L. A. Confidential
Confidenzialmente Levi Ackerman
buon compleanno levi
ieri…
Levi era un ragazzino magro, introverso e anche un po’ spaurito. I
lunghi capelli che, scomposti, gli ricadevano sul viso, lo facevano apparire ancora
più piccolo ed indifeso.
La recente morte di sua madre lo aveva segnato per sempre. Era come se lo
avessero amputato. Con il tempo si sarebbe abituato a quella mancanza, che
comunque sarebbe rimasta tale: un vuoto.
Dentro di lui si agitava sinistra la paura dell’incertezza, il futuro al
momento, gli appariva fosco e pieno d’interrogativi.
A seguito di quella tragica perdita era arrivato dal nulla, a salvarlo da morte
certa, un uomo che gli aveva detto di chiamarsi Kenny e di essere un amico di
sua madre. In cuor suo aveva segretamente sperato che quel tale dai modi spicci
e bruschi, in realtà fosse suo padre.
Non era così.
Qualcosa però gli diceva che Kenny fosse legato a lui. Lo sentiva dentro di sé,
anche non sapendosi spiegare bene come mai.
Gli sembrava così alto e così forte, un uomo risoluto, che non si perdeva
dietro chiacchiere e sentimentalismi inutili, ma che sapeva il fatto suo. Tutti
lo temevano e lo rispettavano.
Avrebbe capito in seguito il perché.
Kenny lo aveva preso con sé senza dargli poi tante spiegazioni e la prima cosa
che aveva fatto, lo ricordava bene, era stato dargli da mangiare e farlo
ripulire.
«Puzzi come una stalla moccioso» gli aveva detto arricciando il naso e sputando
in terra. «Devi lavarti, sei un essere umano, non una latrina!».
Si era anche occupato di far seppellire sua madre e di questa cosa gliene
sarebbe stato grato a vita, anche se aveva fatto le cose in modo sbrigativo,
senza neppure un funerale degno di questo nome. Era un uomo freddo e distaccato, questo Levi
lo aveva capito subito. Ricordava bene come se l’era trascinato dietro
tirandolo per un braccio, obbligandolo a correre per tenere il suo passo. Da
lui non avrebbe mai ricevuto coccole e affetto, questo gli fu palesemente
chiaro.
Lo aveva portato casa sua e la prima cosa che gli aveva detto, era stata
questa: «Non sono un benefattore, né tanto meno sono alla ricerca di un figlio
adottivo da accudire, quindi vitto e alloggio te li devi guadagnare. Intesi?».
Gli sembrò giusto, in fondo chi era lui per Kenny, se non un perfetto estraneo?
Sicuramente era un uomo buono e generoso, anche se sembrava nascondere questi
sentimenti dietro una spessa patina di crudo cinismo, pensava fiducioso il
ragazzino. Fu così che Levi, nel tempo, era diventato un perfetto ometto di casa,
anche perché Kenny era inflessibile, se non puliva per bene era capace di farlo ricominciare da capo
anche dieci volte di fila.
«Disciplina, ci vuole disciplina! Questo è un modo crudele, o diventerai forte,
o ti schiacceranno come uno scarafaggio» gli diceva sempre, anche prima di ammollargli
un ceffone, o un calcio, per rafforzare il concetto che avesse sbagliato a
pulire, a parlare, o per altri motivi del momento.
Con il tempo, gli insegnò anche picchiare duro. Gli fece capire che per stendere qualcuno, non
importava essere grandi e grossi, ma cattivi e determinati.
«Se parti per primo e attacchi per far male, se sai come e dove colpire, con
l’aiuto dell’effetto sorpresa, puoi abbattere anche uno che è il doppio di te! Visto
quanto sei mingherlino e basso, sarà di vitale importanza che tu lo impari al
più presto. Siamo sicuri che non ti sia bloccata la crescita? Sei un vero nano
figliolo!» gli ripeteva sovente. Questa cosa lo infastidiva un po’. Lo faceva
soffrire, non è che gli piacesse essere schernito. Essere basso lo faceva
sentire inferiore, inappropriato. Quando poi gli diceva queste cose e gli
rimarcava il suo difetto fisico, Levi lo guardava con i suoi occhi grigio blu,
appena sgranati, ancora illuminati dall’innocente stupore che è tipico dei
ragazzini, anche se erano già velati da una grande malinconia, figlia di un’aspettativa
che sarebbe stata inesorabilmente delusa.
«Che vuoi?» gli diceva allora Kenny e lui abbassava lo sguardo, fissandosi la
punta delle scarpe e non parlava più.
*
«Oggi vedremo
che hai imparato. Devi andare fuori e fare a pugni con qualcuno e devi stenderlo,
sennò ti faccio dormire all’addiaccio» gli disse quella volta a sorpresa.
L’aveva poi portato nella peggio zona del ghetto dove bande di ragazzini
violenti facevano il buono ed il cattivo tempo. Futuri delinquenti, che stavano
studiando alla scuola della strada.
«Che devo fare?» chiese un po’ perplesso il piccolo Levi non capendo bene a che
cosa andasse incontro.
Kenny si aggiustò il cappello in testa e ghignò soddisfatto «Niente, mezza
sega, organizzo tutto io. Devi solo ricordati
bene e mettere a frutto quello che ti ho insegnato».
Levi fiducioso annuì e lo guardò raggiungere i ragazzi. Lo vide parlottare fitto
fitto con il più grande di loro, uno che avrà avuto sì e no diciotto,
diciannove anni al massimo. Ad un certo punto Kenny aveva estratto un paio di
banconote e gliele aveva mostrate, ma senza dargliele. Il ragazzo allora aveva
afferrato per un braccio uno della sua gang, che pareva all’incirca l’età di
Levi. Solo che era più robusto e più alto.
«Vieni qui, muoviti!» lo aveva chiamato Kenny e lui gli aveva dato retta, senza
sapere che cosa sarebbe accaduto. Lo aveva spinto contro quel ragazzetto e
quello, prima che potesse dire o fare qualcosa, lo aveva colpito con violenza
al viso facendogli un male incredibile. Quel piccolo delinquente era molto più
incattivito ed esperto di lui e alla fine lo aveva gonfiato di botte.
Kenny aveva lasciato che lo massacrasse, poi aveva incassato le scommesse. Il
viso del piccolo Levi era tumefatto e pieno di sangue, ma dagli occhi gonfi e
lividi aveva chiaramente visto quell’uomo senza cuore, riscuotere le scommesse
da un capannello di gente, che si era formato, mentre lui le prendeva di santa
ragione.
Aveva scommesso contro di lui e aveva vinto.
Questa cosa gli fece più male dei cazzotti e lo ferì a morte. Dentro di lui
germogliò il seme della rabbia. Una rabbia sorda e silente, che si sarebbe
nutrita, cresciuta e negli anni e trasformata in forza.
Qualcosa gli scattò dentro. Si era sentito tradito, anche se Kenny in seguito gli
avrebbe fatto di peggio. Quando gli si era avvicinato per aiutarlo ad alzarsi,
lui fieramente s’era scostato e s’era
drizzato da solo, guardandolo in quel modo tagliente, che negli anni sarebbe
diventato il suo tratto distintivo.
Kenny aveva riso compiaciuto e aveva detto «Il cucciolo ha appena imparato a mordere
eh?».
Era bravo a farsi odiare, ma anche a farsi ben volere. Usava sapientemente
bastone e carota e plasmava Levi a sua immagine e somiglianza: violento, freddo,
cinico, efferato.
Del resto agli altri si può dare solo ciò che si è, e questo faceva Kenny con lui,
lo stava semplicemente preparando alla vita che lo aspettava, di meglio non
poteva e non voleva fare. Aveva le sue ragioni anche se potevano sembrare
spietate, ma questo Levi lo avrebbe saputo solo molto anni dopo.
Quella fu la prima e ultima volta che le prese senza neanche reagire, s’impuntò
e da allora non permise più a nessuno di mettergli le mani addosso, non per
primo almeno.
*
Il venticinque
di dicembre era il suo compleanno. Levi lo sapeva bene. Quando era ancora viva
sua madre lei, e tutte le zie del
bordello, facevano festa grande insieme. C’era sempre una bella torta e tanti
regali per lui, che festeggiava sia il Natale¹, una festa antichissima, di un’altra religione, che però era
rimasta in auge, nonostante il culto delle mura fosse predominante, sia la sua
nascita, che Kuchel aveva voluto contro tutti e tutto.
Quel primo anno senza di lei gli pareva tutto vuoto e triste.
Naturalmente Kenny non gli preparò nessuna festa, neppure gli fece gli auguri
ma questo non lo sorprese, non sapeva quando fosse nato e lui non aveva voglia
di dirglielo. Era però ugualmente triste.
«Che c’è ora?» gli aveva chiesto irritato l’uomo a fine giornata, notando il
suo malumore. Aveva i suoi grattacapi e il moccioso incupito, non gli ci voleva
proprio.
Levi fece spallucce cominciando a mangiare adirato la minestra.
«Andiamo mezza sega che hai?» lo aveva incalzato.
Allora il ragazzino aveva alzato la testa dal piatto.
«Niente… oggi era il mio compleanno» aveva spiegato prima di tornare a mangiare.
«Non lo sapevo. In realtà ho saputo che Kuchel avesse un figlio solo quando ti
ho visto» gli aveva risposto distrattamente Kenny e poi s’era messo a mangiare
anche lui.
oggi…
Chissà perché gli era tornato in mente proprio il suo primo compleanno
passato con Kenny. Quel gran bastardo pensò,
osservando svogliatamente il cielo dalla finestra della sua camera. Ricordava quei
fatti come se fossero accaduti il giorno prima e invece erano passati quasi trent’anni.
Rammentò che il giorno dopo, a sorpresa, lo aveva portato dal barbiere. Lo aveva
fatto rasare ai lati e sulla nuca, mentre il resto dei capelli era rimasto più
lungo, così era nata la sua tipica pettinatura, che poi non aveva più cambiato.
Kenny gli diceva sempre che doveva distinguersi e avere un certo portamento,
una certa presenza, gli aveva fatto capire che la personalità era più
importante dell’altezza, anche se lo sfotteva e lo chiamava nano o mezza sega, lo faceva per fortificarlo. Ora lo capiva, anche se i sentimenti,
che suo malgrado provava ancora per
quell’uomo, erano tutt’alto che concilianti.
Ricordò come poi, sulla via del ritorno a casa gli comprò un bastoncino di
zucchero. Rievocò nella memoria le immagini vivide di come si era sentito
felice e in qualche modo considerato, un vero evento straordinario. Anelava
così tanto l’apprezzamento e l’attenzione di Kenny all’epoca. Era il suo unico
punto di riferimento, la sua unica certezza.
Una volta a casa gli aveva dato un fagottino legato con uno spago. Levi
ricordava con limpida lucidità la sensazione di gioia mista ad un genuino
stupore. Il cuore che batteva forte: Kenny aveva preso un regalo per lui!
Lo aveva scartato con impazienza mista ad una grande aspettativa e curiosità,
quella tipica di un ragazzino che riceve un dono inaspettato.
Era un coltello a serramanico.
Quello fu l’inizio della fine della sua innocenza.
- Buon compleanno Levi - gli aveva detto accompagnando
l’augurio con una risata fredda e uno scintillio perfido nello sguardo.
Il suo training da assassino era appena cominciato.
Quell’espressione non se l’era mai più dimenticata.
Fece una smorfia e decise di smettere di ricordare il passato. Si alzò dalla
sedia per uscire dalla sua camera. Era rimasto al quartier generale del Corpo
di Ricerca, anche se era Natale e quasi tutti erano in licenza dalle famiglie. Non
era un nostalgico, né uno che indugiava nelle cose passate, ma aveva dei
trascorsi e ogni tanto, anche suo malgrado, alla mente gli si affacciavano i
ricordi. Meglio seppellirli. I sentimentalismi lo mettevano di pessimo umore.
Erano rimasti in pochi, ovvero tutti quelli che una famiglia non ce l’avevano
più.
Levi non festeggiava più da anni il suo compleanno, né gli importava un fico
secco di farlo. Soprattutto da quando era nell’esercito, dato che non aveva
neanche il tempo materiale per questo genere di cose, che considerava
decisamente superflue.
Istintivamente fece spallucce proprio come quel bambino che era stato, come per
scrollarsi di dosso quei ricordi lontani.
Era ora di cena ma non aveva neppure fame. Sarebbe sceso per farsi un tè. Di
sicuro Erwin ed Hanji erano già a tavola. Pensò che magari avessero già mangiato,
così non avrebbe dovuto neppure condividere la loro compagnia, al momento non
era molto in vena di socializzare. Erano giornate strane, un po’ alienanti.
Servivano per stare con se stessi, per fare magari quello che non potevano mai
fare, visto la vita estrema e pericolosa che conducevano.
Con indolenza e una buona dose di noia arrivò fino alla cambusa.
Aprì la porta.
Lo accolse un buio pesto.
Non fece in tempo a realizzare, che non si sa bene da dove, e come, uscirono
tutti fuori facendo luce con le lanterne che avevano in mano.
«SORPRESAAAAA!» urlarono in coro facendogli, suo malgrado, sgranare gli occhi.
Avrebbe voluto dire qualcosa di sgradevole per seccare subito quell’entusiasmo
e per non mostrare il suo genuino stupore, ma rimase muto.
C’erano proprio tutti, gliel’avevano proprio fatta sotto il naso.
Su una delle tavole faceva bella mostra di sé anche una torta.
- Ma che teste di cazzo! - pensò, in
quel suo tipico modo scontroso ed irriverente, ma sotto sotto assolutamente affettuoso.
Solo che proprio non gli veniva nulla da dire, anche perché i ragazzi, tutti
insieme, gli avevano regalato una sella di cuoio bellissima, lasciandolo
letteralmente di stucco.
Era a disagio e sorpreso, una sensazione contraddittoria, strana ma anche
piacevole. Regalò loro uno sguardo indecifrabile, articolando un Grazie masticato tra i denti. I ragazzi
capirono molto bene che era contento e ne furono felici. Gli erano tutti
affezionati anche se a molti di loro incuteva soggezione. Levi non era uno che
ti permetteva di avvicinarti a lui.
Erwin, che doveva essere stato insieme ad Hanji e Mike, uno dei capo banda della faccenda, gli regalò un libro. Mike una
confezione di tè nero molto ricercata ed Hanji gli si presentò con una scopa di
saggina tutta infiocchettata.
«Per l’igiene della tua camera, una scopa personale e personalizzata!» gli disse
giuliva, mostrandogli che sul manico c’era intagliato il suo nome.
Aveva quasi sorriso. Quattr’occhi era proprio una scema!
All’improvviso, di botto, s’era rilassato. Si era seduto e si era messo a
sorseggiare il suo tè, osservando i ragazzi che si spartivano la sua torta. Tra
gridolini e risate passavano le fette ad Hanji che le faceva girare,
assicurandosi che tutti ne avessero una. Mike prese la sua e ne annusò il profumo
prima di mangiarla. Erwin accennò un sorriso e Levi pensò che quell’accozzaglia
rumorosa di ragazzini, pronti a morire per la causa, insieme ai suoi fidi
amici, compagni di tante battaglie, erano una cosa che assomigliava quasi ad
una parvenza di famiglia.
Hanji gli si avvicinò distogliendolo dai suoi pensieri. Gli porse la sua fetta,
sorridendogli, arricciando appena il naso e strizzando gli occhi. Lui prese il
piatto e incredibilmente a sua volta accennò una parvenza di sorriso. Poi alzò
lo sguardo e l’immagine che vide, come un colpo di spugna, cancellò ogni
ricordo spiacevole che quel giorno aveva evocato.
«Buon Compleanno Levi!» si sentì dire in coro da tutti i presenti.
Quella fu la prima volta, da quando se n’era andata sua madre, che fu quasi
lieto di festeggiare il suo compleanno.
Note: n.1 Il Natale è una mia licenza ovviamente, non credo proprio che esista
nell’universo creato da Isayama, ma siccome mi piaceva l’idea ce l’ho infilato.
Dopo tutto quel modo è un alternative universe ma pare pur sempre ambientato in
un medio evo alternativo, di sapore piuttosto europeo, quindi tutto sommato
così come l’ho presentato, secondo me, ci può anche stare.
PS. Mezza sega significa nano in senso
dispregiativo, viene usato nel gergo
toscano, ma credo sia di uso in tutta Italia, in caso ho specificato! :)
**Buon Compleanno anche da me heichou! Non esisti, sei un disegno, un’idea, una proiezione mentale, ma ci fai compagnia e ci fai sognare un po’. Come tutti i sogni, un giorno, svanirai inevitabilmente nel nulla, ma il tuo ricordo, ne sono certa, evocherà in me e in chi ti ha amato, sempre cose piacevoli!
ツ
L’angolo della scrivente…
BUON NATALE A TUTTI!!! ♥♥♥
E niente non potevo far passere il compleanno di Levi senza scrivere nulla, ma
non volevo una cosa troppo “natalizia” o smielata, così è uscita fuori questa
cosa qua. che spero vi sia piaciuta.
Ovviamente ciò che avete letto su il training di Levi da parte di Kenny e sul
suo compleanno sono esclusivamente frutto della mia fervida fantasia.
Comunque la “faccenda Kenny” non si limiterà a questa shot ;)
Grazie a chiunque leggerà e mi farebbe molto
piacere sapere che ne pensate, quindi un ringraziamento particolare va a chi di
voi lo farà.
Alla prossima Shot!
Disclaimer
Questa storia
non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo)
non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece la trame di questa raccolta, così come i personaggi originali e
qualsiasi altra cosa inventata sono proprietà dell'autrice cioè me :)