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Autore: Abzurdah    18/12/2015    0 recensioni
[Abzurdah]
Mi chiamo Cielo, si Cielo.
I miei genitori passarono tutta la mia infanzia dicendo "è una bambina speciale".
Sono la maggiore dei miei due fratelli, ma fui creata come figlia unica.
« I grandi errori si commettono sempre con il primo figlio ».
Fui la figlia prediletta dei miei genitori.
Classe benestante, vissi tutta la mia infanzia e la mia adolescenza nel denaro.
Fui sempre autosufficiente, egocentrica e superba.
Capace di pensare che qualcuno di voi è perfetto, io no.
A 18 anni mi trasferì dalla capitale, a Caballito, in un appartamento molto bello, dove rimasi le pareti sudicie di sangue.
Ma questo viene più avanti, non voglio rovinarvi il finale.
Che più? Non so.
Prima di continuare a dire chi sono, preferisco dire che non sono, non sono normale.
Genere: Drammatico, Erotico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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UNO.


Uff..Che difficile iniziare a scrivere un libro.
Beh, in primo luogo terrei che presentarmi, dirvi chi sono. O meglio, chi non sono: non sono normale.
Non sono una donna cui le cose furono difficili nella vita: mai mi toccò soffrire di difficoltà con denaro, nè divorzio dei genitori, nè problemi scolastici, diciamo que ho sempre avuto una vita sufficientemente calma fino ad annoiarmi al limiti più estremi.
Questo non vuol dire che io abbia avuto una vita perfetta. Semmai il contrario: credo che tanto annoiarsi e tanto "non succede niente" mi portarono ad angosciarmi per il nulla stesso.
Beh, dovrei scambiare un paio di chiacchiere con Nestor, il mio psicoanalista, che è chi realmente sa di che colore è il cavolo.
Il fatto è che invece di giocare alle Barbie, io leggevo racconti.
Infantili e non. Ricordo me prendere libri che i miei genitori lasciavano dimenticati sui tavoli. Ma soprattutto non avevo amiche. Letteralmente, e non sto esagerando, non avevo una fottuta amica. 
Ero sempre troppo buona, credo che questo fu il mio problema. Tutto ciò che dicevano di me mi influenzava troppo assolutamente e, siamo sinceri, i commenti dei bambini possono essere molto distruttivi.
In particolar modo se hai dodici anni e pesi 64 kg. Sì: 64 kg. Poco più che un ficus nano e già pesavo più di mio padre.
Ero scandalosamente grassa. Abominevole.
Beh, non tanto, ma questa immagine me lo faceva pensare.
Per poco pensai che la mia immagine personale era buona, che la mia autostima era elevata e stava nei limiti corretti e sperati. Ma dopo capii che non era che non avevo amiche perchè ero grassa, ma che ero grassa perchè non avevo amiche.
In realtà, io non mi vedevo male, ma mi sentivo male, quindi tutto ciò che facevo era mangiare.
Le mie compagne del collegio giocavano alla corda e io mangiavo, i miei compagni giocavano a football e io mangiavo, loro erano alunni perfetti e io mangiavo.
Mentre loro raccoglievano i fiori, io mi innamoravo stupidamente di Federico Rodriguez, un compagno con gli occhiali che mai m'avrebbe prestato attenzione.
Solo perchè pesavo 64 kg ed ero rara. E sì.
Ero la preferita dei professori, mai mancavo le lezioni, passavo la ricreazione camminando sola per il collegio senza emettere parola, e suonavo il piano come gli dei.
Una bambina che crebbe leggendo Bècquer, mentre le sue compagne giocavano a chi si colorava le labbra del colore più bello, non è normale.
E mai invitai un'amica a casa. Mai, mai, mai.
Mai mi chiamarono a telefono (forse da lì la mia fobia per i cellulari). Ma non esagero.
Credo che neanche io sapevo il mio numero a memoria. Beh, era raro, atrocemente raro.
Non soltanto perchè non avevo gli stessi vestiti di tutte le mattine, ma perchè ero abbastanza complessata grazie ai (io credo) miei genitori e i miei compagni del collegio.

Due rapidissimi esempi:


SCENA 1.

Veronica. Come dimenticarti! In qualche momento pensai che era mia amica. Risultò essere un'imbecille, come tutte.
E inoltre, fu protagonista di uno dei peggiori ricordi di quel primo collegio maledetto che frequentai.
Lei, magra e mora. Io, quasi obesa e bianca come i denti del mio gatto.
Una professoressa ci chiese se qualcuno le avrebbe potuto prendere la chitarra che si trovava dietro un armadietto di legno.
Per prenderla bisognava passare per uno spazio stretto (beh, non tanto stretto) tra la parete e l'armadietto.
Io, volenterosa e alunna prediletta, mi alzai per prenderla e successe l'ovvio: non riuscii a passare.
Ero un carro armato, ammettiamolo. Veronica-mora, graziosa, con un sorriso splendente- si avvicinò e saltellò cantando: "Io vado alla Slip, vado alla Slim, vado alla Slim, vado alla Slim, vado alla Slim."
Che altro posso aggiungere? Veronica prese la chitarra ed io arrosii dall'imbarazzo. E piansi, suppongo. Invento, perchè non me lo ricordo.
Se dovessi ricordarmi tutte le umiliazioni che ho subito, non dovrei essere viva in questo momento. Beh, come se non avessi provato ad auto-eliminarmi.

SCENA 2.

Enrique, questo è peggiore.
Tuttavia non l'ho raccontato, ma cambiai collegio quattro volte.
Veronica ed Enrique erano del mio primo collegio.
Io ero al secondo, ma siccome le mie cugine andavano al primo, e le maestre mi chiesero di non andarmene, decisi di andarle a visitare.
Quindi passai per il maledetto Pedacogico e sentì l'odore dell'umiliazione.
Ero più grassa che mai.
Mi crebbero dei rotoli di ciccia che erano abbastanza disgustosi.
Era estate, ma avevo vergogna a mostrare il mio corpo, così avevo una montagna di maglie larghe. Ancora non usavo un reggiseno, così le mie tette erano abbastanza anti-estetiche. Il calore mi soffocava. Non mento. Entrai furtivamente nell'aula e non c'era nessuno.
Andai nel patio e vidi i ragazzi giocare a football: sorprendentemente erano accompagnati dalle ragazze.
Fino a questo momento sempre fui molto femminile, o al meno credetti di esserlo.
Non mi attraversava per la testa l'idea di giocare a footbal, questo era cosa di uomini. Mi invitarono a giocare e negai (esclusa una volta). Mi sedetti tagliando l'erba del cortile della scuola, e dico "cortile" per non dover spiegare che erano diversi ettari di un bellissimo paesaggio, pieno di alberi, pini e altro.
Di seguito, tutti corsero ad arrampicarsi sugli alberi. Pericolo: non ci si arrampica sugli alberi.
Cioè, lo so, ma mai mi incoraggiava.
Ebbi la stupida idea che l'albero non poteva sopportare il mio peso. E di fatto, sentii che i rami si spezzarono sotto i miei piedi.
E' per questo che un'altra volta, mentre tutti gli altri salivano sugli alberi e giocavano a chi arrivava più in alto, io ne rimasi fuori. A terra. Con le formiche.
E i veri umani in cima.
Il problema è che dopo si stancarono di arrampicarsi e camminammo tutti insieme tra gli alberi, raccogliendo foglie e frutti e cercando fiori rospo (così chiamavamo le banane gialle che puzzavano).
Mi sentivo bene. Tutti eravamo a terra. Cuando all'improvviso, Enrique non trovò idea migliore che fare un commento filosofico.


Già ho detto che mi piaceva Enrique? Per questo quando mi guardò e aprì la bocca, il mio cuore inizio ad accellerare (oltre il fatto che stavo camminando ad una velocità considerabile per i miei 64 kg di grasso).
Enrique mi guardò e mi disse: "E pensare che quando eravamo bambini eri la più carina. Eri bella." Io arrossii e dissi sussurrando: "Grazie". Quindi Enrique proseguì:"Come cambiano le persone! No?"
Il mio mondo si dissolse. Aspettai alcuni minuti prima di mettermi a piangere. Aspettai da sola, chiaro.
Chissà, se qualche volta dopo aver scritto questo libro mi capiterà di incrociare Veronica o Enrique o qualche altro, mi diranno che non ricordano per niente questi aneddoti.
Così è l'essere umano: soggettivo e con memoria selettiva.
Non ricordo molto di questo collegio nè dei suoi integranti; ma quando molto dopo mi domandarono perchè ero anoressica e non mi credevano che fui stata grassa, io pensai dentro di me: "Già, chiedilo a Veronica o ad Enrique".

E continuando con i miei traumi, ricordo i miei genitori.
Non che non mi abbiano mai appoggiato, nulla a che vedere con questo.
Furono sempre disposti ad aiutarmi e ad accontentare i miei capricci. Sono la perfetta caratterizzazione della figlia unica di genitori di classe benestamente argentina, con discendenza italiana e spagnola.
Beh, fui figlia unica fino ai cinque anni, cuando nacque mio fratello.
In fine, la cosa è che mai smisi di essere figlia unica, non perchè i miei fratelli non esistevano, ma perchè ho sempre necessità differenti.
Sono cinque anni più grande di mio fratello e sei di mia sorella, voglio dire: le nostre necessità sono differenti, ma continuo ad avere capricci di figlia unica.


SCENA 3.

Sera. Sala da pranzo. Seduti attorno al tavolo, i miei genitori, i miei fratelli ed io. Avevo tredici anni e pesavo 64 kg, chiaro.


--Lascia la maionese-- disse papà.
--Perchè?-- domandai innocentemente.
--Perchè ingrassa molto-- mi rispose.


In quel momento la mia mente infantile non mi lasciò leggere nelle righe, ma quell'episodio fu abbastanza perturbante per farmelo ricordare anche dopo nove anni.
Mio padre stava dicendo che ero grassa, ma come sempre, nella mia casa le cose non si dicono mai direttamente.

Quella notte non lasciai la maionese, ma ben poco non riuscì a smettere di pensare alla faccia di mia madre guardandom mangiare quasi con disgusto ed è soltanto perchè lei solitamente mangiava insalata.
Ciò che mai mi domandai era perchè lei era scheletrica ed io obesa.
Non lo tenni in conto, io stavo bene.
I miei genitori mi dicevano cosa dovevo mangiare e cosa no. Iniziarono a preoccuparsi per il mio aspetto fisico ma in particolar modo si preoccuparono del fatto che non avevo amiche, perchè leggevo troppo, perchè non ricevevo chiamate telefoniche nè volevo festeggiare i miei compleanni. Queste cose sembravano non interessarle e se ne uscivano con la seguente frase "E' una bambina speciale".
Speciale. Questo fui sempre, o al meno questo ascoltavo quando si parlava di me. Questo mi facevano credere, questo volevano che io ascoltassi o questo volevano che gli altri ascoltassero. Speciale. Quindi mia madre mi fece partecipare ad un corso di pianoforte. Ai cinque anni, mia nonna (mamma di mia madre e concertista) iniziò a portarmi alle lezioni di piano.
Non è per essere vanitosa, ma ero molto brava.
Sapevo le note a memoria, tanto che mai dovetti imparare a leggerle in un pentagramma. Potevo memorizzare le note, le melodie o concerti interi. Mi annoiai di ascoltare che avevo un udito incredibile e che se mi fossi dedicata a questo sarei andata molto lontano.
Di fatto, sì. Ai dodici o tredici anni feci un concerto dove suonai qualcosa di Chopin, Bach, o l'idiota di turno. Ho questa parte della mia vita così noiosa che dare dettagli sarebbe mentire crudamente.
Il certo è che ho il foglietto del mio concerto in qualche posto del mio armadio, ed è anche certo che sono troppo comoda in questo momento da alzarmi per andare a cercarlo.
Non ero soltanto un'eccellente alunna di pianoforte, ma ero l'orgoglio della mia famiglia. I miei fratelli erano ancora troppo piccoli per suonare uno strumento (e a dire la verità, non l'avrebbero mai chiesto troppo), così che io ero l'attenzione principale della casa.
Quando veniva qualcuno, sempre mi chiedevano di suonare Bach o altro, il che non mi piaceva affatto, però lo facevo. Pensavo che mi volevano perchè suonavo il piano, e andava bene, dovevo farlo. Se la mia memoria non mi tradisce;
suonavo fino alla morte Bertini, Heller, Cimovosa, Czerny e più in seguto, Chopin e Piazzolla.
Oltre il pianoforte, mi mandarono a lezione di tennis. Ora deduco che volevano farmi perdere tutto il grasso.
Lo feci per molto tempo ed ero brava. Vedete? Questo è quello che sempre mi diede fastidio: essere brava in tutto ciò che volevo fare, o meglio: in tutto ciò che mi facevano fare. Perchè se
Perchè chissà se mi fossi fermata, ma ero molto brava in tutto.
Le mie abilità erano moltissime: danza, tennis, pianoforte, nuoto, inglese. A nove anni iniziai a studiare inglese e poco più tardi a nuotare in un club.
Ero eccellente in inglese e molto brava a nuoto. Presto iniziai competere in tornei e guadagnai tutte le competenze. Eccetto una. E ricordo che a mia "rivale" era una ragazza molto più robusta di me. Non erano ben definite le categoria, non c'era modo di vincere contro quel delfino di due metri di altezza. Persi e non tornai a nuotare in nessun torneo.
Si, ho paura all'impatto. Per questo odio gli esami e temo che molta gente legga questo libro e possa criticarmi.
Ma con il tempo e con le sfide della vita me ne feci conto che ciò che la gent epensa non mi interessa, o al meno posso fingere che non mi interessi e posso fare in modo ch la gente creda che sono autosufficiente.
Il certo è che mi preoccupo per gli altri nella linea del normale o imprevisto. 
Sì, chiaro, escludendo questa linea. Questa sono io: chi eccede ai limiti del normale. Poche volte per bene.
   
 
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