4. Fear
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Inazuma-cho, casa maekawa, 4 agosto, 11:23 pm
«Non siete un po’ troppo grandi per un pigiama party voi tre?»
Eiji era davvero imbarazzato: era già stato a casa sua
insieme a Shane in più di un’occasione, sia per farlo conoscere al genitore che
per passare insieme al suo ragazzo un po’ di tempo in intimità, ma presentarsi
davanti al padre con l’aria di chi era appena scappato da un campo di prigionia
non solo insieme a Shane, ma anche in compagnia di Aléja, aveva giustamente allarmato
il signor Maekawa. Il giovane non voleva far preoccupare suo padre e
soprattutto dubitava che credesse alla storia del mostro, quindi aveva
semplicemente detto si sarebbero fermati tutti a dormire lì per fare qualcosa
di diverso dal solito. Il genitore però non si era bevuto quella scusa
chiaramente campata per aria.
«Dai papà, non è un pigiama party! Te l’ho detto, volevamo
stare insieme e fare qualcosa di diverso, tutto qui…»
L’uomo fece una smorfia poco convinta: era Agosto, le
lezioni universitarie del figlio si sarebbero fermate nel giro di due giorni
per le vacanze estive e giustamente il giovane ed i suoi amici approfittavano
della cosa uscendo ogni sera a divertirsi, quindi la situazione gli sembrava
sempre più sospetta. Ma se suo figlio non gli voleva dire la verità magari non
era successo niente di grave, quindi decise di lasciare perdere.
«Come volete, vedete solo di non fare troppo casino,
capito?»
Eiji annuì, cercando di mostrare un sorriso convincente, poi
prese il futon che era venuto a chiedere al padre e tornò in camera, dove lo
stavano aspettando i suoi due ospiti.
Aléja, che veniva a casa del suo amico per la prima volta,
era intento ad osservare con interesse i libri posseduti dall’amico, mentre
Shane guardava le luci dei lampioni con aria assente.
Dopo essersi trovati quasi faccia a faccia con il mostro
quella mattina, i tre avevano cercato di comportarsi in maniera normale, ma
mantenere la calma era assai difficile, soprattutto perché dalle varie finestre
dell’edificio potevano intravedere il mostro che era sempre lì, in agguato.
Shane aveva più volte avanzato la richiesta di dirlo a qualcuno, ma era chiaro
che, a parte loro tre, nessuno riusciva a vedere la creatura. I ragazzi erano
rimasti all’interno dell’edificio per quello che a loro era sembrato un tempo
interminabile, poi, così come era comparsa, la bestia era sparita nel nulla.
Approfittando di ciò, i tre amici erano scappati fuori
dall’edificio, ma, temendo di poter essere attaccati, avevano deciso di
rimanere assieme. La faccenda però li aveva davvero agitati: tutti e tre erano
dei tipi razionali, non credevano nel paranormale e cercavano sempre di dare una
spiegazione a tutto, ma non riuscivano proprio a trovarne una a quell’incontro.
Eiji sospirò, sistemando il futon sul pavimento: l’aria era
ancora molto tesa, anche se Aléja cercava in tutti i modi di sdrammatizzare.
«Eh? Devo dormire sul pavimento? Eiji, perché non fai il
bravo padrone di casa e non mi fai dormire nel letto insieme a Shane?»
Il giapponese fece un sorrisetto divertito: nonostante tutte
le loro preoccupazioni, il suo amico riusciva comunque a distrarlo con quel suo
fare scherzoso.
«Eh no, non ci provare. Tu nel futon, io nel letto con
Shane. Niente storie.»
Aléja mostrò un ghigno divertito.
«Che c’è, hai paura che ti rubi il ragazzo?»
«Oh no, nessuna paura, a lui non piacciono gli idioti.»
I due si guardarono con aria seria per un momento, poi
scoppiarono entrambi a ridere. Shane però non si fece trasportare da
quell’atmosfera più leggera e rimase a guardare fuori dalla finestra senza dire
una parola. Preoccupato per il suo ragazzo, Eiji gli si avvicinò avvolgendogli
le spalle con un braccio.
«Ehi, è inutile rimuginare su ciò che è successo oggi così
tanto. Ora siamo al sicuro, è questo l’importante.»
Shane si girò a guardare il fidanzato, con occhi pieni di
preoccupazione.
«Come posso non pensarci? Cos’era quella cosa, perché la
vediamo solo noi? E poi siamo davvero al sicuro? Potrebbe averci seguiti… E se
ci attaccasse nel sonno? Come faremo a difenderci da un mostro del genere?»
Il giapponese abbracciò il suo ragazzo, cercando di
tranquillizzarlo.
«Cerca di stare calmo. Se avesse voluto attaccarci lo
avrebbe fatto all’università, no? Per quanto alle altre domande… Ne sappiamo
troppo poco, non posso risponderti… Però magari è stato solo un episodio,
magari non rivedremo mai quella creatura.»
Shane rimase teso tra le braccia di Eiji, per niente tranquillizzato.
«Sembrava che stesse cercando qualcosa…»
«E noi cercheremo lui!»
La coppietta si voltò verso Aléja, che si era intromesso di
colpo nella loro conversazione.
«…Che sei scemo?»
Il russo guardò malissimo il padrone di casa.
«Andiamo, non possiamo solo far finta di non aver visto
niente! Tra pochi giorni inizierà la pausa estiva, avremo tutto il tempo per
indagare.»
«È troppo pericoloso, non possiamo farlo!»
«Io sto con Aléja.»
Eiji guardò incredulo il suo ragazzo.
«Voglio capirci di più. Voglio sapere cos’era quella cosa e
da dove veniva. Non posso vivere con questo dubbio.»
Il giapponese si morse le labbra, cercando di pensare a
qualche scusa che facesse desistere i suoi due compagni da quell’impresa, ma
alla fine arrivò alla conclusione che niente avrebbe fatto cambiare loro idea e
sospirò.
«Aaaaah, a furia di seguirvi
finirò ammazzato…»
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Inazuma-cho, stadio della Zeus, 5 agosto, 10:17 am
Raphael si guardò intorno, cercando di capire dove andare:
quello stadio era enorme, nonostante non fosse la prima volta che ci veniva gli
risultava ancora difficile orientarsi all’interno dei lunghi corridoi tutti
uguali.
L’americano era stato chiamato lì per una trattativa privata
esterna al suo lavoro, a volte capitava che i suoi superiori lo mettessero a
disposizione di clienti molto importanti. In quel caso doveva fare da
interprete tra i rappresentati di due magnanti, uno delle armi ed uno del
petrolio. In realtà però in quella particolare trattativa la sua presenza era
necessaria più che altro per formalità, infatti il rappresentante giapponese,
un certo Kageyama Reiji, parlava inglese in maniera a dir poco perfetta, cosa
che Raphael aveva visto fare a pochissimi giapponesi. Nonostante questo
rendesse il suo lavoro semplicissimo, l’interprete non era felice di
presenziare a quelle trattative: dopo aver ascoltato le prime conversazioni
aveva capito che i due lavoravano per persone molto importanti ed altrettanto
pericolose, rimanere impicciati nei loro affari non doveva essere un’esperienza
piacevole. Raphael aveva cercato di ascoltare il meno possibile le
conversazioni tra i rappresentanti, anche perché quel Kageyama lo inquietava
parecchio. Gli sembrava impossibile che come secondo lavoro quell’uomo facesse
l’allenatore di calcio per una squadra di ragazzini, eppure era lì, nello
stadio creato apposta per loro ed aveva anche conosciuto la squadra.
Proprio in quel momento nel corridoio risuonò una risata
cristallina, angelica e maliziosa allo stesso tempo. Raphael sapeva bene a chi
apparteneva.
«Ciao Raphael, che ci fai qui?»
L’americano sorrise al ragazzino dai lunghi capelli biondi
che gli si stava avvicinando.
«Ciao Aphrodi. Tecnicamente dovevo partecipare ad un altro
incontro tra il tuo allenatore ed il signor Smith, ma il signor Kageyama ha
posticipato tutto all’ultimo secondo.»
Il capitano della Zeus si mise a giocare con una ciocca dei
suoi capelli, senza staccare gli occhi dall’uomo che aveva davanti.
«Sì, non si è fatto vedere neanche ieri. Forse si è beccato
qualche malanno, non lo so e non mi interessa.»
Raphael deglutì, messo un po’ a disagio dallo sguardo
penetrante del ragazzo. Aveva capito da un po’ che il giovane aveva una bella
cotta per lui e l’americano era anche lusingato da ciò, ma la differenza di età
e la distanza che si sarebbe frapposta tra di loro dopo il suo ritorno in
patria lo frenava e lo spingeva a mantenere le distanze da Aphrodi. Però il
capitano della Zeus non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere l’interprete
ed ogni volta che veniva a sapere della sua presenza nella struttura lo andava
a cercare per corteggiarlo un po’.
«Comunque sei in una zona vietata ai visitatori, dovresti
andartene prima che ti veda qualcuno.»
Raphael sussultò: nonostante quello fosse uno stadio di
calcio aveva una sicurezza strettissima e delle guardie parecchio aggressive,
suo malgrado gli era già capitato di averci a che fare e non voleva ripetere
l’esperienza.
«Ehm, mi sono perso di nuovo. Mi puoi dire da che parte è
l’uscita?»
Aphrodi sorrise in maniera amabile.
«Ma certo, solo in cambio di una cosa però…»
L’americano inclinò la testa, in segno di curiosità e il suo
interlocutore sorrise.
«Voglio il tuo numero di telefono!»
Raphael arrossì, colto alla sprovvista da quella richiesta.
«M-Ma dai, che te ne devi fare del mio numero di telefono?»
Il giovane calciatore assunse un’aria fiera.
«Per poterti invitare agli allenamenti e concederti l’onore
di osservarmi giocare.»
L’americano ridacchiò sinceramente imbarazzato: Aphrodi era
parecchio vanitoso, a volte fin troppo, ma l’interprete aveva imparato a sue
spese che non era saggio farglielo notare. Inoltre era sicuro che, se avesse
rifiutato quella proposta, il ragazzo l’avrebbe lasciato lì a vagare per i
corridoi vuoti dello stadio per chissà quanto tempo.
«Va bene, se proprio ci tieni…»
Soddisfatto, Aphrodi si girò ed iniziò a fare strada. Non
volendo passare tutto il tragitto in silenzio, Raphael cercò un argomento di
cui parlare con il ragazzo. Pensando agli occhi rossastri del calciatore
all’interprete tornò in mente la spaventosa esperienza che aveva vissuto in
metro due giorni prima: nei suoi sprazzi di tempo libero aveva cercato di dare
una spiegazione all’accaduto, cercando in internet notizie di incidenti simili,
ma non aveva trovato ancora una risposta alle sue domande. Le cose che più si
avvicinavano alla sua esperienza erano vari racconti sul paranormale, aveva
anche trovato le descrizioni di alcuni fantasmi che somigliavano alla donna che
aveva visto, ma nessuno di questi aveva gli occhi rossi come quelli della
creatura della banchina. Ricordando che, quando era più piccolo, i pettegolezzi
sul paranormale erano molto comuni nella sua scuola, Raphael pensò che magari
Aphrodi sapeva qualcosa che poteva essergli utile, quindi decise di
chiederglielo.
«Aphrodi, posso farti una domanda?»
Il biondo si girò appena, incuriosito.
«Sì, dimmi.»
«Ecco… Tu sai qualcosa di strane donne con gli occhi
completamente rossi che si buttano sotto i treni e nessuno si accorge di
niente? Tipo dei fantasmi o cose così?»
Aphrodi ridacchiò, sinceramente divertito.
«Hai paura che qualche mostro ti mangi, Raphael?»
L’interprete sospirò ed arrossì appena, imbarazzato dal
fatto che un quattordicenne lo stava prendendo in giro in quel modo.
«No, è che l’altro giorno mi è accaduto proprio una cosa del
genere. Sulla banchina del treno c’era questa donna che si è buttata sui binari
mentre il treno arrivava, ma io sono l’unico ad averla notata. Inoltre mentre
salivo sul vagone sotto il treno ho scorto due occhi rossi che mi fissavano. È
stato parecchio pauroso e speravo che tu, vivendo qui, mi sapessi dire se sono
l’unico che ha vissuto un’esperienza del genere o no…»
Il giovane calciatore rimase in silenzio qualche secondo:
non voleva dubitare di Raphael, inoltre l’interprete sembrava scosso e sincero,
quindi decise di prendere la cosa seriamente.
«No, mi dispiace, non ho mai sentito di cose del genere.
Però se vuoi posso chiedere in giro, magari qualcuno è più informato di me.»
Raphael sorrise, sinceramente grato al più piccolo per
l’aiuto che gli stava offrendo.
«Questo però è un altro favore…»
Il sorriso del castano si spense, preoccupato per quello che
Aphrodi avrebbe detto da lì a poco.
«…Quindi voglio che, in cambio, passi un pomeriggio insieme
a me!»
Raphael cercò qualche argomento con cui ribattere alla
richiesta, ma subito si arrese, sospirando e tornando a sorridere: ma sì, in
fondo un appuntamento poteva concederglielo.
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Inazuma-cho, Entrata della raimon jr. High, 5 Agosto, 4:41 PM
Sebastiaan toccò il palo della luce che aveva davanti:
niente, non aveva trovato nulla di sbagliato, quello era un lampione come ce
n’erano tanti in quella strada. Eppure da lì dietro aveva visto uscire un
mostro ed era sicuro che non fosse stata un’allucinazione, quindi ci doveva
essere un’altra spiegazione. Aveva provato a chiedere discretamente informazioni
a qualche conoscente nell’esercito giapponese, ma non ne sapevano niente, né
poteva essere opera di qualche criminale, tutto troppo strano ed impossibile. L’olandese
si stava mangiando il cervello dietro a quel mistero: ci doveva essere una spiegazione
razionale, aveva solo troppe poche informazioni per trovarla.
Il biondo si nascose di nuovo dietro il palo per poter
analizzare la situazione da un’altra prospettiva, ma, come le altre volte che
ci aveva provato, arrivò solo alla conclusione che la cosa da lui vista non si
sarebbe mai potuta nascondere tanto perfettamente lì dietro. Sebastiaan
sospirò, pensando per l’ennesima volta che stava sprecando un pomeriggio, ma
poi una voce attirò la sua attenzione.
«Ehi tu, che stai facendo lì dietro?»
Hibiki Seigou avanzò minaccioso verso l’individuo nascosto
dietro il palo davanti all’entrata, pronto ad affrontarlo. Il ragazzo però uscì
tranquillamente dal rifugio con un sorriso caldo ed amichevole dipinto sul
volto.
«Stavo controllando una cosa. Mi dispiace se l’ho fatta
allarmare, non ho cattive intenzioni.»
L’allenatore scrutò da capo a piedi il giovane: si trattava
di un uomo slanciato, dal fisico asciutto ed allenato, i capelli biondi e gli
occhi di una tonalità particolare di giallo, molto simile a quello dell’oro
vecchio. Ma la cosa che più attirava l’attenzione di Hibiki era il sorriso del
ragazzo: ne aveva visti di sorrisi nella sua vita, ma di così finti ne
ricordava pochi. Decisamente sospetto.
«Chi sei? Non ti ho mai visto da queste parti.»
Il sorriso di Sebastiaan si tese per il fastidio: ma che
voleva quel vecchio? Non stava facendo nulla di male, voleva solo indagare su
quella maledetta bestia vista due giorni prima.
«Oh, non ci vengo spesso di giorno, passo di qui la mattina
presto per portare a spasso il mio cane. Mi sono ricordato di un volantino
interessante appeso al palo e volevo solo controllare se c’era ancora!»
«E come avresti potuto vederlo dietro il palo?»
Il tono saccente di Hibiki innervosì ancora di più il
biondo, che però mantenne la calma.
«Stavo solo controllando bene, non ho mica fatto qualcosa di
illegale…»
Il più grande si fece ancora avanti fino a trovarsi a pochi
centimetri dal suo interlocutore.
«Ti manda Kageyama, non è vero?»
Il sorriso di Sebastiaan scomparve, lasciando posto ad
un’espressione decisamente confusa.
«Scusi, ma non ho la minima idea di chi sia questo tipo.»
Seigou rimase a fissare il ragazzo per un’altra manciata di
secondi, poi si girò emettendo un verso stizzito.
«Non mi piaci ragazzo, finisci quello che devi fare e
vattene in fretta.»
Sebastiaan guardò con aria alterata l’allenatore varcare il
cancello della scuola e sparire, poi si girò ed iniziò a camminare per sbollire
la rabbia. Chi era quel vecchio per provare a dargli degli ordini in quella maniera
rozza e volgare? In più non aveva trovato nessun indizio che lo aiutasse a
chiarire quella vicenda. Però, rifletté il ragazzo, forse si stava concentrando
troppo sul mostro lasciandosi sfuggire dettagli importanti. E proprio mentre
formulava quel pensiero venne colpito da un’illuminazione: quella mattina non
era solo, c’era una ragazzina in quella strada ed era scappata giusto un attimo
prima della comparsa dell’essere. Forse lei c’entrava qualcosa, era una pista
che l’olandese non voleva escludere a priori. Le sue indagini sarebbero
continuate, doveva trovare solo il modo di trovare la ragazza.
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Inazuma-cho, ospedale centrale, 5 agosto, 5:05 Pm
Svolgendo la sua normale routine da un mese a quella parte,
Malia entrò nell’ospedale, salutò le infermiere e salì le scale, diretta al
secondo piano dove era ricoverato Genda. Ma, diversamente dal solito, non lo
trovò a leggere o a guardare fuori dalla finestra come al solito, bensì a
conversare in maniera fitta con il suo compagno di stanza, Sakuma. I due erano
veramente presi dalla discussione, tanto che ci impiegarono un po’ ad
accorgersi dell’arrivo della ragazza. Appena si resero conto di non essere più
soli i due smisero di colpo di parlare e il portiere accolse con un sorriso la
nuova arrivata.
«Malia-san, benvenuta. Non ci eravamo accorti che fosse già
iniziato l’orario di visita. Prego, accomodati.»
La castana rispose con un cenno a quel saluto ed andò a sedersi
al suo solito posto. La giornata andò avanti come al solito, anche se Genda
sembrava teso rispetto al solito.
«Malia-san, posso chiederti un favore?»
La ragazza inclinò appena la testa, incuriosita.
«Cosa vuoi chiedermi Genda-san?»
Il giovane portiere era un po’ in imbarazzo, ma continuò a
parlare dopo essersi schiarito la voce.
«Ecco, avrei bisogno che tu andassi alla Raimon a consegnare
una lettera a Kidou. A noi non è permesso lasciare l’ospedale e beh… Tu…»
“Tu non attireresti i
sospetti di chi ci vuole fare del male.”
Malia sapeva bene che era quello che il ragazzo non riusciva
a dirle, quindi decise di non costringerlo a continuare.
«Va bene, andrò a consegnare la lettera.»
Genda sorrise alla sua spasimante, sinceramente grato per la
sua disponibilità.
«Grazie davvero, io e Sakuma non sapevamo bene a chi altro
rivolgerci.»
E, detto questo, le porse la lettera.
Malia la guardò attentamente: la busta era sigillata, ma
sopra non c’era scritto niente e non c’era nessun francobollo, una lettera
completamente anonima.
«Mi raccomando, nessuno deve vederne il contenuto se non
Kidou, contiene informazioni importanti…»
La castana annuì: sapeva che i ragazzi della Teikoku anche
dall’ospedale si erano attivati per condurre grazie ad amici e parenti delle
indagini su ciò che era loro capitato loro contro la Zeus e lei era davvero
curiosa di sapere cosa avevano scoperto, ma se Genda voleva che la lettera
arrivasse intatta al suo ex capitano avrebbe rispettato la sua volontà.
A quel punto Malia infilò la busta nella sua borsa scolastica
e si alzò.
«Allora io vado.»
Il portiere annuì, sorridendole con aria impacciata.
«Mi dispiace che tu te ne debba andare prima…»
La ragazza scosse la testa.
«Non fa niente, questa cosa ha la priorità, no? Avremo altri
pomeriggi da passare insieme…»
«Certo, una volta uscito di qui dovrò offrirti qualcosa come
minimo per ringraziarti della tua gentilezza.»
Malia salutò il ragazzo con un inchino e si avviò verso
l’uscita dell’ospedale, senza riuscire però a trattenere un piccolo sorriso.
Dopotutto il suo amato le aveva appena chiesto di uscire con lui.
Nonostante quel pensiero felice ben piantato nella sua
mente, la castana non riusciva a fare altro che riflettere sul contenuto della
lettera che doveva consegnare: ci sarebbe stato scritto il nome di complottava
contro Genda ed i suoi amici? Sapeva per certo che i ragazzi della Teikoku
sospettavano del loro ex allenatore, ma lui era stato preso in custodia dalla
polizia dopo l’incidente con la Raimon e poi rilasciato, era innocente o si era
fatto scarcerare con qualche mezzuccio? Se fosse stato davvero lui il
responsabile di quello che era successo a Genda, Malia lo avrebbe affrontato
volentieri, lui e tutta la Zeus!
Immersa in quei pensieri, la giovane arrivò alla Raimon,
dove la squadra di calcio si stava allenando in vista della finale. Senza paura
o imbarazzo, Malia si fece avanti, attirando l’attenzione dei calciatori,
ovviamente sorpresi di vedere una ragazza molto più grande di loro entrare
nella scuola e dirigersi verso il campo di allenamento.
«Scusatemi, sto cercando Kidou Yuuto.»
Il giovane con occhialini e mantellina si fece avanti.
«Sono io.»
Malia lo salutò con un inchino formale e tirò fuori la
lettera dalla sua borsa per porgergliela.
«Genda Koujirou mi ha chiesto di consegnarti questa.»
Un po’ perplesso, il rasta prese la busta, aprendola e
tirandone fuori il contenuto. Ma, dopo pochi secondi che il centrocampista
aveva posato i suoi occhi sulle parole scritte sul foglio di carta, il ragazzo
emise un verso lamentoso e si tenne la testa con una mano, lasciando cadere la
lettera.
«Ehi Kidou, tutto bene?»
I compagni di squadra corsero subito a soccorrere il loro
amico mentre Malia, confusa ed un po’ allarmata, andò a recuperare la lettera
che Kidou aveva lasciato cadere. Con sua somma sorpresa, la diciassettenne si
rese conto di non essere in grado di leggere il contenuto della lettera, non
perché fosse scritta in una lingua a lei incomprensibile, ma perché i suoi
occhi non sembravano essere in grado di mettere a fuoco le parole. In quel
momento una delle manager, una ragazza in carne che teneva stretta a sé una
bambola di pezza, lanciò un urlo ed indicò qualcosa alle spalle della più
grande. Sempre più tesa ed inquieta, Malia si girò di scatto per vedere una
strana creatura tutta nera dall’aspetto umanoide e due grandi occhi rossi.
La bestia non era molto grande, non raggiungeva il ginocchio della ragazza, ma
le sue mani terminavano in cinque artigli lunghi ed affilati. La cosa peggiore che la
diciassettenne riusciva a notare però era che quella cosa si stava muovendo a
passi incerti verso di lei. Malia si girò verso la Raimon per dir loro di
scappare, ma tutta la squadra e lo staff, fatta eccezione della ragazza che
aveva urlato prima, sembravano pietrificati: sui loro volti era dipinta un’espressione
stupefatta, ma nessuno parlava o muoveva un muscolo, a malapena sembravano
respirare. Prima che la castana potesse fare altro il mostro si avventò su di
lei con grande velocità, emettendo un verso acutissimo e cercando di ferirla
con le sue unghia. Malia però non si fece cogliere impreparata e, imbracciata
saldamente la sua borsa per i manici, la usò come un’arma per respingere la
creaturina, che si fece un volo di qualche metro prima di cadere rovinosamente
al suolo. Nonostante questo però lo sgorbio nero si rimise in piedi, come un
neonato che imparava a camminare, e riprese ad attaccare Malia, che intanto si
difendeva come poteva con la sua cartella.
Ad un certo punto però la creatura riuscì a far breccia con
gli artigli nel tessuto della borsa, lacerandola in maniera terribile e facendo
fuoriuscire tutti i libri e i quaderni contenuti al suo interno.
Privata dalla sua “arma”, la diciassettenne cercò di pensare
velocemente a cosa fare: sarebbe potuta scappare, ma questo significava abbandonare
i ragazzi della Raimon, ancora immobili, nelle grinfie del mostro. Proprio
quando stava per gettare la spugna, un giovane uomo dai capelli biondi armato di mazza
da baseball corse verso di lei e colpì con violenza il mostro.
Sebastiaan era tornato alla Raimon nella speranza che Hibiki
se ne fosse andato e che potesse chiedere in giro se qualcuno conosceva la
ragazza che aveva visto la notte del 3 Agosto, invece si era trovato davanti una
specie di versione in miniatura della creatura su cui stava indagando che
attaccava una studentessa delle superiori. Senza un minimo di esitazione ed
armandosi di una mazza da baseball che era stata lasciata fortuitamente vicino
al cancello, l’ex militare si era gettato all’attacco, più che per senso del
dovere per il bisogno di capire qualcosa in più di quello che stava succedendo.
Nonostante il colpo ben assestato da un’arma ben più valida di una borsa piena
di libri, la creaturina si rialzò e concentrò subito le sue attenzioni
sull’olandese, attaccandolo come aveva fatto con la diciassettenne poco prima.
Cercando di difendersi, Sebastiaan decise di parare un fendente del mostro con
la sua mazza, permettendo così alla bestia di fare letteralmente a fettine la
sua arma di fortuna. Ormai disarmato, il biondo indietreggiò di qualche passo,
mentre la creatura nera avanzava, pronta a porre fine alla vita del giovane.
Vespera, che fino a quel momento era rimasta a guardare la
scena tremante, non ce la fece più e si rannicchiò su sé stessa, stringendo
forte la sua bambola e chiudendo gli occhi.
«N-Non può essere vero, deve essere un incubo! Cose del
genere non succedono nella realtà. È solo un incubo, è solo un incubo èsolounincuboèsolounincuboèsolounincubo…»
Continuando a ripetere quelle parole come un mantra, la
piccola australiana iniziò ad adottare la strategia che usava sempre quando si
risvegliava da un incubo ed iniziò a pensare a quei buffi pennuti che, per
qualche strana ragione, riuscivano sempre a tranquillizzarla. E, proprio quando
aveva iniziato a concentrarsi tanto, dal cielo cadde sulla testa del mostro una
paffuta e starnazzante papera.
Il pennuto, confuso e decisamente irritato, non ci mise molto a rimettersi in
piedi sulle sue zampe palmate e subito iniziò a guardarsi intorno, come a
cercare chi le avesse tirato quel brutto scherzo. La bestiaccia nera intanto si
era fermata e sul suo brutto muso si era formata un’espressione che si poteva
definire incredula mentre guardava la papera, espressione dipinta anche sul
volto di Malia e Sebastiaan, altrettanto sorpresi dalla comparsa dell’animale.
Quando il mostro, timoroso, fece un passetto indietro, il pennuto si girò verso
di lui e con fare aggressivo iniziò a starnazzargli contro, aprendo le ali per
risultare più minacciosa.
Attirata da quei versi familiari, Vespera riaprì gli occhi e
anche lei rimase senza parole davanti alla scena che si stava svolgendo di
fronte a lei: la papera stava riuscendo davvero a spaventare la creatura, che
ora la guardava con puro orrore, e presto la mise in fuga.
Passato il pericolo ma ancora sopraffatta dalla sorpresa, la
ragazzina dai capelli color pesca si alzò e si avvicinò a passi lenti verso i
due che avevano combattuto furiosamente fino ad un momento prima e tutti e tre
si misero a fissare la papera, che ora si era calmata ed era intenta a
sistemarsi le piume. Dopo circa un minuto, il pennuto alzò la testa per
ricambiare lo sguardo dei ragazzi e poi, con un sonoro QUACK, iniziò a svanire,
come svaniscono i miraggi nei cartoni animati.
Non avendo più l’animale su cui concentrarsi, Sebastiaan
guardò la mano in cui fino ad un momento prima stringeva quel poco che restava
della mazza da baseball con cui si era difeso, ma anche quello era sparito.
«Ugh… Che cosa è successo?!»
Come liberati da un incantesimo, tutti i componenti della
Raimon ripresero a muoversi e a tenersi la testa, scossa da una strana
emicrania che andava scemando molto velocemente.
Sebastiaan, Malia e Vespera avrebbero tanto voluto
rispondere a quella domanda, ma neanche loro avevano chiara la situazione:
erano stati attaccati e quasi uccisi da una strana creatura, erano gli unici in
grado di muoversi ed agire ed erano stati salvati da una papera fantasma.
E se quella era una spiegazione, allora i morti potevano
ritornare in vita.
Il che non era del tutto impossibile…
Ma i tre ragazzi, poverini, ancora non potevano saperlo.
L’incubo sospeso tra vita e morte era appena iniziato.
××××××××××××××××××××
Siamo tornatiiiiii~
Avevo dubbi sulla lunghezza del
capitolo, ma alla fine tutto è andato come previsto. Inizia l’azione, da qui in
poi sarà tutto un degenerare. Come voglio bene ai bambini che mi avete mandato :°
Facendo le persone serie, la fic è appena
entrata nel vivo, non so ancora quanto sarà lunga ma sono certa che da qui in
avanti ci sarà parecchia più azione. Nonostante questo però penso che il quarto
sia l’ultimo capitolo che pubblicherò in questo 2015: per star dietro a Sweet Dreams ho
trascurato un po’ gli altri miei progetti e prima della fine dell’anno vorrei
pubblicare un capitolo dell’altra long che ho in corso ed uno della challenge che sto facendo.
Insomma, non ho altro da dire… Spero
che i pg siano IC, nel prossimo comparirà chi
non è comparso in questo e bon, terminiamola qui prima che collassi—
Spero che il capitolo sia piaciuto!
A presto,
Lau.