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Autore: Amantea    14/12/2015    18 recensioni
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande". (Jorge Luis Borges, L'Aleph)
Il mio modo di celebrare l'amore eterno di Oscar e André, attraverso la voce di chi ne fu l'unico complice e testimone.
[...]L'uomo guarda la scacchiera d'ombre e luci che danza dinanzi ai suoi occhi, e la trova quasi bella.
Una brezza leggera risveglia le fronde, l'oceano non è lontano da lì. In certe giornate limpide e schiette si può quasi spingere lo sguardo fino all'orizzonte e credere di vederci il bianco spumeggiante delle onde. Vere però sono le vele che, lente, si stagliano in quel biancore, il punto in cui il mare svapora nel cielo.[...]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Madame Jarjayes, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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LA  FELICITA'  PIU'  GRANDE
"[...] ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo, e forse non c'è felicità più grande".
(Jorge Luis Borges, L'Aleph)



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«La gente si innamora del proprio dolore al punto che non riesce più ad abbandonarlo. Lo stesso vale per le storie che racconta. Siamo noi stessi a tenerci in trappola».

(Chuck Palahniuk, “Cavie”) (1)




Si sistema all'ombra, un'abitudine, un ginocchio piegato, un lungo sospiro mentre con una mano sfiora il manto vellutato dell'erba, e con fare distratto ne strappa una cima fiorita. La stringe tra i denti, succhiandola un po', mentre osserva la ragazza che lo guarda di sottecchi, per poi sfiorare il terreno con uno stivale, dubbiosa.
- L'erba è tutta uguale -, si sente dire, quasi un'osservazione scherzosa.
- Ho paura delle formiche -, ribatte lei, con aria innocente e grave.
- Siete proprio di città -, ride, a voce piena, scuotendo la testa.
La ragazza ne osserva l'espressione divertita sul volto abbronzato e un poco stanco, e si accomoda accanto a lui, quasi a raccogliere la sfida. E si stupisce ancora quando le porge uno di quei fiorellini rosa: - Sa di limone, e un po' disseta -, le comunica semplicemente.
E' vero. E' acidula la linfa che si spande sulla lingua in poche gocce. Lui continua a giocherellare con quel punto di verde tra le labbra, e ne scruta, divertito, le smorfie, mentre sta provando a fare lo stesso.
- In dieci anni siete la prima Jarjayes che viene in questo posto -.
Lo dice d'un tratto, e le sue parole fendono l'aria quasi fossero un rimprovero.
- Sarei venuta prima se avessi potuto, e anche mia nonna lo avrebbe fatto -.
- Vostra nonna? La madre del Comandante? -.
- Sì. E' qui ad Arras, con me. Siamo arrivate un paio di giorni fa dall'Inghilterra. E comunque, nessuno... sapeva di preciso il luogo -.
Alain si blocca, il trifoglio pende dalle sue labbra, fin quasi a cadere. Socchiude gli occhi, e si gratta la testa, perplesso.
- So che il parroco inviò una missiva a palazzo Jarjayes, non appena arrivai qua... -.
- Se è stata ricevuta, è stata taciuta. Mia nonna non sapeva nulla, fino a un mese fa, quando ha scritto al guardiano della villa sperando che fosse ancora vivo, e lui ci ha dato la notizia. In casa non si è mai parlato volentieri di mia zia, né di come perse la vita -.
- Per questo siete qui? Per sapere? -.
La ragazza sorride amaramente mentre si sdraia sull'erba, le mani intrecciate dietro la nuca.
- Ero una bambina l'ultima volta che facemmo visita ai nonni. Mi piaceva tanto Oscar... era così particolare, e bella, ai miei occhi. E lei era molto gentile con me. Era preoccupata per non so che faccenda... ma mi dedicò ugualmente qualche ora, e poi, come sempre, andò a Versailles assieme a quel suo valletto -.
- Valletto? -.
- Sì, André mi pare si chiamasse. Me lo ricordo bene perché erano inseparabili... una cosa alquanto insolita, per un servitore. Per lo meno, è quanto sosteneva mia madre -.
- Quel ragazzo amava vostra zia più della propria stessa vita -. Lo dice con un tono stranamente basso e un sorriso lieve, - e anche vostra zia lo amava, probabilmente da sempre, senza saperlo -.
- Oooh -. E' stupore sincero quello che le esce dalle labbra in un soffio. Si è tirata su un gomito, e lo sta guardando, come se cercasse conferma delle parole appena udite.
Poche macchie rosa tra l'erba, e un vento leggero, che rinnova le foglie di quel platano sperduto e sottile, nato in un campo quasi per sbaglio. O forse no, niente affatto per caso, era già stato deciso, quando quel seme aveva trovato la terra, e si era abbarbicato, con tenacia e coraggio, che un giorno avrebbe offerto la sua ombra e il suo stormire soffice a un uomo e a una ragazza, perché parlassero d'amore.

- E voi, cosa sapete di loro? -, gli chiede, ardita e un poco sfacciata, rompendo il silenzio.
- Più di tutti gli altri, forse. Perché ero amico di André, e perché Oscar era il mio Comandante. Perché fummo soldati insieme, e insieme combattemmo quel giorno. Perché tutto sommato, quando desideri qualcosa con tutto te stesso, e alla fine quel desiderio si avvera, forse non esiste felicità più grande, non importa se dura solo un giorno o qualche ora o te la strappano dal petto per sempre, sai che non hai sperato invano... e André ebbe quella felicità, e anche vostra zia -.
Si alza nel dire così, calcando il cappello di paglia in testa e sputando lontano il fiorellino ormai insapore.
- Vi auguro di provare la stessa felicità, un giorno. Perché non avete l'aria di averla già conosciuta, madamigella -.
Lo dice sorridendo, passandole oltre, via dal campo, verso il viottolo.
La ragazza di scatto è in piedi, indispettita da quella che sembra l'ennesima fuga.
- E io mi auguro che vogliate essere nostro ospite nel pomeriggio. Mia nonna desidererebbe molto parlare con voi -.

Nell'ora più calda del giorno la pergola è una benedizione.
Ripara dal sole più feroce, e sfuma di verde e di viola, allietando anche i pomeriggi più solitari.
Non che abbia mai condiviso quella frescura, ma certe volte la solitudine si conficca nel cuore come un chiodo in una crepa, e sembra quasi che lo divelga in due.
Si è lavato, ha indossato le sue migliori culottes blu, e un panciotto avuto in dono dal fabbro del paese, per ripagarlo di un certo lavoretto svolto per lui. Alain si è fatto ben volere presto da quel pugno di abitanti. Non ha mai disdegnato un lavoro o un favore, e ne ha avuto in cambio fiducia e il necessario per vivere dignitosamente.
Chissà come mai trae tanto gusto a imbarazzare e stuzzicare quella povera ragazza. Se lo chiede mentre imbocca il sentiero. In realtà gli piace il modo in cui non si dà per vinta, e reagisce ai suoi modi bruschi. Con dignità, e con prontezza. E' senza dubbio cresciuta nel lusso, e tuttavia non ne fa sfoggio. Non le avrebbe nemmeno dato udienza, altrimenti. C'è qualcosa nello sguardo che gli rivolge sempre un po' timidamente che lo spinge a fidarsi.
Forse è davvero giunto il momento di raccontare. Di rendere eterni quei due più di quanto non lo siano già.
Cos'è in fondo la memoria, se non la trasmissione di un ricordo?
In realtà lui ha poco da fare l'esperto in faccende amorose.
C'è stato un tempo in cui l'amore era una scoperta fresca e croccante, una conquista. Poi da soldato il più delle volte se lo doveva pagare, il calore di una donna.
Funzionava così, non ne fa certo, adesso, una questione morale.
L'unico che sembrava non aver bisogno di nulla era proprio André. E non perché avesse tutto, ma proprio perché non aveva quello che voleva. Era uno dei pochi casi in cui la mancanza d'amore si nutriva di sé, piuttosto che cercare una qualche temporanea ed effimera soddisfazione.
Con questi pensieri a fargli compagnia arriva a scorgere il grande muro di cinta della villa senza quasi essersi accorto di aver divorato la distanza in un galoppo sostenuto.
E' degno di nota come la casa e i suoi abitanti siano sopravvissuti alle scorribande di briganti e disperati che per alcuni anni, dopo il 1789, hanno terrorizzato quelle zone.
Probabilmente i Jarjayes non hanno più nulla dei possedimenti terrieri di un tempo, oltre a quella villa.
Percorre parte del muro, ornato d'edera, e svolta poi per trovarsi al cancello principale.
Un uomo gli si fa incontro. E' piuttosto anziano, il volto cotto dal sole e dagli anni, e un'espressione benevola, quasi simpatica, al pari dei folti baffi grigi da cui sbuca a malapena un naso piccolo e tondo.
- Monsieur -, dice soltanto, aprendo il cancello con fare gentile. Ha ancora antichi modi ossequiosi, che evidentemente la rivoluzione non è riuscita a cancellare del tutto.
Alain entra, lasciando poi le redini del proprio cavallo all'uomo.
Una governante lo attende sull'uscio.
- Madame vi aspetta nel salottino, monsieur, vi faccio strada -.

Non è mai stato in una casa nobile. Ha combattuto, contro di loro. Ha combattuto per essere un uomo libero, di pari diritti e pari valore.
Ha cannoneggiato la Bastiglia, ha disertato, ha sparato.
Eppure lì dentro il tempo sembra essersi fermato.
La stanza dove lo aspetta madame infonde una sobria eleganza. Tappeti, quadri, poltrone, cuscini ricamati, e su tutto vasi ricolmi di fiori e un sentore tenue ma inconfondibile di lavanda.
Madame lo accoglie stretta in un abito scuro, i capelli inargentati raccolti sulla nuca, e un lieve sorriso.
- Prego, monsieur... ? -.
- Soisson, madame, Alain Soisson -.
Usa un tono basso, quasi fosse in soggezione. Lui, che non esitava, un tempo, a sfottere i suoi superiori. Eppure non può fare diversamente. C'è una mesta compostezza nella dama che lo invita a sedersi. Una dignità dolorosa, una dolcezza triste.
- Nel mio cuore non ho mai perso la speranza che mia figlia fosse viva -, esordisce, le mani in grembo, un poco contratte.
- Madame, voi siete stata avvertita dal parroco della chiesa di Saint Étienne che... -.
- Sì, certo, monsieur Soisson -, lo interrompe, i begli occhi ingrigiti dall'età chiusi in un sospiro. - E immagino che debbo ringraziare voi, se mia figlia non ha subito lo scempio di una fossa comune. Ma, vedete... -, fa cenno alla donna di poco prima di posare un vassoio e il suo contenuto fumante, - io ho un cuore di madre, e non esiste rassegnazione -.
Alain non sa se annuire o ascoltare soltanto, in silenzio. Inizia a dubitare dei motivi che l'hanno portato lì, e anche del perché madame ha voluto incontrarlo. Forse l'anziana donna ha perso un poco di lucidità: non sarebbe la prima volta che una madre impazzisce di dolore.
- Non sono stata la madre che avrei voluto. Ho vissuto più a corte che tra le mie figlie, e non vedevo Oscar da mesi quando... quando quel 14 luglio giunse la notizia che un disertore avesse guidato l'assalto della bastiglia. E la descrizione fu inequivocabile, per me e per la Regina, che accolse con me quella notizia -.
Alain ascolta senza ribattere. Lui era dall'altra parte della barricata in quei momenti. Lui aveva visto e vissuto ciò che a loro era stato solo annunciato.
- Per quale motivo avete chiesto di vedermi, madame? - chiede infine, a disagio.
- Vorrei che mi raccontaste quei momenti. Quegli ultimi giorni -.
Lo dice con serenità. Come se in tutti quegli anni non avesse fatto altro che prepararsi a quell'istante. Come se avesse pianto tutto quello che c'era da piangere, e ora restasse solo la rassegnazione e il coraggio di sapere.
Alain sospira. Solo allora si rende conto di non aver affatto visto Camille, e ne è sollevato.
Forse è meglio così. A cosa servirebbe riversarle addosso tutto quel dolore?
Proprio quello che Madame va cercando. I tasselli mancanti, le emozioni, le immagini... ma lei è forte, è una madre. E deve sapere.
- Forse, prima di tutto, dovrei dirvi che Oscar e André erano...  sì, insomma, di fatto erano marito e moglie -.
Lo dice per André soprattutto.
Perché sia chiaro quali erano i loro desideri, quali le loro intenzioni. Perché sia chiaro che si erano conquistati la loro libertà e uguaglianza prima ancora che scoppiasse la Rivoluzione e che fosse chiamata tale. Perché non avevano avuto altra scelta che combattere per quegli ideali che loro stessi incarnavano, e senza i quali non avrebbero avuto futuro.
Madame non dice nulla. Si alza per guardare fuori dalla finestra, le mani ancora allacciate in grembo.
- Quindi mia figlia non è... c'è André con lei? -.
Alain annuisce: - Ci sarebbe stato comunque -.
- Non potevo desiderare nulla di meglio per lei... -.
Si volge sorridendo, quasi confortata, appena un velo liquido tra le ciglia.
- E ora, vi prego, Alain... sono pronta -.

Si è congedato da madame con un inchino, dopo che lo ha ringraziato a lungo, e gli ha persino chiesto se avesse bisogno di qualcosa, pregandolo di non esitare a chiedere. Ma Alain si è negato con decisione, non ha bisogno di nulla, cui non possa provvedere da solo.
La governante è rimasta con la signora, nel salotto, che cercava di nascondere il tremito nella voce e nelle spalle, mentre lo accomiatava.
Respira forte ora. E' pomeriggio inoltrato, l'aria è tersa, odora di buono.
I sassi scricchiolano sotto le sue suole, mentre attraversa il cortile, diretto alle scuderie, un'amarezza risvegliata nel petto, tutto quel raccontare.
Si riempie gli occhi delle aiuole fiorite e curate, macchie di colore a ridosso del muro, ricolme di api impazzite.
Quando torna a guardare dritto davanti a sé, sorride suo malgrado.
Il suo cavallo è pronto vicino al cancello, e Camille lo aspetta, bella come la ricordava, i capelli raccolti in una treccia su una spalla, e le redini in pugno.





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Grazie a tutti coloro che stanno leggendo, seguendo, commentando questa mia piccola storia.
Grazie per la fiducia e per le perplessità :)
Sotto il titolo, come anche nei precedenti capitoli, la frase di Borges che mi ha ispirato, e che credo si adatti perfettamente al nostro André.
Ancora sotto (1) frasi tratte da un bellissimo sito fb che consiglio, Il mestiere di scrivere, e che (come facevo già con il Peccato) mi pare possano introdurre il tema del capitolo stesso, e perché no, far riflettere.

Un abbraccio di cuore a tutti, a presto (non vado in vacanza... aggiornerò regolarmente le mie storie)
Amantea
   
 
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