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Autore: giulib16    22/12/2015    1 recensioni
Adelya è una ragazza come tante altre; o almeno così credeva. Finchè un giorno le arriva una lettera sospetta, da un anonimo. Ed è proprio qui che comincia la sua avventura. é qui che scoprirà di essere una dei quindici Teller.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella giornata poteva sembrare normale, noiosa, monotona, simile a tante altre, se non per il fatto che quel giorno fu l’inizio della fine. Mi svegliai verso le otto del mattino; I miei compagni dovevano essere già a scuola, ma non m’importava perché avevo deciso che quel giorno non ci sarei andata. Ecco, non è che questa fosse un’esclusiva della mia scuola, o un premio speciale da parte del preside per la sottoscritta. Solamente ero libera di stare a casa quando volevo, più o meno (Mi impegnavo per non superare il numero massimo di assenze in modo da non essere bocciata). Vi starete chiedendo: E i tuoi genitori? Beh, non avevano modo di opporsi, dato che non li avevo mai conosciuti. Vivo da sola fin da quando ho memoria. Oh, non vi dispiacete, vivere da soli è uno sballo. Se non per il fatto che devi fare le pulizie, cucinare ogni sera, andare a fare la spesa e cose così. Ma una volta fatta l’abitudine, diventa una cosa piacevole. Vivevo in un appartamentino di un condominio vecchio. Aveva solo tre stanze : Il soggiorno (Che faceva anche da cucina), il bagno e la camera da letto. Anche se era piccolo, per una persona sola era perfetto. Non andavo a lavorare, infatti a mantenermi era un lontano zio che non avevo mai visto, che non era mai venuto a farmi visita. Ma se mi offriva dei soldi, andava bene così, era una sua scelta. Non che vivessi nel lusso, ma era abbastanza per sopravvivere. E se un giorno fosse venuto a ricattarmi e a rivendicare tutti i suoi soldi, semplicemente me la sarei svignata. Mi bevvi la solita tazza di caffè accompagnata dall’ultima fetta di cheesecake. M’infilai sotto la doccia, con l’acqua calda e abbondante sapone all’aroma di lavanda. Mi misi le prime cose che trovai: Un paio di jeans strappati, una felpa extra large e delle converse ormai rovinate. Di solito mi svegliavo molto più tardi e rimanevo in pigiama a guardare la televisione, ma quella mattina avevo un appuntamento. Non quel tipo di appuntamento, era una cosa mille volte meno romantica. Anzi, non lo era affatto, era tutto il contrario. Mettiamola così, era più che altro una questione di affari, molto complicata da spiegare.
Misi un giaccone caldo, e uscii di casa. Appena varcai la porta d’ingresso un freddo gelido mi colpì il viso, costringendomi quasi a socchiudere gli occhi. Il naso mi si era arrossato, come le guance. Odiavo il freddo, l’inverno, la neve … ero più un tipo da estate. In un’altra occasione avrei fatto dietro front e sarei tornata a casa, sotto le coperte, con una cioccolata calda fumante. Ma ormai l’appuntamento era preso, anzi ero anche in ritardo. Accelerai il passo. Percorsi tutta la via del mio condominio, per poi svoltare in un vialetto secondario così stretto che io ci entravo a malapena. Questo finiva in un vicolo cieco, ma vi era una scala. Mi arrampicai su di essa. Mi ritrovai sul soffitto di una casa abbandonata. Da qui saltai su un'altra villa e da questa mi calai in un viottolo nascosto, dietro il teatro. Era quello il luogo dell’appuntamento, ma stranamente non c’era ancora nessuno. Mi accomodai su un cassonetto della spazzatura verde, raggomitolata dentro il giaccone, con il cappuccio abbassato sul viso.
“Allora, tu devi essere Adelya …” Sollevai lo sguardo.
“Non ti ho mai visto prima” Dissi, saltando giù dal cassonetto. “Sei nuovo?”
“Beh, diciamo così” Era un ragazzo di colore, abbastanza alto. Sotto la felpa di lana si intravedevano i muscoli, frutto di ore di allenamento. Era nuovo, ma tenace.
“Perché non è venuto Jefferson?” chiesi scrutandolo, cercando di guardare verso il basso per nascondere il mio viso.
“Aveva questioni più importanti di cui occuparsi” disse, con tono mellifluo.
“E cosa mi dice che tu sei affidabile, novellino?”
“Sei in debito, ragazza. Noi ti abbiamo aiutato, ora devi pagare” Abbassai le spalle. Aveva ragione. Ma la prossima volta che avessi visto Jefferson gliene avrei dette quattro come si deve. “E Non chiamarmi mai novellino” concluse.
“Neanche se odio il modo in cui parli, il tuo odioso accento canadese, e il fatto che sei solo una formichina ?”
“Già” Confermò lui.
“Come vuoi, novellino. Allora cosa devo fare?”
Penso che qui ci voglia una spiegazione. Dunque, qualche tempo fa avevo conosciuto Jefferson una notte estiva in discoteca. Mi aveva scortato a casa, e da quella sera era diventato la cosa più vicina ad un amico che avessi mai avuto. Non era esattamente un ragazzo modello. Apparteneva ad una gang di strada, e non sarei sicura di quanto fosse pulita la sua fedina penale. Ma era onesto e altruista. Così quando venne a sapere che ricercavo da tempo indizi sui miei genitori (Chi erano? Perché mi avevano abbandonata? Dov’erano adesso?) , decise di aiutarmi. Investigammo per un po’ di tempo, ma non potemmo fare di più che cercare di contattare lo zio che mi inviava i soldi, che però non rispose mai. presto capimmo che da soli non ce la potevamo fare. Così chiese aiuto ai suoi “Amici” della gang. Loro ci aiutarono, fin quando, un giorno, arrivai a scoprire la verità, grazie alla loro capacità di scassinare le serrature. Infatti, tramite gli archivi scoprimmo il nome di colui che aveva comprato il mio appartamento. Deducemmo che si doveva trattare di mio zio. Facemmo altre indagini sul suo cognome e scoprimmo che aveva una sorella mia madre, Natalie Hendersen, sposata con un certo John Rockwood. Ero sicura che fossero i miei genitori anche perché avevano entrambi il mio stesso gruppo sanguigno, e un po’ solo perché mi piaceva l’idea di aver finalmente capito chi erano. Solo in seguito scoprimmo che avevano effettivamente una figlia di nome Adelya, come me. Purtroppo erano deceduti due anni dopo la mia nascita. Una volta che il caso fu risolto, dovevo ripagare il favore. Uno di loro, infatti, era stato arrestato per violazione di privacy, appropriamento di dati riservati e effrazione di proprietà privata. Era finito in cella per questo motivo, e per un’altra decina di crimini che però non erano colpa mia. In ogni caso, ora ero in debito e ogni tanto mi contattavano per compiere dei lavoretti.
Lui si avvicinò. “Ok, dentro al teatro, c’è un pezzo grosso. È venuta qui per assistere alla prima di Un lago per le lacrime di Jenna. Sala 9, prima fila.”
“Identificazione dell’obbiettivo?”
“è una signora di circa ottant’anni”
“Ehm … mi avete chiamata per una vecchietta? Rammolliti …”
“Non per la vecchia, ma per la sua borsa” lo guardai male.
“Sarà come rubare le caramelle ad un bambino!” esclamai, superficiale.
“Soltanto che al posto del bambino ci sono quattro colossi palestrati”
“Oh, ok. Questo potrebbe cambiare le cose. Ma, dio, cosa ci fanno quattro energumeni con una vecchietta?”
“Quella vecchietta è ricca come la regina d’Inghilterra. Ci serve il codice del suo conto. Abbiamo un ragazzo che può hackerare la banca, ma ci serve il codice per accedere al suo conto. È da tempo che puntiamo a questa preda, e non ti devi fare scappare l’occasione, o si arrabbieranno molto. Perciò prendi il portafogli dentro la borsetta di coccodrillo, e torna qui. Poi ti aiuto io.” Disse deciso.
“Va bene, ho fatto cose peggiori. Ci vediamo dopo … come ti chiami?”
“Non-ti-importa Non-te-lo-dico”
“Simpatico il novellino … ti cacceranno fuori a calci” dissi, girandomi dall’altro lato, per uscire dal vicolo.
“Sei solo una ragazzina” Borbottò. Ma ormai era tardi per ribattere.
Avevo costeggiato il lato destro dell’edificio, per entrare dall’ingresso principale. Varcai la porta di legno intarsiata d’oro. Il teatro era un edificio importante nella nostra città. All’interno c’era la commessa, che mi guardò con aria superficiale. Squadrò il mio abbigliamento, e fece una smorfia di dissenso. Poi aggiustò gli occhiali sul naso appuntito, e chiese: “Bambina, se stai cercando la Caritas, è tra un isolato” Bambina? Questo sì che era offensivo.
“No, veramente volevo usare il bagno” Lei mi fissò accigliata. “ La prego, è urgente. Poi me ne vado subito”
Sospirò frustrata per poi dire: “Seconda porta a destra”. Mi avviai verso la porta. Cercai il bagno delle signore. Quando entrai un forte odore di detersivo mi invase. Wow, dovevano andarci meno pesanti. Aspettai davanti ai lavandini, quando una signora uscì dalla cabina del water. Venne a lavarsi le mani.
“Salve” Le feci io.
“Oh … salve” Fece lei disorientata.
“Cosa andrà a vedere?”
“Ehm … Un lago Per Le Lacrime di Jenna” rispose mettendo il sapone.
“Che coincidenza, anche io!” feci. “Senta, ha il rossetto un po’ sbavato”
“SUL SERIO?” rispose lei allarmata, sgranando gli occhi.
“Sì, proprio qui. Lasci che la aiuti.”
Avvicinai la mano al viso come per levare il rossetto, ma due secondi prima di toccare la morbida pelle accelerai il movimento del mio braccio e le sferrai un pugno sullo zigomo. Lei cadde a terra, mentre io ritrassi la mano esclamando dal dolore. Era sicuramente rifatta! In ogni caso il colpo era bastato per tramortirla. Adesso era sdraiata a terra, con le mani ancora insaponate. Bene. Dieci minuti dopo uscii dal bagno che sembravo un’altra persona. Indossavo un vestito nero lungo fino alle caviglie, un elegante collier di perle, un cappellino inclinato sulla testa rivestito di velluto. Eh sì, avevo preso in prestito i vestiti della donna nel bagno, che ora era chiusa sul water e indossava i miei vestiti. Avevo anche indossato un rossetto rosso che avevo trovato nella sua borsa. Ora ero uguale a lei, non contando i capelli castani che però avevo raccolto in una crocchia sotto il cappello. Passai dall’ingresso, e vidi di nuovo quell’odiosa commessa.
“Signorina! Temevo per voi, lo spettacolo sta per iniziare!” poi si avvicinò “Miss Wackets la sta aspettando”
“La ringrazio” Dissi modificando il timbro della mia voce, misurando ogni singola parola.
“Mi segua” la signorotta camminava sui tacchi vertiginosi, ancheggiando in modo spudorato. Arrivammo davanti alla porta di legno. Lei la aprì e mi fece cenno di entrare, chinando leggermente la testa quando le passai davanti. Adesso capivo perché il teatro fosse un gran vanto per la nostra città. Mi ritrovai nel bel mezzo di una sala circolare, con il soffitto alto non so quanti metri. Una schiera infinita di sedie si estendeva tutti intorno a me, e alcune perfino sulle balconate dorate piene di intarsi elaborati. Nell’oscurità risplendeva invece il palco, sopraelevato e incorniciato dalle tende di velluto rosso del sipario. Una musica grave, profonda, e suggestiva invadeva l’ambiente. Poi la voce mielosa della signora dell’ingresso mi raggiunse.
“Signorina, Miss Wackets è in prima fila …”
Ritornai alla realtà. Annuii, e m’incamminai per il corridoio centrale tra i posti a sedere. Poi notai un cappello chiaro pieno di piume in lontananza. Aumentai la velocità e raggiunsi la prima fila. E la vidi. La signora Wackets. Mi faceva quasi tenerezza. Dimostrava pienamente i suoi ottant’anni. Le spalle erano ricurve, la carnagione bianchissima, il volto solcato da una fittissima ragnatela di rughe. Gli occhi piccoli e stanchi contemplavano il palco estasiati, come se fosse la prima volta a teatro (Anche se sicuramente non era così). Le labbra sottili erano leggermente schiuse, mentre il petto si alzava e abbassava al ritmo del respiro. Sembrava così indifesa … peccato che avrei dovuto derubarla nel giro di pochi minuti. La poltrona di fianco alla sua era vuota, intuii che era per me. Quando si accorse che ero arrivata, mi rivolse un gentile sorriso, che ricambiai. Mi accomodai. Proprio in quel momento gli attori entravano in scena, e una ragazza si inoltrò in un triste monologo.
“ … non mi era rimasto altro che il mio cavallo ... ero in rovina, al verde, da sola. Nessuno avrebbe aiutato una povera orfana a proprie spese …” la voce dell’attrice era decisa, ma allo stesso tempo rattristata, come se le fosse veramente successo tutto ciò che raccontava. Rimasi rapita dalla sua bravura, e ben presto mi ritrovai a seguire lo spettacolo. Era una storia interessante, e ci ritrovai un po’ di me stessa.
“Sapevo che ti sarebbe piaciuto” disse la signora Wackets, sporgendosi verso di me “è stato inutile lamentarsi così tanto, cara”
“Ehm … Concordo” Dissi, un po’ disorientata.
“Ti senti bene?” Ero un po’ infastidita, perché avrei davvero voluto continuare a seguire lo spettacolo … ma avevo una missione da compiere.
“Sì, certo, mai sentita meglio, signora”
“Signora? Da quando chiami tua nonna signora?” Ops.
“Oh, beh, stavo solo scherzando, nonnina” dissi, con una leggera risata nervosa. No, non ero proprio brava come attrice.
“Oh, va bene, pensavo che avessi un senso dell’umorismo più sottile cara”
Poi ritornò a sedersi composta, poggiando la schiena curva sullo schienale. Mi guardai intorno per sondare la situazione, ma mi accorsi che … non c’era nessuno. Il teatro era vuoto, eccetto per noi.
“Nonna?” chiamai la signora Wackets.
“Dimmi cara, ma in fretta, sta per arrivare il punto più bello” disse, mantenendo gli occhi fissi sull’attrice, che adesso stava cantando a squarcia gola.
“sì … ecco … volevo chiedere, perché ci siamo solo noi? Qui a teatro intendo.”
Lei si girò stupita verso di me. “Stai scherzando? Sei stata tu a chiedermi di prenotare tutta la sala … Di solito quando andiamo a teatro facciamo sempre così. Dici sempre che tutto il chiacchiericcio della media borghesia ti impedisce di entrare nella storia …”
“Oh, certo, certo” Che viziata che doveva essere quella ragazza, cioè, io.
“E le tue guardie del corpo?” Azzardai.
L’attrice cadde sul pavimento, con un urlo straziato e un tonfo sordo. Miss Wackets sussultò. Dovetti ripetere la domanda.
“Bill e Robbie? Due bravi ragazzi …”
“No, dove sono?”
“Li avevi mandati a comprare i tuoi snack dietetici preferiti, ricordi? Dovrebbero essere di ritorno ormai … speriamo che arrivino prima della fine. Volevo proprio sgranocchiare una di quelle ciambelline ai cereali e al mirtillo prima della morte del fidanzato …”
“Quindi ci siamo solo noi a teatro?”
“Ma cosa sono tutte queste domande? Tua madre dice che sei sempre silenziosa e introversa”
“Nonna? Potresti rispondere?”
“Cielo, sì, ci siamo solo noi e la signora dell’ingresso, Mrs Kattereine. Ora però fai silenzio, cara”.
Entrò in scena un bel ragazzo, cantando una melodia trionfante. Si mise a ballare con la protagonista, facendola volteggiare per tutto il palco. Deglutii. Fra poco le guardie del corpo sarebbero tornate, era l’unica opportunità per agire. Notai che la borsa della nonna era proprio ai suoi piedi, a terra. Mi chinai nel modo più disinvolto che mi riuscì, ma lei mosse i piedi, innervosita. Riprovai altre tre volte, quando al quarto tentativo mi richiamò:
“Angelina? Cosa cerchi di fare?”
“Nulla, penso mi sia caduto un anello nella tua borsa” Azzardai con voce tremolante.
“Controllerò alla fine dello spettacolo”.
Sospirai frustrata, portandomi una mano alla testa. Il ragazzo fuori mi stava aspettando … Ok, piano B. Era ora di agire. Contai fino a tre: Uno … entrò in scena un attore vestito da militare Due … tirò fuori la pistola Tre … sparò al fidanzato della protagonista. Proprio in quell’attimo, quando il proiettile colpì il corpo del ragazzo con una piccola esplosione e un suono rimbombante, mi abbassai con un movimento fulmineo, presi la borsa, e corsi via.
“ANGELINA! MA COSA FAI?” Chiese la dolce vecchietta sbigottita.
“Mi dispiace nonnina!” Dissi correndo verso l’uscita “Ma mi sa che ti ho proprio fregata”
mi tolsi il cappello che limitava la visuale e mi sfilai i tacchi in corsa. Uscii dalla sala, sentendo le urla della signora Wackets dietro di me e la musica che si interrompeva bruscamente. Ero quasi fuori. Quando vidi la signora dell’Ingresso. OH – OH.
“Signorina Wackets … Cosa … Non capisco …” balbettò lei.
“Oh, Levati di torno brutta racchia!” Le urlai, spintonandola di lato. Spinsi la porta e ormai ero fuori.
Corsi più veloce che potevo sul retro, dove c’era il ragazzo di colore che mi aspettava.
“Ho … la … borsa …” dissi ansimando, lanciandogliela. Ad un certo punto sentii la sirena della polizia. Cavolo. Il ragazzo nero afferrò la borsa, frugò dentro, ed estrasse una busta gonfia color ocra, per poi mettersela in tasca.
“Fatto!” Esclamò. “Bene, ora sloggiamo”
“Ok, reggi la borsa, ti aiuto a salire” Disse lui indicando il cassonetto. Da lì potevamo arrampicarci sull’edificio e tornare da dove eravamo venuti. Presi la borsa e lui si arrampicò agilmente. Una volta su, feci per porgergli le mani, in modo che mi aiutasse.
“Ehm … mi spiace, baby, ma non mi servi più …” Disse alzando le spalle.
“Che cosa fai?”
Sentii dei passi avvicinarsi.
“Me ne vado! Ci si vede!” rispose, scomparendo dietro il muretto della terrazza. Il cuore mi stava scoppiando, i polmoni andavano a mille. Poi due agenti di polizia e le guardie del corpo della signora Wackets spuntarono davanti a me.
“P-p-posso spiegare …” Dissi.
“Quella borsa” Fece uno di loro, puntando la pistola verso la borsetta di coccodrillo “Non appartiene a te, giusto?”
“No, ma …”
“è della signora Wackets?”
“no, cioè, sì, ma …”
“è abbastanza, ragazza, sei in arresto. Prendetela!” Comandò.
Le due guardie mi si avvicinarono, con delle manette. Erano veramente enorme. Mi ritrassi, fin che la mia schiena toccò la parete del vicolo cieco.
“Calmati ragazza! Ormai è fatta, sei una piccola delinquente, non puoi scappare!”
“No, vi prego, non è colpa mia …” Stavano per prendermi quando … Urlarono tutt’e due di dolore.
“NON VI AZZARDATE A TOCCARLA!!!” sentii.
Sollevai lo sguardo verso il punto da cui era scappato il ragazzo. Era Jefferson!
“Jeff! Cosa fai qui?”
“Ti tiro fuori dai guai! Corri!”
Mi arrampicai furiosamente sul cassonetto, e salii sul tetto con l’aiuto delle braccia del mio amico. Poi corremmo come dei pazzi, fino a che i piedi cominciarono a farci male e i polmoni minacciarono di esplodere. A quel punto ci accucciamo dentro dei bagni pubblici guasti.
“Grazie …” Dissi appena recuperai fiato.
“Nulla … sapevo che quello stupido del novellino avrebbe fatto una cosa del genere. Ma questo è troppo! Tu hai pagato il tuo debito, ora possiamo abbandonare la gang. Non voglio più avere niente a che fare con loro” Annuii, in parte sollevata.
Quando i poliziotti spuntarono dalla porta. Questa volta con i rinforzi.
“Trovati!” Esclamò il poliziotto più grosso.
“Cavolo! Pensavo di averli seminati!” disse Jefferson.
“Ormai siete in arresto. Arrendetevi” Si avvicinarono con le manette. Non avevamo via di scampo, era fatta.
Questa era la volta buona che ci avrebbero veramente portati al fresco, che avrebbero scoperto che abitavo da sola, e che mi avrebbero levato tutto. Ma ormai non potevo fare nulla. Porsi i polsi, in segno di resa. Poi vidi lo sguardo afflitto di Jefferson, il mio unico amico, che si consegnava alla polizia essendo innocente. Aveva fatto di tutto per aiutarmi, per proteggermi. Ma non era colpa mia … era stato quello stupido ragazzo! A me non interessava nulla di tutta quella faccenda! A me non importava della signora Wackets! Questi pensieri rimbombavano a tutto volume nella mia testa. Il poliziotto stava per chiudere le manette sulle mie braccia, quando i nostri sguardi si incrociarono. Avvenne tutto in un attimo. Ripose le manette, si girò come ipnotizzato e uscì dal bagno. Lo stesso fecero tutti gli altri. Guardai Jefferson, terrorizzata. Ci sporgemmo per guardare sulla strada … se ne stavano andando tutti. Veramente. Ma che cosa era successo?
   
 
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