Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: TheSlavicShadow    25/12/2015    0 recensioni
Quando la tua vita ti sembra perfetta e credi che nulla possa andare storto, sai che il destino ci metterà lo zampino.
In tre giorni la tua vita verrà messa sottosopra e dovrai prendere una decisione. Una di quelle da cui non si può più tornare indietro.
{Prompt trovato su "All of the prompts" e ho dovuto scriverlo. Sto fisicamente male per ciò che è stato scritto, ma in qualche modo ho dovuto farlo.}
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Three Days'
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~Marzo 2015, domenica
 
Dietro ogni adulto all'apparenza soddisfatto totalmente di sé stesso, molto spesso da qualche parte si nasconde un adolescente spaventato. Credi che con l'età, con la famosa età adulta, avrai tutte le risposte e saprai come affrontare tutte le cose che si metteranno sulla tua strada, ma nessuno ti avverte che spesso è solo un'evoluzione dell'adolescenza, che ti viene ovviamente consegnata senza manuale di istruzioni. Ti ritrovi a svegliarti un giorno – di solito un D-day, di quelli che ti cambiano l'esistenza – a chiederti cosa stai esattamente facendo della tua vita.
Improvvisamente la tua vita ti passa davanti, sei di nuovo un bambino che pende dalle labbra dei suoi genitori. Bevi avidamente le loro parole e non sai che potrebbero in futuro essere un veleno. Ma le fai tue in ogni caso, perché loro sono i tuoi genitori e tu non puoi fare a meno di credere che loro siano sempre nel giusto.
Per questo poi, una volta cresciuto, quando tutti iniziano ad avere le prime cotte e fidanzatine, tu ti senti fuori luogo. Sei un ragazzo carino, a detta dei più, ma non sei interessato a nessuna delle ragazzine che frequentano la tua classe, la tua scuola, la tua chiesa o qualsiasi luogo in cui tu possa incontrare persone della tua età. Improvvisamente sei attirato da corpi più asciutti e muscolosi. Da voci più profonde e mani forti. Ti ritrovi a guardare i tuoi compagni di classe o di calcio mentre si cambiano in spogliatoio. E senti che il sangue affluisce troppo velocemente in parti del corpo che dovrebbero essere risvegliate alla vista di un seno, per esempio.
E quello che più ti interessa è quello che tutti odiano. Quello che non ha amici e un pessimo carattere. Quello che quando giocate a calcio si fa sempre male in qualche modo.
Lo guardi. Lo osservi attentamente. E la prima volta che ti sorride tu hai solo 14 anni, ma senti il cuore battere più forte e le guance che vanno a fuoco. Ed è così che lentamente diventate amici. E lui, Jean, per prenderti in giro inizia a chiamarti “lentiggini”. Pronunciandolo in un modo adorabile che anche ora, a distanza di quasi 20 anni, quando sei un uomo adulto, ti fa sorridere. Cerchi di ricordare com'era la sua voce allora, e ti stupisci nel ricordarla ancora.
Ti viene in mente il vostro primo bacio. Dato tra le lacrime perché era stata una pessima giornata. Piangevi perché nuovamente ti avevano sfottuto a scuola. Perché per l'ennesima volta il tuo non interesse nelle ragazze aveva dato fastidio a qualcuno. E lui, più giovane e piccolo di te, ti stringeva forte e ti ripeteva che sarebbe andato tutto bene, che eri sempre Marco, che non importava cosa dicesse la gente di te. Perché la gente aveva sempre qualcosa da ridire, anche quando sei perfetto. E in quel momento Jean per lui era perfetto, mentre cercava di consolarlo.
E lui lo aveva baciato. Piano. Pieno di paura e di speranza. Aveva sognato quel momento per troppo tempo e ora lo stava mettendo in atto. Anche se ne aveva il terrore.
Ma Jean non lo aveva respinto. Jean aveva ridacchiato quando quel bacio era finito, con le guance rosse e gli occhi che guardavano qualsiasi cosa tranne Marco. Jean aveva mormorato qualcosa sul fatto che Marco fosse uno stupido, sul fatto che solo perché erano amici non poteva approfittarsi così di lui. Sul fatto che gli piaceva e Marco aveva spalancato gli occhi a quella dichiarazione, non riuscendo a crederci.
Era iniziato tutto così, con due ragazzini inesperti che non sapevano neppure cosa fosse l'amore. E probabilmente troppo giovani per affrontare il mondo.
Tra i due Jean era sempre stato lo spirito libero. Quello che voleva sempre fare bella figura, ma che era anche abbastanza strafottente da infischiarsi bellamente di ciò che gli altri pensavano di lui. Aveva iniziato allora a tingersi i capelli e riempirsi le orecchie di piercing. Diceva sempre che prima o poi si sarebbe fatto anche un tatuaggio, e Marco aveva notato che poi se lo era fatto. Il nome di sua figlia sull'avambraccio. A Jean non piaceva quando la gente lo chiamava “checca”, ma non si vergognava ad essere ciò che era.
E questo lui lo aveva sempre invidiato.
Lui non aveva mai avuto quella forza. Lui si era sempre nascosto. Aveva costantemente cercato di reprimere quel lato di sé, perché doveva essere il figlio perfetto che volevano i suoi genitori, la persona perfetta che aveva avuto successo nella vita. E lui lo era diventato.
Ricordava ancora il giorno in cui lui e Jean si erano lasciati. Quel giorno era scolpito nella sua memoria e non se ne sarebbe purtroppo mai liberato.
Jean urlava.
Jean piangeva.
Jean gli diceva che lo amava.
Jean gli chiedeva spiegazioni.
E lui non ne aveva avute.
Lui aveva paura, perché sarebbe dovuto uscire dalla sua gabbia dorata e affrontare un mondo che non sapeva come avrebbe accettato il suo nuovo ego. Era molto più semplice e meno rischioso continuare a camminare sulla strada che altri avevano scelto.
Anche una volta trasferitosi lontano da casa, aveva continuato a seguire quella strada. Negando se stesso in continuazione. Non raccontando nulla neppure ai suoi amici.
Lui era Marco Bodt. L'uomo perfetto, a detta di quelli che lo conoscevano, che tutti avrebbero voluto sposare. Era cresciuto mimando quella perfezione ogni giorno. A scuola, all'università, al lavoro, nella vita.
E ora gli sembrava che non avesse mai deciso nulla solo. La scuola che aveva frequentato, lo sport praticato da ragazzo. Gli studi universitari, e soprattutto la vita sentimentale.
Gli sembrava ora di aver sempre permesso ad altri di decidere per lui. Sua madre che vedeva sempre male la sua relazione con Jean. Suo padre che gli chiedeva se fosse gay, come se fosse un insulto, perché non si era mai trovato una ragazza. Sua madre che lo aveva abbracciato quando lo aveva visto in lacrime, ma che gli aveva detto che sapeva che sarebbe finita così. Che rapporti mostruosi come quello fanno a finire all'inferno, che almeno lui poteva salvarsi se Jean voleva continuare a condannare la propria anima a bruciare nelle fiamme della dannazione per sempre.
Ma lui all'inferno per Jean ci sarebbe finito. Anche in quello stesso momento, quando a 22 anni il suo cuore aveva smesso di battere e lui non credeva possibile una cosa del genere. Aveva sempre pensato che il dolore al cuore fosse solo sintomo di qualche malattia cardiaca, non di cuore spezzato a causa dell'amore. Ma quando Jean gli aveva urlato contro, sputando più veleno di quanto in realtà ne provasse; quando gli aveva dato le spalle, prendendo le proprie cose e uscendo dalla sua stanza, per sempre, allora il cuore si era spezzato davvero. Lo aveva sentito rompersi. E gli aveva fatto male.
Anche se tutti dicevano che era sbagliato, che non sarebbe mai funzionato, o che il primo amore finiva sempre male; lui sapeva che quei sentimenti erano stati veri dal primo all'ultimo istante.
E lo erano stati anche mentre Jean lo baciava per l'ultima volta.

✵✵✵

“Ma come fai a sposarti di domenica?” Connie aveva brontolato mentre si appoggiava ad una delle colonne della navata della chiesa in cui si sarebbe celebrata la cerimonia.
“Hanno deciso così i genitori di Annie.” Lo sposo si stava sistemando i gemelli su una manica, quasi incurante delle persone che gli stavano attorno. Non era nervoso, anche se tutti continuavano a chiederglielo non appena lo incrociavano. Avrebbe solo dovuto ripetere dopo il prete e tutto si sarebbe concluso nel giro di un'oretta.
“Ma così non si può festeggiare fino a tardi.” Aveva protestato di nuovo, guardando anche gli altri.
“Penso lo abbiano deciso proprio per questo. Ad Annie andava bene, a me anche, e allora non abbiamo protestato.” Avrebbe tanto voluto passarsi le dita tra i capelli, ma poi si era ricordato di quanto gel ci aveva messo sopra per farli stare in qualche modo quella mattina.
“Ed il comune?”
Marco aveva alzato gli occhi al cielo.
“Lo sai che sei proprio petulante stamattina?”
E in quel momento si era reso conto di aver fatto un passo falso, perché aveva sentito gli occhi di tutti su di sé. Marco non rispondeva mai male alle persone. Marco cercava sempre di essere gentile con tutti. Aveva deglutito, fissando la punta delle proprie scarpe laccate. “Scusate, ho dormito poco e male stanotte.”
“Marco,” aveva sentito la forte mano di Reiner sulla sua spalla. Aveva guardato il biondo e questi gli sorrideva. “Stai tranquillo. Devi solo stare lì, in piedi davanti al prete. E poi andrà tutto bene e sarà finito subito.”
“Non è questo.” Si era passato una mano sul viso. Non aveva il coraggio di guardare Armin. Non dopo la conversazione che avevano avuto la sera prima. Sapeva che il biondo lo stava guardando, ma lui non riusciva a ricambiare il suo sguardo.
Non riusciva a togliersi dalla mente il ragazzo con cui era cresciuto. Non riusciva a cancellare i suoi sorrisi. I suoi bronci. Non poteva dimenticare come le loro dita si chiudessero le une contro le altre. Non poteva dimenticare il sapore dei suoi baci, della sua pelle. Non riusciva a togliersi dalla mente il suono della sua voce. Il suo tono arrabbiato, la sua voce rotta dal piacere.
Avrebbe dovuto pensare ad Annie, che stava per arrivare. Avrebbe dovuto pensare alla donna con cui stava per legarsi, con cui avrebbe passato il resto della sua vita. Non a Jean. Non di nuovo a lui.
Armin aveva sospirato e questo lo aveva fatto distrarre dai propri pensieri.
“La cerimonia sta per iniziare.” Anche l'altro biondo gli si era avvicinato e lo guardava. “Quello che ti ho detto ieri è ancora valido, ma adesso non c'è più tempo per pensarci.”
Marco aveva deglutito e annuito. Si era sistemato il frac. Aveva sfiorato i capelli per controllare che fossero a posto. Aveva preso un profondo respiro. E si era avviato all'altare.

✵✵✵

Marco era in piedi davanti all'altare. Il prete di fronte a lui. Armin al suo fianco. Osservava le decorazioni. Osservava il crocefisso. Il suo sguardo non si fermava su nessun oggetto per più di qualche secondo. Cercava di memorizzare ogni dettaglio, perché era tutto perfetto. Era come guardare uno di quei matrimoni da film.
Quando il grande e vecchio organo della chiesa aveva scandito i primi accordi della marcia nuziale, e la porta della chiesa si era aperta, assieme a tutti gli altri invitati si era voltato.
Aveva guardato velocemente gli invitati. La sua famiglia in prima fila. Sua sorella maggiore, Ymir, che gli sorrideva e alzava il pollice. Sua madre che già piangeva commossa. Dall'altra parte la famiglia di Annie. Seri e molto più composti di quanto non lo fossero i Bodt.
I loro amici. Poteva notare Reiner e Bertholdt che si tenevano per mano. Connie che parlava con Sasha e lei gli sorrideva. Mikasa che cercava di tenere fermo Eren che continuava a girarsi a guardare il proprio capo, che se ne stava seduto accanto al suo di capo e che lo ignorava. C'erano i suoi colleghi.
C'erano tutte le persone che per lui contavano. Almeno dalla sua parte di invitati. Tutti erano li per lui e gli sorridevano, felici per lui in quel giorno di gioia.
Annie, accompagnata dal padre, percorreva lentamente la navata. Marco aveva già visto l'abito in precedenza, sapeva che modello avesse scelto, ma questa era la prima volta che glielo vedeva addosso.
Ed era stupenda.
I capelli sciolti coperti dal velo. L'abito elegante e lineare che le fasciava il corpo.
Aveva sorriso al pensiero che stesse imitando anche lei la duchessa di Cambridge nel giorno delle sue nozze, ma era stupenda. Anche se stringeva il bouquet troppo forte e sembrava più annoiata che altro. Ma era Annie, aveva imparato a conoscerla in quei anni.
“Sei bellissima.” Le aveva sussurrato una volta che la donna era al suo fianco. Le aveva sorriso, e lei aveva ricambiato il sorriso e gli aveva stretto piano la mano.
“Anche tu non sei male, Bodt.”
E poi aveva guardato il prete. La musica aveva smesso di riempire l'edificio e il prete aveva preso la parola.
Da giovane aveva molte pensato a come sarebbe stato il giorno delle sue nozze. Aveva fantasticato sul proprio completo. Sui fiori. Sulla torta. Con Jean ne aveva parlato poche volte, e ogni volta il biondo aveva descritto più un rave che un banchetto nuziale. E allora ne ridevano insieme. Nelle loro parole non si parlava mai di chiese, non si parlava mai di giuramenti solenni. Si parlava di anelli. Di promesse da scambiare tra di loro. Di cerimonie modeste, che erano molto più adatte ad entrambi rispetto alla pompa magna a cui stava partecipando.
Jean in quelle parole probabilmente ci credeva davvero. Per lui erano quasi certamente solo delle fantasie. Perché non avrebbe mai avuto il coraggio di fare quel passo.
Solo che ora si trovava perso. Aveva perso se stesso inseguendo sogni di altri, e si sentiva di nuovo distrutto per aver rifiutato l'amore sincero che Jean aveva provato per lui.
Ascoltava il prete che parlava di amore. Ascoltava quelle parole e guardava la donna che aveva accanto. Osservava il suo profilo. Osservava lei ma vedeva un'altra persona al suo posto.
“Marco ed Annie,” la voce del prete lo aveva distratto dai suoi pensieri e aveva guardato l'uomo che gli stava di fronte. “Siete venuti a celebrare il Matrimonio senza alcuna costrizione, in piena libertà e consapevoli del significato della vostra decisione?”
Quella era parte semplice, doveva solo rispondere di sì, e così avevano fatto entrambi.
“Siete disposti, seguendo la via del Matrimonio, ad amarvi e onorarvi l'un l'altro per tutta la vita?”
Aveva risposto di sì, lo aveva detto. Anche se non aveva sentito il suo della sua stessa voce.
“Siete disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?”
Jean aveva una figlia. Una bellissima bambina che gli assomigliava moltissimo, ma sorrideva più dolcemente. Bionda e con gli occhi di suo padre. E Jean doveva essere un padre amorevole.
Aveva iniziato a parlare quando il prete gli aveva fatto un cenno col capo e si era voltato verso Annie. Le aveva spostato il velo dal viso e l'aveva guardata.
“Io Marco, accolgo te, Annie, come mia sposa.” Aveva imparato bene quelle parole. Le sapeva a memoria, ma le sentiva incespicare sulla propria lingua. “Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore...” Si era fermato. La bocca socchiusa, mentre il suo cervello gli intimava di continuare a parlare, ma i suoi muscoli non si muovevano. L'aveva vista inarcare un sopracciglio e guardarlo male, non capendo cosa gli stesse succedendo.
“Marco?”
“Mi dispiace, non lo posso fare, Annie.”
Annie aveva spalancato gli occhi e aveva stretto la mascella.
“Scusa...?”
Aveva preso un profondo respiro, prima di stringerle la mano. “Sei davvero l'unica donna che abbia mai amato e che mai potrò amare. E su questo non scherzo, né mento. Sarai per sempre l'unica donna nella mia vita, ma non posso sposarti, perché temo che ti farei vivere in un'eterna bugia.” Aveva abbassato lo sguardo sulle loro mani unite. Sentiva il mormorio di tutti i presenti. Sapeva che stavano tutti parlando di quanto fosse stronzo e infame, ed avevano ragione. Se avesse avuto più coraggio in passato, non sarebbero arrivati a quel punto. Non starebbe spezzando il cuore ad una persona che non lo meritava. “Sono innamorato di un'altra persona. Ne sono innamorato da così tanto tempo che rivederlo dopo anni mi ha fatto capire che non ho mai smesso di amarlo.” Aveva alzato di nuovo lo sguardo su di lei e aveva cercato di sorriderle. “E tu ti meriti solo le cose migliori del mondo, e io non credo di poterti rendere felice come meriteresti. Quindi mi dispiace davvero, ma non posso sposarti.”
E prima che riuscisse a rendersene conto, un pugno si abbatteva sulla sua faccia e il caos scoppiava attorno a lui.

✵✵✵

Il contatto tra la sua pelle e la lattina di birra ghiacciata lo aveva fatto sussultare. Aveva alzato la testa dalla posizione comoda sulle sue braccia solo per vedere Annie che si sedeva di fronte a lui, ancora con l'abito da nozze addosso, ma i capelli legati come faceva sempre. Beveva birra da una bottiglia e si guardava attorno.
Reiner, dopo il putiferio scoppiato in chiesa, aveva avuto la geniale idea di portare tutti – o perlomeno chi aveva voluto seguirli - in ogni caso al banchetto nuziale. Era già stato tutto pagato, e non si vedeva spesso un matrimonio che saltava in chiesa. A detta del biondo era un'occasione da festeggiare anche quella.
Anche se i genitori degli sposi non si erano uniti ai festeggiamenti. E così la maggior parte degli invitati della famiglia Leonhart.
“Non credevo che i pugni di Armin potessero fare così male.”
Il moro si era premuto la lattina contro la guancia. Lo zigomo era tumefatto e gli faceva male solo al pensare di possederne uno.
“Mi ha solo preceduta. Io ti avrei colpito anche più forte.” Aveva bevuto un altro sorso di birra, non togliendo stavolta gli occhi da lui.
“Avrei dovuto parlartene prima.” Marco si era passato una mano tra i capelli, guardando ovunque tranne la donna che gli sedeva di fronte.
“Avresti dovuto sì. Ma anch'io mi sarei dovuta far venire dei dubbi quando ho visto la tua cronologia sui siti porno.”
“Tu cosa?” Aveva improvvisamente girato la testa verso di lei, e l'aveva vista ghignare.
“A volte non cancelli la cronologia, e anche le donne vanno sui siti porno, anche se voi maschi credete di no.”
“Annie, ti prego...” Aveva mugugnato passandosi una mano sul viso, e gemendo di dolore quando aveva toccalo lo zigomo.
“A grandi linee le ho raccontato quello che forse avresti dovuto dirle tu prima di oggi.”
Aveva voltato il viso verso la nuova voce, solo per trovarsi di fronte sua sorella, l'unica della sua famiglia ad essere rimasta quando i Bodt e i Leonhart si erano accaniti su di lui.
“Marco, sul serio hai incontrato Jean? Quel Jean che gira nei peggiori locali gay di Parigi?” Ymir aveva rubato la birra con cui lui si stava rinfrescando la ferita e aveva di nuovo emesso un gemito di dolore.
“Ma cosa ne sai tu di che locali frequenta?” Aveva mormorato, nascondendo di nuovo la testa contro le braccia. Avrebbe voluto parlare con Annie da solo, se proprio doveva. Non con Ymir presente che avrebbe sicuramente peggiorato la sua situazione.
“Perché va ne negli stessi posti in cui vado io.”
Marco aveva di nuovo alzato la testa, guardandola e cercando di mettere insieme le informazioni che sua sorella gli aveva appena dato. Aveva alzato un dito e aperto bocca, ma prima che riuscisse a parlare Ymir aveva lasciato la birra sul tavolo.
“Oh, quella biondina l'ho vista in chiesa, tra i tuoi invitati Annie.”
La bionda aveva seguito lo sguardo della mora e poi le aveva dato le informazione di cui a quanto pareva aveva bisogno. “Historia, una mia parente alla lontana.”
“E' single?”
“Sì.” Annie aveva scosso la testa, mentre la mora già si incamminava e poi si voltava verso il fratello.
“Di questo parleremo quando tornerai a Parigi, fratellino!”
Marco l'aveva fissata a bocca aperta e poi si era voltato verso Annie, che aveva alzato le braccia scuotendo la testa.
“Le confidenze che ci siamo fatte restano tra noi, e ne dovrai parlare con lei.”
Il moro aveva scosso la testa, guardando i loro amici che ballavano, mangiavano e bevevano attorno a loro.
“Perché non hai mai detto nulla? Nessuno di noi ti avrebbe mai giudicato, neppure io.” Marco l'aveva guardata in modo scettico e lei aveva soltanto alzato un sopracciglio. “Bodt, un uomo bisessuale lo posso accettare, non sono così bigotta.”
“Avevo semplicemente paura, Annie. Ho sempre avuto paura di questo, perché mi hanno insegnato ad averne paura. Mi hanno sempre ripetuto che era sbagliato, che potevo avere serie ripercussioni sugli studi e sul lavoro.”
“Il tuo capo è gay. Due dei tuoi migliori amici sono gay. Eren cerca di provarci con il suo capo nonché partner del tuo di capo. E sull'identità sessuale di Hanji stiamo ancora scommettendo. E non mi sembra che nessuna di queste persone abbia problemi col mondo.”
Aveva sospirato perché sapeva che Annie aveva ragione. Solo che fino a quel momento lui si era sentito un bambino smarrito, che aveva continuato a mentire anche a sé stesso credendo che andasse bene così.
“Oggi lo hai detto davanti a tutti gli invitati. Davanti al prete per giunta.” Annie si sporta verso di lui, appoggiandosi sul tavolo e prendendogli una mano.
“Tuo padre mi farà causa.” Quando l'aveva vista sorridere, si era rilassato lievemente. La donna a cui aveva distrutto il giorno più importante della sua vita non lo odiava. Se ne stava seduta accanto a lui, gli stringeva la mano come aveva fatto infinite altre volte. “Avrei dovuto telefonarti subito e spiegarti cos'era successo, e non ho scusanti per quello che ho fatto. Ma mi ero quasi convinto che non era successo nulla di importante, che se avevo vissuto 10 anni senza di lui, sarei andato di nuovo avanti per altri 10 almeno senza rivederlo. Ma stamattina in chiesa, mentre il prete continuava a parlare, mi sono reso conto che stavo sbagliando. Che stavo per rovinare la vita di entrambi.”
Annie aveva sospirato, stringendo di più la sua mano. “Un po' sono anche felice di non avere una fede al dito. Sai che come te non sono una grandissima fan dei matrimoni. E vedere il matrimonio finto dei miei mi fa venire la nausea.” Aveva roteato gli occhi verso il cielo facendo una smorfia disgustata. “Sarebbe stato più per far piacere a loro che per un vero desiderio mio.”
“Ti capisco perfettamente.” Aveva ridacchiato, accarezzandole il dorso della mano con il pollice.
“Cos'hai intenzione di fare adesso, Marco?”
“Restituire i regali di nozze? Scusarmi con i tuoi e con i miei? Scusarmi con Armin perché sono un pessimo amico.”
Aveva notato il biondo che titubante si stava avvicinando. Aveva deluso il proprio migliore amico. Proprio quando solo la sera prima Armin aveva palesato i suoi sentimenti per Annie. E quel pugno se l'era meritato tutto.
Armin si era fermato accanto al loro tavolo. Aveva guardato prima Marco, ma non gli aveva rivolto la parola per concentrarsi sulla donna che ora lo stava guardando, curiosa.
“Annie, so che forse non è il momento più adatto, ma vorresti ballare con me?” Il mostro delle aule di tribunale stava quasi per tremare mentre pronunciava quelle parole. Guardava serio e determinato la donna che era ancora seduta, e che aveva spalancato gli occhi a quella richiesta. Aveva guardato Marco, che li guardava sorridendo, poi Armin, e alla fine si era alzata, prendendo la mano che il biondo le porgeva.
“Molto volentieri.”
Il sorriso sul volto di Armin era così radioso che anche Marco ne era stato completamente contagiato, mentre prendeva la famosa lattina di birra e la svuotava.
“Marco,” aveva spostato lo sguardo sull'ormai ex fidanzata, che si era già allontanata di qualche passo con Armin. “Ai regali e tutto il resto penseremo quando tornerai da Parigi, chiaro?”
Non gli aveva dato il tempo di rispondere che si era voltata per seguire Armin sulla pista da ballo, e forse era così che doveva andare. Forse era dovuto succedere tutto esattamente così. Forse gli erano servite proprio le parole in chiesa, Annie in abito da sposa accanto a lui, a fargli capire che stava per commettere l'errore più grande della sua vita.
Tutto sommato era stato un bastardo fortunato. E ora aveva la possibilità di rimediare al primo grande errore che aveva fatto, che aveva poi portato a tutta quella serie di eventi che si erano succeduti culminando nel non matrimonio.
Poteva risolvere tutto, doveva solo prenotare un volo per Parigi e fargli una sorpresa.

   
 
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