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Autore: Nori Namow    18/12/2015    5 recensioni
Nessuno aveva mai messo piede all’interno di casa Tomlinson, eppure era ormai tradizione dalle mie parti chiamarla ‘il Castello delle Bugie’.
Veniva chiamata così perché si diceva che, al suo interno, avvenissero cose fuori dal comune e che, seppur sembrasse una casa come tante altre, al suo interno si nascondessero le peggiori insidie.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Nel paese della bugia, la verità è una malattia. - G. Rodari




 

Willkommen


Metabolizzai per un attimo le parole pronunciate da Louis, poi mi riscossi dai miei pensieri. “Non fidarti di ciò che vedi.” Cosa accidenti voleva dirmi? E perché ci girava tanto intorno? Mi stava prendendo in giro, naturalmente. Offesa e ferita, mi voltai dandogli le spalle, poi incrociai le braccia al petto.
«Vai a vestirti, adesso.» sibilai affilando lo sguardo, mentre i miei occhi rimanevano fissi sul portone principale del Castello delle Bugie. Sentii Louis sospirare, poi dirigersi con passetti svelti verso il piano superiore. Mi sentii tremendamente sola in quel momento, perciò pensai di andare in cucina per cercare sua nonna e parlare una volta per tutte. Se suo nipote aveva dei problemi seri doveva curarlo, non tenerlo chiuso in casa.
M'incamminai verso la cucina dove ero stata pochi giorni prima, quando la curiosità e la paura avevano preso il pieno possesso del mio corpo.
«Ehm… Signora Susan?» la chiamai, notando che in cucina non c’era nessuno tranne me. Sbuffai, per poi voltarmi.
«Oh mio Dio!» sobbalzai impaurita, mentre la signora Susan mi sorrideva, apparsa dal nulla. Come faceva a muoversi così silenziosamente?
«Wow signora Susan, è peggio di un gatto.» sorrisi debolmente, mentre lei sfoggiava uno dei suoi sorrisi più calorosi. Anche lei era strana, come se non fosse davvero lei. Quando ero una bambina e lei veniva a Tadley per stare con il nipote e il figlio, ricordavo che attaccava briga con molte vecchiette. Non era una stronza, semplicemente era simpaticissima, chiacchierona e schietta. La donna che avevo davanti sembrava spenta, quasi irreale, e forse era dovuto alla perdita del figlio e della nuora, nonostante fossero morti molti anni prima. Ma si sa, ferite come quelle sono indelebili. Era stranamente pallida, gli occhietti già piccoli ridotti a due fessure e le rughe sul volto vennero accennate da un sorriso educato.
«Di cosa volevi parlarmi, Deike?» domandò togliendo gli occhiali da lettura, senza mai distogliere lo sguardo da me. Le mie sopracciglia si alzarono appena, perché io non avevo mai accennato a voler parlare con lei, non ad alta voce.
«Volevo parlare di.. di suo nipote.»
Susan alzò un angolo della bocca verso l’alto, e mai come in quel momento sembrò irreale, quasi un’altra persona.
«Lascia in pace Louis, cara. Sinceramente, non mi piace affatto l’effetto che hai su di lui. Oggi è persino tornato a casa dieci minuti più tardi.»
La mia bocca si spalancò dalla sorpresa, mentre Susan tamburellava con le unghie laccate di nero la superficie del tavolo. Osservai meglio le sue mani, e ricordai perfettamente che fino a pochi minuti prima non aveva lo smalto sulle unghie. Come aveva fatto a metterlo in quei pochi secondi di assenza?
«Quando ha messo lo smalto nero, signora Susan?» chiesi dunque guardandola dritta negli occhi, così simili a quelli del nipote.
«Lascia in pace mio nipote, tu non hai il diritto di portarlo via da me.» ringhiò, affilando lo sguardo come se sperasse di uccidermi. Indietreggiai appena con la schiena, facendola aderire allo schienale della sedia. Tutto nella casa sembrò perdere colore, come se i colori stessero pian piano diventando freddi. Susan cominciava a farmi paura e il mio terrore aumentò quando i suoi occhi azzurri e limpidi furono attraversati da un guizzo rosso fuoco. Gli occhi di un demone.
Mi chiesi dove fosse Louis, perché ci mettesse tanto a vestirsi. Avrei preferito vederlo ritornare con l’asciugamano, piuttosto che stare un altro minuto da sola con quella donna che mi odiava. Era completamente folle.
«Ma io sono solo sua amica, non voglio portarlo via da… da nessuno.» sussurrai a mezza voce, mentre i lineamenti facciali della donna sembravano quasi cambiare forma, diventando quelli di un animale aggressivo.
«Non riuscirai a mettermi i bastoni fra le ruote, piccola bastardella.»
Tentai di replicare e di risponderle a dovere, ma un tonfo improvviso proveniente dal salone mi fece sobbalzare. Voltai la testa verso la fonte di quel rumore, sembrava che qualcuno si stesse divertendo a sbattere la testa contro la porta. Fuori c’era un pallido sole, eppure l’interno della casa sembrava diventare sempre più freddo e nero. Un ombra grigia passò velocemente ad un palmo dal mio naso, emettendo un piccolo lamento. Cominciai a tremare.
Mi alzai immediatamente, cercando poi la signora Susan che era sparita all’improvviso. Così, pensai di chiamare l’unica persona che sembrava possedere un minimo di normalità, lì dentro.
«Louis!» urlai, sperando che mi sentisse e che si decidesse a scendere le scale.
«Forse è ora che tu te ne vada, Deike Evans.» fu più un sibilo, simile a quello di un serpente. Avvertii dei brividi di terrore attraversarmi la schiena, fin quando non mi trovai di nuovo la nonna di Louis, a pochi centimetri da me. Gli occhi avevano perso la forma umana, acquistando quella di un rettile con la pupilla a fessura.
Un vento misterioso che non proveniva dalle finestre, chiuse, mi scompigliò i capelli e sembrava spingermi fuori dalla cucina, da quella casa.
In qualche modo, spinta da qualche scarica di adrenalina, probabilmente, allungai una mano per toccare la spalla di Susan. E prima che lei riuscisse a capire il mio gesto, prima che riuscisse a ritrarsi, mi ritrovai a toccare, letteralmente, l’aria.
La mia mano non aveva afferrato la spalla di Susan, bensì vi era passata attraverso, proprio come se quella donna fosse un fantasma. In quel momento realizzai cosa fosse casa Tomlinson, mentre i battiti del cuore acceleravano a dismisura. Quella casa era infestata.
«Oh mio Dio.» sussurrai con le lacrime agli occhi, mentre la nonna di Louis mi osservava ora con fare annoiato.
«Oh che peccato, questo proprio non dovevi scoprirlo.» esclamò con tono melenso, mentre sentivo le gambe diventare molli.
«Che.. Che cosa è lei?» domandai con un filo di voce, tanto che faticai ad udirmi. Susan sorrise, facendo un passo indietro.
«Sono qualcosa che è meglio evitare, signorina Evans.» disse, diventando poi sabbia che venne portata via da un vento misterioso.
Fu a quel punto che urlai. La signora Susan si era letteralmente dissolta come se fosse stata un cumulo di sabbia, proprio davanti a me. Mi sforzai mi far muovere le gambe, ma il terrore era tanto e riuscii a fare solo un passo, arrivando nel grande soggiorno. Avvertii delle risate attorno a me, forse erano nella mia testa o semplicemente ogni mattone di quella casa stava ridendo di me. Respirai a fatica, come se qualcuno stesse togliendo tutto l’ossigeno presente nella stanza con l’intento di uccidermi e guardarmi agonizzare sul pavimento. Il rumore di un fiume, dell’acqua che scorre, mi fece guardare verso le scale.
Un’enorme quantitativo d’acqua stava attraversando le scale, come un fiume in piena. Feci due passi indietro, confusa, rassegnandomi al mio destino. Serrai gli occhi, aspettando di sentire l’onda infrangersi su di me fino a farmi sbattere contro la parete. Con un po’ di fortuna avrei sbattuto la testa e sarei morta sul colpo. Il rumore dell’acqua si fece sempre più vicino, fin quando non mi sentii afferrare per i polsi, venendo poi trascinata da qualche parte. Pochi secondi dopo sentii una ventata d’aria fresca, l’ossigeno tornare a riempirmi i polmoni, e il silenzio. Aprii piano gli occhi contornati di lacrime, trovandomi di fronte Louis che, vestito e tremendamente reale, mi osservava impaurito e respirava affannosamente. Mi aveva portato fuori dal Castello prima che l’acqua mi colpisse, eppure non sentivo più alcun rumore provenire dall’interno. Al contrario, sentii dei rumori di oggetti che venivano rotti sul pavimento, urla disumane e strilli che chiamavano Louis a gran voce. Fra le tante voci, mi sembrò addirittura di riconoscere la mia.
«Cosa succede?» trovai la forza di chiedergli, mentre una lacrima cominciò ad accarezzarmi la guancia. Louis non mi rispose, si limitò ad asciugarmi il viso con il pollice, stringendomi appena. Poi mi prese per mano e mi portò verso la mia auto, facendomi sedere al posto del passeggero. Lui entrò le lato opposto, mise in moto e cominciò a sfrecciare verso la periferia di Tadley.
 


Il sole stava scomparendo del tutto, il tramonto quel giorno era stranamente più bello del solito. Io non guardavo il tramonto, gli alberi, le nuvole. Io tremavo convulsamente, mentre la scena di pochi minuti prima mi azzannava letteralmente, facendomi trattenere il respiro.
Louis parcheggiò l’auto in un piccolo spazio al lato della strada, dopo il quale c’era il grande borsco di Tadley. Pose tutta la sua attenzione su di me, scostandomi con gentilezza una ciocca che mi offuscava la vista.
«Deike…»
«Cosa cazzo è successo in quella casa?» sbottai scostando la sua mano. Sarebbe dovuto scendere prima e tutto ciò non sarebbe accaduto. Sapeva che sua nonna era un fantasma pazzoide e mi aveva lasciata lì con lei.
Louis si mise stancamente le mani fra i capelli, appoggiando poi la fronte sul volante dell’auto.
«È complicato.»
«Complicato un cazzo. Tua nonna è morta e il suo fantasma vive a casa tua, e ha tentato di uccidermi!»
Incrociai i piedi come un indiano, fregandomene delle scarpe che sporcavano il sedile. Il guizzo rosso negli occhi di Susan fece capolino nella mia testa e tremai ancora di più.
«È questo il problema, Deike. Lei non è morta.» si morse un labbro inferiore, prima di continuare. «Lei non è… lei, ecco.»
Inarcai un sopracciglio, poi mi asciugai i residui di lacrime rimasti sulle guance.
«Spiegati meglio.» gli ordinai. Louis scatenò la sua rabbia contro il volante della mia auto, dandogli un pugno.
«Te l’avevo detto io di farti i cazzi tuoi! Te l’avevo detto di stare fuori dalla mia vita! Perché credevi che te lo dicessi, perché mi piace la mia vita asociale? È quella la mia realtà, Deike, è quello ciò che io vedo tutti i giorni!» strillò, e sembrò che l’abitacolo dell’auto non riuscisse più nemmeno a contenere quelle urla. A quel punto mi scaldai anche io, la rabbia aumentava e io avevo bisogno di sfogare tutto il panico e l’adrenalina accumulata.
«E allora spiegami cosa cazzo ci fai ancora lì! Perché non te ne sei andato, perché ti ostini a vivere lì?» gli urlai contro.
Louis fece per ribattere, poi abbassò lentamente lo sguardo. Cominciò a dire la “È”, quindi capii già la sua risposta. Mi lanciai contro di lui, aggrappandolo per il colletto della polo bianca e inchiodandolo con la schiena contro la portiera dell’auto. Sembrò terrorizzato dalla mia reazione, ma io ero un gattino indifeso in confronto al fantasma di sua nonna.
«Osa di nuovo rispondermi con la tua frase fatta, “È complicato.”, e giuro che ti spezzo le gambe. Tutte e tre.» dissi, alludendo poi al suo organo genitale. Louis arrossì vistosamente a causa del nostro contatto ravvicinato, ma i miei occhi (e le mie mani) non si azzardavano a mollare la presa. Io avevo avuto paura nonostante avessi passato in quel posto solo pochi minuti. Louis viveva tutto quello da dieci anni.
Il suo sgomento ogni qualvolta aveva visto la nonna, quei rumori quasi disumani, Louis che si rifiutava di farmi entrare in casa sua.
Pensavo fosse solo maleducazione o antipatia, invece cercava solo di proteggermi da quegl’incubi, nonostante non ci conoscessimo.
«Cosa succede a casa tua, Louis?» domandai in un sussurro, sperando che questa volta non rifiutasse il mio aiuto. Non lo conoscevo, potevo semplicemente fregarmene e dimenticare l’accaduto il prima possibile. Ma lui era lì, e sapevo che se non l’avessi aiutato io, non l’avrebbe fatto nessuno.
Lui sorrise tristemente, quasi sull’orlo delle lacrime.
«Benvenuta al Castello delle Bugie, Deike.»





 


Eccomi, dunque! Yay, finalmente accade qualcosa!
Diciamo che ho tante di quelle idee per gli ultimi capitoli della fanfiction,
che poi mi ricordo di quelli nel mezzo ed è un grande WTF.
Ciao Deike vedi che bella la nonna. Proprio affettuosa.
lololol se solo voi sapeste the truth.
E invece non la saprete mai perché sarò così sommersa dagli esami che morirò
e la storia non verrà mai conclusa. *coro di who cares*
Vi lascio, dunque! Al prossimo capitolo
@marvelastic
   
 
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