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Autore: claws    12/12/2015    2 recensioni
Raccolta di shots riguardo pairing vari ed eventuali.
I) Zoro/Robin: «Robin aveva imparato a sfruttare il proprio potere fin da bambina: prima per gesti quotidiani, come spazzare e ripulire in casa; poi per farsi strada nel mondo degli adulti, che aveva imparato essere un brulichio di mostri dagli occhi più o meno buoni.»
II) Robin/Nami: «Nami non aveva mai avuto nessun problema con la propria altezza, visto che era perfettamente nella media essere alta un metro e settanta.»
III) Bibi/Rebecca: «Mia figlia Bibi? Oggi non è in casa, era attesa alla fiera di fumetti e videogiochi che si tiene appena fuori dalla città.»
IV) Smoker/Hina: «Hina invece pensa che Smoker dovrebbe smettere di parlare in terza persona! È irritante!»
V) Smoker/Ace: «Ti sei tagliato i capelli?»
VI) Zoro/Tashigi: «Tu cominci da un punto avvantaggiato, e non credo nemmeno che tu te ne sia accorto, Roronoa: se io adesso sono debole, non lo sarò in futuro.»
[Storia partecipante alla challenge SCEGLI IL PAIRING, SCEGLI L’IMMAGINE indetta da Nami93 sul forum di EFP]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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De Saturis Lancibus



Ad altezze estreme, estremi rimedi




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Nami non aveva mai avuto nessun problema con la propria altezza, visto che era perfettamente nella media essere alta un metro e settanta. Non c’era nulla di strano e nessuno l’aveva mai presa in giro per questo – insomma, non si era mai sentita in imbarazzo o in difficoltà a causa del proprio fisico.

Solo dopo essersi innamorata di Robin si era trovata a disagio, ma per un motivo perfettamente comprensibile, accidenti: c’erano quasi venti centimetri di altezza a dividerle! E l’amore di Robin per le scarpe con un po’ di tacco non aiutava Nami proprio per nulla. Il solo ricordo di come aveva spiegato i propri sentimenti a quel gigante di un’archeologa le faceva addormentare le gambe: Nami era rimasta sollevata sulle punte dei piedi per un tempo più o meno imprecisato, e tutto perché Robin era rimasta in silenzio, piacevolmente sorpresa da quella confessione. Soltanto dopo aver mostrato un sorriso (bellissimo, beninteso, ma quanto tempo per tirarglielo fuori!) si era abbassata quel tanto che bastava per baciare Nami sulla bocca.

A Nami bastava pensare a quei momenti in cui si era sentita sospesa su degli spilli per decidere di cambiare approccio – c’era di mezzo anche il fatto che ancora non avevano spiegato al resto dei loro compagni la loro nuova situazione. Nami sorrise al pensiero: avrebbero prima sentito il cuore di Sanji spezzarsi con lo schiocco di un albero tagliato a metà, poi il suono sarebbe stato qualcosa di simile a un gorgoglio di felicità a causa dei viaggi mentali, una specialità del loro cuoco.

In ogni caso, così Nami spiegava il motivo per cui, quando le due donne andavano a dormire, lei si raggomitolava come un gatto al fianco di Robin, che amava leggere sotto il caldo delle coperte. Nami rimaneva in silenzio e si intrecciava i capelli per la notte, tutta col viso rivolto all’archeologa: entrambe sapevano benissimo che una stava guardando l’altra mentre sembravano impegnate a fare altro.



«Due minuti e spengo la luce, Nami. Finisco questo capitolo.»

La navigatrice si premurò di mettere le proprie mani fredde sotto al cuscino, per riscaldarle.

Ci fu silenzio, nella loro cabina, per un’altra manciata di minuti. Quando Robin chiuse il libro e lo appoggiò sul comodino, la luce fu spenta. Un primo momento di assestamento – poi le mani tiepide di Nami acchiapparono quelle di Robin e le strinsero.

«Robin, ho un problema, ed è la tua altezza.»

Quella rise in modo aggraziato – Nami un po’ si infastidì, perché era una questione seria, dannazione! Non era una cosa carina, era—era un dannatissimo muro! Non poteva comprarsi dei trampoli o abbarbicarsi a lei come un koala – non l’avrebbe mai fatto, era una questione di principio e di orgoglio. Nami non era Rufy, accidenti, non si sarebbe mai aggrovigliata sui propri compagni e amici, men che meno su Robin.

Nami non arrossisce mai per niente, ma per l’immagine che aveva in mente (lei aggrappata a Robin come se fosse un koala) arrossire forse sarebbe stata una buona idea.

«Scusa, navigatrice.» Robin pensò tra sè e sè che questo supposto problema fosse una cosa tenera, ma figuriamoci, non l’avrebbe mai detto. Robin pensava spesso a cose adorabili, ma quello che poi diceva rientrava nell’ampia categoria del macabro o del terrificante. «È una delle poche cose di me che non posso cambiare, se non con metodi drastici come amputarmi le gambe.»

«Non dirlo neanche per scherzo.»

«Va bene,» rispose Robin, con quel sorriso enigmatico di una indovina, «immagino tu abbia qualche soluzione, dal momento che me ne parli soltanto adesso.»

Vero. Nami aveva una soluzione – certo, provvisoria, ma meglio che niente, no? «Non ne abbiamo ancora parlato con i ragazzi e per un po’ non voglio parlargliene.»

«Certo.»

«Quindi l’unico momento che abbiamo è quando siamo nella nostra stanza.»

«Sì.»

Nami non era in imbarazzo, chiariamoci: il fatto era che parlarne apertamente sembrava più difficile del previsto, e contemporaneamente più semplice. Da un lato non riusciva a trovare le parole che avrebbe voluto usare, dall’altro Robin aspettava e il suo silenzio non spingeva Nami a riempire l’aria della propria voce, non la metteva a disagio. Era confortante. «Quando siamo sdraiate non ci sono problemi di altezza. È più facile, no?»

Robin annuì. Da quando si erano ritrovati dopo due anni di assenza, sembrava sorridere più spesso: forse perché i suoi amici le erano mancati, e tornare in viaggio con tutti loro l’aveva resa consapevole del fatto che erano stati molto fort(unat)i nel sopravvivere e nell’irrobustirsi. Aveva imparato a sorridere di più per poter dimostrare a tutti loro il suo affetto. Che poi Robin riservasse a Nami una grande porzione di quei sorrisi, be’, la navigatrice non poteva che esserne estremamente felice. «Vogliamo provare?»

Nami strinse le mani di Robin con più forza – quella fu la sua risposta. Poi mise il naso su una guancia di Robin, ridacchiò per qualcosa di divertente che aveva pensato per un solo secondo e la baciò sulla bocca. Per la cronaca, i suoi piedi arrivavano a metà polpaccio dell’archeologa. «Va bene. Che ne dici, Robin?»

«Sì, va benissimo.»

A quel punto si dedicarono all’attenta misurazione della distanza che c’era tra le loro teste e le loro gambe; compararono le lunghezze delle loro braccia; misero le mani di una contro quelle dell’altra per sapere chi, tra le due, avesse le dita più lunghe. Giocavano, ognuna coi propri movimenti – quelli di Nami veloci e furbi, quelli di Robin sporadici e consapevoli –, ognuna con il proprio ritmo. Quando c’erano baci era per premiare la loro costanza in quello studio ingegneristico condotto nel giro di una mezz’ora. Poi, stanche del gioco, si sistemarono per dormire: le braccia di Robin erano muscolose ma morbide, come le sue gambe. Erano un buon cuscino su cui appoggiare il viso per la notte, come un amuleto che ispirava buoni sogni.



Quella notte il turno di veglia era di Franky, quindi Nami e Robin dormirono le loro sette ore di sonno tranquillamente. Quando Robin si svegliò, trovò Nami stretta al suo polso come—come un koala, o qualcosa del genere.

Un movimento veloce risvegliò la navigatrice, che si stiracchiò come una gatta.

L’archeologa fece fiorire due mani per sollevare le coperte, ripiegarle al fondo del letto e per aprire un pochino la finestrella della loro camera. Evitò di dire che non sentiva più le proprie braccia perché Nami ci aveva dormito sopra per tutta la notte – non tutto il male viene per nuocere, no? La compagna aveva l’espressione soddisfatta di chi ha riposato benissimo. «Buongiorno, Nami.»

Non è che facesse freddo, ma vedersi privata del calduccio delle lenzuola in maniera così brusca non era quello che Nami si aspettava; per cui si tirò su, seduta, e si slegò la treccia assieme a uno sbadiglio. Guardò Robin, intenta a piegare il pigiama prima di alzarsi e di farsi una doccia mattutina, e pensò che un’occasione del genere non era da lasciarsela sfuggire.

«’Giorno, Robin,» disse Nami, acchiappando una mano dell’archeologa per avvicinarsi a lei e per schioccarle un bacio sulla bocca, rapido come un piccolo felino della giungla cittadina che si avventa sulla propria preda.

Quella mattina Nami e Robin constatarono che non avevano più il problema della differenza di altezza anche quando erano sedute.












Note Autrice:

Anche se preferisco la FRobin e la Nami/Bibi, loro due insieme mi piacciono taaaantissimo. Sono così tenere. Ok, in realtà non lo sono, ma se lo fossero, lo sarebbero in questa maniera non esattamente convenzionale. Non so, mi piacciono tanto tanto. L’immagine secondo me è bellissima e quando l’ho vista me ne sono innamorata subito.

Per quanto riguarda lo spunto da cui è partito tutto: mi sono sempre chiesta perché Robin fosse così alta. Cioè, è una montagna! Ci sono altri personaggi altissimi, per carità, ma Robin mi aveva veramente colpito, quando ero piccola – e poi crescendo non è che me ne fossi dimenticata, ma ormai mi ero rassegnata a non poter fare un cosplay realistico di Robin (e non solo per l’altezza, ma anche per tutto il resto, lol).

Spero non siano OOC. Dei ragazzi della ciurma non ho mai scritto molto, e nemmeno delle due fanciulle, quindi mi trovo, come dire, in bilico? Spero non siano fuori dai loro personaggi – e se lo sono, che non lo siano molto, lol.

Il titolo è stupido and I have no excuses.

Grazie per aver letto. Una mia amica mi dice sempre che io scrivo troppo di Ace, quindi aver scritto ben due shot senza parlar di lui sembra un miracolo, ma tanto comparirà in questa raccolta, prima o poi, perché sì (??)... Ehm. XD

La fanart originale è qui.

Grazie per aver letto; ringrazio soprattutto Mariaace e Nami93_Calypso! Alla prossima! C:

claws_Jo





Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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