Film > Captain America
Segui la storia  |       
Autore: Northern Isa    20/12/2015    2 recensioni
«Non ho idea di dove trovare Novokov» rispose, come se questo potesse chiarire che non sarebbe stata di nessuna utilità.
«Non mi aspettavo nulla del genere.» La sedia di Fury arretrò sul pavimento lucido dell’ufficio e l’uomo si alzò. «Ma c’è qualcuno che potrebbe saperlo.»
Natasha si alzò a sua volta, aggrottando le sopracciglia con aria interrogativa.
«Il Soldato d’Inverno.»

[Winterwidow post Captain America: The Winter Soldier]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Maria Hill, Natasha Romanoff, Nick Fury, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Una folata di vento gelido aggredì il cappotto che copriva la figura di Natasha fino a metà polpaccio. Le dita della donna si strinsero intorno al bicchiere di carta che conteneva il suo caffè e ne prese un sorso. Abbassò lo sguardo sull’orologio legato al polso e sciolse le gambe intrecciate.
Dopo qualche istante, il telefono ficcato nella tasca del cappotto iniziò a vibrare. Natasha affondò la mano per portarselo un attimo dopo all’orecchio.
«Direttore Fury.»
«Una lista di indirizzi ti aspetta in una località protetta. A breve ti manderò le coordinate» esordì in tono pratico il capo dello S.H.I.E.L.D.
Natasha fece una pausa.
«Dunque sapevate fin dall’inizio come trovarlo» obiettò dopo un po’, indecisa se esprimere sorpresa o scetticismo. E Steve era stato volutamente tenuto all’oscuro di tutto.
«Certo che sì.» A sentirlo, sembrava quasi che Fury avesse percepito il pensiero inespresso della Vedova Nera. «Come è stato detto anche a Rogers, doveva essere considerato un nemico dello S.H.I.E.L.D.»
«Finché non vi è servito per arrivare a Novokov.»
Era tipico di Nick Fury: nessun agente dello S.H.I.E.L.D. sapeva con esattezza cosa facevano gli altri, né tantomeno di quante informazioni disponesse il direttore. Il sistema funzionava in quel modo e, a sentire il suo capo, non poteva esistere un modo diverso. Era così che Fury proteggeva l’organizzazione. Ora che un’organizzazione ufficiale non esisteva più, tutto questo riserbo appariva necessario. Ciononostante, in quel momento a Natasha sembrò di riuscire a condividere il pensiero di Capitan America su tutta quella segretezza: Fury poteva anche agire per il bene comune, ma alla fine erano tutti pedine nelle sue mani. O almeno era così che lei si sentiva in quel momento.
Lei, il Soldato d’Inverno, erano tutti ingranaggi di un meccanismo ben oliato da una mano sapiente.
«Ricorda quello che ti ho detto, Romanoff.» Il direttore proseguì come se non avesse udito la sua osservazione pungente. «Ti è stata affidata una missione della massima segretezza. Continueremo a muoverci su un campo minato finché non sapremo di chi possiamo fidarci.»
Natasha non era certa se Fury si riferisse al Soldato d’Inverno o alle infiltrazioni dell’HYDRA nello S.H.I.E.L.D.
«Mi sto muovendo con cautela» rispose senza scomporsi, arricciando appena le labbra carnose. «Nessuno sa cosa sto facendo.»
Era quella la ragione, tra le altre, per cui per comunicare con Fury si avvaleva di una linea irrintracciabile estranea a quelle usate dallo S.H.I.E.L.D.
«Non deve saperlo nemmeno il Capitano. Soprattutto lui. È chiaro?»
Natasha trattenne un sospiro.
«Cristallino.»
«Molto bene. Ti ho inviato le coordinate. Quanto tempo ti occorre arrivare?»
Alla Vedova Nera bastò una rapida occhiata alla schermata del telefono, poi al quadrante del suo orologio.
«Un’ora.»
 
Uscendo dal Parco Giochi, una delle ultime roccaforti dello S.H.I.E.L.D., Natasha stringeva in pugno una penna USB contenente tutte le informazioni che Fury era riuscito a procurarle avvalendosi delle risorse dell’organizzazione. Era incredibile quanto a fondo potessero scavare nelle vite delle persone. Persino il Soldato d’Inverno, che in tutti quei decenni era stato da più parti definito un fantasma, ora era diventato potenzialmente rintracciabile. Le informazioni su di lui erano iniziate a spuntare fuori da quando lui si era fatto vedere a New York e si era reso riconoscibile.
I documenti conservati nella pennetta di Natasha servivano a ricostruire tutta la vita di Barnes fino al momento della sua presunta morte: il quartiere d’origine, la base militare di Fort Lehigh, la carriera nell’esercito, le amicizie che aveva stretto in quel periodo e le missioni a cui aveva partecipato al fianco di Capitan America. Gli occhi della Vedova Nera continuavano a vedere il volto impresso sulla fotografia in bianco e nero del suo fascicolo, così diverso da quello con cui l’uomo li aveva affrontati qualche mese prima.
Natasha aveva passato in rassegna la lista di indirizzi fornitale da Fury: vecchi amici, colleghi, lontani parenti. Alcuni di quei luoghi erano stati già controllati dallo S.H.I.E.L.D.  quando Barnes era stato considerato una minaccia, ma valeva la pena dare una nuova occhiata. La ricerca sarebbe potuta risultare più o meno lunga, a seconda della fortuna che avrebbe avuto. Ma Natasha non credeva nella fortuna, così tanto valeva mettersi all’opera.
 
Negli ultimi giorni, Natasha aveva monitorato l’attività intorno alle abitazioni di soggetti che erano stati vicini a Bucky Barnes alla ricerca di tracce del Soldato d’Inverno. La sua osservazione era stata infruttuosa, non che la donna avesse nutrito speranze circa il contrario: con che faccia avrebbe potuto presentarsi ai loro usci un ex soldato che era stato dato per morto, un ex agente del KGB, specialmente dopo i fatti di cui si era reso protagonista, tornando alla ribalta della cronaca insieme all’HYDRA?
Natasha aveva sopportato lunghi appostamenti privi di risultato, resi più frustranti dal fatto che lei doveva occuparsi da sola di tutti gli incarichi che, se avessero fatto parte di una missione ufficiale dello S.H.I.E.L.D., sarebbero stati affidati a più agenti. Aveva fatto però ogni cosa con la pazienza incrollabile che l’aveva consacrata a una delle migliori spie che la Russia avesse mai avuto.
Una pazienza, si riscoprì a riflettere, che rappresentava una delle risorse fondamentali anche per un cecchino. Ma nel momento stesso in cui formulò quel pensiero, si sforzò di ricacciarlo in un angolo recondito della sua mente. Doveva concentrarsi sulla missione affidatale da Fury, non perdere tempo in inutili congetture.
La svolta intervenne nella tarda mattinata di una giornata di dicembre.
Il sergente Jonathan Walker era stato molto amico di James Barnes e Steve Rogers ai tempi della guerra, c’era una lunga serie di fotografie e lettere a confermarlo. Negli ultimi tempi, il signor Walker aveva goduto di cattive condizioni di salute, finché, una notte, un’ambulanza non era andata a prenderlo nella sua abitazione. Successivamente l’uomo era stato ricoverato in ospedale e in una casa di cura; a quanto pareva in città non viveva alcun parente, così la casa era rimasta chiusa e vuota.
Una situazione ottimale per un conoscente senza un posto dove andare.
 
Il fiato di Natasha si condensò in una nuvoletta perlacea, appena visibile sullo sfondo nero dell’edificio attiguo. Il buio calava presto, in quelle giornate d’inverno, ma non era mai assoluto, rischiarato dalle luci della periferia. La spia però sapeva bene come muoversi tra le ombre, evitando i fasci luminosi emanati dai lampioni, dalle finestre dei palazzi, dalle insegne al neon dei locali e dei supermercati aperti ventiquattro ore su ventiquattro.
L’indirizzo del signor Walker era impresso a fuoco nella sua mente; con una serie di lunghe falcate raggiunse il portone del palazzo. Niente portiere o viavai di abitanti, solo un androne stantio di muffa e ricoperto di mattonelle sbeccate.
Natasha si infilò rapidamente nella tromba delle scale, tenendosi lontana dagli usci che si affacciavano sui vari pianerottoli nel caso in cui si fossero aperti all’improvviso, persino a quell’ora di notte.
Seguendo le indicazioni che aveva letto nei file contenuti nella penna USB datale da Fury, Natasha si fermò di fronte a una porta dalla vernice scura leggermente scrostata. L’odore di muffa che proveniva dall’androne si avvertiva ancora più forte in quella parte del palazzo. Era davvero una beffa che un soldato decorato che aveva combattuto la Seconda Guerra Mondiale si fosse trovato a finire i suoi giorni in un luogo così squallido. Né Natasha aveva motivo di credere che la casa di cura in cui era stato ricoverato fosse in condizioni migliori.
La Vedova Nera controllò ancora una volta il perimetro, poi tornò ad avvicinarsi all’uscio. La sua mano guantata avvolse il pomello della porta e lei diede una leggera spinta. La serratura presentava tracce di scasso, sebbene abilmente mascherate. Il sangue iniziò a fluire più rapidamente mentre tutti i sensi dell’agente si tendevano, in previsione di ciò che sarebbe seguito di lì a poco.
Natasha spinse via la porta con la mano libera, mentre l’altra impugnava la pistola, disegnando un sottile spicchio di luce fioca sul pavimento. Quando se la richiuse alle spalle, questa non emise nemmeno un sussurro. Nel silenzio della stanza, il familiare rumore meccanico del cane di una pistola risuonò nettamente.
La donna, che ancora mostrava la schiena a una stanza immersa nell’oscurità, non si mosse.
«Abbassa quell’arma, Barnes. Non ce n’è bisogno.»
Non le rispose alcun movimento.
Non era la prima volta che Natasha si sentiva nel mirino del Soldato d’Inverno; tempo addietro lui non avrebbe avuto alcuna esitazione a premere il grilletto e a eliminare ciò che poteva ridursi a una variabile non considerata all’interno dei suoi piani. Forse Rogers aveva ragione, pensò: forse James aveva davvero iniziato a ricordare qualcosa.
Ruotò pian piano su se stessa, senza movimenti bruschi che potessero allarmare il Soldato d’Inverno. Tuttavia la mano destra stringeva saldamente la sua arma e non l’avrebbe lasciata andare prima di avere la certezza che Barnes avrebbe fatto lo stesso.
Anche lei, in passato, avrebbe prima sparato, poi fatto domande. Ma aveva abbandonato quella vita da molto, molto tempo. Quella sera aveva una missione: l’uomo non era il suo nemico, ma l’oggetto del suo incarico. Non dovevano esserci sprechi di piombo, a meno che non si fosse rivelato strettamente necessario.
La figura di Bucky era immersa nella penombra, solo il suo braccio meccanico risaltava nell’oscurità, riflettendo la debole luce che filtrava dalle finestre. Il resto della figura era vestita completamente di nero e il viso era parzialmente nascosto dai capelli scuri. La protesi bionica sembrava quindi quasi sospesa nel vuoto, con quella spettrale stella rossa dipinta sulla spalla.
Il braccio destro, quello che conservava ancora qualche traccia di umanità, era teso di fronte a lui e impugnava la pistola mirando alla sua testa.
«Barnes. Abbassa l’arma» ripeté senza incrinare il tono. «Sono qui per parlare.»
Il Soldato d’Inverno rimase in quella posizione rigida, ma non sparò. Natasha immaginò quindi che le avrebbe concesso il tempo di spiegarsi.
«Chi sei?» domandò una voce gutturale e impastata.
La domanda non era di facile risposta. Natasha era così tante cose che in alcuni momenti aveva perso di vista se stessa. Nel tempo si era evoluta, diventando a ogni decade la versione migliorata di se stessa, almeno secondo i parametri della gente per cui lavorava. Era stata un’assassina del KGB, una spia russa durante la Guerra Fredda. Era un agente dello S.H.I.E.L.D. e un membro dei Vendicatori. Ma nessuna di quelle risposte, isolatamente presa, era esaustiva. Né il loro insieme valeva a definirla correttamente.
Ma esisteva davvero una definizione corretta per lei? A volte Natasha se lo chiedeva.
«Puoi abbassare quella pistola, Barnes» ripeté per la terza volta. «Lo S.H.I.E.L.D. ha bisogno di te, sono qui per chiedere il tuo aiuto.»
Esisteva ancora uno S.H.I.E.L.D. che potesse avere bisogno di qualsiasi cosa? Natasha archiviò la domanda; non le importava cosa si diceva in giro, Fury era ancora vivo e con lui anche l’agenzia segreta.
Il pugno del Soldato d’Inverno rimase sospeso a mezz’aria, ma poi, dopo qualche istante, iniziò ad abbassarsi gradualmente. Lo sguardo dell’uomo tuttavia rimaneva vigile e determinato, la scrutava in quel modo implacabile che Natasha aveva già sperimentato.
«Lo S.H.I.E.L.D.?» ringhiò, aggrottando la fronte, parzialmente nascosta dai capelli scuri. «Pensavo che avrebbe preferito vedermi morto.»
Natasha si riscoprì a inarcare le sopracciglia e sollevare lo sguardo. Non era totalmente falso, lei non dimenticava il tono duro con cui Fury aveva impartito i suoi ordini circa il Soldato d’Inverno. Tuttavia alcune cose erano cambiate e Barnes doveva saperlo.
«Abbiamo bisogno di trovare un uomo e crediamo che tu possa darci una mano.»
Nel silenzio risuonò un suono basso e roco e solo successivamente Natasha si accorse che James stava ridendo.
«Dovete essere disperati se avete bisogno chiedere il mio aiuto.»
Lo erano, ammise a se stessa la Vedova Nera, ma omise di dargli ragione così apertamente.
«Leonid Novokov. Questo nome ti dice qualcosa?»
Barnes tacque e aggrottò ulteriormente la fronte. Stringeva ancora la pistola, ma Natasha non era più sotto tiro.
«Dovrebbe?» rispose. Ma a giudicare dalla leggera incrinatura del tono, era proprio così.
«È fuggito quando la camera di stasi in cui si trovava è andata distrutta in un terremoto. È stato addestrato nella Stanza Rossa, come me. Ci hai addestrati entrambi, Barnes. Non ricordi?»
Lo aveva fatto. Aveva aperto le porte a un passato che per metà della sua vita si era impegnata a tagliare fuori.
La prevedibile reticenza con cui aveva accolto la missione assegnatale da Fury tornò a manifestarsi e le incollò la lingua al palato. Ora che si trovava di fronte a James, tutto ciò che aveva vissuto in Russia sembrava di nuovo così vivido, nonostante i lavaggi del cervello ai quali era stata sottoposta le avessero messo davanti agli occhi una realtà fittizia.
Se serrava le palpebre, rivedeva una versione più giovane di se stessa, con indosso un tutù e un body teso sulle sue forme ancora acerbe, intenta a eseguire un pas assemblé al Teatro Bol'šoj. Ma a volte la sua memoria veniva come strappata, riportando brandelli di una realtà diversa che era ermeticamente racchiusa nel suo subconscio. E allora non ascoltava più le note di un piano, ma solo voci impostate, rumore di spari, colpi secchi. Ricominciava persino a provare dolore, nonostante le percosse e le lesioni subite fossero ormai remote nel tempo.
Natasha avrebbe preferito che i processi di cancellazione della memoria che aveva subito ad opera del KGB fossero stati definitivi. Invece, come aveva avuto modo di accorgersi, la vera lei restava da qualche parte, nascosta e quasi soffocata dalla personalità soverchiante che le avevano attribuito, ma pronta a riaffiorare, portandosi dietro il peso dei ricordi che era riuscita a preservare.
Con i ricordi, riaffiorava la coscienza, e con essa altro dolore, insieme ai sensi di colpa.
Nick Fury e Steve Rogers potevano dire tutto ciò che volevano sul conto del Soldato d’Inverno, ma nessuno di loro avrebbe saputo veramente cosa aveva vissuto, cosa gli era successo. Natasha, invece, sapeva, perché era accaduto anche a lei.
Non aveva mai staccato gli occhi da Barnes, in attesa di registrare anche la più piccola reazione da parte sua. Aveva portato l’uomo a un bivio, lo stesso al quale lei era stata condotta da Fury. Ricordare o rifiutare. Collaborare con lo S.H.I.E.L.D. o cercare l’oblio.
Natasha non aveva mai avuto una scelta reale. L’organizzazione le aveva fornito tutto ciò di cui aveva bisogno per mettersi alle spalle il passato nei servizi segreti russi.
Se ciò che immaginava su di lui era esatto, nemmeno Barnes avrebbe avuto una scelta. La proposta di Natasha era pura formalità.
«Sì, ricordo» rispose dopo un po’ il Soldato d’Inverno, a voce così bassa che la Vedova Nera ebbe quasi difficoltà a udirla.
Entrambi si erano lasciati quel bivio alle spalle.


NdA: rieccomi con il secondo capitolo di questa storia. Qui ci sono alcuni elementi tratti dalla prima stagione di Agents of S.H.I.E.L.D. (come il Parco Giochi) e dai fumetti. Nei numeri de "Il Soldato d'Inverno" si legge del passato di Bucky e Natasha, della Stanza Rossa e di ciò che è accaduto nella divisione scientifica del KGB. Si tratta di elementi che mi hanno colpita moltissimo, perciò ne infilerò qualcuno anche nei prossimi capitoli.
Un ringraziamento a chi legge e recensisce questa fic!

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: Northern Isa