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Autore: rosamond44    30/12/2015    1 recensioni
Al confine tra la nostra dimensione e un'altra di cui gli umani ignorano l'esistenza, vi è il Mondo Astrale. Un frammento di notte che ospita in un'accademia, la cui maestosità troneggia freddamente sulle limpide acque del Mirror Lake, creature del Giorno, della Notte e del Mondo di Mezzo.
E se una ragazza, per la quale il massimo di anormalità è una pioggia improvvisa in una giornata assolata, finisse catapultata tra le mura di quest'incredibile accademia? Nicole non sa cosa e come fare per tornare a casa, ma lo vuole ed è proprio ciò, che le da la forza necessaria per resistere alle assurde situazioni che continuamente le vengono incontro. Quella che dovrebbe rivelarsi un anormale vita scolastica potrebbe diventare qualcosa di più, e i piani e progetti iniziali di Nicole potrebbero cominciare a vacillare, sconvolgendo a più non posso la sua realtà e la sua visione del mondo, che si sa, non è mai ciò che sembra.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Mi dispiace, ma qui non abbiamo più posti liberi», replicò con sguardo indifferente e tono annoiato la capogruppo del club di pittura.

Era una giovane alta e mora, con i corti capelli graziosamente ordinati in un taglio a caschetto. Le punte di capelli più lunghe davanti le sfioravano i zigomi, incorniciandole il pallido e delicato viso ovale. Tuttavia la frangetta cortissima a distanza di un paio di dita dalle sopracciglia la trovai orrenda, ed in più lo sguardo di ghiaccio, freddo e distaccato e i muscoli contratti in un'espressione corrucciata le rendevano i tratti più spiacevoli. Invano il dono della natura nei confronti di certi era. Non portava la cravatta, il che mi indusse e spremermi le meningi per capire a quale livello potesse più probabilmente appartenere. Non avendone però la prova, mi limitai ad andare a fiuto, perciò ipotizzai fosse di un livello alto date le arie da smorfiosa che si dava. M'infastidivano, ma deliberatamente le ignorai.

«E sai se ci sono altri club con qualche posto disponibile?», chiesi in tono cortese, guardandola dritto negli occhi, curiosa di leggere le emozioni che vi trasparivano da essi.

Provava forse scherno nei miei confronti? Non ne avrei del tutto escluso la possibilità, dopotutto non era la prima e probabilmente nemmeno l'ultima a lasciar trasparire senza vergogna tanto astio immotivato. Così espresso sarebbe potuto sembrare quasi un'insicurezza, un mio timore nei confronti dell'incerto futuro che mi si era proposto dinanzi, ma non era così. Certo l'ansia mi pervadeva di continuo, ma stando di fronte a questa ragazza, di fronte ad un altro essere che mi guardava con ribrezzo, non solo mi seccava facendo montare in me una rabbia estranea al mio animo tranquillo, ma mi spingeva ad assottigliare lo sguardo e a guardarla con un pizzico di sfida che dispiacque al suo essere arrogante.

«Non credo, siamo ormai alla fine dell'anno, dubito tu possa trovare qualche posto vacante. Lascia perdere», mi sorrise beffarda.

Le sorrisi sornione. «Grazie del consiglio».

Arricciò le labbra abbozzando un sorriso e si voltò di scatto rientrando nell'aula sbattendomi la porta in faccia. Guardai incredula la porta. Avrei mai trovato qualcuno che almeno lontanamente si potesse definire gentile in quest'accademia? Ne avevo seri dubbi. Esasperata, stanca e con poca voglia di gironzolare in ricerca ulteriormente, mi incamminai lungo il corridoio. Non avevo tanta voglia di cercare un club e in cuor mio sperai tutti i posti fossero occupati, ma il direttore mi aveva imposto di trovarne uno, giusto per "svagarmi" un po'.

Camminai –più che altro trascinavo i piedi- sulle lastre di legno, guardando dritto davanti a me immersa nei miei confusionari pensieri. Ad un tratto mi sentii afferrare per il braccio e tirare con fermezza. Non potei far altro che bloccarmi. Guardai in direzione di colui che aveva arrestato la mia ritirata nei dormitori con l'espressione un misto tra furore e sorpresa. Per carità! Era il mio giorno libero. A guardarmi con occhi sgranati e spaventati era un piccolo elfo dai capelli biondo cenere e gli occhi verdi. Aveva un viso talmente piccolo e magro, che le lunghe orecchie sembravano più grandi del solito. Era posto in una posizione che definii difensiva, leggermente piegato sulle ginocchia e schiacciato contro la parete, teneva le braccia incrociate davanti al viso e stringeva gli occhi serrando i denti. Alzai un sopracciglio con espressione interrogativa. Ero così mostruosa. Non ero molto abile nel consolare la gente, o aiutarli a superare uno "shock" –sopratutto se ero io a causarlo- perciò inesperta e al contempo stupita da tale reazione, non feci nulla, mi limitai ad attendere in silenzio che si ricomponesse. E l'attesa durò un tantino troppo.

«Hai bisogno di qualcosa?», chiesi guardandolo torvo.

Più che altro era la mia espressione di sempre quando analizzavo qualcosa, ma davo l'impressione di guadare male.

Lui aprì inizialmente un occhio e mosse freneticamente l'iride di qua e di là, analizzando il territorio e cercando di avvistare altre possibili "minacce". Quando capì che nessun pericolo fosse in agguato, abbassò le difese, ricomponendosi e, lisciando pieghe immaginarie sul gilet verde muschio, alzò il viso guardandomi.

«Perché mi hai fermata?», chiesi in un tono che sforzai pacato.

«Sono Hermins, piacere», parlò con voce sottile stingendomi la mano «faccio parte del club di giardinaggio e stiamo cercando nuovi componenti. Ho sentito che anche tu sei in cerca di un club, ma che non trovi niente, quindi perché non ti unisci a noi? Abbiamo una grandissima serra a disposizione solo per noi, t'immagini? Sarà bellissimo, su vieni!», mi afferrò una mano cominciando a trascinarmi verso una porta.

Ancora confusa per la veloce parlantina dell'elfo, presi un colpo quando iniziò a tirarmi verso un portone, così piantai i piedi per terra e non mi mossi di un millimetro. Tutto tranne il club di giardinaggio.

«Giardinaggio, eh?», ridacchiai istericamente guardandomi intorno in cerca di un appiglio per svignarmela.

«Sì certo!», esclamò allegro, fermandosi anche lui, liberandomi dalla sua presa.

«Senti... Hermins», calcai ogni singola parola, sperando che m'inspirassero una buona scusa per rifiutare.

Dopotutto ero un'umana, anche se solo a metà, non avevo certo il cuore di rifiutare bruscamente un piccolo essere dai biondi capelli e con due deliziosi occhioni verdi. Dovevo trattare la questione con tatto.

«Senza offesa», continuai allungando i tempi «ma non sono molto interessata a...».

«Come no?», si avvicinò afferrandomi entrambe le mani «vedrai che sarà molto interessante, ci sono un sacco di fiori», gli brillarono gli occhi mentre con voce squillante e allegra proseguiva «di tutti i tipi, ci sono le rose, margherite, orchidee, viole, aloe...».

«È stupendo, davvero, ma non...», cercai di sottrarmi alla sua presa.

«Dai, almeno vieni a dare un'occhiata», incalzò sempre più insistente.

Forse se non lo fosse stato avrei anche preso in considerazione l'idea, ma non se continuava in que...

«Sono allergica al polline!», dichiarai –forse con un po' troppo foga- la prima menzogna che mi era passata per la testa.

«Non dire bugie», mi rimproverò. Beccata!

«Ma io non dico bugie», mi sforzai un tono il più convincibile possibile.

«E perché non l'hai detto subito?», sorrise in un modo che mi intimava di cessare con questa ridicola scusa. Hm, sveglio il bambino!

«Perché mi hai assalita dall'inizio e mi era sfuggito di mente».

Nonostante tutto era mio dovere tenere in piedi la bugia che gli dissi.

«Prova a dare almeno un'occhiata, come puoi dire che non ti piace se nemmeno hai...».

«Ti ha detto che non vuole, significa che non vuole e basta. Perché insisti tanto?», sentii ad un tratto una voce maschile che parlava con tono scocciato alle mie spalle.

Mi voltai in direzione del mio –se così si poteva definire- salvatore, e lì rimasi spiazzata. Luke?

«In carne ed ossa», esclamò lui sorridendomi divertito.

«Ma che...».

«Avevi una faccia, non c'era bisogno di dire tanto, sai?».

Non risposi. L'unico mio pensiero in quel momento era rivolto alla piccola peste che stava rubando il mio prezioso tempo per la ricerca, o per il relax.

«Luke!», esclamò gioioso Hermins «Non è che...».

«No!», rispose secco avvicinandosi.

Neanche il tempo di lasciarmi dire qualcosa –o lasciar spiccicare parola al piccolo Hermins- che mi afferrò per un braccio e ci allontanammo.

«Ma che stai facendo?», gli chiesi seguendo goffamente il suo passo veloce.

«Mi sembra evidente», rispose tranquillo guardando davanti a sé «ti sto salvando le chiappe».

«Sì, grazie», gli dissi roteando gli occhi «ma perché?».

Lui rallentò il passo e si voltò un attimo per guardarmi. Lasciò la presa sul mio braccio.

«Sinceramente non lo so», ammise alzando le spalle «mi facevi una tale pena a guardarti lì in difficoltà».

«Beh, potevi anche abbandonarmi al mio destino».

«Piccola ingrata», mi rimproverò «potresti dire semplicemente grazie, non credi?», si allontanò cominciando a camminare dandomi le spalle.

«Ma l'ho già fatto», gli dissi in tono assolutamente innocente.

«Che bambina!», esclamò scuotendo la testa esasperato.

Riuscivo comunque a vederlo di profilo, così notai un lieve sorriso esasperato comparire sulle sue labbra.

Sorrisi a mia volta, mentre più energica di prima affrettavo il mio passo per arrivare al suo fianco. Non posso dire che mi era mancato –lo conoscevo da troppo poco per affermare ciò-, ma il nostro punzecchiarci a vicenda mi risollevava il morale e mi faceva sentire un po' meglio in questa oscura accademia, dove non ero vista di buon occhio per un motivo che poco fa mi era estraneo, e che tuttora non avevo compreso: la razza. In poco più di una settimana a parte i pochi che si sono occupati di me sin dal mio arrivo all'accademia, e la mia recente conoscenza con Rose, che speravo si evolvesse in un'amicizia, non avevo ancora avuto il fegato di avvicinarmi ad un mio compagno di classe, quindi ero ancora l'umana che vagava nei corridoi e nelle aule dell'accademia. Quella sulla bocca di tutti ma affianco di nessuno. Come avrei potuto del resto, mi guardavano –non tutti, questo non potevo certo negarlo, ma la maggioranza- in un modo che mi faceva sentire realmente disprezzata. Non mi consideravo una ragazza forte, ma non ero nemmeno una debole. Affrontavo tutte le diverse situazioni che mi si paravano davanti, appellando a tutto il mio senso di responsabilità e costruendomi, quando necessario, il coraggio per andare avanti ed affrontare i miei problemi. Ma quando si trattavano di problemi a livello sociale, avrei volentieri battuto in ritirata, ma non potevo.

«Finalmente non hai più il muso lungo».

Alzai lo sguardo, destandomi dal mio groviglio di pensieri, posandolo in quello intenso di un blu oceano di Luke. Era fisso su di me in attesa di una risposta, ma io ero troppo concentrata a studiarlo per pronunciare una parola. Era davvero difficile leggerlo. I lineamenti fini erano rilassati, tale per i muscoli che non tradivano alcun suo sentimento –anche se fosse stato infastidito mi sarebbe bastato, avrei potuto sapere che è capace di provare qualcosa-, solo i suoi occhi rappresentavano un mistero.

«Sai, io non ti capisco. Perché stavi lì a cercare di dare una spiegazione a quel bamboccio, quando potevi semplicemente rifiutare e andartene?», m'interruppe di nuovo dai miei pensieri per riportarmi con i piedi per terra.

«Credo semplicemente che tutti meritino una spiegazione». Hm, detto così era troppo filosofale.

Ed infatti anch'egli lo notò. «La fai sembrare una questione importante».

«Ogni cosa che facciamo è importante, secondo me, perché ogni nostra azione mostra quello che siamo».

«Tieni così tanto alla tua immagine?», domandò in tono realmente sorpreso.

«Bella domanda! La verità è che non ne sono certa ma penso di sì».

«Allora buona fortuna nella vita, ne avrai bisogno», scrollò le spalle sorridendo.

«Perché dici questo?», non potei fare a meno di chiedere, mentre con espressione corrucciata mi voltai a guardarlo.

«Perché non puoi vivere come vogliono gli altri, ma come piace a te», affermò serio, guardando dritto davanti a sé.

Mi persi un attimo a contemplare il suo perfetto profilo, mentre ripercorrevo mentalmente la nostra conversazione, soffermandomi specialmente sulle sue risposte. Le sue opinioni mi avrebbero sicuramente aiutata a comprendere un po' del suo essere, ma necessitavano di un analisi ben più profonda. Analisi che sarebbero state ben durature e sulle quali desideravo rimuginare a lungo. Mi ripromisi di passarci su la notte –o meglio il sonno-. Intanto, non volevo assolutamente permettere che il silenzio si insinuasse tra di noi, perché immersi nell'imbarazzo del silenzio senza parole era il peggio in una conversazione.

«Con questo vuoi dire che meglio il piacere al dovere?», domandai ricatturando la sua attenzione, che sembrava essersi persa in vari pensieri proprio come la mia poco fa.

«Assolutamente no. Penso solo che siano due cose completamente differenti che non hanno tangenti l'una con l'altra. C'è quello che va fatto e quello che ci piace fare. Quello che volevo dire è che non puoi modellare il tuo essere a piacere della società. Prima degli altri ci sei tu ».

Mi indicò con l'indice guardandomi serio, mentre io rimanendo stupita di fronte a lui rallentai fino ad arrestare miei passi. Ero colpita, decisamente molto colpita. Nel breve arco di tempo un cui ci eravamo visi e nel quale eravamo stati in contatto l'uno con l'altro, era oscillato tra l'essere scherzoso e l'essere inavvicinabile. Non mi ero mai soffermata sulla sua persona, mi ero limitata a studiarlo esternamente e ad impuntirmi con testardaggine alle sue battute. Ma quell'oggi mi aveva dato un piccolo assaggio del suo io, del suo modo di pensare. La scoperta che fosse un ragazzo più profondo di quanto pensassi mi fece sorridere, più che altro per soddisfazione, mentre, mordendomi la lingua –ovviamente non troppo-, mi sbrigai a raggiungerlo, in quanto era ben più avanti di me.

«Hai ragione, ma per fare ciò bisogna avere un po' di fegato», ammisi dopo una breve riflessione.

«Ecco perché c'è chi si distingue dalla massa», mantenne lo sguardo fisso di fronte a sé, mentre avvertii una leggera sfumatura di orgoglio nella sua risposta.

Sorrisi. «E tu?», gli chiesi curiosa di sentire la sua risposta.

«Io cosa?», con un'accenno di confusione si voltò in mia direzione a studiare la mia espressione, che prontamente permutai in indifferente.

«Tu ti curi dell'opinione degli altri sul tuo conto?», chiesi pur aspettandomi una negazione.

«Sì», rispose fermo «come tutti del resto».

Sgranai gli occhi sinceramente sorpresa. Lo consideravo un ragazzo tremendamente sicuro di sé, conscio delle sue capacità e del suo fascino, perfino dotato di una piccola o grande che fosse vena ribelle, che non badava all'opinione degli altri e che faceva quello che più gli aggradava. Volentieri avrei esposto la mia opinione, ma per paura di essere giudicata male e considerata superficiale, tacqui. Io sì, che mi curavo dell'opinione altrui sul mio conto.

«E pensi di distinguerti dalla massa?».

Lui si aprì in un sorriso che presagì e confermò il mio pensare.

«Sì». Come non detto.

Camminammo in silenzio ancora per un po', guardandomi intorno in cerca di qualche volto, conosciuto o nuovo che fosse mi bastava una distrazione all'imbarazzante silenzio creatosi tra di noi. Più che altro ero io che mi sentivo a disagio. Gli lanciavo furtive occhiate di tanto in tanto per notare solo che la sua espressione fosse immutata.

«Sei impegnato adesso?», chiesi silenziosamente. Accorgendomi in tempo di quanto ambigua la mia domanda potesse sembrare aggiunsi velocemente, la mia voce velata da un lieve accenno di imbarazzo: «voglio dire... non ti sto intralciando? Magari avevi un impegno ed io ti sto solo rubando del tempo».

Luke sorrise deliziato dalla mia reazione e mi rassicurò in tono pacato: «veramente non avevo nessun impegno, andavo in mensa a pranzare».

«Oh!», esclamai scostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio «è già così tardi?».

«È da un po' che cerchi un club, eh?», chiese ritornando con la solita espressione indecifrabile di prima.

«Già», sospirai abbattuta.

«Fossi in te lascerei perdere», mi consigliò guardando fuori dalla finestra.

«Ti assicuro che non sei il primo a dirmelo, ma devo», ammisi mio malgrado.

Lui allora mi guardò incuriosito. «Perché? Se non è un segreto».

«Ordini superiori», risposi sorridendo, provocandogli la stessa reazione.

***

Luke si avvicinò al portone di fronte al quale ci trovavamo, e come da cavaliere che era, si avvicinò per primo e posò la mano sul pomolo dorato. Ma non aprì. Si girò quasi completamente in mia direzione e mi guardò in viso.

«Non considerarlo un randez-vous, ma...», cominciò a parlare con il massimo distacco «prego».

Aprì la porta e mi fece entrare per prima. Ed io da ben offesa nell'orgoglio di donna che ero, passandogli accanto ci tenni a precisare: «Ma figurati, non l'avrei mai comunque considerato».

«Mm!», si compiacque raggiungendomi «ci siamo un po' inacidite, eh?», constatò divertito.

«No», negai sedendomi a tavola con aria indifferente «ho semplicemente espresso la mia opinione».

«Cioè?», si sedette sulla sedia di fronte a me.

«Credo che a nessuna ragazza piacerebbe essere invitata ad un appuntamento nella mensa della scuola, anche se questa ha tutta l'aria di essere un lussuoso ristorante», mi espressi senza mezzi termini ancora infuriata –anche se cercavo di non darlo a vedere- con lui.

Non mi aspettavo certo che mi invitasse ad uscire –avrei comunque rifiutato, non uscivo con gli sconosciuti- ma avrebbe potuto rivolgersi con più tatto, non mi sarei certo fatta film mentali. Ah, ragazzi. Bastava essere un po' gentile con loro e già pensavano che gli sbavassi dietro.

Luke, con mia grande sorpresa, eruppe in una fragorosa risata, attirando l'attenzione dei pochi commensali, che ci guardavano come allo scorrere un evento raro. Loro guardavano stupiti noi, ed io guardavo confusa loro.

«Attento a non strozzarti», gli brontolai –perché avevo voglia di ridere anch'io per sfogarmi un po'- non capendo il motivo di tanto chiasso.

Pian piano si calmò, ricomponendosi e pulendosi con lentezza diabolicamente calcolata una lacrima dall'occhio. Lo faceva apposta, ne ero sicura.

«Perché mi guardi così male?», chiese del tutto ingenuo.

«Niente, niente», esalai afferrando il menu e posizionandolo a erigere una barricata di fronte a me.

«C'è una cosa che vorrei sapere», uscii allo scoperto ricordandomi di Hermins.

«Dimmi», parlò Luke senza distogliere l'attenzione dal menu.

Era tornato quello di sempre e sinceramente me ne dispiacevo. Avrei preferito che ridesse ancora piuttosto che riacquistasse la sua aura impenetrabile, così era più complicato per me comprenderlo o anche solo intuire i suoi pensieri, il che rendeva l'approccio difficoltoso.

Quando alzò lo sguardo su di me, mi costrinsi a ritornare sulla retta del discorso e cessare di analizzarlo di continuo.

«Hermins è veramente un bambino, o ne ha solo l'aspetto?».

Lui aggrottò le sopracciglia leggermente, probabilmente confuso del perché ebbi porto questa domanda

«Sì, lo è», rispose concentrandosi di nuovo sul suo menu.

«Non pensavo che anche i bambini potessero frequentare un'accademia», confessai i miei dubbi.

«Capisco il tuo punto di vista, ma qui le cose non funzionano come sulla Terra», disse del tutto tranquillo «abbandona un po' della tua razionalità e sii pronta a tutto», alzò gli occhi su di me «la magia non ha né origine, né limiti».

   
 
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