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Autore: alaskha    14/12/2015    3 recensioni
“No, aspetta – fui lui a fermarmi, quella volta – non ti va un caffè?”
“Io non bevo caffè”
“Sei davvero newyorkese o bluffi? Non mi piace la gente che bluffa”
Avevamo usato lo stesso verbo, quindi probabilmente Luke Hemmings non era un bugiardo bluffatore.
“Sono newyorkese e non bluffo, semplicemente non mi piace il caffè ed io e te non ci dobbiamo piacere, non dobbiamo neanche mai più rivederci, quindi non importa”
“Giusto”
Rimanemmo a guardarci per qualche istante.
Istanti nei quali lui non si tolse mai dalle labbra quel sorrisino sfacciato.
“Quindi?” mi riscosse lui, dal mio stato pietoso di trance.
“Quindi addio, Luke Hemmings”
“Mi dici addio perché New York è grande ed è facile sbagliarsi?”
Annuii.
“Esatto”
“Speriamo non sia così grande come dicono, allora”.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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quando trovate l'asterisco ascoltate se volete "With me" dei Sum 41



 
chapter eleven

nothing without you



 
Avevo raggiunto il massimo della depressione a cui una ragazza di diciotto anni possa aspirare, ma non volevo darlo a vedere a nessuno. Mi ero rintanata nella mia camera, con una tazza di the inglese, un pacco enorme di biscotti con le gocce di cioccolato e mi ero maledetta più e più volte per non aver mai acquistato Romeo e Giulietta. Mi limitavo a leggerlo ogni qual volta andassi al Paradiso, quindi mi ero accontentata del mio secondo preferito: Orgoglio e Pregiudizio, perché Jane Austen non delude mai. Lei era un po’ il mio idolo, la vedevo come la paladina delle donne, una specie di eroina.
Ero tornata la copia esatta di quella che ero prima, e tante volte mi ero chiesta che cosa significasse, “prima” di cosa? Prima di Luke?
Stavo annegando nella storia complicata tra Elizabeth ed il signor Darcy, quando udii dei colpi forti alla mia porta.
“Va’ via” urlai, ma la mia voce uscì più come un lamento.
Non sapevo neanche chi fosse, ma per una volta in vita mia benedissi il lavoro a Wall Street di mio padre e Dan: in quelle condizioni non ce l’avrei fatta a reggere le pressioni di quei due noiosissimi agenti di borsa che si facevano le fusa.
“Piccolo fiore – quando neanche la voce di Mari riusciva a mettermi anche solo un minimo di allegria, capivo che la situazione era davvero tragica – ho una sorpresa per te, anzi due” si corresse.
Sbuffai, perché quella donna era riuscita ad incuriosirmi e quindi avrei dovuto alzarmi dal letto, per aprire la porta.
“Ma che ha?” sentii, da dietro la porta, e riconobbi subito la voce.
“Non ho nulla, d’accordo? – sbottai, aprendo la porta – entrate”
“Ah, buongiorno anche a te” continuò Louis, la voce che avevo sentito.
Li feci entrare velocemente nella mia camera, richiudendone subito la porta con un movimento veloce. Volevo avere a che fare con meno esseri umani possibili, quel giorno, e considerando che quella stessa sera avrei dovuto partecipare alla cena che io, avevo organizzato, non sarei di certo riuscita nel mio intento.
“Mi piace questo tuo nuovo stile – disse poi Zayn, stendendosi sul mio letto – collezione zombie autunno – inverno 2013/2014?”
Alluse al mio trucco sbavato sulle guance, i capelli arruffati e il piumone che tenevo sulle spalle, suppongo.
“Magari vuole partecipare ai casting per The Walking Dead” aggiunse Louis, prendendo posto sulla sedia della mia scrivania.
Zayn si strinse nelle spalle, afferrando i biscotti sul pavimento.
“Ma si può sapere che volete da me? – chiesi, poi- siete venuti fin qui da Southwark per prendermi in giro?”
“Esatto, bimba” assentì Zayn, facendo schioccare la lingua sul palato.
“E questi sono miei” replicai, antipatica, rubandogli i biscotti dalle mani.
“Ci ha chiamati Maribel, dice che te ne stai chiusa qui dentro da due ore” mi informò poi Lou, mentre faceva per accendersi una sigaretta.
“Non pensarci neanche” ringhiai, sfilandogli bruscamente la sigaretta dalla bocca.
La riposi accuratamente sul comodino affianco al mio letto, appuntandomi di non ridargliela e tenerla per me, nonostante Louis e Zayn non sapessero del mio nuovo vizio.
“Scommetto che Hemmings lo fai fumare, qui dentro” commentò Zayn, senza sapere cosa avrebbe scatenato dentro di me, solo pronunciando il suo nome.
Louis se ne accorse subito, del mio cambiamento visibile di espressione.
“Ehi, Jen? – mi richiamò infatti – tutto bene? Sembra quasi che Malik ti abbia detto che morirà tra sei mesi”
Zayn si toccò finemente le palle, alzandosi di scatto dal mio letto, molto indignato.
“Vaffanculo, Tomlinson!” berciò poi, facendomi vagamente ridere.
“Allora?” ma Lou non sembrava incline all’arrendersi.
Sospirai, per poi sedermi sul mio letto ed abbracciare il cuscino.
“Io e Luke abbiamo litigato”
Zayn sbuffò, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore, dato che non poteva fumare.
“Stai davvero così per Hemmings? Non ho voglia di dirti te l’avevo detto ma, come dire – fece fina di pensarci su – te l’avevo detto”
 Louis gli lanciò uno dei piccoli cuscini del mio letto addosso, ed io lo fulminai.
“Così non l’aiuti di certo”
“Già, ti ringrazio, Lou”
Zayn continuò a sbuffare e torturarsi le labbra, mentre Louis mi si avvicinò, prendendo poi posto affianco a me, sul mio letto.
“Cos’è successo?” mi chiese, stringendomi dolcemente in un abbraccio.
Mi accoccolai sulla sua spalla, lasciandomi cullare da lui.
“Siamo andati insieme a prendere Jai e lui ha pensato bene di invitarlo alla nostra cena – iniziai – ma non ce l’ho con Jai, assolutamente, è così piccolo e voleva solo che la persona che gli sta restituendo un po’ di gioia e sorrisi fosse presente, questa sera”
Louis annuì, mentre Zayn vagava per la mia camera, facendo finta di non ascoltare e che quella storia non gli importasse.
“E poi?”
“E poi ho detto a Jai che no, Luke non sarebbe potuto venire, e lui se l’è presa da morire”
“Però, gran bel tipo questo Hemmings – commentò Zayn – dimostra quindici anni ma poi in realtà da come si comporta scopri che ne ha esattamente quattro, wow”
Mi limitai a guardarlo e stringere i denti, non avevo voglia di litigare anche con lui. E forse non avevo più voglia di difendere Luke.
“Ignoralo, ha i coglioni girati” mi consigliò Lou.
“Strano”
“Già” – liquidò in fretta Louis, la faccenda – perché se l’è presa così tanto, Jen? Che hai detto a Jai? Luke mi sembrava un tipo a posto”
“Infatti lo è, credo sia stata tutta colpa mia – cominciai, tracciando il contorno di uno dei suoi mille tatuaggi sul braccio – adesso pensa di non essere alla mia altezza, o meglio, crede che sia io a pensare una cosa del genere”
“Perché è così – intervenne nuovamente Zayn, avvicinandosi a noi – Luke Hemmings non ti merita, ed io te l’ho sempre detto”
“Va’ al diavolo Zayn” sussurrai io.
“Perché stai così male per lui, Jen?” ma lui non si fece abbattere.
“Non lo so, okay? Non lo so! – sbottai, puntando gli occhi addosso a lui, un po’ allucinata – non so perché io stia reagendo così e non so perché mi piaccia così tanto averlo intorno, io n – o – n  l – o  s – o!” scandii bene.
Calò il silenzio, per qualche secondo, dopodiché Louis si fece avanti per primo.
“Lo so io”
“Illuminaci, Tomlinson” lo prese quasi in giro Zayn.
“Luke ti distrae” disse, semplicemente.
Io aggrottai le sopracciglia, e Zayn roteò gli occhi al cielo.
“Io vado a farmi una sigaretta – comunicò poi – quando voi due avete finito il vostro pigiama party, mi trovate in cucina”
“Lo odio” sostenni, ancora tra le braccia di Lou, non appena Zayn si richiuse la porta alle spalle.
“Luke ti distrae dalla tua vita, piccola, pensaci bene - mi fece notare Louis – da quando c’è lui leggi un solo libro a settimana, non è così?”
Mi chiese, mentre giocava con una ciocca dei miei capelli.
“In effetti sì – riflettei io – e rispetto ai quattro che divoravo prima, direi che è un grande passo avanti per la mia vita sociale”
Louis ridacchiò.
“A parte gli scherzi, questo è solo un esempio ma tutti noi stiamo notando dei grandi cambiamenti in te”
“Anche Zayn?”
“Soprattutto Zayn”
“E allora perché fa così?”
“Perché ha paura che tutto questo possa finire, ha paura che Hemmings possa sparire dalla tua vita più velocemente di quanto ci è entrato e lui sa bene, che se dovesse accadere, tu ci staresti male, ma male per davvero”.
 
 
 
 
Sistemai per l’ennesima volta una piega che si era formata sul vestito color panna che avevo scelto per l’occasione. Dondolando sugli stivaletti, mi resi conto di essere un tantino agitata. Controllai l’orario sull’iPhone per tipo la trentesima volta, e sbuffai per la milionesima.
“Ma dove diavolo è quel ritardato di Jonathan?” sbottai.
“Si dice ritardatario” mi corresse Jai.
“Certo, a otto anni forse..”
Maribel mi guardò leggermente male, come per riprendermi, sfilando lungo la sala con indosso il suo miglior vestito rosso. Nei capelli portava una rosa, dello stesso colore, e dio mio quanto era bella.
Avevo convinto mio padre a farla partecipare alla cena, cioè, in realtà era andata più o meno così:
 
“Ehi papà, cosa diresti se Maribel cenasse insieme a noi, sabato?”
“Sabato? – domandò, alzando gli occhi dal suo giornale, stranito – e perché mai dovrebbe? Che succede di speciale? Non è il suo compleanno, li ho segnati tutti sul calendario dell’iPhone”
Ma dai, non mi dire: ricordarli troppa fatica?
Scossi la testa, cercando di mantenere la calma, mentre mi dondolavo sullo stipite della porta del suo ufficio.
“Ci sarà anche John, ricordi? Ceneremo tutti insieme, te ne ho parlato proprio ieri”
Al sentire il nome di mio fratello, gli brillarono gli occhi.
“Oh, sì, certo, la cena – rammentò, a fatica – fa’ come vuoi, Jenelle, e chiudi la porta quando esci”.
 
Ecco sì, più o meno così.
“Jen, non mi va che usi questi termini davanti a lui” disse Maribel, alludendo a Jai.
Alzai le mani, come a chiedere scusa e poi lanciai uno sguardo a Jai, che se ne stava alla grande finestra dell’attico, con il nasino premuto sul vetro.
“John arriverà” lo rassicurai.
“E Luke? – mi chiese speranzoso – è ancora arrabbiato con me?”
Aggrottai le sopracciglia, raggiungendolo, mentre mi stringevo nel golfino.
“Luke non è mai stato arrabbiato con te, scimmietta – dissi, guardando fuori dalla finestra insieme a lui – anzi, è molto invidioso di come vai sul suo skateboard meglio di lui”
Jai rise, compiaciuto. Capii che era per quei momenti, che continuavo a tenere duro.
“Ma non verrà?”
“No, piccolo, Luke non verrà”
Sospirai, osservando la grande sede della borsa, lasciando che i miei pensieri vagassero solitari. Ma proprio in quel momento, il campanello trillò.
“È John! È John!” urlettò Jai, correndo alla porta.
“Fa’ piano” raccomandai, standogli dietro.
Maribel andò ad aprire la porta e Jai travolse suo fratello, che per poco non perse l’equilibrio.
“Non sapevo che aveste preso una scimmia domestica, ragazze, non mi dite mai nulla!” scherzò John, rivolto a me e Maribel.
Lo vidi prendere in braccio il piccolo, facendolo volteggiare un paio di volte.
“Sei qui!” continuò ad urlare Jai.
“Che ti aspettavi?” disse, con un ampio sorriso sul volto.
Jai si accoccolò sulla spalla del fratello maggiore, ed io dovetti ingoiare il ricordo di quella scena, già vista precedentemente con Luke.
“Siete in ritardo” li accusai, andandogli incontro a mia volta.
“Quanto sei noiosa, sorellina – mi disse John – siamo qui, è questo l’importante no?”
“Sai, Jen, tuo fratello non sa più farsi una doccia in meno di cinquanta minuti” scherzò Sabine.
Risi insieme a lei e le baciai le guance. Mi piaceva Sabine, era l’anima gemella di John ed era stata il suo porto sicuro, in tempi di guerra con mio padre.
“Ciao Jonathan – lo salutò Mari – come va a Brooklyn?”
“Una meraviglia, Maribel!”
“Sono contenta”
Maribel e Jonathan erano come madre e figlio, esattamente come per me e Jai, era stato molto doloroso anche per lei dover dire addio al maggiore di casa.
“Piuttosto – cominciò poi John, posando a terra Jai, che non stava più nella pelle dalla gioia – dov’è Steve? Finché ci sarà lui, nessuno di noi sarà mai davvero in ritardo”
Sabine roteò gli occhi al cielo e Maribel sparì in cucina, seguita a ruota da Jai, il quale era l’addetto a spargere lo zucchero a velo sulla torta al cioccolato.
“Ti prego John, almeno per stasera facciamo finta di essere una famiglia normale – dissi, rendendomi conto che per mio padre non ci sarebbe stato alcun problema, era quello che faceva normalmente – e poi come ti sei vestito? Almeno lo snapback potevi evitarlo”
“Non rompere, Jenelle – mi liquidò – perché non hai invitato Zayn e Louis? Almeno ci sarebbe stata una buona dose di erba per reggere la serata”
Sabine lo colpì su una spalla, ed io sbuffai.
“Ecco un altro patito della ganja”
“Patito della ganja?” mi chiese John, aggrottando le sopracciglia, stranito.
“Lascia perdere”
Ed il campanello trillò nuovamente.
 
 
 
 
 
“E Sabine – cominciò mio padre, versandosi il terzo bicchiere di rosso - come va quel master in letterature antiche che stavi portando avanti?”
La cena stava proseguendo normalmente: tagliavamo, masticavamo, versavamo, bevevamo e conversavamo tranquillamente. Io ero seduta tra Daniel e Maribel, con di fronte John e Jai, tassativamente vicini.
Sabine ingoiò un pezzo di arrosto con le patate che aveva cucinato Mari, prima di rispondere.
“Oh, molto bene, grazie signor Stratford”
“E tu? Jonathan? – domandò poi al suo prediletto, incrociando le mani sotto al mento – come te la passi a Brooklyn? Ho sentito di qualche angheria commessa dalle gang locali..”
“Oh sì – rispose John, finendo d’un sorso il suo vino – l’altro giorno Sabine ha assistito ad una sparatoria, siamo stati molto fortunati che sia tornata a casa” ironizzò.
Steve imitò una risata, rivolgendosi poi a me.
“Sai, Jenelle, sono sempre più fiero di Daniel – iniziò, mentre io mi concentravo sulle mie patate arrosto – di questo passo, tra non molto, diventerà un vero e proprio rialzista con i fiocchi!”
“Che gioia!” finsi entusiasmo.
“Già, per me è un onore lavorare con tuo padre” intensificò la cosa Dan, rivolgendosi a me, ma guardando ovviamente il suo unico amore: Steve Stratford.
“Immagino..” continuai, incerta.
John se ne accorse e mi lanciò uno sguardo carico di apprensione, come per darmi coraggio.
“E poi tra poco comincerai i tuoi studi alla New York University, sai, il mio amico, quello di cui ti parlavo – fece mio padre, pulendosi la bocca con il tovagliolo – è stato molto felice di poter scrivere una lettera di raccomandazione per te”
“Almeno uno tra noi due lo sarà” dissi io, fingendo un sorriso.
Ma mio padre sembrò non accorgersene, dato che ricambiò. Il che fu davvero troppo per John.
“Non te ne rendi conto, non è vero, Steve? – sbottò mio fratello, sbattendo una mano sul tavolo – non ti è bastato allontanare me, adesso lo stai facendo anche con Jenelle”
“Di che cosa stai parlando, Jonathan?” gli chiese papà, composto.
“Hai mai provato a chiederle cosa realmente voglia fare, nella sua vita?” continuò, piccato.
“Scrivere non è un lavoro – rispose, deciso – ma un passatempo, e con questo chiudo il discorso, Dan, mi passeresti altro vino?”
E così fece, fregandosene del fatto che al centro della loro discussione ci fossi io, la sua fidanzata.
“Ma certo, il discorso è chiuso quando lo decidi tu, non è vero papà?”
John continuava a provocarlo, lui non era mai stato bravo a stare zitto, davanti al comportamento di nostro padre.
“Porto la torta?” ci pensò Maribel a smorzare la tensione.
Guardai John, mimandogli un grazie con le labbra, mentre Sabine gli accarezzava il braccio, nel tentativo di calmarlo.
“Stavolta è venuta proprio bene! – esclamò felice Mari – io e Jai ci abbiamo lavorato tutto il giorno!”
Maribel iniziò a distribuire piatti a tutti quanti, contenenti una mega fetta di torta, la preferita del piccolo di casa.
“Vediamo se abbiamo un futuro vincitore di Masterchef USA, tra di noi – disse John, assaggiando la torta – ah no, non ti andrebbe bene neanche questo, vero papà?”
“Io so cosa voglio fare da grande – ci comunicò Jai – voglio un piercing al labbro e viaggiare con lo skateboard, proprio come Luke, vero Jenny?”
Mi si gelò il sangue nelle vene. Sentii gli occhi di tutti puntati su di me, ma io cercai solo quelli di Maribel, l’unica a parte Jai a conoscere la realtà dei fatti. E, soprattutto, l’unica a sapere dell’esistenza di Luke Hemmings.
“Chi è Luke?” fu John il primo a parlare.
Tossicchiai, senza sapere realmente cosa dire.
“Luke è un mio amico” dissi, flebilmente.
Daniel aggrottò le sopracciglia, visibilmente confuso.
“Uno dei tuoi amici con cui eri quella sera che sei tornata alle due di notte?”
“Sì?” tentai.
“Jenelle, saresti così gentile da spiegarmi perché te ne vai in giro con una persona del genere e, soprattutto, perché tuo fratello vuole un piercing al labbro?”
La voce di mio padre tuonò per tutta la stanza, ed io mi ritrovai senza sapere cosa dire.
“Perché non sapevo dell’esistenza di questo Luke? - continuò John – tu mi dici tutto”
Io roteai gli occhi al cielo.
“È solo un mio amico, papà, e Jai vuole un piercing al labbro perché ce l’ha anche lui, si sa, i bambini a quest’età sono facilmente influenzabili” cercai di spiegare.
“È per questo che dovresti evitare la compagnia di certi elementi, soprattutto davanti a lui – tuonò ancora – dannazione Jenelle, ma non ti ho insegnato nulla? Non bastavano Zayn e Louis, adesso anche quello con il piercing al labbro” 
Risi amaramente, arrivata al limite della sopportazione. Scattai in piedi, sbattendo le mani sul tavolo, facendo tintinnare bicchieri e posate varie.
“Tu non sai niente, d’accordo? – sbottai, incontrollata – non lo conosci nemmeno, e questo vale anche per Zayn e Louis che, tra parentesi, sono gli unici amici che io abbia mai avuto!”
“Non voglio che tu lo riveda mai più” m’impose, autoritario.
“Lo vedi? Non mi ascolti neanche”
Sposai la sedia e mi diressi verso la porta d’ingresso, sbattendo il più possibile i piedi.
“Amore, ma dove vai?”
Mi voltai verso Dan, indispettita.
“A fare due passi, mi è concesso?”
“Se esci adesso da quella porta, non disturbarti a tornare, per questa notte” fece nuovamente mio padre.
Finsi un sorriso, con le lacrime agli occhi. Ma non gli avrei dato quella soddisfazione, così, con una mano già sulla maniglia, mi feci coraggio.
“Fantastico, buona notte a tutti e grazie della serata”.
 
 
 
 
 
*Presi a camminare, volevo andarmene da Wall Street il più velocemente possibile. Estrassi l’iPhone dalla tasca del golfino e mi asciugai una lacrima con la manica di esso, notando che non c’erano né messaggi e né chiamate, da parte sua.
Erano le 10:23 PM, ed io ero sola.
Aveva anche iniziato a piovere furiosamente ed io, forse involontariamente, o forse no, avevo raggiunto Brooklyn. Avevo bisogno di certezze, quelle che avevo perso da troppo tempo, ed in quel momento, mi venne in mente solo Luke.
Solo lui era stato in grado di restituirmi un po’ di vita e non avevo intenzione di rinunciarci solo perché mio padre aveva detto ancora una volta “No”.
Così cercai il suo nome nella rubrica e tentennai, sulla cornetta verde. Chiusi pesantemente gli occhi e non ci pensai più. Portai il telefono all’orecchio, con il cuore in gola e la paura che la segreteria attaccasse da un momento all’altro.
“Pronto”
Ma poi sentii quella voce, e le mie barriere crollarono una ad una. Scoppiai in singhiozzi, reggendomi a fatica sulle mie gambe. Attirai qualche occhiata, ma non mi importava. Non mi importava più di nulla, se non di lui.
“Jen? Ma dove sei? Perché stai piangendo?”
Avvertii preoccupazione, nella sua voce. Così respirai pesantemente e cercai di controllare i singhiozzi.
“Sotto casa tua”
Luke chiuse la chiamata, e questo poteva significare solo due cose: o non gl’importava nulla, e quindi sarebbe tornato alla sua vita di prima, quella senza di me, senza troppe complicazioni, oppure.. non riuscii a formularla neanche, la seconda ipotesi, quando lo vidi di fronte a me.
Non gli lasciai neanche il tempo di avvicinarsi, gli corsi incontro e gli gettai le braccia al collo. Lui, incerto, agganciò le sue braccia alla mia vita, senza capire cosa stesse succedendo.
“Jen, piccola..”
Mi scostò una ciocca di capelli dal viso, che avevo nascosto nell’incavo della sua spalla, dove stavo reprimendo i miei singhiozzi.
 “Che succede?”
Mi stava stringendo possessivamente i fianchi, in un abbraccio dolce. Ed io non riuscivo a placare il mio pianto disperato.
“Adesso mi stai spaventando” sussurrò sulla mia guancia, bagnata dalle lacrime.
Mi costrinsi a guardarlo negli occhi, anche se non volevo che mi vedesse in quello stato.
“Sono terribile..” sussurrai, con la voce rotta.
“Non m’importa”
Abbassai lo sguardo, prendendo a giocare nervosamente con le mie mani. Ma lui non me lo permise, mi alzò dolcemente il mento con le dita, costringendomi a guardarlo ancora negli occhi.
“Mi dispiace” gli confidai.
“Dispiace a me – ribatté – non avrei dovuto urlare con te, soprattutto non davanti a Jai”
“No Luke, me lo merito, non ne faccio una giusta”
Ripresi a piangere, non ne volevo sapere di calmarmi.
“Basta piangere, Jenelle – mi consigliò lui, sfregando il pollice contro la mia guancia – che ci fai qui? Perché non sei con la tua famiglia?”
Guardai da un’altra parte, abbozzando una risata amara.
“Ma quale famiglia? – chiesi, retoricamente – mio padre mi ha cacciata, non posso tornare a casa stanotte, dormirò sotto qualche ponte di Brooklyn”
“Cosa vuol dire che tuo padre ti ha cacciata?”
“Quanti significati ha questa frase, Luke?”
“E il tuo ragazzo? Non ha detto nulla?”
“Sei pazzo, per caso? – domandai retorica, cercando di pulirmi il viso dal trucco sciolto dalle lacrime – Daniel Crawford non si sognerebbe mai di contraddire il suo capo”
Luke mi guardò per qualche istante, senza dire nulla.
“D’accordo – disse, come se fosse arrivato al punto di una situazione immaginaria che esisteva solo nella sua testa – starai da noi, il mio letto è abbastanza grande per entrambi”
“No – scossi la testa – non voglio disturbare te e Michael”
“Non te lo stavo chiedendo” fece lui, deciso.
Mi strappò una risata, così tornai a gettargli le braccia al collo. Quella volta Luke seppe esattamente cosa fare, mi strinse forte dal primo momento, come se volesse trattenermi più tempo possibile insieme a lui. Ed io non potevo chiedere di meglio.
Mi scostai un po’, solo per guardarlo negli occhi.
“Luke..” sussurrai.
Eravamo tremendamente vicini e lui stava giocando con il suo piercing, mandandomi totalmente fuori di testa. Oscillavamo nuovamente con lo sguardo tra i nostri occhi e le nostre bocche, respirando l’uno sulle labbra dell’altro.
“Mh?”
“Non sono più niente senza di te”
“Non è vero” sostenne, con lo sguardo fisso sulle mie labbra.
“Non andartene”
“Te l’ho giurato”
“Dimostramelo”
In un secondo, mi ritrovai le sue labbra premute sulle mie, quasi con disperazione. Assaporai ogni secondo di quel bacio. La sua bocca era morbida e calda, in contrasto con il labret, freddo e d’acciaio. Ma non m’importava.
Non m’importava di nulla, io e Luke Hemmings ci stavamo baciando, sotto la pioggia, a Brooklyn, ma io non avrei desiderato essere in nessun altro posto, se non lì.
Con lui.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

sounds good feels good!
ciao bimbe sono in ritardo per la cena quindi mi muovoooo
sono felicissima di pubblicare questo capitolo, finalmente Jen e Luke si baciano!!
i miei bimbi, voi non potete capire quanto io li ami, davvero.
e quanto è stronzo Steve dio mio, lo odio, è strozo quasi quanto Daniel è stupido
e nulla, devo davvero davvero andare. cercatemi su facebook, sono Alaskha efp.
io e Genn vi salutiamo, baci grandissimi a tutte, vi amo.
p.s: un saluto speciale alla mia Julietss, Benji e NOLO! e il loro Mucchino, ovviamente.  

 
 
 
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