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Autore: luley0    29/12/2015    1 recensioni
Dall'esterno chiunque direbbe che Emma e Louis non c'entrano nulla l'una con l'altro, frequentano ambienti diversi, hanno caratteri diversi e alle spalle situazioni familiari all'apparenza opposte. Lui quasi non sa che lei esiste e conduce una vita invidiabile e serena. Emma invece si perde a guardarlo giocare nel campetto della scuola, attenta a non far trasparire i suoi sentimenti. Quasi per caso, e con una naturalezza inaspettata, i due si avvicinano fino a diventare inseparabili durante gli anni. Eppure la vita è strana, tanto da capovolgere le situazioni, e Louis potrebbe capire troppo tardi di provare qualcosa per Emma.
"Emma non vantava una collezione di bei ricordi, al contrario - tutto ciò che teneva ben saldo nella sua mente erano le lunghe assenze di un padre di cui a stento ricordava la sagoma, le promesse non mantenute di una madre alcolizzata, le urla e una serie di flash agonizzanti e confusi di cui non voleva più aver memoria. Tra tutte le brutte esperienze, però, Emma era stata fortunata in qualcosa. Per caso, lungo il percorso, aveva trovato qualcuno che le volesse bene e la proteggesse."
*Spin-off di Ho sentito parlare di Ho sentito parlare*
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2

«Dio, non ci credo che ascolti i Nirvana» Louis si passò una mano sulla faccia incredulo, mentre continuava a camminare fianco a fianco con Emma.
«Non so perché, ma sono sempre stata affascinata dalla vita di Kurt Cobain... così, tra un documentario e l'altro, ho iniziato ad ascoltare la loro musica - spiegò la ragazza - anche se al genere grunge preferisco di gran lunga il glam rock dei Queen»
Louis rimaneva sempre più stupito, non poteva credere che quella ragazzina di tredici anni potesse avere una così vasta cultura musicale. Considerato che lui stesso, soli quattro anni, ascoltava i cd delle Spice girls.
Ce li aveva ancora, ma se ne vedeva bene dal nasconderli.
«Come fai a frequentare mia sorella? io sono costretto a parlarci perché abitiamo nella stessa casa, ma tu non hai nessun legame di sangue che ti lega ad una che segue quegli abomini musicali»
«Non sono così male» ridacchiò Emma, riferendosi alla boyband venerata da Reese.
«Attenta a come parli, potrei pentirmi di aver pensato bene di te»
Emma arrossì, accorgendosi di come si fosse lasciata andare con Louis.
Quando prendeva confidenza diventava quasi logorroica.
E fino a qualche settimana prima a malapena gli diceva un ‘ciao’ strozzato quando lo incontrava a casa di Reese.

 
Era diventata una abitudine. Em trascorreva la giornata dai Tomlinson, e la sera Louis la riaccompagnava. Il tutto in gran segreto. Reese e la nonna, infatti, credevano ancora che fosse la madre di Emma a venire a prenderla.
Louis non voleva in alcun modo mettere in difficoltà la mora, infatti, quando si trovavano entrambi a casa di lui e in presenza di altre persone, quasi faceva finta di non riconoscerla.
Come quella volta in cui Reese costrinse Louis a portare lei e le sue amiche alla festa di Noal Smith.

«Non esiste, non vi porterò con me. Siete ancora delle bimbe!»
«Non siamo delle bimbe! Portaci con te alla festa!»
Louis non aveva nessuna intenzione di portare delle ragazzine ad una delle feste di Noal.
C'erano due categorie di persone che partecipavano ai party organizzati da Smith. Quelli che andavano per bere, e quelli che andavano per scopare. E, Louis, rientrava in entrambe le categorie. Non voleva in nessun modo perdere un'occasione per divertirsi, né avere l'ansia che qualche altro idiota come lui si avvicinasse a sua sorella e alle sue amiche.
Quando Reese, insieme a Sophia che le dava manforte, iniziò a scalpitare per far sì che lui le accompagnasse, tirando in mezzo anche Emma, Louis esitò.
Non conosceva i dettagli della vita di Emma, né quali fossero i fantasmi che la tormentavano, sebbene avesse quasi toccato con mano la fragilità che quella ragazza portava con sé.
Sentiva che portarla alla festa non era sicuro per lei.
La vedeva, semplicemente, più indifesa. Reese, in fondo, era una tipa tosta. E anche Sophia non scherzava.
Non poteva, però, parlare apertamente con la sorella e dirle che non pensava fosse un posto sicuro per loro, ma soprattutto per Emma.
 Nessuno conosceva il piccolo patto tra i due, quindi si limitò a fingere.
«Tu sei?»
«Lou, è Emma… questa sarà la millesima volta che viene a casa nostra!» esclamò Reese.
«Ah, già. La nuova arrivata — disse Louis, recitando da premio oscar — mica è colpa mia se vi fanno con lo stampino?»
Emma rise abbassando lo sguardo sui suoi piedi. Era strano per lei far finta di non conoscersi, in più Louis aveva una propensione particolare nel farla ridere nei momenti meno opportuni.
«Louis – Reese intrecciò le braccia e, con espressione furba, iniziò a sghignazzare in modo imbarazzante – per caso ti ricordi quando ti ho trovato a letto con Janette? Potrei dirlo a mamma quando arriva per passare qui le vacanze di Natale... oh, che caso. Arriva proprio la sera della festa!»
«Reese, non permetterti neanche solo...»
«Potrei essere così arrabbiata con te da decidere di raccontare tutto!»
«Dio, siete delle rompipalle. Ora mi toccherà anche fare da babysitter»
Louis si mise le mani nei capelli.
«Siamo capaci di cavarcela da sole» provò Sophia, ma lui non l'ascoltò.
«Dovete starmi vicino, nel raggio di un metro e non oltre. Non potete bere nulla e, soprattutto, non dovete dare confidenza a nessuno – Louis le puntò l'indice contro con fare severo – E le regole valgono anche per te, nuova arrivata!»
Si trovò con le spalle al muro.
Quello di Reese era una ricatto bello e buono.
Una sola stronzata e la Signora Tomlinson l'avrebbe fatto tornare immediatamente a Manchester, e lui - sebbene fosse stato il suo desiderio per molto tempo - stava iniziando ad abituarsi a quella scuola di neanche cento alunni, agli amici che aveva trovato e - perché no - alla compagnia di Emma.
Dunque, non poteva permettere che Reese spifferasse tutto e, inoltre, non poteva permettere che accadesse qualcosa a nessuna delle tre ragazze.
 
La mattina prima della festa, Louis non riusciva ad essere tranquillo.
Lui voleva divertirsi, tenere a bada l'inquieta sorella, l'amica altrettanto inquieta(nte), ed Emma.
Quest'ultima stava diventando un rompicapo.
Aveva una brutta sensazione.
La sensazione che lei fosse quella da proteggere.
Louis non oltrepassava i limiti definiti da Em, gli bastava ciò che lei gli raccontava. Senza fare troppe domande.
Non gli veniva così difficile, non era il tipo che ficcanasava negli affari altrui. Tuttavia decise di chiedere a Reese cosa sapesse della famiglia di Emma. Non era esattamente curiosità fine a se stessa, piuttosto - se si fermava a pensarci - doveva ammettere di essere un po' preoccupato.
«Quella tua amica...»
«Chi?»
«Quella...»
«Potresti essere più vago? Potrei aver captato troppe informazioni»
«La nuova arrivata»
«Emma»
«Sì, lei... Con chi vive?»
Reese assottigliò gli occhi, chiaramente stranita dalla domanda del fratello.
«E a te cosa frega?»
Louis tentò di fare il vago, tenendosi occupato riempendo la tazza di latte con dei cereali.
Solitamente la colazione era un momento di raccolta in casa Tomlinson. Nessuno proferiva parola, a spezzare il religioso silenzio solo il masticare rumoroso di Louis o la tv accesa da Reese sui cartoni animati del mattino.
«Ho solo chiesto — rispose il maggiore dei fratelli — è che... mi ha dato l'impressione di essere molto sola»
«Tu— Reese puntò il dito, insistendo con il suo sguardo sospetto — Oh mio Dio...»
«Cosa?»
«Non è che per caso... ci vuoi provare con lei?» sbottò Ree, saltando dalla sedia.
«Che ca-»
«Louis! Non te lo permetterò! - Reese iniziò ad agitarsi, facendo avanti e indietro nella cucina della nonna, e legandosi nervosamente i capelli biondi in una cipolla, rivelando il suo sguardo da detective in azione - come se non avessi notato come la guardi! A volte ti incanti! No, no e ancora no... ha la mia età! »
Ecco, - pensò Louis - quella pazza aveva frainteso tutto.
Forse lui non era stato molto discreto nell'osservare Emma, ma non poteva rivelare quello che sapeva. Doveva tener fede ad una promessa.
Ciò non significava che non potesse mettere la pulce nell'orecchio nella sorella.
«Stai delirando, Emma non potrebbe mai piacermi... è piccola, e non rientra neanche nei miei canoni - disse Louis - però è molto silenziosa, a scuola è solitaria se non sta con te e Sophia... non lo so, hai mai pensato che potrebbe avere dei problemi?»
«Lou, è semplicemente molto timida e taciturna - Reese alzò gli occhi al cielo - è meglio che appendi al chiodo il distintivo da agente federale, perché fattelo dire, non sei un granché come investigatore»
Era vero, ma lei non era da meno.
Louis era un pessimo osservatore, talvolta anche un pessimo ascoltatore. Ma non poteva mica confessare di aver scoperto Emma mentire su come tornasse a casa, o di averla vista titubante di entrare, più volte, di fronte il suo appartamento?
Eppure lo spirito di osservazione non era compreso nel pacchetto Geni dei Tomlinson.
Louis non si spiegava come la sorella non si fosse accorta di nulla. Lei ed Emma si frequentavano tutti i giorni, si scrivevano messaggi in continuazione e le trovava a parlare nei corridoi della scuola spesso e volentieri.
 
 
 
Emma odiava Noel Smith.
L'odiava così intensamente da desiderare una sua gigantografia solo per tirargli contro delle freccette ben appuntite.
Noel Smith era il classico pallone gonfiato, figlio di papà, che pensava di avere il mondo ai suoi piedi.
Ma cos'era che Emma odiava ancora di più?
Il fatto che fosse amico di Louis. E che Reese volesse andare alla festa da Noel perché lì ci sarebbe stata la sua cotta, Ben.
Non che Emma disprezzasse l'idea di andare alla festa più attesa dall'intera scuola, era pur sempre una ragazzina entusiasta alle prime esperienze. Ma se alla festa di Noel fosse mancato Noel, beh... per lei sarebbe stato perfetto.
Louis si era offert-… cioè era stato costretto da Reese, a portarsi dietro loro tre.
Il suo intervento era indispensabile per ben due motivi.
Primo, la nonna di Reese non avrebbe fatto molte storie a farle uscire. Secondo, né Reese né Sophia e né tantomeno Emma possedevano un vero e proprio invito.
Non che fosse necessario, ma con la presenza di Louis nessuno avrebbe avuto a che dire.
«Sophia, Reese e Nuova arrivata... - Emma sorrideva sempre quando lui la chiamava in quel modo, facendo finta di non ricordarsi il suo nome – Non sono venuto qui per fare da babysitter a voi bambine, ma per farmi Deb Mclaw. Quindi statemi sempre accanto, non rivolgetemi la parola e quando vi farò il segno che abbiamo prestabilito evaporate da questa casa!»
Furono le ultime parole che Louis scambiò alle tre ragazze. E loro obbedirono... o quasi.
Reese non aveva intenzione di lasciare la festa senza aver prima scambiato qualche parola – o forse, sarebbe stato più corretto dire saliva – con Ben. Sophia ed Emma non potevano far altro che assecondare i desideri dell'amica e divertirsi proprio come avevano visto fare nei loro telefilm americani preferiti.
Emma, tuttavia, durante la serata aveva perso quell'entusiasmo iniziale.
Non era stata una casualità, a dirla tutta.
Il motivo si chiamava proprio Deb Mclaw.
Si vergognava anche solo di pensarlo, quindi di certo non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma, un po', in cuor suo, sperava che Louis si fosse accorto di lei.
Ed effettivamente così era stato.
Lui la considerava. Le parlava - anche se non apertamente davanti a tutti - e la salutava quando si incontravano nei corridoi della scuola.
Nonostante ciò, Louis non aveva notato Emma nel modo in cui lei sperava. E non la guardava nello stesso modo in cui faceva lei.
Ecco perché, improvvisamente Em compì un'azione incosciente.
Quando un ragazzo, di bell'aspetto, biondino, non molto alto, le si avvicinò, non si comportò come avrebbe fatto normalmente. Cioè allontanandolo.
E mai come in quel caso, sarebbe stata la scelta più adeguata.
«Non trovo le mie amiche» disse lei.
«Ti aiuto a cercarle, conosco bene la casa»
Emma non avrebbe dovuto fidarsi di uno sconosciuto. Né tantomeno avrebbe dovuto seguirlo nel retro della villetta, in giardino.
E cosa più importante, non avrebbe dovuto neanche lasciarsi baciare.
Il ragazzo si presentò come Wes, ed Emma lasciò che lui l’aiutasse nella ricerca facendosi guidare.
Non trovarono Sophia, ma Wes iniziò a parlare del più e del meno, poi - senza il minimo scrupolo - si avventò sulle labbra di Em.
Non fu nulla di romantico o emozionante. E in realtà ad Emma, Wes non piaceva neanche.
L'unico pensiero che l'aveva spinta a non scappare e lasciare che lui la baciasse era stato Louis.
Non riusciva a nasconderlo, almeno non a se stessa, aveva una cotta per quel coglione dagli occhi azzurri che si trovava appartato chissà dove con Deb l'oca giuliva.
Si sentiva stupida.
Davvero stupida.
A pensare che uno come Louis potesse interessarsi ad una come lei.
Ne era consapevole.
Allora perché da quando lui aveva scoperto il suo piccolo segreto aveva iniziato a sperare che quella amicizia si trasformasse in qualcosa di più?
La lista di cose stupide di Em non si fermò al bacio, perché – stranamente – si lasciò convincere a salire al piano di sopra quando lui glielo propose.
Emma non aveva realmente cattive intenzioni. Salendo i gradini delle scale, con Wes che la trascinava per una mano in modo da non perdersi tra i corpi di ragazzi e ragazze ubriachi e scoordinati, Emma si impose di non pensare. Tuttavia, ad ogni gradino che saliva una strana sensazione all'altezza del petto le urlava di tornare indietro, di lasciare quella mano e di cercare da sé le sue amiche.
D'altra parte non fece nulla di tutto ciò. Dandosi della codarda, strinse ancora di più la mano di Wes, unendo i denti e ripromettendosi di non scappare via.
Era la sua occasione di fare una nuova esperienza, di togliersi dalla testa Louis. Di guardarsi intorno.
Il piano superiore della casa era molto più tranquillo, la musica era ancora udibile ma giungeva ovattata per la coibenza del solaio in legno. Un paio di coppiette si stavano sbaciucchiando indisturbate lungo il corridoi ed Emma non potette fare a meno di controllare, anche un po’ ingenuamente, se tra queste vi fossero Louis e Deb.
«Vogliamo entrare qui? – Wes indicò una delle porte in noce chiuse – per stare più tranquilli»
Per essere chiari, l'ingenuità era una delle caratteristiche principali di Emma. Non riusciva a vedere il marcio nelle persone, mai.
La colpa, forse, stava nel fatto che ogni cosa lei facesse o dicesse nascesse da buoni sentimenti.
Altro fattore non trascurabile era la giovane età e l'inesperienza.
Un cocktail letale per lei, quella notte.
Nonostante ciò, anche Emma a quella richiesta si era resa conto di dover fare un passo indietro; per cui, leggermente imbarazzata, aveva risposto «Forse è meglio di no, non penso che il padrone di casa sarebbe molto contento...»
Wes sorrise, avvicinandosi a lei e portando un dito sulle sue labbra, «No, non ne sarebbe contento... ma chi dice che debba saperlo?»
Emma arretrò, sbattendo contro la porta stessa, e Wes non ci pensò due volte a baciarla di nuovo. La seconda volta con più prepotenza, inserendo la lingua, nulla di casto come il bacio a stampo di poco prima.
Em tentò di respingerlo, pronunciando qualche parola mangiata, ma Wes le afferrò i polsi portandoli all'altezza della testa e poi spinse verso l'interno.
La camera era buia, soltanto una luce proveniente da una porta fece capire ad Emma che qualcuno prima probabilmente era stato lì.
Wes non sembrava ascoltare i sussurri impauriti di lei. Fece scendere la zip della sua blusa, nonostante Emma si muovesse silenziosamente per liberarsi dalla presa. Lui, però, non era più tanto gentile, e soprattutto era impaziente.
«Wes ti prego, è meglio se ti fermi» disse prima piano lei, pensando che forse era eccessivo agitarsi troppo. Che quel modo brusco in realtà fosse normale. Che forse era la sua inesperienza a renderla così agitata.
«Ma se proprio ora inizia il bello – Wes tirò giù la zip dei suoi pantaloni e con la mano risalì lungo la coscia della ragazza da sotto la gonna – lasciati andare, vedrai che sarà piacevole»
«Lasciami!» Emma, a quel punto preoccupata davvero e con il cuore in gola, urlò.
«Sta' ferma»
D'improvviso un rumore dal fondo della camera. Wes sobbalzò, allentando la presa su Emma.
«Che cazzo stai facendo?» Emma non seppe se fosse un miracolo o meno, ma quando sentì la voce di Louis il suo cuore ricominciò a battere.
Era uscito da quella porticina da cui proveniva la luce, con i vestiti sfatti. E dietro di lui Deb, confusa su ciò che stava accadendo.
«Tomlinson? – Wes si ricompose alla meglio, stupito di vedere uno dei ragazzi della sua comitiva in quella che pensava fosse una stanza vuota – avevamo detto che la camera in fondo al corridoio era mia dalle undici in poi...»
Emma si spinse ancora di più contro la parete con il fiato corto e gli occhi pieni di lacrime, desiderando ardentemente di oltrepassarla e scappare da lì. La blusa azzurra aveva ancora la zip abbassata, le si vedeva il reggiseno, mentre aveva tirato più che poteva la gonna verso il basso, nonostante fosse rimasta stropicciata. Cercò di coprirsi con la mano tremante, ma le sue terminazioni nervose erano momentaneamente non funzionanti. Tutto ciò che stava cercando di capire in quel momento era se i due ragazzi si conoscessero o meno.
«Che avevi intenzione di fare, eh?» Louis lo strattonò di forza, afferrando il collo della maglia.
«Quello per cui siamo venuti» rispose ovvio l'altro, sbigottito dall'atteggiamento aggressivo e immotivato – almeno per lui – dell'amico.
 «Cazzo, ma ti senti! La stavi forzando!» sbottò Louis.
«Ma che ti prende, sentiamo! Vuoi venire a farmi la predica, proprio tu?! – a quel punto Wes si dimenò liberandosi dalla stretta del castano – è salita in camera con me di sua spontanea volontà... cosa pensava di venire a fare, qui? Giocare a carte?!»
A quelle parole Em sentì la di nuovo una stretta al petto. Improvvisamente identificò cosa fosse.
Senso di colpa.
Era stata lei a ficcarsi in quella situazione.
«Tu sei un figlio di puttana»
Un pugno.
Wes per terra, Louis su di lui.
Le urla di Deb, poi la porta che si apriva, la voce di Sophia e un ragazzo moro che si fiondò su Louis.
Fu tutto molto veloce per Emma, tanto da non starci dietro. Si trascinò all'angolo della stanza e si accovacciò per terra.
«Solo un coglione senza palle come te potrebbe approfittarsi di una ragazzina di tredici anni!»
«Io... non sapevo che avesse tredici anni»
Il ragazzo moro, che successivamente Emma conobbe come Zayn, le si avvicinò coprendola con il giubbino di jeans che si era appena tolto. Sophia, con lui, la trascinò fuori dalla camera.
«Non sapevi che avesse tredici anni? Davvero!? E a quanto pare hai perso anche l'udito perché non la sentivi mentre ti diceva di smetterla!» gridò Louis da dentro la stanza.
 
 
Louis era sconvolto. Si sentiva di merda.
Una vera merda ad aver lasciato sua sorella e le amiche in quella casa senza essersi preoccupato che tornassero a casa sane e salve.
Tutto per una scopata di poco conto.
Reese non sapeva ancora nulla, si limitava a camminare lungo il marciapiede verso la strada di casa, seguendo il fratello e le amiche. Qualcosa aveva capito, ovviamente. Dal fatto che Louis avesse un’espressione così incazzata da renderlo irriconoscibile. La mascella tesa e i pugni delle mani che aveva stretto talmente tanto che le nocche delle dita erano diventata bianche.
Sophia tentava di rassicurare Emma, che dal canto suo aveva ancora le lacrime agli occhi e non diceva una parola.
 
Il ritorno a casa fu silenzioso, come lo era stato in fondo l’intero tragitto. Entrarono con passo felpato, sperando che la nonna non li sentisse. Louis toccò il braccio della mora e a bassa voce le chiese «Tutto bene Emma? – Si abbassò leggermente per raggiungere l'altezza di lei e le strinse le spalle – è successo qualcosa prima che arrivassi?»
 Emma scosse la testa, non riuscendo neanche a guardarlo direttamente negli occhi. Alcuni secondi dopo, prese coraggio «Scusa... io...»
«Non devi scusarti di niente – Louis le accarezzò la guancia, asciugando le lacrime che non riusciva a trattenere – è tutta colpa mia»
Sophia sospinse Reese verso la camera di quest’ultima, per lasciar parlare tranquillamente i due e spiegare all'amica cosa fosse successo.
Era buio in casa, solo qualche luce degli addobbi natalizi che avevano sistemato fuori, ma l’espressione di Louis rimase perfettamente impressa nei ricordi di Em.
«Volevo dirti che… se vuoi denunciarlo, io sarò completamente dalla tua parte. Ho visto quello che ha fatto, e mi odio per non aver capito prima che c’era qualcun altro in cam-»
«Non ho intenzione di farlo»
«Ma Emma…»
«In fondo ha ragione… io ho accettato di seguirlo»
Louis sospirò, confuso.
Emma per lui era ancora un rebus. Avrebbe capito un giorno, ma era ancora troppo presto.
Le prese le mani e poi l’abbraccio. Fu inaspettato, anche per Louis stesso, ma sentì di doverlo fare.
«Sono delle fottutissime stronzate quelle che ha detto. Nessuno dovrebbe avvicinarsi a te neanche di un millimetro, a meno che tu non lo voglia – si staccò leggermente, schiarendosi la voce – Beh, si vale anche in questo caso…» disse riferendosi a quell’abbraccio improvviso.
«No… - Emma rise, mostrando delle fossette che Louis non aveva mai notato fino a quel momento – questo è… ok»
Louis si rilassò, ed Emma poggiò la guancia sulla maglietta nera di lui. Il groppo al petto, man mano, stava iniziando a pesare sempre meno. 


Questi primi due capitoli erano doverosi... per spiegare come Louis ed Emma si sono conosciuti e qualcosa in più sul passato. Dal prossimo ci sarà un salto temporale. Per chi ha letto l'altra storia già conosceva alcune vicende (in particolare di questo capitolo), dal punto di vista di Sophia però.
Se la storia vi piace fatemelo sapere, mi farebbe piacere... grazie a chi l'ha inserita tra le preferite/ricordate/seguite.
Un bacio
   
 
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