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Autore: WaterfallFromTheSky    24/12/2015    1 recensioni
Haruko è solo una innocente ragazzina quando Lady Kagami irrompe nella sua vita, stravolgendogliela. Da quel momento, la giovane sarà costretta a fingere, a fare cose che logoreranno la sua anima, tutto per salvare se stessa e suo fratello. Riuscirà nel suo intento? Sarà capace, la ragazza, di mantenere intatti i suoi principi?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 3
 
Il giorno dopo fu convocata da Kagami; si recò da lei immediatamente. Sebbene la detestasse, aveva sempre cercato di essere impeccabile sotto ogni aspetto, per non contrariarla e per non attirare l'attenzione su di sè. Del resto, il segreto per uccidere senza farsi scoprire era proprio quello: non attirare l'attenzione.
-Partirai domani, all'alba. Devi di nuovo penetrare nel castello come cameriera-
-Devo uccidere Gohda e famiglia, signora?-
-Non è necessario. Se ci riesci tanto meglio, ma non importa. Tanto moriranno comunque quando assalteremo il castello. No, tu devi solo recapitare un messaggio a Gohda Motohide. In questi giorni è ospite al castello, quindi non dovresti trovare difficoltà ad incontrarlo-
-Sarà fatto-
-Motohide ti informerà del contenuto del messaggio, devi saperlo anche tu. Devi farglielo recapitare entro due giorni al massimo-
-Sissignora-
-Non ho finito. Se Motohide avrà qualche ordine per te, dovrai eseguirlo-. Riluttante, Haruko annuì con convinzione, il volto impassibile. Kagami le si avvicinò e le mise tra le mani un foglio arrotolato e fermato da un nastrino rosso: il messaggio che lei doveva consegnare. Lo prese, involontariamente attenta a non sfiorare la pelle nivea della sua odiata signora, e lo fece sparire sotto il vestito.
-Puoi ritirarti-
-Certo-.
Non ci sarebbe stato alcun assalto da parte loro. Lady Kagami sarebbe morta prima.
***
Li aveva scelti con cura, come se fossero davvero un regalo fatto col cuore. Fiori di campo, tra i più rigogliosi e variegati che aveva trovato. Il mazzo che aveva realizzato era di un certo gusto, i colori articolati tra viola, giallo e bianco, con prevalenza del viola. Aveva ipotizzato che Kagami amasse quel colore, dato che era sulla sua armatura. Soprattutto, i fiori erano profumati. Ma Haruko doveva tenerli lontano, se non voleva cadere vittima della sua stessa trappola. Attraversò la caverna fino a raggiungere l'antro in cui generalmente si poteva trovare la guerriera; fortunatamente non incontrò nessuno che potesse farle perdere tempo, e quei pochi in cui si imbattè non le porsero domande, nemmeno a vederla con quei fiori in mano. Soprattutto, non trovò tra i piedi nè suo fratello e nemmeno gli altri tre Signori del clan, cosa di cui fu sollevata: il primo le avrebbe fatto mille domande stupide, mentre gli altri tre la agitavano...ed erano molto più svegli degli altri, avrebbero potuto fiutare qualcosa di strano. Del resto lei li aveva tenuti d'occhio apposta, per intervenire quando era meno probabile incontrarli.
Quando raggiunse la donna, la trovò seduta su una roccia, intenta a lucidare la sua lunga e sanguinaria katana. La vista dell'arma non la scoraggiò affatto.
Non dovette nemmeno annunciarsi che la donna si voltò all'istante, probabilmente udendo i suoi passi sulla roccia.
-Cosa vuoi?-
-Lady Kagami...sono venuta a portarle un dono-. La donna lanciò un'occhiata stranita al bel mazzo di fiori che lei teneva tra le mani.
-A cosa devo...?-
-Mio fratello, Raun...Genbu. Voleva farle un pensiero ma si vergognava a portarglielo. Così lo ha chiesto a me. E' da parte sua. Non so se le piacciono i fiori, ma Genbu la ammira molto. Li accetti, per favore-. Kagami non disse nulla, ma per alcuni secondi fissò intensamente lei e i fiori. Non si fidava? Oppure non era abituata a ricevere fiori ed era incerta sul da farsi? Haruko sostenne il suo sguardo senza vacillare, innocentemente. La cosa non le fu difficile, anche se era Lady Kagami che la fissava: ormai la ninja era abituata a dover mentire spudoratamente, fissando la gente negli occhi, parlando in tono convincente, apparendo sincera e inoffensiva. Era grazie alle sue doti di attrice che riusciva, suo malgrado, a infiltrarsi e portare a termine le sue missioni. Era grazie alle sue doti di mentitrice che Lady Kagami l'aveva presa con sè, senza mai sospettare nulla su cosa lei nutrisse davvero nei suoi confronti. O su cosa lei stesse per fare.
Se per bravura di Haruko o semplicemente perchè di buon umore non si seppe mai, ma Lady Kagami si alzò, lasciando la spada, e si avvicinò alla sua subalterna, prendendo quindi i fiori. Li annusò anche. Per poco Haruko non saltellò sul posto, felice come una pasqua. Si mantenne invece calma e posata come al solito, mostrandosi lieta della decisione di Kagami di accontentare suo fratello, manifestandolo con un lieve sorriso.
-La ringrazio a nome di mio fratello-. Ciò detto, girò i tacchi e si allontanò, un ghigno di malefico trionfo a deformarle le labbra. E ciononostante il senso di colpa le pungolò l'anima. Anche Lady Kagami aveva un cuore, dunque. Ma ormai Haruko aveva imparato a ignorare quella fastidiosa sensazione. Tutti avevano un cuore, ma non tutti meritavano che battesse.
***
Era stato facile entrare a far parte della servitù del palazzo di Goda. In realtà la fortuna l'aveva aiutata: Lady Kei cercava una damigella per sua figlia, sebbene fosse troppo piccola per averne una, così bastò fingersi un'amante dei bambini per essere scelta. In realtà non era certa che fosse stata una fortuna: la bimba aveva quattro anni o poco più e lei doveva starle dietro tutto il tempo, anche se c'era sua madre, quando in realtà necessitava di allontanarsi per vedere Motohide. Doveva farlo entro due giorni, così le aveva ordinato Kagami, e quello era il suo primo giorno di servizio; doveva assolutamente tentare di incontrare l'uomo quella sera.  Certo, Lady Kagami doveva già essere passata a miglior vita ormai, ma lei doveva far finta di nulla e tener fede agli ordini che aveva ricevuto. La giornata passò in fretta, contro le sue aspettative: non potè certo dire di divertirsi con la principessina, Kiku, e sua madre, ma entrambe erano adorabili, in generale ma anche con lei in particolare. La bambina era dolce, educata, ubbidiente; non strillava, non faceva i capricci, non scorrazzava, era semplice tenerla d'occhio. Era socievole ma non seccante; parlava tanto, ma non diceva nulla di banale. Era perfino riuscita a coinvolgere Haruko mentre giocava con le bambole, e insieme avevano passato la mattina e il primo pomeriggio a inventare storie che vedevano protagoniste le sue bambole. Haruko non amava i bambini. Non li odiava, ma non le piacevano. Non si era mai persa in moine con loro, non aveva mai voluto coccolarli o cullarli tra le braccia come la maggior parte delle ragazze della sua età, nè pensava mai ad un futuro in cui ne avrebbe avuto uno tutto suo. Soprattutto da quando aveva iniziato a servire Lady Kagami. Non aveva potuto fare altro che indurirsi, dimenticare di poter avere un futuro normale come chiunque altro. Era una ninja, reduce da una tragedia, completamente sola se non per suo fratello. Le sue mani e la sua anima erano sporche di sangue. Il fatto di non aver mai ucciso con armi da taglio ma solo con veleni non rendeva la cosa meno grave. Il fatto che lei fuggisse prima che le sue vittime morissero davanti ai suoi occhi non attenuava affatto le sue colpe. Si sentiva sporca, indelebilmente nera e impura...e quasi temeva di inquinare quella bambina candida e innocente solo standole vicino.
Lady Kei era esattamente come sua figlia: bella, educata, gentile, posata, sorridente, affabile. Era la moglie perfetta, la madre che tutti vorrebbero avere e la padrona ideale per ogni servo. Sebbene quello fosse il suo primo giorno di servizio, la signora la trattava come se la conoscesse da sempre, come se fosse ormai fidata, di casa; le sorrideva di continuo e ogni ordine che le impartiva sembrava una semplice richiesta, non di più.
A pranzo ebbe modo di conoscere anche il famigerato Lord Gohda. E si domandò come si potesse pensare di uccidere un uomo tanto cordiale. Era risaputo che Gohda Matsunoshin fosse un uomo buono, un sovrano giusto poco incline alla violenza e alla guerra e che tentava di salvaguardare la sua popolazione, ma Haruko ne ebbe conferma quel giorno stesso: durante il pranzo raccontò alla moglie che aveva passato la giornata a perlustrare la zona perchè intendeva apportare migliorie al villaggio in cui era situato il castello e riportò svariati episodi di uomini umili ammalati o talmente poveri da ritrovarsi a chiedere l'elemosina per strada, ricoperti di stracci lerci... Non fece che parlare di questo. Di quanto la povera gente andasse aiutata da persone come loro, che avevano anche troppo e che avrebbero dovuto condividerlo con i più umili. E quando Lady Kei e Kiku la presentarono a lui, l'uomo le sorrise e le diede il benvenuto. Si raccomandò perfino di rivolgersi a lui se avesse avuto problemi o richieste di qualsiasi sorta. Haruko si complimentò con se stessa per aver avvelenato Kagami, togliendola di mezzo e salvando quella meravigliosa famiglia reale; se non fosse stato per suo fratello, sarebbe rimasta lì a servirli come se nulla fosse, abbandonando la vita da subdola assassina per dedicarsi a una vita più tranquilla, più normale e forse anche più gratificante. Eppure non poteva farlo. Non appena si sarebbe accertata che l'assalto al castello non avrebbe più avuto luogo, sarebbe dovuta andar via di lì, recuperare quella testa vuota di suo fratello e andare il più lontano possibile, con lui, per iniziare una nuova vita.
***
Era notte fonda ormai, ma lei era sveglia più che mai. La famiglia reale era a letto da diverse ore. Sicuramente anche Motohide era nel mondo dei sogni, ma a lei non importava. Quello era il momento ideale per raggiungerlo senza farsi scoprire. Abbandonò la sua umile stanza -fortunatamente non la divideva con nessuno- al piano più basso del castello, dedicato alla servitù, con passo felpato, lentamente. Era tutto buio, ma la luce della luna penetrava dalle finestre e rischiarava il corridoio quanto bastava per permetterle di orientarsi. Coi sensi all'erta, iniziò a percorrere il corridoio, che le parve interminabile. Giunta all'angolo, sbirciò oltre; non essendoci nessuno, proseguì. Come era giusto che fosse, il castello era sorvegliato da guardie ben addestrate, ma era quasi certa che quel piano fosse sgombero: non era necessario pattugliare anche il piano della servitù. Bè, tanto meglio per lei.
Il palazzo aveva cinque piani e la famiglia reale si trovava all'ultimo piano; più si saliva, più le guardie erano numerose. Motohide a che piano poteva essere? Mentre saliva le scale per giungere al primo piano, tentò di ricordare dove fossero situate le camere degli ospiti: non aveva avuto tempo per perlustrare il castello, cosa che sarebbe stata senz'altro più prudente, ma aveva chiesto informazioni alle cameriere con cui aveva condiviso già due pasti, per cui era riuscita a carpire qualcosa di utile da sfruttare subito, dato che non aveva tempo da perdere. Ma si, agli ospiti era riservato il quarto piano.
Arrivata al primo piano, si affrettò a celare la sua presenza nell'ombra, sfuggendo ai raggi di luna. Non avvertì alcun rumore nè vide nessuno; le guardie dovevano essere lontane per ora. Doveva trovare alla svelta le scale per il piano superiore. Abbandonò la protezione dell'ombra muovendosi silenziosa e più velocemente che poteva. Odiava quei dannati geta1, li trovava rumorosi, e il kimono che indossava era dannatamente scomodo per un momento simile, ma non poteva rinunciare a nessuno dei due: se fosse stata scoperta era meglio che la vedessero come l'innocua nutrice che fingeva di essere piuttosto che come una losca ninja. Ciononostante era capace di far aderire quelle maledette calzature al pavimento in legno senza farsi scoprire.
D'un tratto avvertì delle voci maschili in avvicinamento: erano due guardie. Chiacchieravano sottovoce mentre percorrevano il corridoio da pattugliare. Haruko li intravide in lontananza e, senza perdere la calma, si infilò in una rientranza nel muro, che i raggi della luna non raggiungevano. Perfettamente immobile e respirando lievemente, attese con pazienza che i due la raggiungessero e la superassero. Non la notarono nemmeno. Quando furono sufficientemente lontani, uscì allo scoperto e proseguì rapida, prima che potessero girarsi e scorgerla. Trovò subito una rampa di scale, ma scendeva al piano di sotto, per cui andò oltre. Non incontrò altre guardie, fortunatamente, e riuscì a salire presto. Tuttavia, dovette fermarsi a metà della rampa di scale e scendere di nuovo, nascosta dietro alla ringhiera in legno delle scale: aveva sentito dei passi. Si sporse con prudenza e scorse una guardia. Questa si fermò proprio sopra le scale e guardò giù, ma lei si era già nascosta. Haruko la udì allontanarsi a passo sostenuto. Quando la sentì abbastanza lontana, uscì dal nascondiglio e iniziò a salire, lentamente e piegata per rendersi meno visibile; quando la vide svoltare l'angolo e sparire dalla sua vista, salì del tutto e intraprese lo stesso cammino della guardia. La seguì da lontano, sperando in tal modo di non imbattersi in altre guardie. Non fu fortunata: dalla direzione opposta la ninja intravide un'altra guardia, che salutò quella che lei stava seguendo e tirò dritto, verso di lei. Haruko aveva da poco sorpassato un fusuma; indietreggiò, svelta, e aprì il pannello quel tanto che bastava a scivolare nella stanza, quindi lo richiuse. La giovane osservò la stanza in cui era finita, ma era vuota, tranne che per pochi oggetti d'arredamento. Chiuse gli occhi e acuì l'udito: non fu difficile capire quando la guardia fu passata oltre e, al momento opportuno, uscì nella stessa maniera in cui era entrata, proseguendo veloce. Giunta all'angolo, di fronte a sè trovò le scale, quindi le prese, cauta, per salire al terzo piano. Dovette fermarsi subito: due guardie erano lì a chiacchierare a bassa voce e non sembravano intenzionate a spostarsi. Prima che arrivasse qualcuno e la scorgesse, appollaiata lì sulle scale, scese e si nascose sotto di esse, nel buio, attendendo pazientemente che il passo si liberasse. Fu una buona idea: le guardie del piano in cui era già passarono da lì per ben due volte, ma non la videro, immersa com'era nel buio sotto le scale. Vi era però odore di polvere e tenne le mani davanti al naso per evitare che le venisse qualche starnuto. Doveva esserci anche qualche ragnatela, ma evitò di pensarci e anche di verificare.
Finalmente le guardie decisero di dover sorvegliare anche l'altro lato del terzo piano, quindi si spostarono, ognuna in una direzione diversa. Haruko non perse l'occasione e abbandonò il nascondiglio, giungendo finalmente al terzo piano. A quel punto, poteva andare a destra o a sinistra; scelse la sinistra.  Stranamente, non incontrò nessuno e trovò subito la prossima rampa, raggiungendo il quarto piano. "Bene, devo trovare la stanza giusta adesso". Imboccò il corridoio che aveva di fronte, tenendosi all'ombra, contro il muro che ospitava le finestre. Udì dei passi rapidi in avvicinamento; capì subito che provenivano dall'angolo alle sue spalle. Aumentò anche lei il passo, ma sapeva che sarebbe stata vista. Tanto più che una guardia arrivava anche di fronte. Così tirò fuori un sacchetto marrone contenente una polvere accecante; slegò il nastrino che lo teneva chiuso e sparse la polvere tutt'intorno, verso l'alto, di modo che sarebbe scesa sulle guardie una volta arrivate sufficientemente vicine. E così fu: a pochi metri da lei, entrambe le guardie portarono le mani agli occhi, che Haruko sapeva copiosamente lacrimanti, lamentandosi e soprattutto arrestando la loro avanzata. Rapida e silenziosa come un felino, tenendo gli occhi socchiusi per evitare la polvere, Haruko abbandonò il nascondiglio per sorpassare la guardia di fronte, ma intravide qualcun altro avvicinarsi; lanciando maledizioni mentali, aprì il fusuma che fortunatamente era alla sua sinistra e si infilò nella stanza. Udì le guardie parlare all'esterno, ma non si curò di loro poichè vide una finestra; si affacciò e fu lieta di vedere che vi era un cornicione tegolato su cui poteva camminare. L'avrebbe condotta alla stanza di Motohide? Senza pensarci due volte, uscì dalla finestra e si ritrovò sul cornicione. Evitò di guardare in basso e iniziò a percorrerlo con cautela. Sbirciò oltre tutte le finestre che incontrò, sempre più avvilita dato che non trovava l'uomo, ma non perse le speranze...e fece bene, alla fine scorse colui che cercava dalla finestra. Sebbene fosse buio e lo avesse visto solo in un ritratto che Lady Kagami le aveva mostrato, lo riconobbe: lineamenti duri anche nel sonno, barba brizzolata e incolta sulla pelle da uomo di mezza età. Haruko, lieta di averlo finalmente trovato e al contempo riluttante all'idea di doversi interfacciare con quell'individuo subdolo, si introdusse nella camera e si avvicinò a Motohide, beatamente addormentato nel suo futon. Era steso lateralmente, così lei gli arrivò alle spalle con l'idea di tappargli la bocca mentre lo svegliava, per evitare che urlasse. Tuttavia non lo fece subito. Sarebbe stato più facile per tutti se lei lo avesse ammazzato così, nel sonno, e fosse sparita esattamente com'era arrivata...
No, non era prudente. Era stato già rischioso uccidere Kagami...e se avesse ucciso anche lui, senz'altro lei sarebbe stata etichettata come responsabile, cosa che in effetti era. No, doveva portare pazienza e fare come le aveva ordinato Kagami, almeno finchè non fosse stata certa che la ninja fosse davvero deceduta e che l'assalto al castello di Goda non si sarebbe realizzato. Le dispiaceva per la famiglia reale, ma lei non sarebbe stata incauta solo perchè era giusto per tutti. Sospirò, quindi, e si preparò a interloquire con quel verme.
***
Si agitò all'istante e per poco non la scaraventò contro al muro, nonostante lei lo bloccasse con tutto il suo peso. Per questo si affrettò a dire:-Sono un ninja al servizio di Lord Toda. Sono qui a nome suo-. L'uomo si fermò all'istante, così lei gli liberò la bocca e si allontanò. Aveva uno sgradevole odore di sake.
Motohide si mise seduto, passando una mano tra i capelli brizzolati e scompigliati e lanciandole un'occhiata truce; di conseguenza lei disse:-Mi spiace averla svegliata tanto bruscamente-
-Non importa. Che sei venuta a fare?-
-Ho un messaggio dalla mia signora-. La mora prese il messaggio da una tasca del kimono e glielo passò. Motohide ruppe il nastrino che teneva il messaggio chiuso e lo srotolò, leggendo velocemente con lo sguardo; disse:-L'assalto avverrà domani, quando tutti saranno andati a dormire. Devi fare una cosa-
-Sono tutta orecchi-
-Dovrai semplicemente fare in modo che le porte del castello siano aperte ai soldati di Toda. Quando sarà fatto, dovrai lanciare un segnale-
-Un esplosivo in cielo andrà bene?-
-Si, bene. E dovrai uccidere la mia nipotina e sua madre-
-Chiedo scusa?-
-Di mio nipote mi occuperò io, ma tu dovrai eliminare il resto della famiglia reale. In questo modo, i soldati e i ninja di Toda non avranno alcun ostacolo e potranno eliminare i soldati di Matsunoshin. E anche quell'odioso e inutile Naotada-. Haruko restò senza parole. Kagami le aveva detto che avrebbe dovuto eseguire gli ordini di Motohide, ma non si aspettava di dover fare proprio una cosa del genere. Uccidere Lady Kei e sua figlia. Bè, in realtà poteva non farlo anche se l'assalto si fosse verificato, tanto se non ci avesse pensato lei lo avrebbe fatto qualche altro ninja di Kagami. Lei avrebbe dovuto semplicemente starne fuori. Oppure...oppure era meglio che le uccidesse entrambe lei, in modo da donar loro una morte dolce e serena? Haruko si affrettò a ricordare a se stessa che Kagami doveva essere ormai morta stecchita e quindi non ci sarebbe stato alcun assalto. Toda non avrebbe mai attaccato il palazzo da solo.
-Si signore- rispose tuttavia, impassibile.
-Bene. Ora levati dalla mia vista, ho bisogno di dormire-. Ciò detto, l'uomo si stese dandole le spalle, rinforzando il comando appena impartitole. Haruko fu lieta di eseguirlo.
***
Nonostante avesse fatto le ore piccole, Haruko si svegliò di buon'ora e iniziò la sua giornata lavorativa come se nulla fosse. Eppure, per qualche motivo non si sentiva tranquilla. La sensazione non era legata a ciò che avrebbe dovuto fare la notte dopo, ossia aprire le porte del castello ai nemici, eppure... Che fossero quei nuvoloni neri e cupi che si erano ammassati in cielo quel giorno? Rendevano l'aria pesante e umida, c'era poca luce...era come se presagissero qualcosa di negativo. Ma forse era lei, che odiava il maltempo e odiava le giornate senza sole.
Passò la giornata come la precedente, cioè a giocare con la principessina, pettinarle i capelli e acconciandoli in mille modi, passeggiando con lei per il castello e poi facendola dormire durante il riposino pomeridiano; e poi ancora fino a sera, stavolta allietando anche Lady Kei. Giunta l'ora di dormire, si infilò nel futon ma non riuscì a chiudere occhio.
***
L'aria era sempre più pesante e c'era anche del vento. Aveva freddo. Detestava il freddo. La deconcentrava, le metteva fretta e le toglieva la voglia di fare qualunque cosa che non fosse starsene a letto a dormire sotto le coperte calde. Ma era da diverso tempo ormai che non assecondava questi capricci: anche quando viveva ancora con la sua famiglia, sua madre le aveva insegnato presto a compiere il suo dovere in qualsiasi condizione. Era stata abituata a svolgere le faccende domestiche anche quando non ne aveva voglia o era ammalata; aveva dovuto seguire sua madre a raccogliere erbe, tritarle e quant'altro anche prima del sorgere del sole, quando lei ancora dormiva; aveva dovuto accudire il suo fratellone anche quando era indisposta, quando era di malumore e aveva voglia di tutto tranne che di portare pazienza con lui; aveva dovuto allenarsi con suo padre, aiutarlo a gestire il piccolo orto e il pollame anche quando avrebbe voluto scorrazzare con le amiche. O quando aveva fatto i conti senza l'oste e si era già data appuntamento con...
Haruko scosse il capo mentre si sistemava il kimono e raccoglieva le innumerevoli treccine nere in un morbido chignon. Infilò i geta e si preparò a uscire, ma prima di farlo lanciò uno sguardo alla sua sacca, abbandonata accanto al futon ripiegato vicino al muro. La sua sacca piena di polveri fini e grossolane, di differente pericolosità. Ce n'erano anche per Lady Kei e la sua bambina. Si, alla fine non era riuscita a ignorare quella brutta sensazione che la assillava e aveva preparato qualcosa per loro, per evitar loro meno sofferenze possibili. "E' tutto quello che potrei fare per loro". Non poteva proteggerle, non ne era in grado. L'unica cosa da cui poteva proteggerle era il dolore.
***
"E' l'ora". Era pronta, anche se non sapeva cosa aspettarsi. Le sue treccine erano sciolte sulle spalle, raccolte solo sulla parte alta del capo per non impacciarla in alcun modo; aveva abbandonato quello scomodo kimono per rimpiazzarlo con la sua tenuta da ninja, ossia il suo fidato vestito nero come la notte, e indossava i geta sulle calze, nere anch'esse, che le avrebbero protetto le gambe dal freddo. La sua asta allungabile in metallo era fermata alla vita da una cintura, alla quale erano assicurati anche alcuni sacchetti contenenti diverse polveri e alcuni fumogeni. Sospirò e uscì, pronta all'azione e maledicendo una volta di più quella maledetta donna. "Spero sia morta. Una volta per tutte".
Uscì in corridoio e poi all'aperto: era tutto buio e faceva un pò freddo. I nuvoloni coprivano la luna e le stelle, non si vedeva nulla. Stava per piovere. Silenziosa come un gatto, riuscì a eludere facilmente le guardie salendo sul tetto più basso con un rampino e giungendo quindi a destinazione dall'alto. Mise fuori gioco le due guardie poste all'entrata delle mura del palazzo -le era bastato accecarle e colpirle alla nuca, facendole svenire- e aprì l'accesso, come le era stato ordinato. Tornò quindi sul tetto e accese un fuoco d'artificio. A quel punto, ignorando l'improvviso afflusso di guardie attirate dall'esplosione, scivolò lungo il tetto come un'ombra e, con l'aiuto del rampino, si arrampicò fino a raggiungere la stanza della piccola Kiku. La bambina dormiva beatamente su un letto troppo grande per lei. Il viso delicato e chiaro era rilassato, il respiro leggero, le mani chiuse a pugno accanto alla testa, la bocca schiusa. Ah, quanto la invidiava. Si sedette sul bordo della finestra e attese. Proprio allora quei nuvoloni iniziarono a scaricare il loro freddo disappunto.
 
 
 
 
 
 
1Geta: sandali tipicamente giapponesi
  
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