sarebbero presentati come Jenny e Roland Wilkins, nipoti inglesi di Monica e Wendell, mandati dalle loro madri alla ricerca della zia, di cui avevano perso ogni notizia. Era strano ed anche un po’ inquietante fingersi cugini ma, se Ron era stato disposto a farlo in tempo di guerra, non sembrava esserci niente di male a recitare per qualche ora.
A discapito della buona volontà di Hermione, i vicini si mostrarono molto poco cordiali, come aveva predetto Ron. Ricevettero in faccia molti no e porte sbattute e poi, dopo che una signora lanciò contro di loro l’innaffiatoio, che mancò di poco la testa di Ron ( la sfortuna della sua altezza era il fatto che fosse un bersaglio molto più facile da centrare), temettero che sarebbero stati anche attaccati da un cane. All’in circa a metà del vialetto bussarono ad una casa, del tutto simile a quella che era stata la dimora dei Signori Granger, e ricevettero in risposta un rumoroso latrato.
Ron la guardò allarmato, chiedendole silenziosamente  con lo sguardo se non facessero meglio a fuggire ma la porta si aprì di scatto ed un’ enorme, bavosa, bestia marrone gli saltò addosso.
-Cane, giù!- gridò una voce dal forte accento australiano. Ron ebbe la fugace visione di un paio di gambe abbronzate, una grossa lingua che gli leccò tutta la faccia, e la  faccia sorpresa di Hermione affianco a lui.
-A cosa ti serve essere così grosso se poi scodinzoli con i primi sconosciuti che vedi?- lo sgridò la giovane donna, ma con un chiaro tono divertito.
Hermione sentì un vuoto all’altezza del cuore, e una vaga sensazione di nausea quando la vide in viso: la ragazza poteva essere giusto di qualche anno più vecchia di loro, forse aveva venticinque anni, ma la cosa spaventosa è che, per un istante, la somiglianza con Tonks la fece rabbrividire. Forse era la forma a cuore del viso, o i capelli corti di uno strano colore- tra l’azzurro e il viola- che gliela ricordò. O forse era l’aria allegra, nonostante l’avessero disturbata di domenica mattina.
Ma lei è morta. Dovette ricordarsi, come faceva spesso per non alienarsi dalla realtà. Tendeva a fare un lungo elenco mentale delle persone che se n’erano andate. Per ricordarsi che loro erano vivi, nonostante tutto.
Anche Ron, una volta liberatosi di Cane, a quanto pare, esibì un’espressione tra l’ebete e lo sconvolto: evidentemente, la somiglianza non era così evidente solo a lei.
-Se siete venditori porta a porta sappiate che non mi, ci, serve niente. Giusto l’altro ieri dei vostri colleghi mi hanno rifilato un vero bidone! Ah, infatti avevo proprio pensato di fare un reclamo, ma non ho avuto proprio tempo con tutti gli impegni che ho!- disse tutto di un botto, lo sguardo vagamente da matta. Afferrò Cane per la collottola, portandolo con un gesto secco dentro casa: spalancò le braccia lottando contemporaneamente con il grosso labrador che cercava di uscire fuori a tutti i costi e cercando di capire cosa volessero loro due  che stavano imbambolati fuori dalla sua porta.
Hermione balbettò, spiegandole la situazione. Victoria, questo il nome della ragazza, si dimostrò stranamente attenta e silenziosa e, quando sentì il nome dei Signori Wilkins, si illuminò tutta.
-Siete i nipoti dei Signori W. ?- chiese, entusiasta. Fu così felice che si dstrasse per un momento e Cane saltò nuovamente addosso a Ron, che non ne parve molto felice.
-Entrate, allora! Voglio sapere tutto!
Hermione si chiese se fosse stupida, o semplicemente distratta, perché le aveva detto espressamente che lei non aveva notizie dei suoi “zii” e per questo stava chiedendo a lei.
Ma Victoria con molte, troppe, parole spiegò loro che non c’era tanto con la testa perché aveva dormito sì e no qualche ora, dato che faceva lo speaker radiofonico per un’emittente notturna praticamente sconosciuta, ma che le dava molte soddisfazioni.
Li incitò ad accomodarsi sul divano, dove fosse Hermione non lo aveva ben capito:  l’intera casa era un’accozzaglia di oggetti, cianfrusaglie e abiti sparsi un po’ dappertutto. Se le case erano espressione delle persone che ci abitavano dentro, non si stupì nel vederla così caotica, ecco. Individuarono un lembo di stoffa azzurra che doveva essere il divano e Ron e Hermione si sedettero sopra, non con poche difficoltà. Ron non sembrò a disagio; si buttò sopra con la grazia di un elefante, allungando le gambe, esausto. Hermione si appollaiò nell’unico angolino non invaso dai vestiti colorati di Victoria.
-Caffè?- chiese Victoria, la cui testa fece capolino dalla cucina.
-No, grazie.- fece Hermione, imbarazzata.
Victoria li studiò per un istante, poi sorrise consapevole.
-Che stupida, volete del the? Inglesi, giusto?
Hermione, vagamente indispettita da quello stereotipo, fece finta di niente; sorrise non avendo cuore di rifiutarle qualcosa, dato che si stava mostrando comunque così disponibile.
-Sì, grazie.
Victoria e Cane emersero dopo dieci minuti dalla cucina, con un vassoio un po’ scheggiato ricolmo di cibo. Lo appoggiò sul tavolinetto un po’ tarmato e si gettò su una poltrona a fiori, con una tazzina di caffè in una mano e i biscotti per Cane nell’altra.
-Non fate complimenti!- e li incitò a servirsi.
Ron afferrò una tazza di thè e, dopo un’occhiata speranzosa di Victoria, un biscottino al burro che sembrava fatto in casa. Lo addentò, sentendo chiaramente il sapore deciso del sale al posto di quello dello zucchero, e mascherò il suo disgusto bevendo un enorme sorso di thè, anche se bollente. Facendo attenzione a non essere visto, rifilò il biscotto a Cane che, entusiasta, continuò a leccargli la mano anche dopo averlo ingurgitato. Il grosso cane, i biscotti immangiabili, la casa bizzarra gli fecero venire in mente una strana versione femminile di Hagrid e desiderò che ci fosse Harry lì con loro per condividere anche con lui questa pazza esperienza. Si chiese come se la stesse passando e se forse non avessero sbagliato a non insistere un po’ di più nel convincerlo a seguirli. Anche se, si disse, che forse non si sarebbe divertito tanto con loro dato che, molto spesso, passavano anche ore a baciarsi.  Immancabilmente sentì il fastidioso solito calore invadergli la faccia e cercò di nascondersi dietro la fumante tazza di thè, nella quale aveva versato un paio di zollette di zucchero. Gli parve che Hermione lo stesse scrutando di sott’occhio, forse si chiedeva il perché del suo malsano color peperone, che lui giustificò con l’eccessivo calore della bevanda. Hermione non sembrava molto convinta, ma decise di lasciar perdere.
Hermione aspettò cautamente che Victoria interrompesse il filo dei suoi pensieri, che stava chiaramente esprimendo ad alta voce, e attese che fosse lei stessa ad introdurre l’argomento “Signori Wilkins”. Non dovette aspettare molto perché, fortunatamente, avevano incontrato l’unica persona con una parlantina più fluente del loro tassista.
-I  Signori W. Erano tanto delle care persone, un po’ strane ma davvero carine.
Ad Hermione andò un po’ di traverso il the, e tossicchiò. Strane? Che avessero trovato le persone sbagliate?
-Ma sì!- disse Victoria, alla quale era evidente la sua espressione di sgomento. – Non strane, strane. Anzi erano piuttosto “vecchio stile” se così si può dire. Ma spesso avevano dei forti vuoti di memoria e sembravano alla perenne ricerca di qualcosa. Ma del resto, chi è che non lo è in questa vita?- sospirò teatralmente, dilungandosi in una bizzarra e quantomeno singolare concezione filosofica tutta sua.
Mentre Ron la ascoltava vagamente allucinato, dando intanto pacche affettuose a Cane che sperava vivamente che, da un momento all’altro, le mani di Ron si riempissero di nuovi biscotti, Hermione rimuginò sulle parole di Victoria. Che i suoi genitori la stessero cercando? Impossibile. Eppure…eppure. Forse la magia poteva rimuovere dei ricordi, ma l’affetto, il loro legame, non poteva essere cancellato del tutto. Una piccola parte di sé gioì nel credere che i suoi genitori, nel loro profondo, la volessero ancora bene. Si sentì improvvisamente felice, anche se un po’ scettica. Del resto, era la sua natura.
-Victoria scusa se ti interrompo…- disse, gentilmente. Appoggiò con delicatezza la tazza sul vassoio, riportando le mani sulle sue ginocchia. Victoria si fermò, le mani ancora a mezz’aria: aveva notato che, presa da un discorso, iniziava a gesticolare con enfasi.
-… ma ti hanno mai detto dove avevano intenzione di andare?
Victoria sembrò pensarci un po’ su, sorseggiando il suo caffè; storse il naso evidentemente aveva messo del sale anche lì.
-No, non mi sembra. Non erano dei tipi di molte parole a dir la verità…- constatò – Anche se mi sembrava che avessero parlato di aprire un’attività a Kiama.
-Uno studio dentistico?- chiese Hermione, cauta.
Victoria la guardò, poi scoppiò a ridere sonoramente. Sobbalzò spaventata quando si ricordò di qualcosa, e fu con un sussurro appena accennato che continuò.
-Il mio ragazzo sta ancora dormendo. Se lo sveglio non mi parlerà per ore. Fa lo scrittore sapete, neanche lui è un tipo di tante parole. Non scritte, almeno.
“Beh, con te si è fortunati anche a dire mezza sillaba.” Pensò Ron, ma si stette zitto bevendo un altro po’ di the. La sua mente vagò, pensando a quel poveraccio costretto a condividere tutta la vita con una tipa così esuberante come Victoria.
Hermione intanto non capiva il motivo di tanta ilarità e fu con un tono forse un po’ troppo stizzito che glielo fece notare.
-Oh, non so dirti il perché. I Signori W. Sono persone molto colte ma non li ce li vedo proprio in campo medico. Stavano spesso in salotto a leggere, o scrivere. Ero convinta che facessero i critici letterari, o qualcosa del genere. Un po’ la vita che fa il mio Dennis.
-Ma…- continuò quando vide l’espressione esterrefatta di Hermione – forse mi sto sbagliando. Effettivamente non abbiamo mai parlato del loro mestiere, il più delle volte mi lamentavo del mio- Rise, perdendosi in chissà quale ricordo – Effettivamente avrebbero potuto fare di tutto, avevano una quantità innumerevole di libri in casa loro.- dichiarò.
Hermione si portò una mano alla testa, esausta: queste erano tante informazioni da assorbire in così poco tempo. Per cui, a quanto diceva Victoria, i suoi genitori non erano dentisti. Almeno non qui in Australia. Si sentì così stupida e arrabbiata con se stessa: era ovvio, come aveva potuto non pensarci? Aveva cancellato loro la memoria, perché avrebbero dovuto ricordare il loro vecchio lavoro?
Se pensava a tutto quel tempo sprecato a cercarli in centri odontoiatrici, cliniche e studi dentistici … Aveva voglia di urlare! Ma fu con tutta la calma che riuscì a racimolare che chiese a Vicotira perché prima avesse parlato di Kiama.
 –Lì abita il nostro padrone di casa… Ricordo benissimo di averli sentiti parlare di questa cosa; forse volevano andare lì per disdire di persona il contratto d’affitto .
-Il vostro?- si lasciò sfuggire Ron che stava seguendo la conversazione già da  un po’, ma non aveva voglia di intromettersi.
-Già- annuì Victoria, incredula che loro non lo sapessero. – Il Signor North è un pezzo grosso, possiede quasi tutte le villette di questa strada! In realtà sono proprietà di famiglia, le possiedono da generazioni. Probabilmente sono una piccola parte del loro patrimonio, anche per questo non mi è sembrato così strano che avessero lasciato disabitata la casa dei Signori W. Probabilmente un affitto in più non cambiava molto la sua situazione economica.- aggiunse, con aria di chi la sapeva lunga.
-A ben pensarci è davvero un secolo che non lo sento, gli ultimi avvisi di pagamento li ho ricevuti dal figlio, se non sbaglio. Ma, sapete, il Signor North è sempre stato un tipo piuttosto schivo, non  ci ha mai pressato troppo sul pagamento di fine mese… Evidentemente ha un sacco di affari più importanti da mandare avanti.
Ron pensò cosa si provasse ad avere così tanti soldi da non accorgersi che un’inquilina talvolta dimenticava di pagare l’affitto: doveva essere bello dato che lui non aveva mai nemmeno potuto provare l’ebbrezza di poter offrire qualcosa a qualcuno. Se non si consideravano i bitorzoluti maglioni di sua madre.
Hermione invece era perplessa; era una situazione strana  ed anche piuttosto ambigua: trovava sospetto che  un uomo d’affari, seppur così indaffarato, non avesse mostrato interesse per una delle sue proprietà. Decise che avrebbe dovuto indagare sulla faccenda.
Passarono una ventina di minuti circa, prima che Victoria li lasciasse andare: era palese che, fidanzato e cane a parte, si sentiva un po’ sola.
-Fatemi sapere se la vostra ricerca è andata a buon fine!- esclamò allegra Victoria, accompagnandoli alla porta. Afferrò la mano di Hermione e le scrisse, sul dorso della mano, l’indirizzo ed il recapito telefonico del Signor North.  Sull’altra, le segnò il proprio numero di telefono.
-E salutatemi i Signori W appena li rivedete!-
Hermione la ringraziò per la sua disponibilità e la sua gentilezza, ancora un po’ imbarazzata, però, dai suoi modi così espansivi. Le strinse la mano con riconoscenza, mentre Ron, che aveva le braccia occupate a tenere tutti i biscotti che gli aveva rifilato a forza, fece un goffo cenno con la testa. Victoria gli afferrò la faccia con energia e gli scoccò due rumorosi baci sulle guance che lo fecero arrossire.  Hermione ridacchiò.
Svoltarono l’angolo carichi di informazioni e con la sensazione, dopo settimane, di aver fatto finalmente un passo in avanti.


Il prossimo pullman per Kiama sarebbe passato solamente tra un’ora per cui ne approfittarono per fare un pranzo molto  anticipato. Si rifugiarono da Chicko’s, una piccola catena di fast food che vendeva polli da asporto. Si appoggiarono all’unico tavolino libero che si trovava vicino al bancone: ordinarono una confezione di pollo fritto e una Cola per Ron ed un sandwich ed un frullato alla fragola per Hermione.
-Non trovi strano però... - disse Hermione, dopo aver inghiottito il morso che aveva appena dato al panino. -… che questo Signor North sia sparito nel nulla? E’ un po’ sospetto, non trovi?-
Ron le lanciò un’occhiata che la diceva lunga mentre aspirò un grosso sorso della sua bibita. – Hermione mi sembri Harry. Non essere paranoica, magari si è solo stufato di parlare con Victoria e ha scaricato il lavoro pesante sui figli. Del resto, non so te, lei è simpatica e tutto ma sembrava un po’ matta.
-Sarà…- mormorò Hermione appoggiando con cautela il suo pranzo nel piatto. – Ma lo trovo strano lo stesso.-
Afferrò la sua agendina, osservando il numero di telefono e l’indirizzo che aveva ricopiato con cura; si chiese se fosse una buona idea piombare all’improvviso a casa del Signor North senza nemmeno avvertirlo, ma non era pronta a sentire un suo no, o peggio, il rumore di un telefono staccato. Probabilmente questa non era la mossa più saggia ma in un modo o in un altro avrebbe ottenuto una risposta. I suoi genitori dovevano essere stati dei buoni inquilini, no? Perché non avrebbe dovuto aiutarla?
Sfogliò incerta le pagine vuote, trovando avvilente la loro mancanza di pianificazione se non di vivere ormai praticamente alla giornata e, con una certa sorpresa, notò che era quasi arrivato il due giugno. Era passato all’incirca un mese dalla Battaglia e non avevano notizie degli altri da altrettanto tempo. Alzò inevitabilmente lo sguardo su Ron, che aveva finito il suo pranzo e risucchiava rumorosamente con la cannuccia la Coca Cola rimasta nel bicchiere, chiedendosi se anche lui si era reso conto della cosa.
-Ron- aggiunse dopo un po’, abbandonando definitivamente il sandwich nel piatto perché proprio non riusciva a pranzare alle undici di mattina .- Hai…hai poi scritto ad Harry…
Ron alzò lo sguardo, curioso.
-E … e agli altri?
Ron la guardò intensamente, facendola stranamente arrossire.
Imbarazzata, ma decisa, continuò. –Forse, forse dovremmo avvertirli che sì, ci vorrà più tempo del previsto e che, insomma, stiamo bene.-
Ron si asciugò con calma le mani unte su di un fazzolettino, la fronte aggrottata.
-Ho…ho una pergamena con me e anche la piuma. Il problema è trovare un uccello abbastanza resistente da far arrivare la lettera fino alla Tana ma…-
-Non serve- borbottò Ron raccattando le sue cose e ammonticchiandole sul vassoio. – Gli daremmo solo fastidio e poi… poi loro non ci hanno scritto. E’ chiaro che va tutto bene.-
-Ron che dici… è probabile che ci vogliano giorni per far recapitare una lettera, Herrol è vecchio e Leo è troppo piccolo. Forse si sono persi per la strada e quindi…-
-Lascia perdere- la bloccò Ron, nervoso. –Non ce né bisogno, torneremo a casa tra poco. E’ probabile che arriveremo prima noi che la lettera, non voglio farli preoccupare.
-Ma Ron, è proprio l’opposto potrebbero essere in pensier…-
- Non insistere.- rispose, con un tono freddo che non aveva mai usato con lei.
-Come preferisci - acconsentì in un modo che lei stessa trovò odiosamente formale.
Calò un silenzio imbarazzato, rotto ogni tanto dalla voce del cameriere che richiamava gli ordini e dal tintinnio dei soldi lasciati cadere nel registratore di cassa. Decisa a non mostrare a Ron la sua delusione (del resto aveva promesso a se stessa di non forzarlo a far nulla che non gli andasse, soprattutto riguardo alla sua famiglia) Hermione gli rivolse un sorriso che sperò non fosse troppo forzato e poi perseguì, cambiando discorso. Ma Ron la precedette, respirando rumorosamente.
-Non volevo risponderti male.- le assicurò, imbarazzato – Possiamo… possiamo solamente parlare d’altro?
Hermione annuì, guardandolo con dolcezza. Sfogliarono per un po’ la Guida all’Australia magica di Hermione , promettendosi di visitare qualche luogo magico, magari insieme ai genitori di Hermione. Il tempo sembrò volare mentre la lancetta dell’orologio appeso al muro scandiva i minuti e si alzarono frementi quando giunse l’ora di andare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Arrivarono a Kiama incredibilmente puntuali, scendendo dall’autobus silenziosi e un po’ distanti, anche se fisicamente vicini. Ognuno sembrava perso nei propri pensieri e non persero molto tempo, o non fecero proprio caso, a contemplare il paesaggio circostante, anche se meraviglioso.
Le cittadine del New South Wales sembravano somigliarsi un po’ tutte: piccole perle selvatiche nate tra stretti lembi di terra selvaggia, a strapiombo sul mare. Il clima ventoso li fece stringere nei cappotti, e furono costretti ad accelerare il passo. Videro a mala pena quello che li circondava, fatta ad eccezione per i nomi ed i numeri delle innumerevoli stradine asfaltate, ma ad entrambi fu chiaro del perché il Signor North avesse scelto Kiama, tra tante, come posto per vivere: era un piccolo centro a pochi chilometri dalle grandi attrattive di Sydney, ma molto tranquillo…qualità essenziale per una persona che voleva vivere una vita appartata e che voleva distaccarsi da tutta la notorietà che aveva acquisito tra gli abitanti del posto.
Iniziarono a pensare che Il Signor North aveva fatto un po’ troppo bene il suo lavoro di volersi isolare dal mondo perché, da quanto poterono constatare con le loro stesse gambe, il numero 10 di Collins Street era situato su quella che non poteva definirsi altro che una piccola collina.
L’attraversarono con la miza dolorante e i piedi pulsanti: Ron dovette fermarsi un paio di volte per aspettare Hermione, che aveva le gambe più corte delle sue, e quindi anche passi più brevi, fino a quando si dovette fermare una terza volta. Si bloccò all’improvviso, tanto che neanche Hermione riuscì a prevederlo; gli venne addosso sbattendo la testa contro la sua schiena, un gemito lamentoso le sfuggì dalle labbra.
-Che ti è preso?- gli domandò, strofinandosi il naso ormai rosso. Ron non sapeva che dire, si scostò semplicemente liberandole la visuale, lo sguardo spaventato.
Una lunga sbarra divisoria, rossa e bianca, impediva loro di proseguire. Poco oltre, si ergeva una grata di plastica arancione ed un cartello che diceva “Divieto di accesso, proprietà privata”.
Si guardarono stupiti, preoccupati da questa novità.
-E questo che vuol dire?- chiese Ron, esponendo ad alta voce i dubbi di Hermione.
-Sembra essere chiusa, come se ci fossero dei lavori in corso- disse, alzandosi in punta di piedi nella speranza di vederci un po’ di più.
-Non vedi altro?- domandò, dubbioso.
-Ti sembra che io sappia volare? No che non ci vedo!- sbottò, più nervosamente di quanto volesse. Era difficile per lei reprimere i suoi sentimenti e “fingere” con Ron che tutto andasse bene: niente andava bene! Ogni volta sembrava incappassero in un buco nell’altra e lui… lui si rifiutava ancora di parlarle. Perché faceva così? Lo detestava quando si chiudeva in se stesso, e detestava detestarlo
-Non c’è bisogno che ti scaldi tanto, volevo solo aiutarti!-ribatté , irato.
Si guardarono furenti per un po’, il petto che si alzava e si abbassava ritmicamente. Poi Ron fece una cosa inaspettata: si avvicinò verso di lei, flettendosi sulle ginocchia, anzi,  si poggiò su un sol ginocchio e piegò l’altro in avanti, ad angolo retto dinnanzi a lui.
Hermione rimase senza parole, rossa in viso. Gli stava quasi per domandare cosa accidentaccio gli saltasse in mente quando, di scatto, le diede le spalle.
Ma cosa…
-Su, sali.- quasi le ordinò.
Hermione sbattè le palpebre, perplessa.
-Scusami?
-Su, sali prima che cambi idea…- mugugnò tra i denti.
Con un paio di passi Hermione colmò la distanza che li separava e appoggiò cautamente le mani sulle sue spalle; imbarazzata, allacciò una gamba e poi l’altra intorno la vita di Ron e, una volta arrampicata,  sentì le braccia di Ron chiudersi intorno alle sue cosce e si aggrappò forte al suo collo quando lui si alzò in piedi.
-Adesso ci vedi qualcosa?
-Sì, va un po’ meglio.
Tralasciando il fatto che si sentiva completamente ridicola appollaiata come un gufo sulle spalle di Ron, da questa altezza poté constatare cosa stesse effettivamente succedendo: alla fine della collina, al di là delle protezioni e dei cartelli, notò quella che doveva essere la lussuosa villa del Signor North. Il problema, però, era che sembrava essere messa come sotto sequestro, circondata da un lungo nastro isolante, anch’esso rosso e bianco.
-Potresti andare un po’ più avanti?- gli chiese, sperando così di capirci qualcosa in più.
-Certo…- borbottò, ed era sicura che anche lui fosse imbarazzato perché gli vedeva le orecchie scarlatte.
-Fermati!- gridò, facendolo arrestare di botto.
Ron le lanciò un’occhiata di sottecchi, tra l’indispettito e il divertito.
Hermione  arrossì. – Cioè, per favore.
Puntellandosi con le mani sulle spalle di Ron, fece l’atto di elevarsi un po’ più in alto; purtroppo, il panorama desolante era sempre quello.
-Buone notizie?- chiese Ron, mentre si piegò di nuovo per aiutarla a scendere.
-No, per niente…- mormorò, avvilita. – La villa sembra abbandonata… non posso proprio credere che anche lui abbia cambiato casa!
-Forse sta facendo dei lavori per ingrandirla… magari per costruirci una piscina!
-No Ron, a me dava più l’idea di come se fosse stata pignorata.
Ron la  guardò stranito.
-Confiscata, sequestrata, insomma c’è stato un motivo grave per lasciarla.
Emise un sottile fischio, gli occhi sgranati.
-E adesso…adesso che si fa?
-Continuiamo  a cercare.- disse, decisa.
 
Ritornarono sui loro passi, scendendo la collina molto più facilmente adesso che non era più una salita. Decisero che la fama del Signor North poteva rendersi utile in questa situazione perché lui, a differenza dei Signori Granger, era sicuramente molto conosciuto e quindi doveva esserci qualcuno che doveva sapere dove fosse andato a finire.
La loro ricerca non durò molto, fu assolutamente per caso che Ron si imbatté nella notizia, anzi, fu quella che gli venne praticamente incontro: un grosso manifesto stropicciato gli si spiaccicò in piena faccia, oscurandogli la visuale.
Dopo una serie di imprecazioni riuscì a levarselo dal viso: seppur consumato dal vento e dalle intemperie, il cartellone era ancora piuttosto leggibile. L’ espressione di Ron passò dal nervoso allo stupito, e poi dallo sconvolto al rabbuiato mentre i suoi occhi scorrevano le parole incise sul foglio di carta. Questo repentino cambiamento non passò inosservato ad Hermione.
-Cosa c’è scritto?- domandò, anche se aveva quasi paura a chiederlo.
-Non…non è importaante.- le mentì, mortificato.
Hermione aggrottò la fronte, nervosa.
-Ron non puoi aver fatto quella faccia per niente, certo che è importante! Su, dammelo- e glielo strappò quasi di mano.
Tutte le sue speranze sembrarono sfumare nel nulla, per colpa di quelle poche righe di inchiostro.
 
Il giorno  28 aprile 1998 si è spento improvvisamente il Dr.Julius North.
Ne danno il triste annuncio la compagna e i figli.
Le esequie verranno celebrate il giorno 1 maggio presso la Kiama Anglican Church.
 
-È… è…- mormorò, sotto shock.
-Sì- le confermò Ron, accarezzandole i capelli in maniera un po’ impacciata.
 Ci si poteva sentire così addolorati per la morte di una persona che non si era mai conosciuta?
Evidentemente sì, perché Hermione aveva di nuovo il cuore a pezzi. Certo, avrebbe potuto contattare i familiari del Signor North per controllare se avevano notizie dei suoi genitori, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Qualcosa le diceva che avevano parlato in prima persona con lui e quindi, probabilmente, quell’informazione l’aveva davvero portata nella tomba con sé.
Affondò il viso nella spalla di Ron, aggrappandosi al suo giaccone: questa volta non si domandò se fosse un atto di debolezza lasciarsi andare alle lacrime, perché quelle sfuggirono dal suo controllo molto prima che se ne fosse accorta. Si sentì avvicinare al petto di Ron e fu grata, tra tutte quelle sfortune, di averlo con sé.

 

I giorni sembravano passare sempre più lenti, adesso che la loro ricerca era ritornata ad un punto morto. Iniziarono di nuovo a cercare il nome “Wilkins” sui registri telefonici, ma gli unici Wilkins residenti a Kiama erano una giovane coppia di origine Thailandese, e un famiglia di quattro persone che abitava lì praticamente da sempre.
Ron la incitava a controllare e ricontrollare luoghi che avevano visitato fino alla nausea, Hermione lo capiva, per tenerla in movimento. Probabilmente temeva che il continuare a rimuginare sui loro fallimenti l’avrebbe intristita, o peggio, invogliata a desistere.
Inizialmente aveva  cominciato ad assecondarlo perché davvero l’idea dello stare con le mani in mano la faceva impazzire, ma con il passare del tempo era divenuto più un motivo per aiutare Ron a distrarsi che altro.
Le era altrettanto chiaro che giorno dopo giorno era lui in realtà quello sempre più impaziente, sempre più nervoso; decise di non volerci far caso fino a che, il pomeriggio di una domenica nuvolosa, l’occasione per aiutarlo le si presentò quasi su di un piatto d’argento.
 
Il temporale li aveva sorpresi durante la loro passeggiata abituale, costringendoli a ripararsi sotto un portico illuminato da un lampione un po’ fulminato. Aspettarono che spiovesse, stretti l’uno all’altra per evitare di bagnarsi, ipnotizzati dalla luce ad intermittenza, che andava e veniva con una frequenza sempre più lenta.
 Uscirono dal loro rifugio quando ormai l’acquazzone non era diventato altro che una lieve pioggerella, la cui umidità aveva reso i capelli di Hermione più crespi che mai.
Il diluvio li aveva costretti a correre per trovare un posto dove poter rimanere asciutti e, quindi, adesso si ritrovarono in una zona di Kiama che non avevano ancora mai visitato.
Avanzarono mano nella mano in un vicolo sotto un cielo blu scuro in cui le prima stelle della notte stavano già debolmente luccicando. Da una parte e dall’altra della stradina, c’erano villette con le finestre illuminate e, poco più avanti, un bagliore di lampioni dorati indicava il centro di una piazza.
Proseguirono senza intralcio; passarono davanti alle altre abitazioni mentre l’aria gelida gli frustava il volto poi, dopo poco, il vicolo che stavano percorrendo curvò a destra e la piccola piazza si presentò davanti a loro: una grossa statua di bronzo, raffigurante qualche illustre personaggio australiano, li indicava con il suo dito e, lì vicino, si ergeva un piccolo palco smantellato, ma con qualche faro ancora montato. Forse era terminato da poco uno spettacolo.
 Gli abitanti del quartiere ancora circolavano frettolosamente lungo  la strada, le cui teste erano colpite dal chiarore dei lumi sovrastanti quando gli passavano al di sotto.
Mano a mano che si avvicinavano al centro della piazza, Ron e Hermione udirono uno scoppio di risa e musica pop quando la porta di un pub vicino si aprì : Hermione si chiese se prima o poi anche lei si sarebbe sentita capace di ridere di nuovo, così forte e così di gusto.
Poco oltre scorsero  un grosso edificio bianco dal quale uscì un folto numero di persone e, ben presto, si ritrovarono in un ingorgo di gente.
Si fecero un po’ trasportare dalla folla e si accorsero, adesso che gli erano accanto, che il grosso palazzo non era altro che una chiesa il cui pastore aveva appena terminato l’ ultima funzione della giornata : prestando attenzione, si poteva ancora  udire il brusio dei fedeli rimasti  a dedicare ancora un’ultima preghiera.
Ron sembrava a disagio, gli occhi gli erano diventati di un azzurro abbagliante mentre osservava il rosone che rifletteva la luce dell’interno. Era il due giugno.
-Vuoi entrare?- gli chiese Hermione, quasi con timore. Non sapeva se Ron fosse credente, del resto non avevano mai parlato molto di questi argomenti. Sapeva che la famiglia Weasley festeggiava il Natale, ma anche lei lo faceva e non era una persona particolarmente praticante.
Ron scosse la testa, debolmente. – Sono anni che non ci metto piede… Sai, nel villaggio vicino alla Tana c’era una chiesa dove andavamo quando ero piccolo ma un Natale George e… - deglutì, a fatica. – George  e Fred rubarono una Caccabomba dal baule di Charlie e ti lascio immaginare cosa successe dopo... Mamma e papà dovettero Obliviare il pastore e tutta Ottery St. Catchpole.
Rise, ma il sorriso non gli arrivò agli occhi.
Hermione si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto prima che il ricordo di Fred portasse con sé solamente le sensazioni felici e non quel dolore sordo al centro del petto.
Lei sapeva bene quanto era doloroso pensare ad una persona a cui si aveva voluto bene e che era venuta a mancare; del resto anche se in maniera minore quei lutti avevano colpito anche lei.  Sapeva che Ron avrebbe voluto  allontanarne  il pensiero per distanziare anche il dolore che richiama a sé in maniera inevitabile.
Sembrava quasi impossibile avere un pensiero di affetto senza richiamare un ricordo triste, e rimanere così intrappolato, senza alternative, senza vie d’uscita.
L’uno portava l’altro, mentre ognuno vorrebbe il dolce senza sentirne l’amaro.
 
Le sembrò di vivere una sensazione di déjà vu quando sentì la propria mano afferrare quella di Ron e trascinarselo dietro. Non sapeva cosa stava facendo, sapeva solo che andava fatto.
 Così come aveva fatto con Harry quasi un anno prima, questa volta condusse Ron nel piccolo cimitero adiacente la chiesa e, cautamente, aprì il cancello solamente socchiuso.
Cercò di fare meno caso possibile alle file di lapidi che si ergevano dal terreno bagnato di pioggia, alle persone vicino alle pietre tombali di qualcuno a loro caro.
S’inoltrarono nel cimitero, lasciandosi dietro solchi profondi di fango, e la condensa dei loro fiati nell’aria gelida.
 Si fermò all’improvviso, quando raggiunse quasi il limite del cimitero: si trovavano sotto le fronde  di un grosso albero; sembrava un salice.
-Perché siamo qui?- le chiese Ron, la voce un po’ strozzata.
-Oggi è un mese…- rispose, chinandosi un po’ a terra. – Credevo lo volessi.- mormorò, il viso illuminato dalla luce della luna.
Gli occhi di Ron erano come due fanali abbaglianti in tutto quel buio, li vide chiudersi un attimo, prima di fare un cenno tremolante con la testa.
Hermine appoggiò le ginocchia sul terreno, incurante di bagnarsi le calze con l’erba bagnata. Frugò nella borsetta di perline per un po’, sotto lo sguardo vigile di Ron: il suo braccio riemerse solo dopo che era riuscita ad afferrare quello che voleva. Con la mano libera,iniziò a scavare il terriccio, ma  Ron la fermò, afferrandole il polso.
-Ti sporcherai...- aggiunse con voce rotta, mettendosi anche lui a carponi.- Faccio io.
Iniziò a scavare prima lentamente e poi con sempre più forza, fino a quando la terra arrivò a sporcargli anche l’avambraccio. Non usò la magia, non adesso: sarebbe stato troppo facile e in quel momento  aveva bisogno di non pensare a nulla; il ritmo regolare delle sue braccia era quasi ipnotico.
-Credo vada bene così- mormorò Hermione, appoggiando una mano sulla sua. Ron annuì, piano. Fu con molta delicatezza che Hermione appoggiò la Merendina Marinara nella piccola fossa da loro creata.
-So che non è molto…Purtroppo non avevo di meglio- si scusò mentre sentiva la gola seccarsi. Ron la scrutava con uno strano sguardo scuro, e lei si sentì improvvisamente fuori luogo. Si ammutolì, chiedendosi se non avesse sbagliato ad intromettersi in quello che continuava a considerare un lutto privato sul quale lei non poteva avanzare alcun diritto.  Temeva di averlo di nuovo costretto a fare qualcosa che non voleva, forse adesso sarebbe stato ancora peggio o…
Ma Ron le accarezzò le dita e fu con voce piena di commozione che le rispose.
-È perfetta.
Stettero un po’ in silenzio, le mani strette in grembo. Ron fissava come paralizzato il cumulo di terra, mormorando ogni tanto qualche parola sottovoce. Lei invece scrutava Ron e una sua eventuale reazione: sembrava distrutto. La sua mente viaggiò  inevitabilmente alla Tana, ai Signori Weasley, a George, a Ginny, ad Harry… Forse adesso erano anche loro tutti insieme, a celebrare non solo Fred, ma tutti i caduti.
Si sentì, come sempre da almeno un mese, tremendamente in colpa nell’aver privato Ron di stare insieme alla sua famiglia in un momento del genere, e le lacrime le scesero sul viso, infrangendosi all’interno del collo della sua sciarpa. Non piangeva solo per Ron, ma anche lei: Fred, Dobby,  Tonks, il Professor Lupin, il Professor Silente, Moody, e tutti gli altri non c’erano più. Non li avrebbe mai più rivisti.  Sembrava impossibile, in quel momento, aver ricominciato a vivere.
Il dolore le fece mancare il fiato e inspirò profondamente l’aria della notte, cercando di calmarsi, di riprendere il controllo.
Dopo quella che parve un’eternità, iniziò a ricoprire la fossa con il terriccio circostante e ben presto le mani di Ron le vennero in aiuto.
Quando ebbero finito, Ron staccò un fiore poco lontano, e lo posò sopra al cumulo di terreno.
Erano soli oramai e così  Hermione, con un gesto della bacchetta, lo Transfigurò in una corona di fiori selvatici che aveva visto alla Tana.
Sentì Ron tirare su con il naso.
-Fred mi avrebbe ucciso se mi avesse visto buttare così una Merendina Marinara…
E vide il candore dei suoi denti mentre gli angoli della bocca gli si sollevarono, anche se la voce era roca dalla fatica di parlare.
 Hermione ricambiò un sorriso lacrimoso, e gli strinse la mano che era appoggiata sulla corona di fiori.
-Andiamo…- le disse e si alzarono.
Si girarono in silenzio e si allontanarono dal cimitero dirigendosi verso la chiesa ormai buia.
 
Ron la fermò all’improvviso, sotto le luci di uno dei lampioni della piazza: le cinse le spalle e l’attirò a sé in un abbraccio carico di emozioni: dolore, riconoscenza, amore. Hermione si alzò sulle punte dei piedi e gli stampò un lieve bacio sulla punta del lungo naso lentigginoso. Ron la guardò negli occhi e, dopo un momento di esitazione, le lasciò un  lungo bacio salato sulle labbra che la fece emozionare molto più di alcuni baci ben più lascivi che si erano dati nelle settimane precedenti. Era così intimo, così delicato, che le fece pizzicare di nuovo gli occhi.
Si staccarono con le guance un po’ arrossate, gli occhi un po’ lucidi. Ron aprì la bocca, poi sembro pensarci. Sembrò racimolare tutti i pensieri confusi che aveva in testa e parlò, con il tono un po’ sommesso.
-La hai… la hai ancora quella pergamena?-
Hermione lo guardò e per la prima volta sentì di aver fatto davvero la cosa giusta.
-Ma certo.
Ron annuì, un po’ sollevato. Le afferrò di nuovo la mano e camminarono riempiendo i vuoti del loro cuore con le parole; l’indomani avrebbero dovuto trovare un gufo o qualche altro animale per spedire la lettera alla Tana e accertarsi che fosse andata a buon fine. Avere un nuovo progetto fece sentire Hermione più felice, ma era l’aver aiutato Ron a fare un primo passo verso la guarigione che la fece sentire bene come non si sentiva da settimane.
 
 
 
 
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(© elyxyz)
 
 


Nda: Ed ecco qui, questo è tutto. Spero che ci sia ancora qualcuno che sia riuscito ad arrivare in fondo a questo capitolo che, come ho già detto prima, temo sia una schifezza. Ho avuto un vero e proprio blocco in questi ultimi mesi ma, dopo una delusione un po’ recente, mi sono costretta a continuare anche solo per me stessa. Purtroppo ero un po’ arrugginita e quindi non so decidere se questo capitolo mi piaccia o meno. Ma so con certezza che devo ringraziare con tutto il cuore una persona che continua a supportami e ad incitarmi a non mollare. Se siete amanti dei Romione sicuramente non potete non conoscere il suo nome: è la fantastica Jess, alias Bemyronald! Ovviamente non dovrei essere io a consigliarvi le sue favolose storie, perché probabilmente le avrete già lette. Ma se non lo avete fatto…che state aspettando? Correte a rimediare alle vostre mancanze! Forza, forza!!!( Ma prima lasciatemi una recensione, però ehehh).
E niente… questo è tutto. Spero che come al solito i passaggi della ricerca siano plausibili, l’IC dei personaggi sia giusto e, insomma, queste cose qua. Spero che Hermione e Ron non siano risultati troppo “ diversi” o lamentosi in un certo senso… Ma dopo una guerra, ed un lutto così recente, dubito che ci si possa sentire tutti allegri. O almeno credo…
Non voglio fare promesse che so di non mantenere, soprattutto perché voi non siete stupidi e avete visto i miei tempi di aggiornamentoxD Ma mi impegnerò a concludere questa fanfiction in tempi molto più rapidi, anche perché sennò di questo passo non la terminerò mai! ( Tra l’altro il quarto capitolo è scritto per metà, o quasi :) )
Un bacione, spero a presto!
 

 

 
  
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