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Autore: GioTanner    27/12/2015    7 recensioni
'Camminò pigramente indugiando sulle punte, aveva quindici anni e gli occhi nel tempo gli si erano spenti, ma alcune abitudini erano dure a morire. Perciò continuava a dondolarsi oscillando fra un passo e l'altro mentre su i capelli dorati si posava leggera la neve, lasciandogli poi un piccolo tremito di freddo che andava manifestandosi sulla pelle accaldata.
Si fermò di colpo guardando avanti.

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Primi giorni di Dicembre, un freddo claustrofobico e opaco avvolge il Santuario nella sua morza. Un'amarezza abitudinaria accompagna un ragazzo dall'armatura dorata, un'amarezza stanca che lo porta dinanzi alla lapide di Aiolos, suo fratello.
Dove è posato un fiore. Un fiore ancora fresco, un fiore che Aiolia non ha mai posato su quella tomba.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leo Aiolia, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fiore



Erano i primi giorni di Dicembre e la neve fioccava lenta, opaca e gentile, senza mai posarsi a lungo sul territorio greco. Il mare schiantava la propria irruenza fredda e decisa sugli scogli e la sabbia si ricopriva d'acqua, sciogliendo la neve appena caduta. Il freddo era pungente per alcuni, troppo mite per altri.
I greci, nati e cresciuti nel caldo sole d'Atene, difficilmente adoravano l'invernale stagione. Troppo abituati al dolce tepore del mare d'estate, abbronzati dalle lunghe giornate afose e soleggiate.

Aiolia era un greco anche in questo. Aiolia adorava i mesi estivi e le goccioline di sudore colargli giù per la fronte quando s'allenava da solo alla luce d'un sole morente. Adorava sentire il sole concedergli i suoi ultimi maestosi raggi, come un regalo dopo un duro allenamento e, apprezzava ancora di più, il fresco di una doccia sulla sua pelle baciata dal calore estivo, una volta giunto alla casa del Leone.
Quel giorno quindi era un giorno abbastanza misero, col cielo sgombro dalle nuvole, ma con una palla di fuoco ingrigita e lontana. Aiolia era inginocchiato con il palmo della mano a terra a vedere, lì dove una volta v'era stata un pietra, il solco inflitto dal suo pugno e che ancora scottava il terreno; d'improvviso sentì il confuso vociare di alcuni giovani apprendisti cavalieri che gridavano il nome di alcuni loro coetanei scesi giù per la valle, quasi ai confini del Santuario e la corsa di alcuni soldati dalla parte opposta dell'arena in cui Aiolia sostava. Si alzò con lo sguardo rammaricato e la chiara rassegnazione intesa nelle sue braccia conserte: quei ragazzi stavano provando a disertare... ad evadere dal Santuario per mai più tornare e la sorte che gli sarebbe toccata era la peggiore auspicabile. Così corse lì dove sentì il cosmo fioco e irregolare di quei giovani sconsiderati e impauriti. Gli ci volle quel secondo istantaneo per arrivare a destinazione. Un instante in più rispetto a due cavalieri che, sebbene ad una velocità inferiore a quella della luce d'un Cavaliere d'oro, erano da prima sulle tracce dei disertori e che, non appena trovati, avevano prontamente eliminato.

Non sono i primi in questi anni... non saranno neppure gli ultimi.” Pensò Aiolia, ma il cuore gli tremava mentre vedeva già il sangue uscire a flotti e rigare i volti di quegli adolescenti, trucidati da due Silver Saint giunti per recidere le vite di chiunque cercasse di fuggire dal Santuario, così come era da legge, per ordine del Gran Sacerdote. Questa volta non era riuscito neanche a parlare a quei poveri ragazzini, non era riuscito neanche nell'intento di far loro cambiare idea... che i loro corpi erano ormai riversati al suolo e qualche fiocco di neve, implacabile, già si posava su di loro, abbracciandoli nel freddo della morte.
Sempre più giovani provavano a darsi alla fuga, sempre più giovani perdevano la vita in un fallimento mediocre... eppure continuavano a disertare, a provare e a sperare di scappare, a cercare qualcosa oltre il Santuario.
Il Leone Dorato avanzò di un passo sulla terra umida: «Non lasciateli qui nel terriccio freddo. Portate i loro corpi al Gran Sacerdote vi dirà lui se dovrete seppellirli.»
I due cavalieri d'Argento annuirono e in poco tempo scomparvero dalla visuale di Aiolia, come non fosse accaduto nulla. “Magari non fosse accaduto nulla.” Si ritrovò a suggerirgli la mente, provando un'amarezza non nuova.
Ora sarebbe dovuto tornare indietro, il sole avrebbe accompagnato i suoi passi ancora per qualche ora e non era il caso di attardarsi su una strada incolta e bagnata dalla neve scioltasi a contatto col suolo.
Camminò pigramente indugiando sulle punte, aveva quindici anni e gli occhi nel tempo gli si erano spenti, ma alcune abitudini erano dure a morire. Perciò continuava a dondolarsi oscillando fra un passo e l'altro mentre su i capelli dorati si posava leggera la neve, lasciandogli poi un piccolo tremito di freddo che andava manifestandosi sulla pelle accaldata.

Si fermò di colpo guardando avanti.
E scivolò quasi sul suolo appena appena innevato. Il piede slittò in avanti e si fece forza sull'equilibrio del piede destro per non cadere rovinosamente a terra. Continuò a guardare avanti e si portò una mano allo stomaco.
Quello era il cimitero del Santuario.
Più volte l'aveva scorto quando era fuori dall'arena di combattimento: le prime lapidi iniziavano non troppo lontano da dietro gli spalti di destra. Le lapidi più vicine alle dodici case, erano le lapidi di uomini valorosi e forti che tutti dovevano ricordare. Dietro di loro, a distanza, prima i Silver caduti in battaglia e in fine i cavalieri di Bronzo periti nobilmente. Il cimitero continuava per miglia e miglia e, ancor più distante, v'erano seppelliti le guardie e le ancelle fra la vegetazione tagliata per rispetto dei morti e delle loro tombe sotto terra. Ma Aiolia era a metà strada fra il confine consentito e l'arena e lì era dove finiva quel vasto cimitero.
Lì dove l'ultima lapide recava inciso in greco antico il nome di suo fratello.
Distante dagli eroi, distante dai cavalieri a cui Sagittarius era superiore e distante dalle ultime tombe. Così lontano da essere dimenticato, così lontano da essere l'ultimo nel cimitero e talmente ultimo che intorno alla sua tomba cresceva rigogliosa la vegetazione, senza mai essere stata potata. L'umidità aveva intaccato l'incisione e del muschio ne cresceva all'interno.
Aiolia si tenne la mano sullo stomaco e si detestò per aver osato guardare davanti a sé. Ma ora era lì e il dolore allo stomaco premeva sulla sua coscienza: un magone che infiammava il viso di angoscia.

Vide un fiore.
Un solo fiore, tagliato di fresco, posato sopra la fredda lapide in modo che stesse dritto. Bianco dalle chiazze giallastre, non ancora appassito. Aiolia decise però che, non s'era addentrato nel cimitero per guardare un fiore... anche se era un fiore sopra la lapide di suo fratello.

«Non sono mai venuto a trovarti. -Il quindicenne chiarì l'ovvio. -Prima per vergogna, adesso per non provare dolore...» La neve ovattava il suono delle parole di Aiolia, che si era inginocchiato con entrambe le mani a terra e la testa china, rivolta all'incisione rovinata dalle intemperie. Sospirò.
Un attimo di silenzio.
Un altro sospiro.
«Perché provo dolore nel comprendere che non potrò mai, mai... riscattare il tuo nome. E per quante volte io continui a impegnarmi nelle missioni che mi affidano, io non potrò mai dire che non eri un traditore e darti pace.»
Aiolia non piangeva, era un boccone amaro con cui conviveva da anni quello che aveva appena affermato. Aiolia stringeva forte fra le mani la neve e l'erba bagnata che gli sporcava le dita, mentre la voce rimaneva inalterata.
Un altro silenzio poi.
Un altro po'.
Il calar del sole era ormai imminente e il fiore continuava a restare fermo col gambo intrappolato in una fessura della lapide. Come se qualcuno si fosse premurato di non farlo volare via. E fra la sporca vegetazione c'era solo quel colore candido e pallido a non chinar immediatamente i petali di fronte al freddo.
«Era il tuo compleanno... -Si ritrovò a dire Aiolia, con gli occhi stretti e le labbra corrucciate, con i palmi delle mani che ora accarezzavano piano la dura roccia, cercando di togliere il ghiaccio secco e il muschio verdognolo su cui c'
era scritto Αἴολος. -Sì è vero... Era il tuo compleanno pochi giorni fa. Quel fiore..? Da... Da quando sei morto non c'è stato più un motivo per cui festeggiare un giorno invernale.»

Le parole ogni tanto venivano strascinate e cadevano nella neve, perdendosi.
«Non credo tornerò a trovarti Aiolos. -Suo fratello aveva finalmente detto il suo nome. Anche se il suo nome era stato preceduto da una amara premessa. -Altre rare volte sono giunto su questa strada ed è stato per me un errore venire a vederti, oggi. Non posso cadere nello sconforto se voglio essere forte, se voglio essere come tu mi hai insegnato.»
Con le nocche diete un colpetto alla lapide e poi s'alzò da terra: «Almeno nel mio cuore non posso e non voglio ricordarti come l'uomo che ha tradito. Perciò non verrò mai più a visitare questa tomba. -E Aiolia parlava all'aria, al cielo, alla terra, come se sperasse che le carni di Aiolos, suo fratello, non potessero sentirlo, ma bensì l'anima potesse davvero percepire quelle parole, seppur fosse negli Inferi. -Perché nel mio cuore tu ti sei riscattato come fratello... perché nel mio cuore tu sei riuscito a farmi divenire ciò che sono. Ma solo nel mio cuore. E solo questo posso tenermi. Solo questa certezza. Solo questo.»
Aiolia corse via e il fiore rimase lì. Il fiore, più resistente di uomo che trascina i suoi piedi e dondola, per andare avanti.

-

Il fiore continuò a resistere un altro paio di giorni e poi appassì all'imbrunire del giorno. Finché un uomo, dall'armatura dorata di cui adesso era spoglio e dalla lama perfetta una notte fredda di gennaio non tornò con un altro fiore fresco. Un fiore bianco e pallido, ma dalle chiazze giallastre e con l'odore di essere appena stato tagliato.
Non disse niente, come era solito fare. Poi le sue mani corsero sulla lapide e non trovarono più il muschio creatosi negli anni.
Qualcuno l'aveva strappato via. Così se ne andò, non prima però di essersi accertato che il fiore non sarebbe volato nel vento. Sincerandosi di non essere visto da nessuno, perché l'ipocrisia e il dolore dovevano rimanere per sé.


- - - - -


Buona domenica gente!
Come chi avrà letto vedrà... posso dire con certezza che questa one shot è un po'... un po' vaga. Il fiore, l'elemento importante, il titolo del racconto... è inserito a metà capitolo e dura forse troppo poco per dar nome all'intera storia. Me ne rendo conto. Ma volevo, davvero,
dare uno spaccato di amarezza e 'coltre' invernale. Un 'impensierirsi' che proviene dall'inverno, dai fiocchi di neve che si posano sopra i cadaveri, sopra il sangue, che proviene dall'essere inadeguati e amareggiati dinanzi all'avvenire... tutto in un punto di vista che è a metà fra quello di Aiolia e quello di un narratore che SA di Arles, che SA la tristezza che avvolge segretamente il Santuario.
Uno spaccato di
sofferenza innocua. Qualcosa del genere.
Un'inadeguatezza che hanno gli uomini... ma che non ha la natura
.
La quale cresce anche sopra le lapidi... che resiste al dolore più dell'uomo /al dolore di Aiolia che corre via dalla lapide di suo fratello/. Come questo fiore. Un fiore portato da... Shura il giorno del compleanno di Aiolos. Un'ipocrisia velata che volevo assolutamente mettere.

Un'ipocrisia triste e disperata
che fa sì che, a gennaio (quindi immaginate il giorno del compleanno di Shura)... Capricorn porti un altro fiore alla tomba di Aiolos. E si accorge così che qualcuno ha strappato via il muschio dall'incisione sulla lapide.
E allora se ne va, nel silenzio della notte.

Mi piaceva pubblicarla, ma posso comprendere anche chi rimarrà perplesso. Perciò sono aperta ai pareri.
Grazie a chiunque leggerà,
Giò.




   
 
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