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Autore: clasaru    06/03/2009    0 recensioni
L'umanità è minacciata! Il Male imperversa! Temibili crminali minacciano il Bene! Abbiamo bisogno di un Eroe! Naruto...? Sasuke...? ...Non loro, non questa volta. Perché a essere benedetta da poteri sovrumani, stavolta, sarà la mite Hinata. Ma come? la meno adatta a vestire i panni del Super Eroe (lei stessa non si considera adeguata a questo ruolo...)!! Riuscirà la piccola Hinata a salvare il mondo?...e già che c'é, a risolvere quelche questioncina sul piano personale...? ///*°*/// Unta storia tragi-comica, una sorta di metafora sulla condizione di Hinata, una parodia dei supereroi..Compariranno vari personaggi in versione Supereroe, in soldoni. [Pairing da definirsi. Tifate per quello che vi piace di più!] ultriori note all'interno.
Genere: Parodia, Triste, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’autrice:

1°: Innanzitutto, comincio col dirvi che scrivere di Hinata, per me, è faticosissimo. È uno di quei personaggi cui non assomiglio per niente, dunque immedesimarmi in lei è un autentica impresa. Perciò se mai Hinata divenisse OOC, o perdesse il ruolo centrale nella storia, fatemelo sapere.

2°: la storia è AU: le vicende si svolgono però, non in Giappone, ma in uno scenario occidentale, molto probabilmente Americano (dopotutto la storia tratta di supereroi no?).

3°: Non sono molto convinta di questa fan-fiction. Il punto e che, in realtà, ideai questo racconto un bel po’ di tempo fa, quando la “moda” di Hinata non imperversava così. Ormai scrivono tutti di lei, e la cosa mi irrita alquanto, quasi al punto da farmi stare antipatica la stessa Hinata. Io odio le mode, e, anzi, tento sempre di andare controcorrente, e infatti questa ficcy doveva essere qualcosa di fuori dalla norma. Ma poi….

Insomma, ormai ho cominciato a scriverla, perciò la pubblico, ma se mi stufo troppo di Hinata, la ritiro senza esitazioni. 

 

 

 

Capitolo primo:

Gli Eroi non sono timidi

 

 

 

La cosa peggiore in assoluto, era che non era cambiato nulla.

Ci si sarebbe dovuti aspettare un cambiamento netto, nella sua vita, una svolta totale, una rivoluzione.

L’opinione degli altri su di lei sarebbe dovuta cambiare, così come era cambiata lei.

E invece…

Non era cambiato nulla.

 

 

Fu un cavo elettrico a far partire l’incendio; o meglio, il topolino che ebbe la splendida idea di rosicchiare l’invitante guaina di gomma che avvolgeva i fili ad alta tensione, fece sì che scoppiasse l’incendio, in quella palazzina nella periferia cittadina.

Lì, all’ultimo piano,nella stanza dalle pareti umide e il soffitto sgocciolante per le infiltrazioni, bastò il contatto di una scintilla con qualche goccia d’acqua perché la moquette stantia diventasse un praticello di fuoco.

Le fiamme, man mano che inghiottivano sedie, mobiletti, oggetti sparsi sul pavimento e quant’altro stesse nell’angusta camera, aumentarono di grandezza e intensificarono il loro calore.

Il fuoco divampò ben presto anche nella rampa di scale, e fortunatamente qualcuno se ne accorse e diede l’allarme.

I passanti fecero appena in tempo ad accalcarsi intorno all’edificio, come avvoltoi curiosi su una preda, che già le fiamme lambivano l’ultimo piano nella sua interezza e anche il tetto.

Il vociare era sempre più intenso, in mezzo alla folla, e cominciarono anche a distinguersi le imprecazioni feroci degli inquilini della casa, che rischiavano di, o stavano per, perdere la loro dimora.

D’altronde, era anche una bella fortuna che i pochi affittuari degli appartamenti attualmente incendiati, fossero tutti per strada, al sicuro.

O quasi…

« Aiuto! Per favore, qualcuno salvi il mio bambino!! » la tipica signora che durante un incendio dimentica il figlioletto in casa, era trattenuta a forza da due passanti, che le impedivano di gettarsi tra le fiamme « per favore qualcuno salvi il mio bambino!!! » implorava, piangendo e dimenandosi.

Gli spettatori, lì intorno, scuotevano la testa con dolore, chi con più o meno sincerità. Cominciarono a serpeggiare commenti sconsolati:

« povera donna…una vera disgrazia.. » mormorò una vecchietta, portandosi una mano al volto.

« Già. Una vera tragedia. » commentò un omone alla sua destra, con fare colloquiale « che iella che in un quartiere tanto lontano dal centro i vigili del fuoco ci mettano tutto questo tempo ad arrivare!! ».

« P-p-permesso, per f-favore…» balbettò una vocina alla destra dell’uomo, ma in mezzo alla bolgia tutt’intorno, finì per essere totalmente ignorata.

Una donna alle spalle dell’uomo sentì doveroso dire anche la sua: « sono in casi come questi, dove la gente comune non può arrivare, che ci vorrebbero dei veri eroi! »

« Ah sì, come ai vecchi tempi! » sospirò la vecchietta, con nostalgia. In molti tra i presenti annuirono, partecipi.

« c-chiedo scusa, io dovrei p-proprio passare…! ».

« Com’è vero! » s’infervorò l’omaccione nerboruto, agitandosi, senza nemmeno accorgersi di aver dato una gomitata alla ragazzina al suo fianco, che tentava disperatamente di sorpassarlo, « ci vorrebbe un eroe come quelli del passato, che in caso di pericolo scendevano giù dal cielo in picchiata e risolvevano il problema, di qualunque natura fosse la calamità del giorno!!! ».

Un coro di consensi si levò tra la folla.

« Giusto! » « Sì! Ci vorrebbe un eroe! » «un eroe è ciò che ci serve!! ».

« E-ecco, giustappunto, io starei c-cercando di accontentarvi ma… » la vocina fu ancora una volta ignorata. Ma almeno la sua proprietaria riuscì a sgusciare tra i presenti, fino a sbucare nella zona, tra la folla e l’incendio stesso, dove non si trovava nessuno tranne qualche intraprendente cittadino con un secchio d’acqua in mano, nell’intento disperato di, come minimo, rallentare le fiamme.

Fu uno di questi che, vedendo la ragazzina in quella zona tanto pericolosa, pensò bene di andarla a scacciare:

« Tu! Ehi tu! » urlò, infastidito dall’incoscienza della mocciosa « ma ti pare un posto dove venire? Come ti salta in mente di spingerti fino a qui, eh?! Torna subito indietro! ».

La ragazzina in questione, probabilmente una liceale, a giudicare dalla cartella che portava sulle spalle, sobbalzò di colpo agli avvertimenti dell’uomo.

Le luci rossastre del fuoco che la illuminavano, non facevano altro che sottolineare il biancore della sua pelle e soprattutto degli occhi grigio perla, in quel momento spalancati per la sorpresa. I suoi lunghi capelli scuri ondeggiavano al vento, tanto da farla somigliare a uno fantasma malvagio, di quelli che appiccano gli incendi per gioco o per vendetta.

L’uomo con i secchi, avanti con gli anni e superstizioso di natura, quasi pensò davvero che quella ragazzetta, con gli occhi opachi e sgranati e quella frangetta spiovente, che si avvicinava con tanta noncuranza a un edificio in fiamme, potesse essere realmente un spirito incendiario.

Ma quell’espressione piena d’ansia, totalmente sprovvista del minimo sentore di perfidia, non poteva assolutamente non appartenere a una brava ragazza. Forse era solo un po’ scema o ritardata.

« Allora?! Vuoi deciderti ad andartene? » domandò ancora l’uomo, con feroce preoccupazione « se per caso eri una di quelle persone che stavano all’ultimo piano, sappi che ormai è troppo tardi per salvare qualsiasi tipo di avere. ».

La ragazzina aprì e richiuse la bocca un paio di volte, facendone uscire solo sconnesse monosillabi: « no…io non.. v-veramente non … ».

Poi si bloccò, stringendo le labbra, e parve prendere coraggio. Tutto il coraggio di cui disponeva. Prese fiato, strinse convulsamente i manici della cartella tra le dita affusolate e infine, con gli occhi serrati, urlò, sebbene la sua voce apparisse comunque debole: « Ascoltatemi!!! » vociò, perdendo tutta l’aria che aveva nei polmoni già con un'unica frase « ascoltate per f-favore!!! ».

Stavolta la folla parve degnarla di una qualche attenzione, seppur non si potesse dire che pendessero esattamente dalle sue labbra. Lei riprese, ma stavolta con meno foga, perché intimorita dalla moltitudine di sguardi (anche irrisori) che la fissavano:

« Io sono qui per risolvere la s-situazione! Vi prego di n-non ostacolarmi e di collaborare! ».

Il silenzio più vuoto accolse questa sua affermazione, e se non fosse stato per i riverberi rossi del fuoco che si riflettevano sulla sua pelle chiara, tutti si sarebbero accorti che la ragazza era arrossita come un papavero.

Una voce sghignazzante si levò nel silenzio:

« ehi, aspirante eroina, non ti sei ancora presentata! ». sporadiche risate si diffusero tra i membri più cinici del capannello.

La signorina dagli occhi bianchi si fissò i piedi, nel panico. Si era dimenticata della parte più importante. O forse, più probabilmente, aveva cercato disperatamente di rimandarla il più possibile. Prese un’altra volta fiato e coraggio, per la sua presentazione.

« Io s-sono Super Hinata! » soffiò, cercando di non mangiarsi le parole.

Stavolta il coro di risate fu più corposo.

Super Hinata non perse neanche tempo a volgere lo sguardo di fronte a sé, per squadrare i volti ghignanti del suo pubblico. Si voltò semplicemente tenendo lo sguardo basso, e con passo veloce, quasi la sua fosse una fuga, si gettò verso l’edificio in fiamme, infilandosi nella porta.

Inutili furono le grida dell’uomo dei secchi, che tentò invano di fermarla.

Hinata era già per le scale.

Un denso fumo nero le avvolse la testa già a partire dal primo gradino, e quando fece per afferrare il corrimano, riuscì a bloccarsi appena in tempo, accorgendosi che il rivestimento in plastica di quest’ultimo si stava sciogliendo.

Fece qualche altro gradino, tossendo e sbuffando, con le lacrime agli occhi per il bruciore , poi si rese conto che contare sulle sue naturali forze, in quel frangente, non era assolutamente sufficiente: di fronte a lei, il pianerottolo aveva totalmente preso fuoco.

Valutò velocemente le sue opzioni d’azione e decise, sperando di aver fatto la scelta giusta.

Inspirò forte col naso, raccogliendo parecchia cenere oltre che ossigeno, dopodichè si gettò verso le fiamme:

« Super soffio congelante! » gridò, appena prima di finire arrostita, e soffiò fuori una coltre di vento e nevischio direttamente dalla bocca.

Il fuoco si congelò.

Attenta a non tagliarsi col ghiaccio acuminato, Super Hinata corse oltre il pianerottolo. 

Una volta raggiunto l’ultimo piano, cominciò ad udire le disperate urla del bambino intrappolato.

Le seguì con concentrazione, ed esse la condussero davanti a una porta in fondo al corridoio.

« S-super calcio! » schiamazzò impacciata, prima di sfondare la porta con una pedata ben assestata. I cardini volarono via e il legno si frantumò in mille schegge.

All’interno dell’appartamento, aveva preso fuoco quasi tutto. Ma un bambinetto che non poteva avere più di otto anni, nascosto sotto il tavolo, alla vista di Hinata rinnovò le sue richieste d’aiuto.

La ragazza si fiondò su di lui, e prendendolo in braccio senza il minimo sforzo, corse verso la porta. Sfortunatamente, non fece in tempo a raggiungerla che un mucchio di travi crollò, sbarrando la via di fuga.

Super Hinata si guardò intorno, affannata: doveva trovare un’altra via d’uscita.

L’occhio le cadde automaticamente sulla finestra, che si apriva sul cielo blu notturno, in risalto in mezzo a tutto quel cremisi brillante delle fiammate.

Si precipitò verso la finestra, e aveva già appoggiato un piede sul davanzale, pronta a buttarsi, che la colse il dubbio:

Stava per buttarsi giù dall’ultimo piano di un palazzo. Lei non conosceva ancora i suoi poteri abbastanza bene per sapere se, una volta atterrata, le sue gambe sarebbero state abbastanza “super” da sostenere l’impatto col suolo o se, ed era un ipotesi assai sgradevole, si sarebbero completamente spappolate sull’asfalto.

Guardò sotto di sé, oltre il davanzale.

Le persone, piccole come formiche, stavolta erano affiancati dai camion dei pompieri, ma anche essi apparivano minuscoli e lontani, a quell’altezza.

Hinata deglutì.

Le sue gambe non erano mai state molto “super”. Ogni volta che incrociava nei corridoi della sua scuola il ragazzo che le faceva palpitare il cuore, loro cedevano quasi completamente. La abbandonavano anche quando suo padre la sgridava.

L’avrebbero tradita anche quella volta?

Il bimbo che teneva tra le braccia singhiozzò.

Bé, esisteva uno solo modo per verificare. Hinata uscì dalla finestra, e si mise in piedi sul cornicione, in equilibrio.

Oh, andiamo. Se le sue gambe non sopportavano le sfuriate del padre o l’emozione per un ragazzo, dovevano per forza compensare con una abilità di qualche genere, no?

Chiuse gli occhi e si gettò.

La sensazione che dava avere il vuoto sotto i piedi era raggelante. Super Hinata sentì lo stomaco risalirle verso i polmoni. Poi, improvvisamente, il suolo.

Ammortizzò bene, al primo impatto.

Ma una volta poggiati entrambi i piedi per terra, scivolò sul bagnato lasciato dai secchi sgocciolanti, e cadde col sedere per terra.

Il bambino però stava bene, pensò Hinata con sollievo, prima che un calo di pressione le riempisse il campo visivo di macchie rosse, facendole perdere momentaneamente vista ed energie.

L’udito però le era rimasto, e anche il tatto. Sentì che il bambino le veniva sottratto dalle braccia, e udì le urla di giubilo della madre.

A quel punto, sicura di aver compiuto la sua missione, poté permettersi di perdere completamente i sensi, con un sorriso beato stampato in viso.

 

Si riprese una decina di minuti dopo. Una qualche anima buona l’aveva sistemata contro il muro, facendola sedere con il busto eretto.

Riaprì gli occhi, e li richiuse subito dopo, in preda alla vergogna: la folla di prima le stava tutta intorno, fissandola.

« Ehi, signorina, prendi un po’ di acqua e zucchero, che ti riprendi per bene! » disse qualcuno, porgendo un bicchiere.

Acc. Troppo tardi, avevano capito che era sveglia. Dischiuse timidamente gli occhioni e accettò con garbo l’acqua che gli veniva tesa. Bevve tutto d’un fiato.

Scorse oltre la folla i pompieri all’opera, che spruzzavano acqua su ciò che rimaneva della palazzina.  

« i-il bambino sta b-bene? » domandò, quando ebbe svuotato il bicchiere. Il gruppo annuì, e lei sorrise di nuovo, certa al cento per cento del suo meritato successo. Per una volta, aveva fatto tutto per bene!

Peccato che non tutti fossero dello stesso parere:

« senti un po’, ragazzina, ma se sei davvero una super eroina, e a quanto pare lo sei, per non c’è lo hai fatto capire da subito? Di primo acchito ci ai fatto solo mettere tutti in ansia! ».

« Giusto! » aggiunse qualcun altro « pensavamo ti stessi buttando nella casa in fiamme per suicidarti! ». Molti altri, in mezzo alle fanfare, fecero commenti simili.

« m-m-ma io.. » balbettò Hinata disperata « ve l’ho detto chiaramente fin dall’inizio! ».

« Eh! Ma ti pare che uno si può fidare solo delle parole!... » « …uno che fa il supereroe deve farsi riconoscere volando giù dal cielo…» « … e deve avere un costume con la sua iniziale sul petto…» « …mica deve balbettare…» « …gli eroi sono fieri e carismatici…».

I commenti erano tutti analoghi.

Hinata avrebbe voluto tapparsi le orecchie e sprofondare. Possibile che ciò che faceva non fosse mai abbastanza? Mai abbastanza per nessuno?

Va bene, lei era timida, e la timidezza non si aggiudica a un eroe, ma la sua missione di coraggio l’aveva svolta comunque e con un certo successo no?

Il bimbetto cui aveva salvato la vita le si avvicinò, quatto quatto. Dopo averla fissata a lungo esclamò, con strafottenza:

« Bà, non hai nemmeno il mantello! ».

Quello era veramente troppo.

Hinata fuggì via, coprendosi il viso con le mani.

La folla, intenta in una discussione di gruppo su come un supereroe dovesse o non dovesse essere, non si accorse nemmeno, della sua fuga repentina.  

  
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