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Autore: zippo    06/03/2009    4 recensioni
Sono passati diversi mesi dalla morte di Dark Threat, Rebecca sta per diventare un angelo bianco e al suo fianco c’è Gabriel. Ma non sempre le cose sono così semplici come appaiono. In un angolo, in un respiro, in una lacrima…il Male è continuamente presente. E se lui non fosse morto? E se ritornasse? Il potere, dopotutto, è piacevole…e per corrompere l’animo innocente di una ragazza bastano poche finte promesse.
Il sequel di: Angelus Dominus - Il Bene -
Il secondo capitolo della saga: ALONE IN THE DARK. 
Genere: Romantico, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 10 - AMORE, NON PIANGERE -

[Voglio restare in buoni rapporti con il mio dolore.

Oh ma Dio, voglio lasciarlo andare.
Non voglio che si adagi su di me,
questa volta ho affogato la mia voglia di volare.  

Qui nell’oscurità conosco me stessa]

Evanescence - Lithium -



***



Un ricordo in particolare lo colpì, proprio mentre Fiona stava per abbassargli i pantaloni, armeggiava con la sua cinghia e i bottoni. Era un ricordo di qualche tempo fa, un ricordo che lo colmò di gioia e di pace. E per un attimo Gabriel si sentì felice.

“Che ne pensi?” domandò il ragazzo cingendole la vita con le braccia.

Rebecca era sbalordita. Quando Gabriel le aveva proposto di visitare Chenzo insieme considerandolo un viaggio di riposo dopo la loro vittoria, mai avrebbe pensato di assistere ad una tale visione. Per poco non si lasciò commuovere. I pantaloni e la camicia a maniche corte di Gabriel erano bianchi come i granelli di sabbia e il suo vestitino leggero, svolazzante, era dello stesso colore del cielo al tramonto.  

“Te lo sei ricordato…”

“Non me ne sono mai dimenticato”

Rebecca aveva da sempre confidato a Gabriel la sua passione per il mare e di quanto le mancasse vedere l’oceano. Quando era sulla Terra era solito per la sua famiglia fare lunghe gite in barca e lei adorava quei momenti, amava soprattutto il mare di quel pianeta. E lui l’aveva portata in una spiaggia al tramonto. L’aveva bendata e condotta per mano in quell’angolo di paradiso.

A Chenzo era raro trovare una simile costa dato che il mare veniva sempre fiancheggiato da scogli aguzzi e da precipizi pericolosi. Ma quella era una veramente una spiaggia: deserta, immensa, calda e sabbiosa.

Rebecca inspirò profondamente l’aria che sapeva di salsedine e di alghe.

“Penso che sei un dono del cielo” gli disse, ed era vero. Gabriel era un miracolo.

Il ragazzo la cullò tra le sue braccia. “In questo caso sono contento di essere il tuo dono”

“Dico davvero Gabriel, non so come farei senza di te al mio fianco. Sei così importante per me che sei diventato la stessa aria che respiro: se te ne dovessi andare morirei soffocata”

“Non succederà” la tranquillizzò.

Rebecca si voltò e lo guardò intensamente negli occhi. “Promettimelo”

Gabriel rise. “Che cosa?”

“Prometti che non mi lascerai mai”

“Rebecca Burton, giuro su tutto ciò che ho di più caro al mondo che non ti lascerò mai né tantomeno permetterò che tu te ne vada da me”

Rebecca arricciò il naso in un modo squisito e dolcissimo. “Anche a costo di segregarmi in casa?”

“Anche a costo di segregarti in casa” concluse lui con un sorriso smagliante.

Rebecca, visibilmente soddisfatta, tornò a guardare l’oceano.

Gabriel osservava il suo profilo ammirato, gli occhi di lei scrutavano con così tanta attenzione ogni increspatura delle onde che parevano innamorati e la sua pelle abbronzata emanava calore.

“Se faccio una cosa tu non ti arrabbi, vero?” le domandò Gabriel ad un certo punto.

Rebecca aggrottò le sopraciglia e sorrise. “Se la fai tu, non penso proprio”

Allora Gabriel si chinò improvvisamente su di lei e la prese in braccio. Rebecca emise degli urletti divertiti e si aggrappò al collo del ragazzo per non cadere. Gabriel cominciò a correre verso l’oceano con lei tra le braccia che sgambettava e ridacchiava. Non appena l’acqua salata del mare arrivò a toccargli le ginocchia mollò la presa e Rebecca cadde in acqua provocando un getto di goccioline che andò a lavare il ragazzo.

Quando riemerse si ritrovò faccia a faccia con Gabriel.

Era completamente bagnata, i capelli e il prendisole erano zuppi e gocciolanti. Battè le palpebre per alleviare il bruciore agli occhi dovuto al sale marino. Rideva come mai aveva fatto in vita sua. Gettò le braccia attorno al collo di Gabriel e lo baciò con passione. Lo sentì lamentarsi contro la sua bocca, in effetti lo stava bagnando con il contatto del suo corpo. Quando si staccarono Gabriel le spruzzò dell’acqua in viso facendola sghignazzare.

“Così impari a fare i dispetti”

“Io trovo che ti dona l’effetto bagnato sui capelli”

“Mi prendi in giro?” ghignò.

Rebecca gli fece l’occhiolino. “Quando mai?”

“Vieni qui” le ordinò.

Rebecca nuotò verso di lui e si fece abbracciare con trasporto. Gabriel la baciò dolcemente sulla bocca e lei ricambiò con tutta sé stessa.

“Secondo te riusciremo ad essere felici per sempre, come adesso?” le chiese il ragazzo facendosi serio.

“Io penso che ognuno di noi abbia dei momenti belli e dei momenti brutti da condividere con chi ama. I momenti belli passano velocemente e ti riempiono di felicità. I momenti brutti devono essere superati con l’aiuto di entrambi, ci si aiuta e si va avanti. Avremo anche noi, Gabriel, i nostri momenti brutti ma dovremo essere in grado di superarli”

“Hai ragione, tesoro”

“L’importante è parlarsi. Dobbiamo avere fiducia l’uno dell’altro, qualsiasi cosa succeda. Io crederò in te e tu crederai in me. Per quanto le cose possano andare male ne verremmo fuori solo con la fede. Tu avrai fede, vero guerriero?”

“Ti crederò sempre se è questo che vuoi sapere, anche se tutti dovessero dire che menti io avrò fiducia in te”

Rebecca affondò la testa nel suo petto e chiuse gli occhi. “Allora vedrai che niente potrà portarti via da me”

Gabriel le baciò i capelli che sapevano di sale e fragola. “Sono innamorato di te, Rebecca. Mai avrei pensato che potesse succedermi una cosa simile. Sono pazzo di te” disse con un sorriso.

“Ho sempre avuto il sospetto che fossi pazzo”

Così, con il sole calante alle spalle, i capelli con i riflessi dorati e la pelle che brillava, solcata da una miriade di goccioline, Rebecca era bellissima. Uno spettacolo che tolse il fiato a Gabriel, che rimase a guardarla con la bocca leggermente aperta e due occhi aperti impietriti e adoranti.

La sua risata gli arrivava melodiosa e leggera fin dentro le ossa.

Se si sforzava, forse, poteva ancora sentirla…

Con un balzo Gabriel si allontanò da Fiona. Emise un rantolo soffocato, come se fosse appena uscito da una lunga e sofferta apnea. Guardò sconcertato la ragazza che lo fissava smarrita. Improvvisamente tornò lucido, o almeno così gli parve. Era incredibile come si sentisse padrone di sé, quelle immagini nella mente erano state uno schiaffo in viso, un pugno in pieno stomaco. Guardò con orrore le sue mani che fino ad un attimo prima avevano toccato e stretto con disperazione il corpo di un’altra. Si sentiva spaesato, impotente, immaginava di essere impallidito.

Si mise a posto i pantaloni e ne richiuse la cerniera.

Fiona fece qualche passo in avanti, con timore. “Va tutto bene?” domandò, notando il suo pallore.

“Ma tu avrai fiducia in me?”

“Ce l’avrò sempre”

“Anche quando tutto sarà grigio?”

“Anche quando tutto sarà nero e i miei occhi non vedranno altro che l’oscurità”

Gabriel sentì il gusto della bile salirgli in gola.

Che aveva fatto?

Com’era possibile che non si fosse fermato a ragionare, a pensare, a capire lo sbaglio che stava commettendo? E perché quei ricordi bellissimi e fantastici di lui con Rebecca gli avevano invaso la mente troppo tardi?!

Prima di fare un gesto così sconsiderato avrebbe dovuto ascoltarla di più.

“Non ti ho mai tradito! Non l’ho mai fatto! Gabriel, sei stato l’unico ragazzo con il quale io abbia mai fatto l’amore! Devi credermi, io non posso farne parola con nessuno ma tu devi avere fiducia in me o tutto andrà perduto!”

“Sei uno stupido se non ti fidi di me”

Maledizione, perché non le aveva dato retta? Perché non le aveva creduto?! Lui e la sua stupida gelosia! Lui e la sua possessività! Ecco dove l’avevano portato quei sentimenti: alla rovina.

Fiona gli toccò un braccio con la mano. Gabriel ringhiò e lei la ritrasse subito, spaventata.

“Cosa ti succede? Non hai una bella faccia, vuoi che rientriamo dentro?”

“Io, penso che…andrò…a casa”

Fiona si mordicchiò il labbro inferiore.

Ok che tutt’un tratto è diventato uno straccio ma non voglio rinunciare a passare una notte con lui.

Tentò di dissuaderlo a restare.

“Se vuoi puoi fermarti da me. Il mio letto è matrimoniale e staremo comodi in due”  

Gli occhi di Gabriel saettarono su di lei. “Quello che mi serve in questo momento è tornare a casa e pagare le conseguenze di quello che ho fatto”

“Oh, che sciocchezza…” esclamò con una risata. “Non è successo niente di così grave da scappare a gambe levate!”

Il ragazzo la fulminò con lo sguardo. “Niente di grave, dici?”

“È per questo che te ne vai? Perché hai capito che stavi sbagliando ad andare con una come me?”

“Non ho sbagliato ad andare con una come te. Ho sbagliato ad andare con una

“Poco male, ora tanto vale finire quello che hai iniziato” disse incrociando le braccia al petto e aspettandolo con un sorrisino provocante stampato in faccia.

“Fiona, posso farti una domanda?” chiese lui con voce incolore.

“Certo” lo sfidò con un’occhiata.

“Sei mai stata innamorata?”

Non le ci vollero neppure due secondi per rispondere. “No, mai. Io agisco d’istinto, seguo le mie passioni e quello che mi dice il mio corpo. Diciamo però che tu sei stato il primo e l’unico a farmi battere il cuore così forte”

Gabriel sbuffò. Non sapeva se ridere o piangere.

“Che peccato…” mormorò.

“Io non credo”

Il ragazzo le voltò le spalle e prese a camminare con le mani in tasca.

“Dove vai?!” gli urlò dietro Fiona.

“Dove tu non puoi seguirmi, non saresti ben accolta”

“Certo!” imprecò. “Ritorni a casa, bravo! Con una che dice di amarti mentre ti tradisce!”

“Ah Fiona, che ne puoi sapere tu dell’amore?” la canzonò mentre si allontanava da lei. “Dovresti avere più fede, ragazza”
La sentiva urlare, bestemmiare e sputare cattive parole su di lui. Che facesse pure. Non l’avrebbe più rivista. Il dolore che portava in corpo per aver tradito Rebecca era niente in confronto alle sue maledizioni. Già vedeva gli occhi color cioccolato di Rebecca riempirsi di lacrime e la sua forza cedere facendola crollare a terra. Si sforzò di sorridere ma venne fuori solo un ghigno grottesco.

Alzò la testa al cielo e sperò che l’aria pungente della notte gli penetrasse in corpo depurandolo.

Aveva sempre considerato gli uomini che piangono delle mezze calzette. Strano, in quel momento aveva una gran voglia di piangere.



***



Rebecca non era mai riuscita realmente a prendere sonno. Si sentiva svuotata, a pezzi. Avvertiva una forte pressione all’altezza del cuore, a forza di piangere aveva la gabbia toracica dolorante e la gola in fiamme. Senza contare che il naso aveva continuato a colarle. Ma ora aveva smesso di piangere, forse perché non aveva più lacrime da consumare. Immobile sul letto faceva riposare gli occhi distesa su un fianco e non pensava minimamente a muoversi di un centimetro. Sperava che restando ferma in eterno il suo corpo si pietrificasse permettendole di diventare una statua di marmo fredda e insensibile.

Strofinò la guancia contro il cuscino e sentì che la stoffa era bagnata. Battè le palpebre e quando le riaprì guardò il cielo dalla finestra aperta. La voglia di aprire le ali, alzarsi dal letto e spiccare il volo per andarsene lontano era tanta ma in quel momento era così affranta da non trovare neanche la forza di reagire.

L’immagine di Gabriel con quella ragazza, addossati al muro mentre si baciavano avidamente e furiosamente, era un ricordo troppo nitido e scottante per essere rimosso dalla mente così facilmente.

Ad un certo punto sentì un giro di chiavi e la porta d’ingresso aprirsi.

Era lui. Lo stronzo che tornava dopo la sbronza e la scopata con una puttana facendo finta di niente, che rientrava e sorrideva alla sua ragazza come se tutto andasse nel migliore dei modi.

Quanto si sbagliava…

Non andava affatto bene. L’aveva visto con quella ragazza e non l’avrebbe mai perdonato per il male che le aveva fatto.

Gabriel socchiuse la porta della sua camera da letto e sbirciò dentro. Rebecca sentì con il suo olfatto eccezionale che l’alito del ragazzo non puzzava più di alcool. Doveva essere sobrio. Questo però non cambiava le cose, non cancellava il dolore. Riprese a piangere silenziosamente.

Lo sentì sospirare e richiudere la porta.

Calò il silenzio più totale.

Mi dispiace, disse suo padre.

Se avesse avuto la forza di ridere Rebecca l’avrebbe sicuramente fatto.

Ma non farmi ridere…non ti è mai importato niente né di me né tantomeno di Gabriel. Dentro di te stai gioendo per quello che mi è successo, non vedevi l’ora che mi arrivasse il colpo di grazia.

Vuoi che ti aiuti?

So già che tipo di aiuto vuoi darmi.

E non lo vuoi? Funziona.   

Lasciami indovinare, vuoi espandere la tua coscienza su di me per farmi trasmettere un po’ del tuo odio. Una volta che mi avrai ceduto parte del tuo odio, l’ unico sentimento che sai provare, questo avrà potere e controllo su di me per circa mezza giornata.

Ti farà star bene, l’odio è l’unico rimedio contro quell’amore che ti spezza il cuore. L’odio ti rende padrona di te stessa, ti da la forza di continuare, di dimenticare e di andare avanti. Ricorderai ciò che Gabriel ha fatto ma non proverai né dolore né amarezza, ripenserai alla scena di loro due e avrai la forza di sorridere.

Dura solo mezza giornata o una vita intera? pensò con sarcasmo.

Purtroppo mezza giornata, non sono abbastanza forte per tenerti in vita con i miei sentimenti di angelo nero. Ma se avrai pazienza, quando il veleno ti avrà consumata interamente, allora sarai inscalfibile per l’eternità.  

Voglio smettere di soffrire, è sempre la stessa cantilena. Sempre lo stesso lamento. Oh Signore, sono così stufa di star male ogni volta, così stanca di ricevere continuamente batoste e legnate in testa!

Allora lascia che ti aiuti. Accetta di provare come sarebbe la tua esistenza se fossi come me: un angelo nero. Voi giudicate solo perché non avete mai provato l’altra faccia della medaglia, solo gustando un soffio della nostra vita potrai capire cosa si prova.

Voglio tornare a sorridere.

Mi permetti di entrare nella tua mente? Ci metterò poco, solo il tempo di espandere un pezzo del mio essere.

Ok, ti do il mio permesso. Fai di me ciò che vuoi, purché arresti il mio dolore.

E sarà fatto, figlia mia.  

Che devo fare?

Dormi, chiudi gli occhi, io penserò a tutto.

Lentamente Rebecca abbassò le palpebre e si addormentò, priva di qualsiasi volontà.

Era diventato così insopportabile provare qualsiasi tipo di emozione da indurla ad accettare una simile proposta.   



***



[Sia maledetto quel giorno che,
in mezzo a tanta gente,
ho perso la mia strada]



***



La mattina dopo Gabriel si svegliò tardi, non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte e soltanto all’alba aveva preso sonno. Più che altro, era crollato. Aveva dormito nella sua camera, distrutta e con le pareti cadenti, e questo lo faceva sentire profondamente a terra. Da quando lui e Rebecca avevano fatto l’amore la prima volta non era mai successo che passassero una sola notte in stanze separate. Avevano sempre condiviso la camera e il letto.

Durante la notte era andato a trovarla parecchie volte. Non sapeva neanche lui che aspettarsi quando entrava e la vedeva stesa su un fianco che gli dava la schiena. Forse sperava di entrare, di scoprirla sveglia e felice come un tempo, magari pronta a chiedergli di fermarsi da lei. E invece dormiva, immobile e silenziosa, quasi morta. Gabriel si era avvicinato più di una volta a controllare che respirasse. Il suo battito era molto debole e lento. Con amarezza ogni volta usciva, chiudeva la porta il più piano possibile e tornava in camera. Si sentiva un’anima in pena con la coscienza sporca, era triste ammettere di aver rovinato un così bel rapporto. L’amava eppure l’aveva tradita. Che stupido. Che perfetto idiota.

Non ricordava neanche lui quante volte era andato in bagno quella notte per scaricare la tensione: lavarsi con l’acqua ghiacciata il volto in fiamme e guardare con odio la sua immagine riflessa allo specchio. Era l’immagine di una persona triste, di un perdente che aveva peccato. Il suo torso nudo rispecchiava la vile nudità della sua anima e le braccia muscolose indicavano la potente brutalità delle sue azioni. Il viso era spento, scialbo, rivelava un tormento interiore troppo grande per essere mascherato.

“Gabriel…” lo chiamò dal sonno profondo.

“Uhm?”

“Quando hai intenzione di sposarmi?”

Il ragazzo spostò la testa sul cuscino e la fissò con il cipiglio inarcato. Rebecca si teneva alzata con un gomito e si stava mordicchiando le labbra. Aggrottò la fronte quando notò i suoi capelli castani tutti spettinati e arruffati. Anche dopo aver fatto l’amore era bellissima.

“Come scusa?” non pensava di aver capito bene.

Rebecca arrossì e sprofondò con la testa nel cuscino. La sentì ridere mentre premeva la faccia contro l’imbottitura.

“Ti ho chiesto quando hai intenzione di sposarmi” borbottò.

Gabriel si mise ridere, sinceramente colpito e meravigliato.

Rebecca si mise seduta. “Non ci trovo niente di divertente” grugnì.

Anche il ragazzo si sedette e scosse la testa incontrando gli occhi feriti di lei. “Stavo ridendo perché mi sorprende questa tua voglia improvvisa di sposarti. Fino a qualche giorno fa, quando te l’ho proposto, mi sembravi spaventata a morte”

“Mi hai colta di sorpresa, non è da tutti ricevere una proposta di matrimonio a diciotto anni!”

“Infatti avevo capito che era quello il problema e ho pensato di sposarti più avanti, quando sarai pronta…e possibilmente non minorenne”

Rebecca gli lanciò addosso un cuscino colpendolo in pieno viso. “Non sono minorenne, deficiente che non sei altro!”    

Gabriel scoppiò in una fragorosa risata. “Sì, sì, scusa. Mi sono confuso con la tua età mentale”

La ragazza strabuzzò gli occhi a dismisura e allargò un enorme sorriso. “Come ti permetti?! Io sono matura!”

Gli si buttò addosso atterrandolo contro il materasso, poi lo bloccò per le spalle. Gabriel non tentò nemmeno di liberarsi dalla sua stretta, gli piaceva parecchio stare in quella posizione, con lei sopra a cavalcioni.

I suoi occhi azzurri luccicavano per la felicità. “Questa mi giunge nuova, non pensavo che i koala della giungla avessero un cervello così sviluppato. Sai per caso se sono in estinzione o si sono evoluti?”

“Ah-Ah, divertente! Puoi prendermi in giro quanto vuoi, tanto lo so che mi adori!”

“Ti adoro come un padrone ama il suo cucciolo di koala”

“Stronzo”

“Koala in estinzione”

“Smettila!”

“Porca miseria, che permalosa che sei!”

“Allora, perché non mi sposi?”

Gabriel la guardò come se fosse impazzita. “Hai mai sentito parlare di discorsi logici? Cosa centra adesso il matrimonio quando stavamo parlando dei koala?!”  

La ragazza assunse un tenerissimo broncio e imitò il becchetto dei bambini piccoli. Gabriel imprecò mentalmente per quella sua debolezza.

“Gabriel, non vuoi sposarmi?” domandò lei in un sussurro. “No, perché se è così basta che me lo dici e io non mi arrabbio”

“Piantala di essere idiota, io ti voglio sposare ma non subito. Hai la pazienza di aspettare qualche anno?”

Rebecca fece finta di pensarci su e poi sorrise mostrando una fila di denti bianchissimi. “Ok, aspetterò ma ricorda: uomo avvisato, mezzo salvato!”

“Cos’è, un detto americano?”

Si avvicinò pericolosamente verso Gabriel e lui trattenne il respiro. Lo baciò lentamente, dolcemente, con una tale delicatezza che il ragazzo si sentì sciogliere.

Poi si staccò da lui e lo guardò con due occhi birichini che ridevano. “Hai mai sentito dire che i koala sono gli animali più vendicativi che esistano al mondo?”

Gabriel roteò gli occhi e sbuffò. “Ma non raccontarmi stronzate…”

Quei tempestosi ricordi che gli riempivano la mente lo facevano star troppo male. La sua immagine era ancora riflessa allo specchio, bianca e sciupata come la prima volta che si era guardato negli occhi.

Finalmente si era svegliato quella mattina e poteva dire con certezza di aver dormito almeno un po’, quel tanto che gli permettesse di smaltire definitivamente la sbornia e riacquistare le forze. Buttò in aria le coperte e si vestì in fretta e furia. Aveva molte cose da sistemare quel giorno e poco tempo per farlo. Uscì in corridoio e si ritrovò la camera di Rebecca proprio di fronte. Con decisione afferrò la maniglia e aprì la porta.

Rimase sconcertato quando trovò la stanza vuota. Il letto era stato rifatto e le finestre erano aperte per far arieggiare la camera. Si sentì molto afflitto e deluso, il bisogno urgente di parlare con lei non poteva essere rimandato troppo oltre.

Dato che non sapeva dove Rebecca potesse essere decise di fare un salto da Rosalie per ingannare il tempo. Era da un pezzo che non l’andava a trovare e un po’ gli mancava quella famiglia chiassosa e movimentata. Doveva anche scusarsi con Denali per la maleducazione che aveva mostrato l’ultima volta che era stato a casa sua.   

Bussò tre volte alla porta e quando si aprì comparve dal basso il ghigno divertito di Ian. Era cresciuto parecchio, Ian era molto alto e intelligente per la sua età. Emma invece era minuta e incredibilmente aggraziata. Il bambino aveva la stessa faccia ribelle del padre. Sarebbe diventato un affascinante e irresistibile sciupafemmine da grande.

“Ciao, zio” lo salutò spalancando una bocca sdentata.

“Oh Ian, vedo che ti sono caduti dei denti. Mi lasci entrare?” domandò dandogli un colpetto in testa ed entrando comunque.

Ian mise il broncio. “Non mi sono caduti” grugnì.

Gabriel venne assalito da Emma che gli corse incontro gettandogli le braccia al collo. Il ragazzo la prese in braccio e le schioccò un grosso bacio sulla guancia. Emma stravedeva per lui, Denali era molto geloso per questo, temeva che sua figlia avesse un debole per l’amico. Come del resto Ian adorava Rebecca, lasciando ogni volta Rosalie in cucina a brontolare sottovoce.

“Zio, la zia non c’è?” domandò speranzoso Ian torturandosi le mani in grembo come se stesse aspettando un dono o una caramella.

Emma non smetteva di scalciare e lui dovette rimetterla a terra, dopodichè andò dal padre a farsi fare un po’ di coccole.

“Ian, la zia non è potuta venire oggi” disse Gabriel e guardò Denali che prontamente distolse lo sguardo.

“Come mai non c’è? Da quanto ne so avete finito gli allenamenti, ormai è una professionista del suo mestiere. Non mi dirai che l’hai mandata a correre o a far jogging mentre tu sei venuto qui a rubare qualche fetta di torta?! Oh, non posso credere che la nostra Rebecca stia per diventare un angelo bianco!” esclamò la sorella con impetuoso affetto materno.

Gabriel sbuffò. “Se è per questo io non la obbligo più a far niente”

“Vuoi un thè caldo?” gli chiese Rosalie già pronta con un pentolino in mano.

Il ragazzo annuì e si sedette nel divano tra Denali ed Emma. La bambina gli si accoccolò al braccio mentre Denali s’irrigidì. Gabriel gli lanciò uno sguardo stupito.

Lo stava evitando come se fosse un lebbroso, un appestato, eppure non gli pareva di essere stato così scortese da non meritarsi neanche le sue attenzioni.

Gli avrebbe parlato prima possibile.

Da dietro il tavolo della cucina Rosalie bolliva il pentolino con l’acqua.

“Hai una preferenza per il tipo di thè?”

“Rosalie, in questo momento non m’interessa granchè il gusto del thè. Decidi tu, per me è lo stesso, mi basta bere qualcosa di caldo”

“Non vuoi una fetta di torta? Stamattina sono uscita al mercato e ho comprato delle ciliegie buonissime! Ian e suo padre ne hanno già fatta fuori metà. Ho incontrato Delia al mercato, le cose con Kevin vanno alla grande. Ora Kevin lavora con il padre di lei, aiuta a gestire la locanda. Ho sentito che hanno molta concorrenza, anche l’altra locanda sta avendo ultimamente molti clienti. Ma forse quella non conta, è più un bordello, o no? La locanda della famiglia di Delia è più un…uhm…hotel a cinque stelle, come direbbero sulla Terra. Comunque quei due vivono insieme da un bel pezzo ormai, chissà fra quanto il primo bambino!”

Gabriel guardò Denali con esitazione. “È incinta?”

“No, che io sappia”   

“No che non sono incinta!” esclamò a gran voce la ragazza dalla cucina.

“Mamma!” la chiamò Ian da sotto il divano. “Stai per darmi un fratellino?”

Denali scattò in piedi preoccupato. “Ian, che diavolo ci fai sotto il divano?! Esci subito da lì!”

“Mamma, io ed Emma possiamo andare a giocare con la barca nuova fuori in cortile? Prometto che avrò cura della mia sorellina e che non succederà niente di brutto!” disse sbucando fuori dal divano con in mano una barca di legno.

Rosalie si diede uno schiaffo in faccia, Emma si mise a ridere e Denali fissò il figlio sbigottito.

“Ma perché la tua barca era sotto il divano?”

“Tesoro, non mi sembra il caso di sgridarlo, se ha preso anche solo metà dei tuo geni sono sicura che sai come ci è finita quella barchetta sotto il nostro divano. Ian, puoi andare in giardino a giocare con tua sorella purché non vi facciate male, d’accordo? Niente giochi violenti come fare la guerra e non toccate gli attrezzi nel capannone che servono al papà per l’orto”

“Ti sei messo a coltivare l’orto?” mormorò Gabriel a Denali cercando di trattenere una risata.

Denali grugnì.

Ian si fece il segno della croce sul petto e come un razzo scappò fuori, seguito a ruota dai passetti incerti e più lenti della sorella.

Denali si avviò verso la cucina. “Ma Rose, non hai visto dov’era Ian? Il divano poteva cedere! Senza contare che è vecchio e sotto è pieno di chiodi sporgenti! Poteva tagliarsi! E se un chiodo…?”

“Oh, taci tu!”

Il ragazzo incrociò le braccia al petto e sbuffò sonoramente.

Rosalie sospirò e si mise le mani sui fianchi. “Gabriel, te lo devo dire, se mai ti deciderai a darmi dei nipotini ti sconsiglio di avere due gemelli. Amo i miei figli ma il difficile lavoro che devi fare con uno solo si raddoppia quando sono due, portando te e la tua testa alla pazzia! Se poi hai anche un uomo che assomiglia per metà ai tuoi diabolici figli…”  

Denali rise e strinse affettuosamente la mano di Rosalie tra la sua. Gabriel abbassò gli occhi e scacciò la brutta sensazione che lo stava assalendo.

Parlare di figli, di matrimonio, del futuro…erano tutte cose che gli riportavano alla mente Rebecca. E in quel momento la loro situazione non era certo quella festosa e gioiosa in cui pensare a dei bambini o ad una cerimonia nuziale.

“Che succede?” gli domandò Rosalie. “Problemi con Rebecca? A dir la verità è da molto che non vi vedo più venire a trovarmi insieme, come ai vecchi tempi”

Gabriel cercò con gli occhi Denali e lui ancora deviò il suo sguardo.

Gli stava nascondendo qualcosa, ne era certo. Poteva essere qualcosa che riguardava Rebecca? Denali era a conoscenza di quello che le stava accadendo? Era lui a custodire la chiave che apriva tutte le risposte alle sue domande?

C’era qualcosa che non andava. Denali era il suo migliore amico e si era sempre confidato con lui. Se sapeva il segreto di Rebecca perché non avrebbe dovuto dirglielo? Cosa lo teneva vincolato al silenzio?

“Io e Rebecca non stiamo avendo un bel periodo” dovette ammettere suo malgrado.

“Oddio, spero niente di grave!” scattò la ragazza.

“Questo non posso dirlo Rose, per me è sempre più difficile” poi, apposta, aggiunse: “Se solo sapessi che cosa le frulla in quel cervello…”

Denali si alzò dal divano un po’ pallido e con una certa agitazione disse che andava un attimo in bagno.

“Che gli è preso?” mormorò Rosalie a Gabriel aggrottando la fronte. “Quello è pazzo”

“Rose, ti dispiace se vado un momento al bagno anch’io?”

“Cos’è, la processione? Non vuoi neanche aspettare che esca?”

“Aspetterò fuori. Ci metto poco”

Non appena Denali uscì dal bagno, bianco come un cadavere, dovette bloccarsi alla vista di Gabriel che lo stava aspettando appoggiato al muro del corridoio.  

“Non me lo vuoi dire?”

Denali scrollò la testa. “Non so di cosa stai parlando”

“Non fare il finto tonto con me” sibilò il ragazzo fronteggiandolo. “Ti conosco da una vita ormai, dovresti saperlo”  

Si trovavano faccia a faccia, i loro nasi quasi si sfioravano. Denali tremava ed era sempre più pallido. Non pensava che la magia impiegata per tenerlo al silenzio fosse così potente. Se solo provava a parlare del segreto di Rebecca un violento flusso di magia nera gli bloccava la gola, ustionandogliela. Cominciava a sentirsi veramente male, la testa gli girava e una forte emicrania gli stava spaccando il cranio.

“G-Gabriel, non mi sento molto bene, ti dispiace se vado a buttarmi giù?”

La faccia di Denali aveva preso a sudare.

Gabriel indietreggiò. “Sì, vai. Scusami se ti ho disturbato, e…scusa anche per l’ultima volta”

Vederlo in quello stato lo fece preoccupare non poco.

“Non scusarti, non me la sono presa. Posso capire la tua rabbia, anch’io avrei perso le staffe se fossi stato al tuo posto”

“I-Io allora andrei a casa. Ma sei sicuro di star bene?”

“Non vuoi fermarti? Sono certo che a tua sorella e ai bambini farebbe piacere se rimanessi a pranzare da noi. E anche a me, ovviamente”

“No, voglio andare a casa, magari Rebecca è tornata e se non mi trova…non voglio che pensi a chissà cosa. Però vorrei parlarti, più avanti, quando starai meglio”

“Certo, passa a trovarci quando vuoi. È sempre un piacere avervi in casa, sia te che Rebecca”

Tutti e due.

Detta così sembra un insieme.

In realtà, Denali, siamo così divisi da non essere più un due.

Gabriel fece per andarsene.

In un ultimo stremante tentativo Denali cercò di buttar fuori tutto quello che sapeva su Rebecca ma ancora una volta la morsa dell’incantesimo gli provocò uno spasmo e non potè far altro che boccheggiare e vedere il suo amico allontanarsi.



***



Tornando a casa Gabriel aveva deciso di fare un giro per il mercato. Le strade erano affollate e piene di voci festanti, urlanti, e di una folla concitata, troppo indaffarata per soffermarsi e prestarti attenzione. Gli faceva bene stare in mezzo alla gente, almeno così colmava di poco l’enorme vuoto che sentiva dentro il cuore.

La voce di un uomo lo fece fermare davanti alla sua bancarella.

“Ehi, ragazzo! Sì, proprio tu!”

Gabriel si arrestò e controllò che stesse parlando davvero con lui. “Parla con me?”  

“Certo che parlo con te! Dimmi, non sei interessato a comprare dei bellissimi fiori?”

“Le sembro un tipo da fiori?”

“Ho qui delle rose meravigliose e costano pochissimo!” esclamò l’uomo con enfasi.

Gli mostrò un mazzo con tre rose e subito Gabriel ricordò di aver visto quei fiori sulla Terra. Non crescevano rose a Chenzo e dovette ammettere con franchezza che era un vero peccato. Era il fiore più bello e incantevole che avesse mai visto. Abbinò immediatamente quel fiore rosso, passionale, aggraziato e seducente a Rebecca.

Scosse la testa disgustato.

Odio le rose, pensò con rabbia.

“Mi dispiace ma non ho intenzione di comprarle. Grazie comunque” tagliò corto.

Fece per riprendere il cammino quando andò a sbattere contro qualcuno. Si accorse dopo che era Delia. La ragazza gli fece un generoso sorriso di saluto.

“Gabriel! Che bello rivederti! È da molto che non ci troviamo tutti insieme a fare una bella festa, eh?” disse, facendogli l’occhiolino. “Prima ho chiacchierato un po’ con Rosalie, è sempre più pazza ogni giorno che passa!” sorrise.

Era molto contenta. Le cose con Kevin dovevano andare veramente a gonfie vele.

“Sono felice anch’io di trovarti, Delia. Come stai?”

“Io sto benissimo, non sono mai stata meglio! E tu?”

Il suo sorriso era luminoso e splendente come il sole in cielo. Per un attimo Gabriel ne rimase accecato.

Cos’era che in quel periodo tutti erano felici tranne lui? Che ingiustizia era mai quella?!

“Io…” fece parlare ma poi la ragazza lo interruppe bruscamente.

“Aspetta!” esclamò.

“Cosa c’è?”

Delia sembrava molto preoccupata. Ora non rideva più.

“Prima…ora che mi ricordo, prima ho visto Rebecca passare per il mercato. L’ho vista stamattina, poi io sono andata da mio padre e non l’ho più incrociata”

Al suono di quel nome Gabriel sussultò. “È qui al mercato?”

“No, no, l’ho vista passare, era da sola. Camminava a passo deciso, teneva in mano la sua spada e sembrava che andasse al caseggiato abbandonato, nella vecchia fabbrica sul campo. Oh Gabriel, era spaventosa!”

Il ragazzo ebbe un tuffo al cuore. “In che senso?” si rese conto che la sua voce tremava.

“Mi è passata davanti e non mi ha neanche degnata di un saluto. Eppure mi ha vista, ne sono certa. Mi ha guardata in faccia e…devo dire che mi ha molto turbata il suo sguardo. Poi ha fatto finta di niente e ha girato la testa, superandomi. Oh, ma i suoi occhi…i suoi occhi erano davvero strani, Gabriel. Non erano del solito colore castano chiaro: erano neri, completamente neri, come se avesse avuto le pupille dilatate. Cosa pensi che le sia successo?”

“Non ne ho idea ma devo assolutamente trovarla. Alla vecchia fabbrica, hai detto?”

“Sì, mi sembra che la strada fosse quella ma non posso sapere se ha girato in un’altra direzione più avanti”

“Grazie Delia, in ogni caso andrò a vedere là. Ora vado, scusa, ci vediamo” le diede un fugace bacio sulla guancia e la passò via correndo.

Delia si voltò a guardarlo e si portò una mano sul cuore. I problemi per loro non erano mai finiti. Soffriva nel vedere il suo amico così in pena, così in bilico tra la felicità e il dolore.

Oh Signore, ti prego, fa che non sia niente di grave.

Gabriel non riuscirebbe a sopportare un altro dolore.



***



Atreius stava rigirando tra le mani il pugnale di famiglia.

La famiglia Douglas.

La nobiltà, il sangue reale.

Gli scappò una risata quando pensò alla sua situazione. Era l’unico figlio maschio di Dark Threat e ancora non era stato in grado di diventare re. Non aveva nemici e nemmeno rivali. Doveva essere molto semplice allora salire al trono.

Eppure…

I suoi consiglieri lo avevano avvertito, per loro il suo sangue non era abbastanza puro. Volevano aspettare l’arrivo di Rebecca al castello, non appena sarebbe passata dalla loro parte l’avrebbero accolta con un caloroso benvenuto. Lei sì che era degna di regnare, a loro avviso. Aveva quello che definivano: sangue puro, nata dall’unione di due potenti angeli. Non come lui, nato da un angelo e una ninfa. Era troppo inferiore.

I suoi consiglieri avevano già calcolato tutto nei minimi particolari e dietro a tutto questo doveva per forza esserci un piano già architettato precedentemente da Mortimer. Suo padre aveva programmato come sarebbero dovute andare le cose nel caso in cui fosse morto, aveva lasciato una sorta di testamento.

Rebecca, una volta giunta al castello come angelo nero, avrebbe preso il nome di sua madre: Aidel, che nell’antica lingua significava: “stella del mattino”. Ed era con quel nome che volevano incoronarla, sarebbe diventata la guida e la padrona del regno delle tenebre. Al suo arrivo avrebbe portato con sé Mortimer, liberato dalla prigionia della morte e del corpo, e di nuovo tra i vivi. Dark Threat avrebbe rifatto la sua comparsa nel mondo e avrebbe reclamato il suo diritto di regnare come sovrano indiscusso del Male.

Mortimer era il re, mancava al suo fianco una regina. Dato che non si era mai sposato e non aveva mai voluto una donna sul trono ad affiancarlo (riteneva di non aver ancora incontrato una donna degna di tale potere) sarebbe stato compito di sua figlia appoggiarlo come regina.

Atreius sapeva quanto suo padre sotto sotto andasse fiero di Rebecca. Era la sua unica gioia, il suo unico apice di orgoglio. L’unico sentimento simile all’amore che poteva provare era quello per sua figlia. Dopo aver scoperto di essere suo padre si era più volte confidato con lui su quanto gli avrebbe fatto piacere averla al suo fianco. L’aveva sempre ritenuta una ragazza intelligente, scaltra, astuta e potente per natura. Secondo lui era la sola degna del titolo di: “signora delle tenebre”.

E anche Atreius lo pensava così in fin dei conti.

Aveva sempre provato una certa simpatia per Rebecca. Fisicamente ne era molto attratto e non potendosi innamorare né provare sentimenti come l’amore o l’affetto si faceva comandare dai suoi istinti e dai suoi impulsi, e le sue passioni gli dicevano che Rebecca era l’unica donna adatta a lui. Era una ragazza che non si faceva mettere i piedi in testa e che sapeva il fatto suo, e ad Atreius piaceva da morire quel genere di donna.

Si sistemò meglio sul trono di suo padre e mise il pugnale in una tasca interna della sua divisa. Sospirò e si guardò intorno, si stava annoiando a morte. Sperava che una volta arrivata Rebecca si sarebbe potuto divertire di più, magari stressandola o imparando a conoscerla meglio. In ogni modo, aveva voglia di fare qualcosa, qualcosa di diverso e di spassoso. Ad un tratto gli venne in mente un’idea fantastica.

Osservò il cielo dalle enormi finestre aperte ad arco e vide che il sole era ancora alto nella volta celeste.

Bussarono al portone.

Atreius si mise subito composto come un vero re. “Avanti”

La porta cigolò e comparve Vezzen, il suo servitore. Per un attimo Atreius sperò che fosse qualcun altro di più piacevole o interessante. Sprofondò nella morbidezza del trono e arricciò le labbra.

“Che vuoi, Vezzen? Hai qualcosa di importante da dirmi?”

La creatura storpia e deforme si inchinò fino a toccare con la punta del naso il pavimento freddo della sala. Si raddrizzò come meglio potè e congiunse le mani a preghiera.

“Mio Signore, mi manda Salazar”

Salazar era il suo più fidato consigliere. Come lo era stato per suo padre.

“Cos’ha da chiedermi Salazar?”

“Vuole incontrarvi per una riunione privata questa notte, nella sala dei trofei. Ha detto di avere delle informazioni importanti con cui vorrebbe discutere con lei”

“Mi dispiace Vezzen, ma dovrai declinare a Salazar l’invito da parte mia. Questa notte non sarò al castello, ti prego di avvertire i miei consiglieri e di dir loro di non preoccuparsi che farò ritorno domani mattina. Ho…un’altra specie di invito” disse con un ghigno divertito.

Vezzen ciondolò sul posto come se stesse aspettando qualcos’altro.

“Vai, ho finito” gli ordinò il ragazzo con un gesto secco della mano.

Il servitore zoppicò fino al portone e poi uscì. Atreius si alzò dal trono e sgranchì le gambe che si erano nel frattempo intorpidite. Sbadigliò sonoramente e discese la rampa di scale che permetteva ai due troni di sovrastare il resto della sala. Percorse la navata camminando sul lindo tappetino rosso e prima di andarsene non potè non trattenere una risata.

Sì, si sarebbe divertito parecchio quella notte.  



***



Suo padre le aveva promesso un miracolo e durante la notte un miracolo era avvenuto. Non appena Rebecca aveva aperto gli occhi ad una nuova giornata si era sentita subito di buon umore. Non provava più sofferenza. La consapevolezza di quello che era successo la notte precedente c’era ma quei ricordi non la ferivano più. Ripensava a quando aveva visto Gabriel con quella ragazza e non sentiva più le lacrime salirle agli occhi, il dolore spaccarle il petto o le fitte squarciarle il torace. Era tutto magnifico, divino. Non provava più niente se non un profondo odio verso il ragazzo ma non era un odio distruttivo, semmai un odio sadico e quindi piacevole.

Si era alzata dal letto in perfetta forma, era prestissimo e aveva voglia di allenarsi con le spade. Voleva abbattere qualcosa. Si vestì e molto tranquillamente uscì di casa. Non le era passata neppure per l’anticamera del cervello l’idea di andare a vedere come stava Gabriel.

Nel momento in cui inspirò l’aria fresca e pulita di prima mattina si sentì piena e soddisfatta. C’era sempre quella sensazione di odio e di potere che la divorava ma era una sensazione talmente gradevole che non la turbava.

Passò via velocemente il mercato e andò dritta verso il vecchio caseggiato. Quando entrò nella fabbrica poco illuminata tirò fuori la spada dalla fodera e la fece volteggiare sopra la propria testa con un agile movimento.

Vedo che stai bene, era Mortimer.   

Rebecca sogghignò.

Divinamente. Avevi ragione, non provare nessun’emozione al di fuori dell’odio e della brama di potere non è niente male. Mi sento così completa e forte che potrei conquistare il mondo intero! Non ho mai sentito il mio corpo appartenermi come ora.

Da questa tua affermazione possiamo dedurre che le mie teorie sono sempre state fondate.

Padre, ho solo un po’ del tuo odio in corpo, posso ancora ragionare con la mia testa. Sono convinta che quando questa sensazione appagante se ne sarà andata tornerò ad avere le stesse convinzioni di prima.

Il Male non ti attira neanche un pochino?

Un pochino, come a tutti, credo.

Sei molto saggia, anche in questi momenti dove la tua anima è corrotta.

Io sono sempre obbiettiva con me stessa e con gli altri.

Non con tutti.

Che vorresti dire?

Con Gabriel no.

Rebecca rinfoderò la spada con un gesto frustrato e cominciò a prendere a pugni il sacco da boxe che stava appeso al centro della stanza.

Che intendi fare con lui?

Non lo so, anche se posso ragionare lucidamente senza scoppiare a piangere mi è comunque difficile dire come mi comporterò. Sicuramente non la passerà liscia. Insomma, mi ha tradita, porca miseria! Ok che era parecchio ubriaco e che era convinto che io lo tradissi a mia volta, e in un certo senso il suo è stato un gesto estremo, però…boh, non so. Io sono sicura che non l’ha fatto apposta ma ha sbagliato e su questo non ci piove. E poi, dannazione, lui non è mica l’unico ad impazzire di gelosia! Anch’io sono gelosa eppure non rispetta questo mio sentimento come io devo fare con lui!

Quindi lo perdonerai.

Prima voglio parlargli, anzi, lui dovrà venire a parlarmi, poi si vedrà. In questo momento la questione non mi tocca minimamente.

Cosa farai appena lo vedi?

La ragazza rimase qualche secondo in silenzio, interdetta. Poi riprese a picchiare il sacco con ancora più forza di prima.

Ascolterò se ha qualcosa da dirmi. Sono curiosa di vedere se farà il bastardo fino in fondo mentendomi oppure se avrà almeno le palle per dirmi la verità.

Ora come ti senti?

Vuoi la pura verità?

Sì.

Mi sto scaldando. Parlare di questi discorsi mi hanno fatto montare in corpo una tale rabbia…se solo penso a quello che mi ha fatto mi viene voglia di strozzarlo con le mie stesse mani!   

Vuoi che ti passi ancora un po’ del mio odio?

Ancora? pensò allibita.

Questa volta è odio misto ad una spietata freddezza. Ti ci vorrebbe, secondo me, figlia.

Stai insinuando che non sono razionale?

Non abbastanza. Se dovrai diventare un angelo nero non è concepibile che tu sia soggetta a sbalzi d’umore, scatti d’ira e liti furiose. Niente che abbia a che fare con comportamenti istintivi e animaleschi. Se vuoi divenire una regina delle tenebre devi imparare ad essere controllata, fredda, razionale, spietata, impassibile. Le persone che ti vedono o che parlano con te non devono capire quello che provi, né tantomeno devi renderti ai loro occhi prevedibile.

In poche parole devo essere una macchina di ferro: dura fuori, vuota dentro.

Esatto, una macchina che non risponde a nessuno stimolo esterno ma che segue unicamente i propri obbiettivi. Detto questo figlia, ti ripeto, vuoi ancora un po’ del mio essere?

Certo, va bene. Vediamo se la razionalità è migliore della rabbia.

Oh, sicuramente lo è. Lo è, fidati.

Mortimer fece appena in tempo a finire la sua trasformazione su di lei che la porta del caseggiato si aprì. Rebecca dava le spalle all’entrata ma capì subito chi era, il suo odore era inconfondibile. Rimase di schiena a fissare il sacco da boxe che stava ancora oscillando a destra e a sinistra.

Lo sentì venire avanti con passo indeciso.

Sospettava qualcosa?

Quella mattina non aveva fatto in tempo a guardarsi allo specchio ma immaginava di apparire molto diversa. A cominciare dalla divisa che stava indossando. Non aveva mai portato un’armatura nera, la configurava con il Male e per questo aveva sempre preferito indossarne di bianche, beige o azzurre. Ma questa volta era nera. Percepiva inoltre uno strano prurito agli occhi, se gli sentiva troppo grandi e incavati nelle orbite.

Gabriel parlò.

“Rebecca…” la chiamò, la sua voce era instabile. “Ho incontrato Delia al mercato, mi ha detto che ti ha vista e che non ti ha trovata molto bene. È tutto apposto?”

Lei non rispose.

Lui sospirò. “Senti, lo so che in questo momento non vuoi parlarmi e ti capisco. Quello che ti ho fatto ieri notte è stato orribile, mi vergogno per essere entrato in camera tua ubriaco e di averti detto quelle cose bruttissime. Ti chiedo solo di perdonarmi e di dimenticare. Io ti amo”

Il suo tono di voce speranzoso e afflitto le fece andare il sangue al cervello. S’impose di calmarsi.

“E quindi sei venuto qui per farti perdonare”

Rebecca percepì i muscoli del ragazzo irrigidirsi. Forse non era abituato a sentirla parlare così pacatamente e con freddezza.

“Sì, voglio dirti che mi dispiace”

“C’è forse qualcos’altro di cui vorresti farti perdonare?”

Gabriel deglutì. Rebecca rise e la sua risata congelò Gabriel. Era una risata pericolosa, micidiale e demoniaca.

“Che ti prende, Bec?” domandò allarmato.

“Non osare chiamarmi così. Per te sono Rebecca” tuonò con voce imperiosa.

“Rebecca, così mi stai facendo paura. Si può sapere che ti prende?”

La ragazza sogghignò. “Io sto benissimo, non sono mai stata meglio di così. Ho sperimentato un’altra dimensione del piacere, un altro modo per sopravvivere a questo mondo. È un vero peccato che tu sia rimasto indietro con i tempi, Gabriele”

Gabriele.

Lui si sentì morire. “Gabriele? Da quando mi chiami così?! Cos’è, ora sono diventato un perfetto sconosciuto, una persona lontana dal tuo cuore?!” urlò con tutte le sue forze.

“Dopo quello che hai fatto non ti meriti la mia pietà”

“Voltati” le ordinò.

Lei rise, cosa che lo mandò in bestia.

Si stava prendendo gioco di lui?

“Voltati, ho detto” sibilò Gabriel. “Fatti guardare in faccia!”

Lentamente Rebecca girò su sé stessa, il suo viso era incorniciato da un orribile ghigno sfrontato ma non era quello che lasciò sconvolto Gabriel, bensì furono i suoi occhi.

Gabriel indietreggiò come colpito, come in balia delle onde o di un forte stato di ubriacatezza. Dovette aggrapparsi alla parete per non crollare a terra.

Mentre Gabriel si piegava su sé stesso e pian piano scendeva a terra, Rebecca gli camminò incontro bellissima e accattivante. Aveva un ché di diabolico e di affascinante allo stesso tempo. Si muoveva sinuosamente dentro la sua divisa in pelle attillata e non smetteva un secondo di guardare negli occhi il ragazzo.

“Ora non dici niente, vero? Ora che mi hai guardata in faccia non fai più lo spavaldo”

Con fatica Gabriel riuscì a rimettersi in piedi, rimanendo comunque incollato alla parete.

Rebecca gli andò vicinissima, si fermò a pochi centimetri dal suo viso e Gabriel riuscì a bere il suo respiro che sapeva di buono e di dannato.

“Mio Dio, che ti è successo?” sussurrò in trance.

“Perché quella faccia lunga? Io sto benissimo, non sono mai stata meglio in vita mia e questo lo devo soltanto a te, Gabriele”  

“Io?! Non sono stato io a ridurti così! Oh Signore, guardati!” esclamò inorridito.

“Oh sì che sei stato tu e se sforzi il tuo cervellino riesci anche a capire il perché”  

Gabriel si sentì soffocare.

Respiro, respiro…

Dov’è il mio respiro?

Lei sapeva.

Lei sapeva e ora lui voleva morire.

“Mi dispiace” mormorò con voce rotta. “I-Io non volevo, sono stato un idiota. Tu lo sai quanto ti amo e sai che non ero in me! Dannazione, ero disperato!”

“Non devi incolpare la tua disperazione, Gabriele! Quello che hai fatto l’hai fatto perché volevi ferirmi, volevi che io provassi il tuo stesso dolore! Per cosa, poi? Io non ti ho mai tradito, stupido umano”

Un gemito gli sfuggì dalla bocca aperta e il cuore prese a martellargli in petto fino a scoppiare. Poteva sentire il sangue defluire dal suo corpo e abbandonarlo.

Umano…” sussurrò con la faccia contorta da un’orrenda incredulità.

“Io non ti ho tradito” ripetè lei con dura ostinazione.   

“Non mi hai mai tradito?” domandò.

“No, neanche una volta, neppure una dannata volta!” disse alzando la voce. Stava perdendo il controllo. La rabbia le stava riaffiorando in corpo.

Gabriel per un attimo sembrò più sereno, a Rebecca parve di scorgere nei suoi occhi uno scintillio di contentezza.

“Perché fai quella faccia?!” sbraitò lei. “Ora che ti ho detto che non ti ho tradito ti metti a ridere?! Non c’è niente da ridere! Niente! Dovrei essere io quella che ride e tu quello che sprofonda per la vergogna di aver tradito ingiustamente la sua ragazza!”  

“Ho sbagliato, non ho avuto fiducia in te. Ho pensato che il tuo silenzio ostinato nascondesse per forza qualcosa di terribile come un tradimento! E poi quando ti ho chiesto se ti vedevi con Atreius tu mi hai detto di sì! Come mi sarei dovuto sentire se non come uno che viene messo da parte, sostituto da un altro?”

“Avresti dovuto avere fiducia in me” lo accusò.  

Gabriel emise un sospiro di frustrazione. “Lo so! Lo so! E solo ora me ne rendo conto, questa notte purtroppo l’alcool e la rabbia non mi hanno permesso di ragionare come avrei voluto!”

Rebecca scosse la testa in un gesto teatrale. “Gabriele, Gabriele…” lo canzonò.

“Smettila di chiamarmi con quel nome!”

“Oh Gabriele, mi dici ora che devo fare con te?”

Il ragazzo ringhiò. “Gabriel. No Gabriele”   

“Ah, è uguale”

Gabriel si staccò dalla parete e inchiodò Rebecca al muro bloccandola con entrambe le braccia ai lati della testa.

“Parli tanto di me, grande donna, ma anche tu a quanto pare hai qualcosa da confessare” disse, squadrandola da capo a piedi.

Lei si limitò a sorridere. “Dato che hai molta immaginazione nel dedurre le cose prova ad indovinare anche questo. Peccato però che giungi sempre a conclusioni errate”

Gabriel battè con forza un pugno sul muro e si fece più vicino a lei. “Non giocare con il fuoco”

“E tu non disturbare la mia anima, potrebbe svegliarsi e dartele di santa ragione”

“Correrò il rischio. Voglio sentirti dire a voce alta che mi perdoni”

Rebecca strabuzzò i profondi occhi neri. “Come?!”

Gabriel accostò la sua bocca all’orecchio di lei inspirando avidamente il profumo dei suoi capelli. “Dimmi che mi perdoni e poi voglio che mi baci”

“Sei ancora ubriaco? Perché mi è parso di sentirti vaneggiare”

“Nient’affatto, non sono mai stato così serio” sussurrò, baciandole con trasporto il collo e toccandole possessivamente i fianchi.

Con un solo gesto Rebecca lo allontanò. Gabriel la guardò come se fosse impazzita.

“Io non potrò mai dimenticare, Gabriele”

“Ti sto scongiurando di perdonarmi”

“Pensi che sia così semplice?!”

“Provaci” la implorò.

Gabriel non poteva sapere che a lei non importava niente di trovarsi in quella situazione. Lo straordinario potere che suo padre le aveva concesso le stava dando la forza di non reagire a nessuna emozione. Così poteva gestire Gabriel e pensare razionalmente. Se fosse stata la Rebecca di sempre avrebbe già da un pezzo gettato le braccia al collo del ragazzo e l’avrebbe perdonato tra le lacrime e un sorriso atteso. Ma questa volta non era intenzionata a passare sopra la questione. Voleva giocare con lui ancora un altro po’.

“La tua determinazione mi spaventa Gabriele, devo dedurre che quella puttana non era un granchè come amante”

“No, ti prego, basta…”

“Dimmi la verità, visto che è di questo che stiamo parlando. Sei stato a letto con lei o l’hai solo baciata?”

“L’ho solo baciata, e anche mentre la baciavo nei miei pensieri c’eri solo tu! Eri te che vedevo nella mia mente, nei miei occhi chiusi! Sei sempre stata tu!”

“Commuovente, davvero. Sai, stavo pensando al ragionamento che hai fatto quando credevi che io ti tradissi. Hai detto che volevi farmela pagare con la stessa moneta: tradendomi a tua volta. In questo caso, allora, dato che da parte mia il tradimento effettivamente non c’è stato…”

Gabriel intuì quello che stava per dire e impallidì. “No…”

“…ora tocca a me ripagarti allo stesso modo” concluse con un sorriso, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.  

Gabriel avanzò, bianco come un lenzuolo, con le mani alzate. “No! No!”

“Sarebbe giusto non trovi? Magari se chiamo con il pensiero Atreius, lui mi risponde e sarebbe anche felice di aiutarmi in quest’impresa. Correrebbe qui immediatamente e con il sorriso”

Gabriel la prese con entrambe le mani per i polsi e la fece indietreggiare fino a sbatterla nuovamente contro il muro. Questa volta però, in un bisogno disperato di sentirla sua, premette il suo corpo contro quello di lei, facendolo aderire completamente.

Rebecca non sembrava per nulla turbata dalla sua collera, né dalla sua vicinanza. “A differenza di te, lui, saprebbe trattarmi con rispetto e fedeltà”

“Non ci provare nemmeno a chiamare Atreius, Rebecca. Ti prego, non puoi farmi questo” la supplicò sull’orlo di una crisi.

“Perché non dovrei?” ruggì.

Accadde tutto inaspettatamente.

Rebecca fu assalita da un attacco d’ansia e le venne un groppo allo stomaco che la fece tremare e sudare freddo.  

Che mi succede? Perché mi sento così agitata?

Il potere oscuro che ti ho concesso se ne stà andando, l’incantesimo stà finendo.

Fa qualcosa! Mi sento sempre più male! Ridammi un po’ del tuo essere, veloce!

Mi dispiace ma non posso trasferirti ancora pezzi della mia anima, potrei rischiare di disgregarmi.

Oh mio Dio, mi sento come un drogato che patisce l’astinenza della cocaina, pensò con rabbia, scossa dai tremiti.

Brividi di freddo le percorsero la schiena facendola sussultare ad intermittenza, la sua fronte s’imperlò di sudore e percepì quell’orribile sensazione di soffocamento, di asfissia. Doveva prendere aria, stava male, sapeva che sarebbe svenuta se non fosse uscita immediatamente da lì.

Cercò di spostare Gabriel che la teneva inchiodata al muro ma era troppo debole, troppo accecata dalla frustrazione per impegnarsi di più. Gabriel la guardava con la fronte aggrottata, seriamente preoccupato e un tantino spaventato dalla sua reazione.

Rebecca era così stanca e così confusa che si stava mettendo a piangere. Le sembrava di non riuscire più a prendere aria, la sua bocca era aperta in un disperato tentativo di respirare e le sue mani sudate spingevano le spalle del ragazzo.

“Lasciami…” gli mormorò.

“No, non ti lascerò scappare”

Rebecca sbarrò gli occhi, sconvolta. “Ti prego! Il mio corpo sta tornando…non voglio che tu mi veda…” Rebecca non voleva che Gabriel vedesse la sua trasformazione.

In quel momento le importava di lui. L’odio profondo e confortevole che aveva provato fino a qualche secondo prima era svanito, lasciando il posto ai suoi veri sentimenti, alla sua vera identità.

Si stava innervosendo, l’ansia le metteva fretta e urgenza. Non pensava di riuscire a calmarsi, doveva andarsene dal quel posto chiuso e claustrofobico. E Gabriel, come sempre, non la stava affatto aiutando. Non capiva, lo si vedeva benissimo dalla sua faccia dispersa.

“Ma che stai dicendo?! Non vuoi che io ti veda? Rebecca, sono qui! Cos’è che ti far star male in questo modo?”

“Ti supplico, ti imploro, fammi uscire! Spostati!” disse lottando contro il corpo del ragazzo che la racchiudeva.

Gabriel prese il suo viso tra le mani e la guardò intensamente negli occhi. Per un attimo Rebecca smise di lottare.

“Voglio sentirti dire che mi perdoni”

Lei fece per rispondere ma un dolore acuto le perforò il cranio. Sentì gli occhi andare in fiamme, bruciare come fuoco. Ritornò a lottare per uscire, questa volta con più forza e pressione.

Ma non doveva durare mezza giornata la mia personale sensazione di piacere?! pensò con furia rivolta a suo padre.

A quanto pare il tuo corpo ha rifiutato metà dose del mio odio. Non l’avevo previsto ma avrei dovuto immaginarmelo, sei protetta bene.

“No…no…” piagnucolò.

Stai ritornando quella di prima figlia mia, lascia che ti dia un suggerimento: Gabriel non dovrebbe partecipare alla tua trasformazione. Potrebbe capire o, peggio ancora, rimanerne orripilato. Vuoi che ti veda come un mostro? Come un animale feroce da abbattere?

Rebecca aveva fretta.

Suo padre le stava mettendo fretta.

Gabriel le stava mettendo fretta.

Doveva scappare.

Doveva trasformarsi in un posto nascosto affinché nessuno la vedesse.

Doveva dare una risposta a Gabriel.

Era troppo fare queste tre cose contemporaneamente, anche per una creatura come lei.

Allora la tensione accumulata sfociò nel delirio più totale e lei si sentì esplodere. Letteralmente esplodere.

Senza rendersi conto delle sue azioni Rebecca colpì Gabriel con un incantesimo. Il suo corpo prese ad infuocarsi di una luce azzurra e sprigionò dal suo petto, e dalle sue mani aperte, una fiamma potentissima che si scagliò con la velocità della luce sul ragazzo. Gabriel emise un rantolo di dolore e venne sbattuto a terra.

Ci fu il rumore di un lampo che squarcia il cielo e poi, infine, il silenzio.

Rebecca tremava ancora quando il suo corpo smise di bruciare e barcollò sul posto. La figura di lui era stesa sul pavimento e non si muoveva.

Doveva sbrigarsi.

Velocemente uscì all’aria aperta e si trascinò dietro a delle siepi. Cadde per terra e cominciò ad urlare per il male. La trasformazione si stava compiendo e non era un bello spettacolo. Era l’anima inquietante e orrenda di un diavolo che veniva soppiantata da quella candida e dolce di un angelo.

Quando tutto finì gli occhi di Rebecca erano tornati castani, i suoi canini non erano più affilati e sporgenti e la sua pelle, da bianca e incavata che era, era ritornata rosa e viva.

Non si ricordava molto di quello che era successo, ricordava di aver chiesto a suo padre di aiutarla, rammentava di aver provato per la prima volta il lato oscuro, di aver litigato furiosamente con Gabriel…e di aver ferito Gabriel.

“No!” urlò improvvisamente.

Si mise a correre più forte che poteva ed entrò come una furia nella fabbrica. Dove prima giaceva il corpo immobile di Gabriel ora non c’era più nulla.

Era riuscito a scappare, ce l’aveva fatta a mettersi in salvo.

A mettersi in salvo da me, pensò con riluttanza.



***



Gabriel si stava trascinando a carponi verso l’unico luogo in cui potevano aiutarlo. Era stato costretto a scappare dalla fabbrica, strisciando come un verme. Se fosse rimasto in quel posto c’era la probabilità che Rebecca lo riattaccasse.

Se pensava a lei sentiva il dolore del sangue pulsargli nelle ferite aperte.

Chinava il capo in avanti quando non ce la faceva a proseguire e guaiva come un cane ferito non appena un muscolo si sforzava troppo. Andava più veloce che poteva, aveva sempre il timore che lei, in un’ira distruttiva e vendicativa, lo stesse seguendo. Tremava al solo pensiero di trovarsela dietro, forse perché non era in grado di combatterla. Forse perché sarebbe, molto probabilmente, morto con un altro incantesimo come quello appena ricevuto. Forse perché se Rebecca avesse attaccato lui le avrebbe lasciato fare. Non avrebbe reagito, non l’avrebbe aggredita a sua volta.

Piuttosto abbracciava la morte.

Nel momento in cui entrò nell’edificio addetto alle cure (paragonabile ad un ospedale) arrivarono subito tre curatori ad assisterlo. Indossavano tutti e tre dei camici bianchi e per Gabriel fu come vedere la luce per la prima volta. La sua vista si stava spegnendo e tutto quel chiarore attorno a lui lo avvolgeva dandogli la sensazione di essere in paradiso. Si sentì afferrare per le ascelle e trascinare lungo il corridoio, le sue gambe erano molli e intorpidite mentre strascicavano sul pavimento.

I curatori si erano risparmiati la briga di fargli domande, avevano capito che era sotto shock, oltre ad essere stato fisicamente ferito. Parlavano tra di loro con voce concitata e affrettata, si lanciavano occhiate complici da sotto la montatura degli occhiali.

Gabriel fu deposto in un lettino dentro una stanza singola. Non appena fu adagiato con delicatezza arrivò un altro curatore che indossava una mascherina bianca che gli celava la bocca e parte del mento. L’uomo gli toccò la fronte e poi disse qualcosa ai suoi colleghi, qualcosa come: “andate, ora ci penso io. Sta bene, ha solo bisogno di cure”

Quando Gabriel sentì la puntura di una siringa bucare il suo braccio fece per alzarsi ma il curatore lo spinse indietro.

“Andrà tutto bene, vedrai, non è niente. Ora però devi dormire”

“Sto morendo, vero?” mormorò con la voce impastata per il sonno improvviso.

L’uomo scosse la testa e gli sorrise. “Non morirai ragazzo, hai solo bisogno di dormire. Hai preso una bella botta, il tuo corpo è stato sottoposto ad uno stress enorme. Hai avuto una compressione della gabbia toracica, alcune costole si sono rotte e hai danneggiato dei legamenti. Niente che non si possa curare con una bella dormita e una buona cura”

Per niente rassicurato Gabriel dovette suo malgrado chiudere gli occhi. L’anestesia che il curatore gli aveva fatto in tutto il corpo lo stava pian piano addormentando contro la sua volontà. Ma il sonno era troppo forte e la fermezza troppo vacillante.

Si appisolò e non sentì più nulla, solo un piacevole senso di pace e di tranquillità.

Il curatore fece il suo dovere: gli salvò la vita. Passò quasi tutta la notte al capezzale di Gabriel a curarlo e medicarlo. Quando finì era già buio pesto. Si asciugò la fronte sudata con una mano guantata e abbassò la mascherina scoprendo un sorriso.

Si tolse i guanti sporchi di sangue e gli gettò nel cestino. Le ferite alle gambe le aveva cucite con i punti e le costole risanate con una fiala magica e un paio di fasciature. L’uomo fu contento del proprio lavoro, aveva ancora una volta salvato un angelo.

Gettò via anche le siringhe che aveva usato per la trasfusione di sangue e per l’iniezione di antidoti. Si soffermò a guardare la siringa adoperata per l’anestesia, con la dose che ci aveva messo il ragazzo avrebbe dormito di brutto per tre o quattro giorni di fila. Lo osservò dormire e fu contento di vederlo sano e con il respiro regolare e rilassato. Quando era arrivato nella stanza era in pessime condizioni, senza contare che il suo sguardo perso e vitreo lo aveva fatto sembrare già morto.

Il curatore si domandò chi potesse essere stato a fargli tutto questo. Le ferite di Gabriel avevano origini magiche perciò non era stato aggredito da un semplice essere umano o da un animale. Qualcosa di orribile collegava lo stato fisico di Gabriel al suo, al loro, di tutto il villaggio.

Si riscosse non appena qualcuno tossicchiò.

Era il suo assistente, la sua faccia sbucava dalla porta semi-aperta.

“Scusi se la disturbo dottore, ma dobbiamo avvertire i parenti?” chiese il giovane parlando sottovoce.

“Sì, avvisa i suoi famigliari, devono sapere in che condizioni si ritrova”

“Quando posso dire che vengano a trovarlo?”

“Quando vogliono, tanto il ragazzo dormirà fino a quattro giorni ed è fuori pericolo. Se vengono a trovarlo possono farlo a meno che non facciano casino, è ovvio”

“Ok signore, sarà fatto” fece per uscire ma poi intrufolò un’altra volta la testa. “Signore, è fuori pericolo davvero?”

Il curatore sospirò e guardò Gabriel con immenso rispetto. Conosceva la sua storia e aveva sempre avuto un debole per lui e per la sua triste adolescenza. Aveva anche curato la sua ragazza, Rebecca, un paio di volte. Era l’unico dottore che avesse la competenza di assistere e curare degli angeli e per lui era diventata una vera e propria passione.

Per questo quando i suoi occhi si posarono sul ragazzo le sue iridi si addolcirono e luccicarono di un bagliore affettuoso.

“Sì, è fuori pericolo”

L’assistente voleva sapere di più. “Cosa gli è accaduto?”

“Qualcuno gli ha scagliato un potentissimo incantesimo. L’hanno colpito al petto fratturandogli delle costole, ha dei legamenti rotti, probabilmente venendo gettato a terra…l’impatto è stato molto forte. Senza contare che l’incantesimo lo ha indebolito e, se vogliamo per così dire, gli ha congelato degli organi interni. Venendo qui a piedi ha perso molto sangue, si è procurato dei tagli profondi cadendo. Ha sbattuto la testa e ha riportato un taglio dietro il cranio, per questo quando è arrivato era sotto schok” concluse con un’aria molto pacata e professionale.

Il ragazzo era esterrefatto. “Ma, signore, io non capisco. Dovrebbe essere morto, nessuna persona normale sarebbe sopravissuta ad un simile attacco. Se l’incantesimo gli ha congelato parte degli organi e ha perso molto sangue dalle ferite…insomma, come fa ora a star bene?”

“Caro mio, tu sottovaluti le capacità di chi è superiore a noi umani. Gabriel, anche se non ha le ali e le sua immortalità, rimane comunque un angelo bianco e fidati, io studio queste splendide creature da tutta la vita, loro non hanno un corpo come il nostro. Il loro fisico è fatto apposta per sopportare di tutto, dove noi moriamo loro continuano a vivere. Per noi anche una malattia può essere fatale mentre loro non si prendono neppure un raffreddore. Senza contare che le loro membra una volta ferite hanno la capacità di rigenerarsi e guarirsi da sole”

“E allora perché gli ha dato dei punti?” domandò il giovane indicando le gambe scoperte di Gabriel che erano ricoperte di cicatrici fresche.

“Colpa dell’incantesimo. In qualche modo quella magia gli ha congelato, freddato, la capacità di rigenerarsi e chiudere i tagli”

“Oh Signore, chi è in grado di una simile atrocità?”

“Un angelo nero, forse?” disse con sarcasmo.

Il suo collega impallidì e deglutì. Il dottore gli posò una mano sulla spalla e gli diede delle pacche fraterne.

“Su, avanti, la vita continua. Torniamo a fare il nostro lavoro”



***



Rebecca tornò a casa sconvolta e arrabbiata. Sbattè la porta con forza quando la richiuse, percepiva una profonda e crescente ira salirle in corpo. Si sarebbe messa ad urlare se solo fosse stata in grado di parlare.

Suo padre le stava mettendo pressione perché lo ascoltasse ma lei aveva chiuso la mente e non era intenzionata a sentirlo parlare. Era furiosa. L’aveva abbindolata fin dall’inizio, il suo unico obbiettivo era quello di uccidere Gabriel e dato che lui non poteva più farlo aveva scelto lei. Voleva che lei continuasse la sua opera. E lei, da stupida, ci era cascata.

Sperava soltanto che Gabriel stesse bene e che si fosse salvato perché se solo fosse venuta a sapere che era morto o che era in coma si sarebbe uccisa. Poco le importava che Mortimer l’avrebbe bloccata, non si sarebbe fermata finchè non avesse trovato un modo per ammazzarsi.

E lo perdonava.

Rebecca perdonava Gabriel.

Poteva capire come Gabriel si era sentito tradito e preso in giro. Comprendeva il suo dolore e la sua furia, la sua voglia di sfogarsi e farle del male. Sapeva quanto l’amasse e quanto aveva fatto per lei, il modo in cui gli era sempre rimasto accanto e come la toccava, la baciava…in ogni suo bacio le trasmetteva amore e non poteva non essere vero. Si pentiva di non avergli detto che lo perdonava alla fabbrica, se solo avesse potuto tornare indietro nel tempo l’avrebbe scusato e l’avrebbe baciato come lui le aveva chiesto. Ora che poteva perderlo per causa sua non le importava più che lui avesse baciato un’altra, le bastava soltanto averlo ancora vicino a sé.

Cominciò a piangere nel silenzio più totale. Si sedette sul divano e s’impose di non dormire. Non si meritava più niente, neppure il riposo. Avrebbe aspettato con fermezza il suo ritorno, avrebbe implorato disperatamente il suo perdono e tutto sarebbe ritornato come prima. Perché lui doveva perdonarla. Doveva. Lei aveva perdonato lui.

Un rumore la distrasse dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo e guardò infondo alla sala, nell’angolino più buio di tutta la stanza. Una figura avanzò nell’ombra e Rebecca non lo riconobbe finchè il suo corpo non fu sotto la luce della luna che filtrava dalle finestre. Aveva sempre quel suo sorrisino strafottente stampato in faccia.

Rebecca scattò in piedi, sull’attenti, e si pulì il viso bagnato dalle lacrime.

“Ogni volta che ti vedo mi porti brutte notizie. Devo preoccuparmi anche questa volta?”

Atreius le mostrò un sorriso smagliante. “Questa volta no. Sono venuto a trovarti, non avevo niente di bello da fare e per sfuggire alla solita routine mi sono detto: “ehi, perché non andare ad infastidire la mia sorellastra?”.”

“Non è serata, Atreius. Vattene” gli disse e con un cenno del capo gli indicò la porta.

“Oh andiamo!” la supplicò con lo sguardo innocente di un bambino. “Ti prometto che vengo in pace”

A Rebecca venne da ridere e non si trattenne dal farlo. “Pace…cos’è la pace se non l’esito di una lunga guerra?”

“Dev’essere proprio una brutta giornata” disse il ragazzo mettendosi comodo nel divano di fronte a lei. Anche Rebecca ritornò a sedersi, con una calma reverenziale.

“Ti diverti a provarmi?” non c’era astio nella sua voce semmai una profonda rassegnazione.

“Adoro eccitare le donne con le mie provocazioni” disse sfacciatamente accavallando le gambe e allungando le braccia sulla testiera del divano.

Rebecca fece finta di non averlo sentito. “Cosa ti porta qui? Hai scoperto che sono da sola in casa e così vuoi rendermi la vita ancora più impossibile?”

“Ah giusto, ho fiutato l’intera casa ma della tua dolce metà non c’è neppure traccia. Dove l’hai lasciato quel simpaticone del tuo ragazzo?”

“Lui non è affar tuo, al momento ti basti sapere che non è qui” disse con la mascella serrata, poi aggiunse con un sibilo: “Per tua fortuna”

“Peccato, mi sarei divertito un po’ con lui. È un ragazzo che sta al gioco”

“Ora basta, parliamo di cose più serie” lo interruppe bruscamente.

Atreius la guardò intensamente e Rebecca fu costretta ad abbassare gli occhi.

“Cosa vuoi sapere? Cosa posso sapere più di lui?”     

“Il tempo. Ho bisogno di sapere i tempi della trasformazione”

Atreius scosse la testa e rise, stupefatto. “Come faccio a saperlo? Mai nella storia del pianeta si è verificato un simile evento, nessuno sa con precisione come funziona, i tempi o le conseguenze sulla persona”

La ragazza si sistemò meglio sul divano, improvvisamente agitata. “Ma…ma circa? Un mese, due mesi, tre mesi, un anno?”

“Bellezza, non lo so! Davvero. Ora, se non ti dispiace, io sarei venuto a trovarti per fare qualcosa di alternativo, cavati dalla faccia quell’aria ombrosa e fammi vedere un po’ di strip”

Rebecca divenne bordeaux e boccheggiò un paio di volte. “Che cosa?! Un cavolo marcio Atreius, mi rifiuto di farti lo spogliarello solo perché tu possa divertiti! N.O.! Anzi, vai proprio via per favore che sono stufa e voglio andare a letto!” esclamò indignata.

Una smorfia maliziosa e affascinante si dipinse sul suo viso scolpito. “Ok, allora andiamo a letto” mormorò con gli occhi neri febbricitanti.

Rebecca si accorse di trattenere il respiro. “Stai scherzando?” chiese con incredulità.

“Per niente, tesoro. Sei stufa e vuoi riposare quindi io ti accompagno a letto e ti faccio compagnia mentre tu dormi”

Lei fece per aprir bocca e dirgli chiaramente di andarsene quando una vocina dentro di lei le disse di non farlo. Che fosse stato suo padre o la sua coscienza a parlare non poteva saperlo, l’intruso e la sua interiorità non erano molto distanti dall’essere un’unica entità.

Deglutì con forza dato che un groppo le premeva la gola. “Non mi soffocherai nel sonno?” gli chiese.

“No”

“Non tenterai di uccidermi?”

“Anche se l’idea mi alletta non penso che lo farò”

“Non pensi?!” esclamò alzando la voce nelle ultime sillabe.

“Ehi, ti ricordo che sei mia sorella, metà del mio sangue scorre nelle tue bellissime vene, inoltre il tuo corpo ospita mio padre. Pensi sul serio che cercherei di ammazzarti? Insomma, ormai non siamo più nemici, siamo una famiglia e siamo alleati!”

“Parla per te, io vi farei fuori entrambi! Prima te e poi nostro padre” brontolò dirigendosi su per le scale.

Atreius la seguiva fedelmente come un cagnolino che insegue il suo amato padrone.

“Ci odi così tanto?”

Rebecca si fermò a metà scalinata e si voltò per guardare la faccia di Atreius che le arrivava al mento. “Vi odio”

Atreius non sembrava per niente disturbato dalla sua affermazione. “Perché?”

“Perché costituite una minaccia, siete il mio punto debole perciò non riesco e non posso uccidervi, e questo mi fa rabbia. Volete fare del male a questo mondo e alle persone che amo solo per la bramosia del potere. Voi rappresentate tutto ciò che io ogni giorno combatto, siete ciò che io ho giurato di non diventare”

“Rebecca, è perché la guardi dalla prospettiva sbagliata. Parli tanto del tuo mondo, dici che è bello, perfetto, buono, felice, ma in realtà è il tuo mondo che causa più sofferenza: l’amore, la speranza, le illusioni, gli affetti…sono tutti sentimenti bellissimi, è vero, ma sono anche emozioni che possono scivolare o spegnersi nel tempo causando la sofferenza di coloro che si vedono rifiutati, abbandonati, delusi o traditi. Pensaci bene, se l’amore non esistesse non ci sarebbe l’odio. Se non ci fossero le illusioni non ci sarebbe la delusione”

Perché detta così suonava dannatamente bene?

Rebecca si schiarì la voce. “Il Bene e il Male si possono paragonare alla vita e alla morte. La morte è serena, facile, la vita è molto più difficile”

Un ghigno di immensa soddisfazione incorniciò le labbra piene e rosee del ragazzo. “Ben detto, vedo che hai capito come funziona il nostro mondo”

Rebecca battè le palpebre e come stordita riprese a salire le scale. Sentiva i passi del ragazzo dietro di lei e il calore del suo corpo che per poco non le toccava la schiena. Era molto provocante e sapeva l’effetto che aveva sulle donne. Quei suoi occhi neri, profondi e tenebrosi, i capelli scuri ribelli e accattivanti. Oltre al suo corpo che pareva scolpito nel marmo. Era più magro rispetto a Gabriel ma incuteva comunque timore. Erano sicuramente due bellezze diversissime tra loro ma anche molto simili da certi punti di vista, entrambi infatti erano dannatamente belli e affascinanti. Avevano quel fascino tipico delle persone potenti e misteriose, i loro occhi, seppure un paio scuri e l’altro paio azzurri, trasmettevano una certa freddezza e impassibilità che attiravano inevitabilmente chiunque avesse l’occasione di avere a che fare con loro.

Rebecca trattenne il fiato quando la mano di Atreius le sfiorò con le dita la cordicella della divisa sulla schiena.

“Mi chiedo che faccia farà il tuo ragazzo non appena entrerà in camera e mi vedrà vegliare su di te mentre dormi tra le mie braccia” disse ad un certo punto il predatore alla preda.

La preda tremò, in trappola e spaventata. “Gabriel non tornerà questa notte e non voglio che tu mi tenga tra le tue braccia”

“Sei sicura?” la provocò.

“Mai stata così sicura in vita mia” ribadì la ragazza fermamente.

Entrarono nella camera di Rebecca e lei scomparve in bagno.

“Dove vai?” le chiese.

“Vado a cambiarmi in bagno, non voglio certo che tu mi veda in biancheria intima!” sbottò diventando rossa in volto.

Atreius fu felice della sua reazione. “Beh, siamo fratelli, tecnicamente io posso vederti anche nuda”

Le orecchie di Rebecca andarono a fuoco.

Ma che le prendeva?!

Possibile che Atreius le facesse quest’effetto?

“Taci! È solo una scusa per vedermi nuda, maiale che non sei altro! E poi non siamo fratelli al cento per cento, c’è sempre quel cinquanta per cento che mi impedisce di spogliarmi davanti ai tuoi occhi, idiota!”

Il ragazzo scoppiò a ridere. “Maiale?!” ripetè con stupore e sbalordimento.

“Sì, maiale! Sei un maiale che non ha niente di meglio da fare se non disturbare le persone che non vogliono essere disturbate proponendogli di spogliarsi solo per allontanare dai suoi occhi la noia che gli gira intorno ogni ora del giorno!”

“Ma se sono qui per questo: per scacciare la noia!” protestò con una nota divertita nella voce.

Lanciandogli occhiate omicide la ragazza andò in bagno a cambiarsi e lasciò Atreius nella sua camera. Quando tornò lo trovò a letto sotto le coperte che le faceva segno di avvicinarsi.

Rebecca grugnì. “Guarda che non ti devi aspettare niente da me questa notte”

Un bagliore baluginò nelle iridi scure del ragazzo. “Mi hai fatto intendere chiaro e tondo che questa notte non mi vuoi ma, dopotutto, ci sono molte altre notti più avanti…”

“Atreius?” lo chiamò con una smorfia schifata e ironica. “Prenditi la testa, sbattila contro il muro e conta fino a un milione!” sbraitò ficcandosi a letto.

Rebecca si voltò su di un fianco dandogli la schiena e si tirò le coperte fino in cima. Atreius la sentì borbottare qualcosa. Si sistemò mettendosi in posizione supina ed inspirò sonoramente gustandosi tutta l’aria che stava mettendo in corpo come se solo quella che respirava lì fosse pulita e rigenerante. Sorrise beato e si girò ad osservare Rebecca che stava ancora imprecando.



***



[Così oscuro
l’inganno dell’uomo.

Voi sapete che siete stati
tutti ingannati]



***



Sono sempre un missile nell'aggiornare i capitoli!!!!
Spero di via piaciuto anche questo, un po' lunghetto devo dire e difficoltoso!!!!
Recensite che a me fate solo piacere!!!

Il prossimo capitolo: "TRA DUE FUOCHI"
ma il nome del prossimo capitolo non è sicuro, ultimamente per i nomi
non sono molto portata ad inventarne alcuni...




I "THANKS":

"ANTHY": grazie per la recensione comunque sì, farò una terza serie dove Rebecca sarà veramente tremenda e ci saranno parecchi casini con Gabriel che naturalmente non accetterà la nuova Rebecca...vedrai come evolverà la storia, sono ancora indecisa per il finale dell'intera saga ma magari mi verrà naturale alla fine quando mi ritroverò a scriverlo...fammi sapere che ne pensi di questo capitolo, bacioni e grazie ancora..

"ANGELOFLOVE": guarda, è vero che il tradimento è sempre una cosa imperdonabile però questa volta ho deciso che Rebecca dovesse per forza perdonare Gabriel perchè in fin dei conti il tradimento non era avvenuto per mancanza d'amore ma per una serie di casini e fraintendimenti che hanno portato il ragazzo al delirio più totale!! e poi adoro il personaggio che ho creato di Gabriel perciò non posso mentre scrivo essere troppo cattiva con lui.. :-)

"VALESPX78":  ehehe, sarai felice di vedere che Rebecca gliele ha date di santa ragione!! diciamo che non lo ha preso a calci nel sedere come mi hai scritto però penso che il suo modo di vendicarsi sia stato lo stesso terribile e soddisfacente!!! e comunque non penso che dopo questo capitolo ti sia ancora in disgrazia Gabriel, o no???? dopotutto non è cattivo, vedrai che cambierai idea su di lui!!! spero...

"CHICCA90": bella recensione, complimenti. comunque sì, cambiato titolo alla storia...il titolo precedente era troppo lungo e non diceva niente...penso che la frase in latino dia più un senso di potere e dominio tipico di un angelo...ora sarai soddisfatta di vedere che Gabriel non è andato con Fiona!! per fortuna si è fermato al bacio!!!!



 
  
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