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Autore: blackhunter    14/12/2015    1 recensioni
Due mani congiunte, sullo sfondo di un aeroporto di Osaka sotto la neve. Due cuori che per la prima volta battevano all'unisono. Un rumore di porte e un soffio: " Te lo giuro Dobe...tornerò" e poi l'oblio.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Sai, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Dicembre, un mese come tanti altri. O meglio semmai quello in cui si festeggia quella pacchiana festività natalizia. Tutta piena di riti e di scambi dei regali. Forse fatta apposta per quei beoti che non si rendono conto di alimentare: un vero e proprio business dell'economia capitalista. Dicembre. Un altro mese diverso per altri motivi. 
Pensieri di un ragazzo seduto in un areo, da quasi dieci ore, e la sua fronte stancamente si poggiava contro al bordo interno del finestrino. Sotto di sè: solo oceano. Lo stesso che si rifletteva in quei grandi occhi neri, dentro cui non si vedeva nemmeno un fondo e vi ci si potrebbe perdere. Alzando lo sguardo vedeva tante stelle, che poi sono tanti soli, lontane nella notte che bruciavano a migliaia di anni luce. La sua brillava più di altre ma non era  riflessa là nel finestrino e per cui chiudeva gli occhi per rievocarla. La prima cosa che gli tornava in mente... forse il suo sorriso e poi le sue labbra. I suoi occhi color del cielo azzurro estivo terso. La sua voce sempre schiamazzante, ma capace anche di ridursi in un sussurro colma di parole piene di dolcezza. Una dolcezza che gli apriva una vecchia ferita. Nel petto. Una mano si portava a stringere la maglia convulsamente. Le lacrime silenziosamente venivano sparse sulla felpa e sulle labbra un nome che però quasi nessuno osava pronunciare. Ma il cuore invece reclamava a voce alta.

"Naruto sto tornando da te..."

All'improvviso una testa bionda si alza repentinamente dal cuscino sgualcito in piena notte. Data: 10 dicembre 2015. Esattamente il terzo anniversario da quella lacrimevole scena dell'aeroporto. Poi? Poi bhe la vita è andata avanti. Ora ha quindici anni. Steso a letto immerso nel buio di una stanza non di casa sua, ma dell'istituto scolastico maschile di Osaka risuonano solo pochi rumori.Le lancette dell'orologio dei secondi che scandisce il tempo come un metronomo. Qualche auto che passa là vicino e il rumore flebile di due respiri. Uno appartenente al compagno di stanza. Sai. L'altro, il proprio che più che un respiro normale: pare un rantolo. Si sorprende a capire che è proprio lui a respirare così male. Il petto costretto in una stretta senza fine e non ha nemmeno la forza di  stare seduto. Avverte come un male fisico agli occhi che sono arsi. Secchi. Ma nemmeno una lacrima scende. Eppure questo senso di costrizione aumenta. Una mano, quella sinistra, si porta al petto e tira la stoffa leggera della casacca del pigiama. Anche se lui dorme sempre in boxer, si in pieno inverno. Alza le gambe e le scuote come se fosse un cavallo imbizzarrito. Calciando via di fatto le lenzuola di torno, avendo un caldo pazzesco dappertutto. Un calore che non sa come estinguere. Nemmeno il freddo improvviso a contatto con le cosce e con il petto ora nudo. Riesce a togliersi questa marea di ansia che sale piano dai piedi, sino a risalire e congiungersi al centro del petto. - Non respiro...- rantolo. Ecco ora Sai non lo sente. Sta russando e anche bello forte. Si mette su un fianco cercando di fare qualcosa per togliere via  una sensazione sgradevole conosciuta. Allunga una mano verso il comodino alla ricerca di qualcosa di ben specifico. Un sacchetto di carta. Le dita saggiano la superficie ruvida del legno ma non trova in un primo momento il pomello che apre quel maledetto cassetto. Ansia che sale sino alla gola. Dita della mano destra, braccio teso. Il peso di tutto il corpo sul fianco sinistro. Cuore che pare scoppiare in petto. Un dolore che pare non cessare sino a che: un lamento. Un singhiozzo lo scuote. Forte. Come se una scossa di magnitudo 7 della scala Richter si stesse scatenando in corpo facendolo tremare tutto. Dalla testa ai piedi, anche se in realtà è solo scosso da...un altro singhiozzo vuoto che lo opprime e quel nome. Dannato Teme. Ancora il cuore glielo suggerisce ma le labbra si feriscono a sangue per quanto le sta mordendo. No, non passerà un ennesimo anno ad andare sino all'aeroporto come un cretino e attendere invano l'arrivo di qualcuno che sa già che non arriverà mai.
- Sa...su ke...- alla fine emerge da quella apnea in un pianto a dirotto. Fregandosene di essere un uomo di quindici anni. Quella persona è stata qualcosa di importante, ma ora sono trascorsi già tre anni. La vita come ha detto un giorno Sai è andata avanti, ma non è morto. No è vivo e vegeto. Questo rende tutto più difficile. Scordarsi di Sasuke. Mai... ma persino Sakura si è abituata a non sentirlo. Non una telefonata. Non un biglietto. Non una lettera. Niente. Il silenzio più assoluto solo una stupida promessa. Mai mantenuta. Lui sempre il più stupido del gruppo: ha sempre voluto credere nel ritorno di qualcuno che forse non ha nemmeno mai avuto l'intenzione di tornare da loro. - Di tornare da me...Sasuke...- ma piano piano, la tempesta interiore scema in un respiro a sobbalzi, per via dei singhiozzi e sbuffi. Le lacrime ancora una volta sono state spese. Il sapore salato nel palato, sulla lingua hanno un retrogusto di sconfitta.
La testa ora è vuota. Come il buio che pare avvolgerlo come una grande coperta in cui potersi nascondere senza più uscire. Ma lo sa che prima o poi l'alba giungerà e dovrà alzarsi. Affrontare quel lungo giorno che sarà pieno di ore noiose spese in classe in cui guarderà fuori. Solo che nemmeno questo potrà lasciarlo indifferente. Oggi come ogni anno, sarà un giorno più lungo degli altri.  - Come faccio...oggi...non so come...fare... - ripete fissando la lancetta dei minuti che pare immobile nel semibuio della stanza sparso dei propri libri e vestiti. In netto contrasto con la parte ordinata e senza un granello di polvere del compagno di stanza. 
Ancora un sospiro e ancora un altro. A quanto pare il mondo continua ad andare fastidiosamente avanti anche senza avere accanto una delle poche persone che ritiene importante come un fratello. - L'avevi promesso...- alzando una mano la fissa intensamente - tenendomi stretto questa mano...- ma seppur di colpo, con un colpo di reni. Si metta sull'altro fianco chiudendo forte forte gli occhi, nel vano tentativo di tornare a dormire. Nel cuore lo sa che sino all'ultimo secondo, prima dello scoccare della mezzanotte. Come una piccola cenerentola, sarà là alla finestra ad attendere il ritorno del proprio principe azzurro, poichè ogni notte lo sogna e ogni notte evoca a grande voce il suo nome.

"Sasuke...torna...torna da me. Ti prego "

Un sobbalzo e poi un altro. Ricordi confusi sotto le palpebre dalle ciglia lunghe nerissime: prendono a fremere e alla fine, a malincuore, rivelano iridi scure antracite. Un po' lucide sorprendendo colui che ha dato l'inizio ad un odiato risveglio - uke...Sasuke?! Ci sei? -
No quel ragazzo seduto sul taxi non accenna minimamente a voler scendere dalla vettura. Fissa il vuoto e poi fuori dal finestrino dando volutamente le spalle a colui che sa già chi è. Lo riconosce dalla voce e ci ha viaggiato sino ad ora insieme. Ma quella dannata mano continua a scuoterlo con più insistenza per una spalla:
- Sasuke...allora? Hai voglia si o no di scendere? - Itachi Uchiha, fratello maggiore di Sasuke. Tenta in tutti i modi di esortare il ragazzo di quindici anni a scendere dall'auto, ma in un primo momento senza esito positivo. Solo di scatto riceve una occhiataccia omicida da Sasuke che scende dall'auto in modo repentino e senza degnare di uno sguardo nessuno dei presenti. Nè il fratello nè l'autista. Rimasti entrambi ghiacciati sul posto da una presenza maligna che non ama forse essere risvegliata all'improvviso. Lasciato Itachi a sbrigare il pagamento con il tassista. Sua malignità alza di nuovo gli occhi al cielo. No qua non si vede bene come quando erano negli spazi immensi aperti in America le stelle. La bocca assume una strana smorfia di inquietudine. Già e tra poche ore deve andare già in quello stesso istituto in cui sa da fonti certe che ci sta anche quello stupido Dobe. IL SUO DOBE. Ghigna nell'avvertire dentro di sè, nella propria testa il rigore e la possessione di quelle parole ma pur ben sapendo che sono solo quello: parole. I fatti...meglio non pensarci. Prendiamo le cose e andiamo in casa. Una dormita e domani si scende in trincea...
   
 
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