Fiore
Erano
i primi giorni di Dicembre e la neve fioccava lenta, opaca e gentile,
senza mai posarsi a lungo sul territorio greco. Il mare schiantava la
propria irruenza fredda e decisa sugli scogli e la sabbia si
ricopriva d'acqua, sciogliendo la neve appena caduta. Il freddo era
pungente per alcuni, troppo mite per altri.
I
greci, nati e cresciuti nel caldo sole d'Atene, difficilmente
adoravano l'invernale stagione. Troppo abituati al dolce tepore del
mare d'estate, abbronzati dalle lunghe giornate afose e soleggiate.
Aiolia
era un greco anche in questo. Aiolia adorava i mesi estivi e le
goccioline di sudore colargli giù per la fronte quando
s'allenava da solo alla luce d'un sole morente. Adorava sentire il
sole concedergli i suoi ultimi maestosi raggi, come un regalo dopo un
duro allenamento e, apprezzava ancora di più, il fresco di
una
doccia sulla sua pelle baciata dal calore estivo, una volta giunto
alla casa del Leone.
Quel
giorno quindi era un giorno abbastanza misero, col cielo sgombro
dalle nuvole, ma con una palla di fuoco ingrigita e lontana. Aiolia
era inginocchiato con il palmo della mano a terra a vedere,
lì
dove una volta v'era stata un pietra, il solco inflitto dal suo pugno
e che ancora scottava il terreno; d'improvviso sentì il
confuso vociare di alcuni giovani apprendisti cavalieri che gridavano
il nome di alcuni loro coetanei scesi giù per la valle,
quasi
ai confini del Santuario e la corsa di alcuni soldati dalla parte
opposta dell'arena in cui Aiolia sostava. Si alzò con lo
sguardo rammaricato e la chiara rassegnazione intesa nelle sue
braccia conserte: quei ragazzi stavano provando a disertare... ad
evadere dal Santuario per mai più tornare e la sorte che gli
sarebbe toccata era la peggiore auspicabile. Così corse
lì
dove sentì il cosmo fioco e irregolare di quei giovani
sconsiderati e impauriti. Gli ci volle quel secondo istantaneo per
arrivare a destinazione. Un instante in più rispetto a due
cavalieri che, sebbene ad una velocità inferiore a quella
della luce d'un Cavaliere d'oro, erano da prima sulle tracce dei
disertori e che, non appena trovati, avevano prontamente eliminato.
“Non
sono i primi in questi anni... non saranno neppure gli
ultimi.”
Pensò Aiolia, ma il cuore gli tremava mentre vedeva
già
il sangue uscire a flotti e rigare i volti di quegli adolescenti,
trucidati da due Silver Saint giunti per recidere le vite di chiunque
cercasse di fuggire dal Santuario, così come era da legge,
per
ordine del Gran Sacerdote. Questa volta non era riuscito neanche a
parlare a quei poveri ragazzini, non era riuscito neanche
nell'intento di far loro cambiare idea... che i loro corpi erano
ormai riversati al suolo e qualche fiocco di neve, implacabile,
già
si posava su di loro, abbracciandoli nel freddo della morte.
Sempre
più giovani provavano a darsi alla fuga, sempre
più
giovani perdevano la vita in un fallimento mediocre... eppure
continuavano a disertare, a provare e a sperare di scappare, a
cercare qualcosa oltre il Santuario.
Il
Leone Dorato avanzò di un passo sulla terra umida:
«Non
lasciateli qui nel terriccio freddo. Portate i loro corpi al Gran
Sacerdote vi dirà lui se dovrete seppellirli.»
I
due cavalieri d'Argento annuirono e in poco tempo scomparvero dalla
visuale di Aiolia, come non fosse accaduto nulla. “Magari non
fosse accaduto nulla.” Si ritrovò a suggerirgli la
mente, provando un'amarezza non nuova.
Ora
sarebbe dovuto tornare indietro, il sole avrebbe accompagnato i suoi
passi ancora per qualche ora e non era il caso di attardarsi su una
strada incolta e bagnata dalla neve scioltasi a contatto col suolo.
Camminò
pigramente indugiando sulle punte, aveva quindici anni e gli occhi
nel tempo gli si erano spenti, ma alcune abitudini erano dure a
morire. Perciò continuava a dondolarsi oscillando fra un
passo
e l'altro mentre su i capelli dorati si posava leggera la neve,
lasciandogli poi un piccolo tremito di freddo che andava
manifestandosi sulla pelle accaldata.
Si
fermò di colpo guardando avanti.
E
scivolò quasi sul suolo appena appena innevato. Il piede
slittò in avanti e si fece forza sull'equilibrio del piede
destro per non cadere rovinosamente a terra. Continuò a
guardare avanti e si portò una mano allo stomaco.
Quello
era il cimitero del Santuario.
Più
volte l'aveva scorto quando era fuori dall'arena di combattimento: le
prime lapidi iniziavano non troppo lontano da dietro gli spalti di
destra. Le lapidi più vicine alle dodici case, erano le
lapidi
di uomini valorosi e forti che tutti dovevano ricordare. Dietro di
loro, a distanza, prima i Silver caduti in battaglia e in fine i
cavalieri di Bronzo periti nobilmente. Il cimitero continuava per
miglia e miglia e, ancor più distante, v'erano seppelliti le
guardie e le ancelle fra la vegetazione tagliata per rispetto dei
morti e delle loro tombe sotto terra. Ma Aiolia era a metà
strada fra il confine consentito e l'arena e lì era dove
finiva quel vasto cimitero.
Lì
dove l'ultima lapide recava inciso in greco antico il nome di suo
fratello.
Distante
dagli eroi, distante dai cavalieri a cui Sagittarius era superiore e
distante dalle ultime tombe. Così lontano da essere
dimenticato, così lontano da essere l'ultimo nel cimitero e
talmente ultimo che intorno alla sua tomba cresceva rigogliosa la
vegetazione, senza mai essere stata potata. L'umidità aveva
intaccato l'incisione e del muschio ne cresceva all'interno.
Aiolia
si tenne la mano sullo stomaco e si detestò per aver osato
guardare davanti a sé. Ma ora era lì e il dolore
allo
stomaco premeva sulla sua coscienza: un magone che infiammava il viso
di angoscia.
Vide
un fiore.
Un
solo fiore, tagliato di fresco, posato sopra la
fredda lapide
in modo che stesse dritto. Bianco dalle chiazze giallastre, non
ancora appassito. Aiolia decise però che, non s'era
addentrato
nel cimitero per guardare un fiore... anche se era un fiore sopra la
lapide di suo fratello.
«Non
sono mai venuto a trovarti. -Il quindicenne chiarì l'ovvio.
-Prima per vergogna, adesso per non provare dolore...» La
neve
ovattava il suono delle parole di Aiolia, che si era inginocchiato
con entrambe le mani a terra e la testa china, rivolta all'incisione
rovinata dalle intemperie. Sospirò.
Un
attimo di silenzio.
Un
altro sospiro.
«Perché
provo dolore nel comprendere che non potrò mai, mai...
riscattare il tuo nome. E per quante volte io continui a impegnarmi
nelle missioni che mi affidano, io non potrò mai dire che
non
eri un traditore e darti pace.»
Aiolia
non piangeva, era un boccone amaro con cui conviveva da anni quello
che aveva appena affermato. Aiolia stringeva forte fra le mani la
neve e l'erba bagnata che gli sporcava le dita, mentre la voce
rimaneva inalterata.
Un
altro silenzio poi.
Un
altro po'.
Il
calar del sole era ormai imminente e il fiore continuava a restare
fermo col gambo intrappolato in una fessura della lapide. Come se
qualcuno si fosse premurato di non farlo volare via. E fra la sporca
vegetazione c'era solo quel colore candido e pallido a non chinar
immediatamente i petali di fronte al freddo.
«Era
il tuo compleanno... -Si ritrovò a dire Aiolia, con gli
occhi
stretti e le labbra corrucciate, con i palmi delle mani che ora
accarezzavano piano la dura roccia, cercando di togliere il ghiaccio
secco e il muschio verdognolo su cui c'era
scritto Αἴολος.
-Sì è vero... Era il tuo compleanno pochi giorni
fa.
Quel
fiore..? Da...
Da quando sei morto non c'è stato più un motivo
per cui
festeggiare un giorno invernale.»
Le
parole ogni tanto venivano strascinate e cadevano nella neve,
perdendosi.
«Non
credo tornerò a trovarti Aiolos. -Suo fratello aveva
finalmente detto il suo nome. Anche se il suo nome era stato
preceduto da una amara premessa. -Altre rare volte sono giunto su
questa strada ed è stato per me un errore venire a vederti,
oggi. Non posso cadere nello sconforto se voglio essere forte, se
voglio essere come tu mi hai insegnato.»
Con
le nocche diete un colpetto alla lapide e poi s'alzò da
terra:
«Almeno nel mio cuore non posso e non voglio ricordarti come
l'uomo che ha tradito. Perciò non verrò mai
più
a visitare questa tomba. -E Aiolia parlava all'aria, al cielo, alla
terra, come se sperasse che le carni di Aiolos, suo fratello, non
potessero sentirlo, ma bensì l'anima potesse davvero
percepire
quelle parole, seppur fosse negli Inferi. -Perché nel mio
cuore tu ti sei riscattato come fratello... perché nel mio
cuore tu sei riuscito a farmi divenire ciò che sono. Ma solo
nel mio cuore. E solo questo posso tenermi. Solo questa certezza.
Solo questo.»
Aiolia
corse via e il fiore rimase lì. Il fiore, più
resistente di uomo che trascina i suoi piedi e dondola, per andare
avanti.
-
Il
fiore continuò a resistere un altro paio di giorni e poi
appassì all'imbrunire del giorno. Finché un uomo,
dall'armatura dorata di cui adesso era spoglio e dalla lama perfetta
una notte fredda di gennaio non tornò con un altro fiore
fresco. Un fiore bianco e pallido, ma dalle chiazze giallastre e con
l'odore di essere appena stato tagliato.
Non
disse niente, come era solito fare. Poi le sue mani corsero sulla
lapide e non trovarono più il muschio creatosi negli anni.
Qualcuno
l'aveva strappato via. Così se ne andò, non
prima
però di essersi accertato che il fiore non sarebbe volato
nel
vento. Sincerandosi di non essere visto da nessuno, perché
l'ipocrisia e il dolore dovevano rimanere per sé.
- - - - -
Buona
domenica gente!
Come
chi avrà letto vedrà... posso dire con certezza
che
questa one shot è un po'... un po' vaga. Il fiore,
l'elemento
importante, il titolo del racconto... è inserito a
metà
capitolo e dura forse troppo poco per dar nome all'intera storia. Me
ne rendo conto. Ma volevo, davvero, dare
uno spaccato di amarezza e 'coltre' invernale.
Un 'impensierirsi' che proviene dall'inverno, dai fiocchi di neve che
si posano sopra i cadaveri, sopra il sangue, che proviene dall'essere
inadeguati e amareggiati dinanzi all'avvenire... tutto in un punto di
vista che è a metà fra quello di Aiolia e quello
di un
narratore che SA di Arles, che SA la tristezza che avvolge
segretamente il Santuario.
Uno
spaccato di sofferenza
innocua.
Qualcosa del genere.
Un'inadeguatezza
che hanno gli uomini... ma che non ha la natura.
La
quale cresce anche sopra le lapidi... che resiste al dolore
più
dell'uomo /al dolore di Aiolia che corre via dalla lapide di suo
fratello/. Come questo fiore. Un fiore portato da... Shura il giorno
del compleanno di Aiolos. Un'ipocrisia velata che volevo
assolutamente mettere.
Un'ipocrisia
triste e disperata
che fa sì che, a gennaio (quindi immaginate il giorno
del compleanno
di Shura)... Capricorn porti un altro fiore alla tomba di Aiolos. E
si accorge così che qualcuno ha strappato via il muschio
dall'incisione sulla lapide.
E
allora se ne va, nel silenzio della notte.
Mi
piaceva pubblicarla, ma posso comprendere anche chi rimarrà
perplesso. Perciò sono aperta ai pareri.
Grazie
a chiunque leggerà,
Giò.