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Autore: UnGattoNelCappello    30/12/2015    2 recensioni
TRADUZIONE (completa)
Crescere sotto la rigida mano di Walburga Black non era niente di meno di una tortura per il giovane Sirius. Finché un giorno, trovò una piccola, dimenticata porta, nascosta in un ripostiglio. Fu attraverso quella porta che Sirius scoprì un intero nuovo mondo, e un'intera nuova vita.
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Wolfstar; da bambini a giovani adulti, la relazione di due ragazzi che hanno trovato rifugio da un mondo che non li vuole, creandone uno loro stessi. Trovando rifugio l'uno nell'altro. (non-magic au)
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Regulus Black, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessun contesto
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Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 




Capitolo 31


 

“Mi hanno preso all'università,” disse Remus tutto d'un fiato. Il suo stomaco si strinse in modo spiacevole, i suoi nervi erano tesi sia dalla paura che dall'eccitazione. Le due emozioni formavano come un nodo gordiano nella sua gola, e Remus sapeva di non essere l'impavido Alexander, venuto a scioglierlo con la sua spada. L'unico che sarebbe riuscito a farlo se n'era andato da tempo dalla sua vita. Da due anni.

“Cambridge,” continuò Remus, stringendosi le mani. Era in piedi davanti la panchina, e aveva voglia di camminare o muoversi o... aveva troppa energia. Stava traboccando dentro di lui, ma senza una via d'uscita. Remus era quello calmo, quello con la testa sulle spalle. Sirius era il conduttore di tutta l'energia e elettricità della stanza: era lui quello che si illuminava e saltava e gridava ogni volta che succedeva qualcosa di emozionante. Non Remus. E adesso Remus aveva tutta questa energia in eccesso dentro di lui, come un fulmine in una bottiglia, e aveva bisogno di Sirius per incanalarla.

Remus rimase dov'era e si tormentò ancora di più le mani.

“Sono entrato anche in altri posti, ma... Se i fondi arrivano, ci vado. Non- non so dove ti manderebbe la tua famiglia. Se sei ancora con loro. Potresti- beh. Potresti andare a St. Andrews, o Oxford. Ma potrebbe anche essere Cambridge.”

Muovendosi a scatti, Remus girò sul posto – prima di centottanta gradi, come se stesse per andarsene; poi di trecentosessanta quando tornò a fronteggiare la panchina. “Non è per te!” insistette. Era importante, che Sirius lo capisse. “Non solo per te,” si corresse Remus.

Scuotendo le mani, Remus prese un respiro. Poi un altro. E un altro. Lentamente, forzandosi, si calmò. Finalmente, Remus fu in grado di distendere le mani e farle cadere lungo i suoi fianchi.

“Te l'ho già detto qualche volta – che sarei andato all'università, che nessuno nella mia famiglia c'era mai andato. Ma eravamo entrambi più giovani allora, e non penso che tu avessi davvero la prospettiva giusta per capire che cosa significasse,” disse Remus.

Sentendosi più tranquillo, Remus riorganizzò un momento i suoi pensieri, con la testa abbassata. Quando iniziò a parlare, la sua voce era bassa. “Mio padre lavorava come garzone da ragazzo. Sistemava gli scaffali, aiutava i clienti a fare i loro acquisti, cose così. Cose per cui non serviva una grande istruzione. Tutta l'educazione che aveva ricevuto mio padre riguardava come fare il negoziante. Ha imparato a fare le somme perché il vecchio che aveva il negozio lo lasciava stare alla cassa nei pomeriggi della settimana quando c'erano solo pochi clienti. Ha imparato le percentuali per capire le tasse e gli sconti. Non era istruito – non è neanche andato al liceo; certamente non è mai andato all'università.

“Per mamma era diverso. Lei amava leggere, amava raccontare storie e cose del genere, ma non ha mai davvero pensato di fare niente al riguardo. Quando ha incontrato mio padre, era deciso: si sarebbe sposata, avuto figli, e fatto la moglie e la madre. Quello era ciò che voleva fare: non gli è mai importato molto di nient'altro.”

Remus fece un respiro profondo. Era più facile spiegarlo adesso che era più grande. Era più facile adesso che non notava il taglio di capelli elegante di Sirius o i suoi vestiti o le sue mani lisce mentre parlava. Anche se Sirius non aveva mai, mai guardato Remus dall'alto al basso a causa della sua condizione sociale o i soldi della sua famiglia – o per meglio dire, la loro mancanza – Remus era consapevole della differenza tra loro classi sociali. Possibilmente anche più di Sirius. Per Sirius, i soldi erano così abbondanti, una parte talmente normale della sua vita, che probabilmente non aveva una grande concezione di com'era non essere come lui. Remus aveva una ben più dolorosa consapevolezza delle loro differenze.

“Quando ero molto piccolo, mamma e papà si sono trasferiti più a sud per aprire il loro negozio. Papà aveva imparato abbastanza dall'uomo per cui aveva lavorato per intuire come far funzionare un negozio. Mamma l'ha aiutato. L'hanno gestito insieme. Viviamo ancora lì, sopra il negozio. È bello.”

Remus fece una pausa, guardando la panchina vuota.

“Mi piacerebbe fartelo vedere. Un giorno.”

Quando la ferma aria d'estate non rispose, Remus continuò. “È bello, ma è la classe operaia. Non c'è niente di male in quello, ma fin da quando riesco a ricordare mamma mi ha sempre letto, e poi ho iniziato a leggere da solo, di tutte queste fantastiche avventure e posti e culture che mamma e papà non avevano mai visto, mai conosciuto. E ho imparato. Ho imparato così tanto dai libri, sulle parole stesse e su relazioni, moralità, cultura, cibo, arte... ho imparato tutto ciò che so dai libri. Mamma e papà erano sempre lì, ad amarmi e incoraggiarmi, ma i libri mi hanno mostrato tutte queste cose che loro non hanno mai saputo. E io cercavo sempre, sempre, sempre di più.

“Quindi non appena fui abbastanza grande per capire che cosa fosse, mamma e papà hanno iniziato a dirmi che sarei andato all'università. Perché sapevano com'ero, che tipo di persona ero, e sapevano che non sarei andato a lavorare al negozio. L'avrei fatto, se avessi dovuto. Ma non ero fatto per quello. Avevo bisogno di qualcosa di più. Avevo bisogno di un tipo di vita diverso. Avevo bisogno di persone diverse nella mia vita: non la gentile signora Gershwin o il vecchio vedovo Mayson che vengono ogni martedì e sabato per chiacchierare e ritirare i loro due acquisti. Avevo bisogno...” La voce di Remus si affievolì, e lui rise piano. “Beh, avevo bisogno di persone come te. E di accademici.

“Quindi sarei andato all'università. Primo della mia famiglia. Perché era lì che appartenevo. Quindi ho iniziato ad essere un bravo studente. Era facile, davvero: sapevo già tutto dai libri. Ho dovuto lavorare un po' sulla matematica, ma papà mi faceva sempre aiutare in negozio e quello mi ha fatto capire le cose meglio di qualunque insegnante avrebbe mai potuto. Poi mamma ha trovato un libro sugli indovinelli matematici, trucchetti e piccole scorciatoie, e quello rendevo tutto ancora più semplice. Ero bravo a scuola. No,” incoraggiato dal silenzio della panchina, Remus continuò. “Ero fantastico a scuola. Ero geniale. Era quello che ero destinato a fare.”

Facendo un passo in avanti, Remus allungò un braccio e toccò con le dita l'aria di fronte alla panchina. Le girò, dorate nella luminosa, luminosa luce della mattina estiva. “Ed ero anche bravo ad insegnare. Credo. Ti ho aiutato con i tuoi compiti, e anche se tu eri intelligente e tutto il resto e i tuoi tutori erano solo degli idioti, credo che significhi che ero bravo a farlo. Aiutarti... mi dava una bella sensazione. Sapevo qualcosa, sapevo fare qualcosa che tu non sapevi, e poi ti aiutavo e tu sapevi farla. Era...” Remus rise. “Mi faceva sentire potente, ecco. Per una volta ero io quello forte, in un certo senso. Volevo farlo di più. Sempre.”

Remus sospirò. Parlarne senza Sirius qui era decisamente più facile che farlo con lui qui. Ma era comunque presente quello strano, persistente senso di colpa. Come se entrare a Cambridge significasse lasciare Sirius, significasse lasciare dietro di sé il loro intero mondo. Tra solo qualche mese non sarebbe più stato un bambino. Certo, tecnicamente era un adulto da due anni, ma adesso sembrava molto più reale. Avrebbe lasciato la sua casa dietro di lui, e la sua Casa, il Mondo che aveva costruito insieme a Sirius. Sarebbe tornato indietro, forse, durante le vacanze, ma non sarebbero state così numerose o lunghe come questi ultimi due anni da quando Sirius se n'era andato. Quando sarebbe uscito dalla sua porta tra solo qualche mese da questo giorno, Remus sapeva che sarebbe stato differente. Ed era così, così spaventato a quel pensiero.

“Non voglio lasciarti indietro,” disse Remus con voce strozzata. Le lacrime iniziarono a bruciargli gli occhi. “È solo che... Ti prego Sirius. Devi capire. Questo vuol dire così tanto per me. È… è tutto a parte te. Ci sei tu, e c'è l'università, e basta. Questo è tutto me. Tutto quello che c'è in me sono queste due cose. E da quando tu te ne sei andato-” I singhiozzi spezzarono le parole che si rovesciavano dalla gola di Remus. Si premette una mano sugli occhi, strofinandoli furiosamente. “Senza di te, c'è solo quello! È tutto quello che rimane di me, senza di te. Quindi devo andare. Non posso lasciar stare, non posso arrendermi, come tu ti sei arreso con me!”

Con un grido Remus corse via dalla panchina, correndo alla sua porta. I suoi piedi inciamparono e scivolarono sui ciottoli sparsi sulla strada, ma rimase in piedi, anche con le lacrime che gli offuscavano la vista. Aveva corso su questa strada, con Sirius e senza di lui, troppe volte perché potesse farlo inciampare. Quando arrivò alla sua porta si fermò, ansimando più per le lacrime e i singhiozzi che per la piccola corsa.

Rivolto alla sua porta, con la testa abbassata, Remus continuò a parlare in un bisbiglio furioso. “So che non è colpa tua. So che è successo qualcosa, Sirius. Ma fa così male, e anche questo, l'unica cosa che ho che non è te, fa male perché mi fa sentire come se ti stessi lasciando. E sono così arrabbiato con te per questo: per aver reso dolorosa l'unica cosa che mi rende felice senza di te per colpa tua. Perché tu non sei qui per condividerla con me.”

Il Mondo era silenzioso. Remus respirò.

“Lily sta parlando di prendere un appartamento con me. Hanno preso anche lei. Non gliel'ho ancora detto, ma rifiuterò. So che è uno spreco di soldi, ma non posso. Me ne prenderò uno da solo, e non le dirò perché. Ma tu lo sai, Sirius. Sai perché.” Non posso prendere un appartamento senza di te. Era una cosa nostra. Era il nostro sogno. Coinquilini all'università. Scappare insieme.

“Quindi è tutto qui,” finì Remus. “Questo è quello che farò. Andrò a Cambridge, starò in un appartamento da solo.” Sporgendosi in avanti, Remus strinse la maniglia della porta. Ma si fermò, solo un altro momento, strofinando le dita contro il metallo. “Tornerò. Ancora un altro po'. C'è tempo, Sirius.” Non molto. “C'è tempo. Prima che me ne vada.” Con quello, Remus rientrò a casa sua, senza guardarsi indietro mentre chiudeva la porta.


 




N/T:
Ciao a tutti! Una parola solo per dirvi che non so se rispetterò il giorno della pubblicazione del prossimo capitolo. Dovrei postare il capitolo 32 questo venerdì, ma essendo il 1° gennaio, non so in che condizioni sarò ahahah.
In ogni caso, aggiornerò al massimo il 2, quindi non temete, avrete presto "l'ultimo" capitolo angst...
A presto!



 

  
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