Too late honey
This ice breaking
Words out on the street
Too late baby
The fate is saying
He's a real player
But he's gonna come home to me
Too Late, The
Atomics
5. My best friend’s roommate
Quando
ti svegli perché senti un vago
rumore di tazze e non hai ancora realizzato che hai di nuovo un
coinquilino, di
solito torni a dormire per la felice, tiepida realizzazione, ma se sei
Lily Evans
e chi armeggia con la porcellana a pochi metri da te è
Sirius Black, allora
decidi di metterti ritta sul letto, attenta. Soprattutto
perché sei certa che
abbia sibilato qualche insulto impronunciabile e in grado di far
arrossire
persino i gatti, se capissero gli umani.
Non
che abbia mai avuto un gatto,
comunque.
E
questa precisa ragione spinge il mio
corpo ad alzarsi con lentezza estenuante, il mio cervello a far
sì che indossi
le pantofole e mi ricopra con il plaid sul mio letto. La sveglia
rumorosa alle
mie spalle – mentre mi allontano con una celerità
in grado di far ridere le più
oziose tartarughe – mi ricorda che alle nove devo essere per
la mia giornata di
prova al Three Breadsticks, armata di buona volontà e
speranza. Questa
soprattutto.
Scelgo
con cura le parole da usare quando
noto che la cucina puzza di caffè bruciato e una tazza, nel
lavello, pare esser
rotta: Sirius è ancora di spalle e non sembra percepire in
alcun modo la mia
presenza, coperto da una semplice camicia alzata sino agli avambracci,
i
capelli spettinati, più lunghi di quanto li ricordassi.
Sono
davvero indecisa se buttarla sul
ridere perché è appena tornato e non è
rientrato su quella carreggiata che è la
sua routine con me, ma mi oriento in senso fortemente bellicoso quando
scorgo,
con una rapida e indolore occhiata, un cellulare sul bordo del bancone,
in
chiamata e vivavoce.
“Merda,
ho dimenticato dove sia lo
zucchero”
Una
risata calda ed odiosa gli risponde
vagamente alterata per via della telefonata, ed io mi faccio indietro
di
qualche passo senza neanche accorgermene. Il mio coinquilino si passa
una mano
fra i capelli per poi incrociare le braccia al petto, il tutto
meticolosamente
in silenzio. Come se non fosse mai tornato.
“Io
mi preoccuperei per la tua cucina” –
fa scrupolosa la voce maschile – “Voglio dire, non
vivi con qualcuno? Non pensi
sia diritto di ogni persona dover usufruire delle proprie ore di
sonno?”
Qualcuno.
Sirius vive solo con qualcuno.
Un
altro impercettibile passo verso la
mia stanza.
Black
non riesce a trattenere una risata
a metà fra l’isterico ed il latrato. “Se
Lily è ancora la ragazza che ho
conosciuto anni fa, allora sta’ certo che sta dormendo.
Soltanto un uragano
potrebbe svegliarla, amico. Ho dovuto letteralmente farla rotolare
giù dal
letto per far sì che arrivasse puntuale alla cerimonia del
diploma”
Nell’istante
esatto in cui sto per
tradire la mia non-presenza – perché
non
è esattamente quello che è successo,
vorrei correggerlo - la voce maschile
tossisce per poi pronunciare in modo del tutto insolente il mio nome:
“…Lily?”
“Merda.
Merda—non dovevi saperlo”
“Lily”
“James,
dimenticati quello che ho detto.
Potrebbe essere un soprannome. Un nome per confonderti. Potrei parlare
di
Remus”
Mi
maledico perché conosco quel ragazzo
in piedi di fronte al piccolo lavello della piccola cucina da tanti,
lunghissimi anni e sono in grado di capire che sia veramente pentito e
agitato
per il solo aver pronunciato il mio nome. Quattro sciocche lettere.
Storco il
naso alle altre parole che rivolge a James,
a James che cambia argomento e
all’argomento che, apparentemente, diviene un certo Remus.
Non
ho idea di chi stiano parlando—a dire
il vero non so neanche con chi il mio amico stia parlando, se quel mio
coinquilino sia dispiaciuto dall’essere tornato a casa e se
sia sempre lui.
Sempre lo stesso, sempre quello che ho avuto al mio fianco.
So
solo che non mi importa della tazza
rotta, né della puzza di caffè bruciato. Realizzo
che voglio prepararmi per
andare a lavorare. Solo questo.
Una
piccola, minuscola parte di me,
mentre Sirius afferra il cellulare togliendo il vivavoce, formula una
riflessione dolorosa e vagamente ingiusta: preferivo
quest’ambiente vivo solo
della mia essenza, preferivo le scatole chiuse di fronte alla sua
stanza, il
solo odore del cornetto di Dorcas, la sola voce di Buon
giorno, New York! a riecheggiare fra queste mura.
Richiudo
la porta alle mie spalle,
osservo le lancette farsi sempre più insistenti con il loro
ticchettio ed apro
l’armadio, alla ricerca degli abiti da indossare.
Preferivo
la sua assenza.
Cappotto
in lana color verde acqua, crop
top nero, mom jeans e audacia sono gli indumenti che premono sulla mia
pelle
nivea nel tragitto che va dalla mia stanza al quasi futuro luogo di
lavoro: ciò
che non avevo calcolato, tuttavia, sta proprio negli ostacoli a forma
di
persone-care che incontro nel mezzo, ossia Sirius Black con le dita che
passano
sul bordo del bicchiere fra le mani dinoccolate.
Alza
lo sguardo non appena metto piede
fuori dalla mia camera, uno sprazzo di sorriso ad ammorbidirgli quella
striscia
sottile data dalle sue labbra. Ma tutto questo dura poco più
di un attimo,
bruscamente interrotto dal cipiglio interrogativo che fa capolino fra i
suoi
lineamenti; una rapace occhiata ai miei abiti – un frammento
di me si chiede se
non si aspettasse un pigiama enorme ed un plaid addosso – e
le labbra si
schiudono in un battibaleno.
“Dove—dove
stai andando?”
Scrollo
le spalle, non mantenendo un
contatto visivo. Invece, ciò che cattura la mia attenzione
è il mobiletto basso
frapposto tra divano e poltrone, sul quale è poggiato un
piattino con delle
chiavi.
“Un
colloquio di lavoro”
Non
ho bisogno di voltarmi a guardarlo
per capire che sia sorpreso: il suo successivo silenzio, vagamente
interrotto
dal suo ticchettare le unghie contro il bicchiere, mi lascia immaginare
mentalmente la sua reazione.
Le
afferro.
“Non
me l’hai detto”
Orgoglio
personale prima della felicità
altrui: Sirius Black, signori e signore. Non rispondo sino a che con un
paio di
falcate ho raggiunto la porta dell’abitazione; con una mano
sulla maniglia,
sono certa che i miei occhi verdi si tingano di grigio:
“Troppo impegnato a
parlare con James?”
Generalmente,
non mi reputo drammatica,
fatalista o che dir si voglia—mi piace pensare di aver
ereditato questo lato
dal re del dramma per eccellenza, e trovo anche piuttosto ironico il
fatto che
questo aspetto di me venga a galla solo quando si tratta di Sirius.
Adesso,
tanto per dirne una, si tratta di lui. C’è una
possibilità del quarantacinque
per cento che nel giro di dieci minuti mi penta di quanto detto trenta
secondi
fa, ma ora sono convinta del fatto che lui mi abbia ferito –
davvero, Sirius?
Non parlare ai tuoi amici della tua coinquilina? Non voler far sapere
della mia
sola esistenza? – e nulla potrebbe alleviare questo dolore se
non il semplice
ricambiare, il classico rispondere con altro dolore.
“…Lily”
Infilo
con lenta e pacata discrezione le
chiavi nella mia borsa, facendole tintinnare contro qualche cerniera o
oggetto
metallico che vi è all’interno. È
esattamente in quel momento che lascio
trapelare nel mio sguardo, nella mia espressione un po’ di
quel dolore che ha
influenzato il mio tono di voce. Non vorrei farlo – mi dico
sempre che sono
orgogliosa, ferma sulle mie posizioni, capace di ostentare sentimenti
che non provo
– ma vorrei solo avere indietro il mio migliore amico. O
vorrei essere stata
capace di andare avanti come lui ha fatto. Vorrei essere dotata di
questa
magica, fatale capacità di potermi scrollare di dosso il mio
passato, la mia
famiglia, la mia Petunia, ma la
verità è che ho ancora soltanto diciotto anni. E
sono incapace, ingestibile.
Lascio
che sia lui a chiudere la porta.
“Quindi”
– ricapitola la voce armoniosa
di Fabian, il grembiule appena stretto in vita e verde scuro, in totale
contrasto con la maglia bianca ed i jeans neri che indossa –
“Il bancone non è
altro che il tuo punto di riferimento: prendi le ordinazioni dei tavoli
dispari, se sono tutti pieni, e le dai a chi è ha il proprio
turno qui dietro,
dove mi trovo io in questo preciso istante”
Annuisco
e fisso il mio sguardo
sull’ambiente stranamente familiare e accogliente del Three
Breadsticks. Noto
con la coda dell’occhio due foto incorniciate e appese alla
parete, fra le
mensole piene di bottiglie e cimeli che, grazie alle lampadine a led
diffuse in
ogni angolo del locale, creano piacevoli giochi di luce. Una delle due
ritrae
quello che credo sia il team al completo: lo immagino per via di Fabian
e
Gideon, posizionati centralmente rispetto alle altre cinque, sei
persone
indossanti tutti lo stesso completo. Armati tutti di sorrisi smaglianti
e
sinceri, percepisco una certa ed insistente ansia vorticare nel mio
stomaco,
come se volesse mettermi in guardia. Come se, paradossalmente, volesse
mostrarmi un frammento di ciò che potrei essere, un
frammento di un ambiente in
cui potrei incastrarmi alla perfezione. Sirius, il bastardo,
l’avrebbe chiamata
ansia da prestazione.
“Puoi
dedicarti alle ordinazioni più
facili se hai tempo e se riesci”
–
percepisco quasi il suo tono di sfida nel sorrisetto accennato che
curva le sue
labbra sottili – “I prodotti fondamentali li
abbiamo qui, negli scomparti
perfettamente ordinati grazie a mio fratello”
La
seconda foto, realizzo mentre inclino
di poco il volto che ricambia il sorriso di Fabian, ha come soggetti
due
signori piuttosto giovani, anche piuttosto simili. Uno ha
l’espressione felice
e compiaciuta sul proprio volto, emblema della realizzazione, emblema
di una
certezza che si è ottenuta e non si perderà
più. L’altro passa semplicemente il
braccio attorno alle spalle del suo familiare, immagino.
Un’impellente
curiosità quasi mi spinge a fermare il discorso giusto e
sensato di Fabian per
rispondere a questa sciocca, imprudente domanda. Chi sono quei due
signori?
“Verso
le undici arriverà mio fratello, e
nel corso del pomeriggio – non ricordo se dopo la pausa
pranzo – ci delizierà
della sua presenza quell’adorabile ragazza che è
Lucinda McLaggen”
“Come,
prego?” inarco le sopracciglia al
solo sentir quel nome impronunciabile, allora lui scrolla le spalle,
scocciato
e spiega con riluttanza: “E’ una delle prime
ragazze che hanno lavorato per
questo posto. E’ assurdo pensare come faccia a non perdere il
posto, è
scorbutica ed eccentrica e piace solo ad A—”
Lo
scampanellio proveniente dalla porta
annuncia la presenza di un altro essere vivente nel locale. Fabian
prende un
respiro profondo e mormora, più a sé stesso che
ad altri: “Anche questa
giornata ha inizio”
Al
contrario di quanto si possa pensare,
è Dorcas la mia prima cliente. Ha i capelli legati in
un’alta coda di cavallo,
un filo di trucco sul viso magro e stanco e indossa il cappotto meno
adatto
alla stagione che io abbia mai visto. Si guarda lo smalto rovinato,
incrocia le
gambe sullo sgabello dove siede e arriccia le labbra quando le dico che
no, non puoi ordinare un alcolico prima
delle dodici, al che lei ordina un caffè doppio e
tenta anche di flirtare
in modo blando con Gideon, nella speranza che glielo corregga. I
gemelli
potrebbero anche sembrare infinitamente disinibiti e malandrini, ma
– e sì, lo
sono anche – non cedono.
“La
convinzione che hai” – fa Dorcas,
ticchettando le dita contro il ripiano in legno –
“che tutto possa sempre
andare per il verso storto…”
“E’
una legge di Murphy, in realtà”
Mi
ignora. “Non sai quanto mi costi dirlo
– soprattutto di prima mattina dopo una mezza giornata
lavorativa schifosa,
soprattutto dato il mio orgoglio: ma hai ragione. Voglio
dire,” ride
istericamente, “guarda me”
“Tutto
bene con Amos? Mi avevi detto che
avreste dovuto uscire assieme”
“Paradossalmente,
Lilykins, non è lui il
mio problema”
“Non
chiamarmi Lilykins”
replico, una punta di disperazione nella mia voce, “Neanche
fossi un’ubriaca marcia alle sette di mattina prima
dell’unico colloquio di
lavoro che ha ottenuto negli ultimi mesi”
Si
blocca per pochi istanti, l’arco di
tempo necessario a trangugiare il suo caffè doppio.
“…hai reso l’idea”
“Lily,
due cappuccini ed un Earl Grey”
“Subito”
Dorcas
osserva Fabian andar via dal
bancone, ma è un attimo ed il suo sguardo carico di
tristezza fa ritorno sul
mio esile corpo. Mi vede lavorare ed allora esala un profondo respiro,
si
stropiccia gli occhi e torna a parlare. “Non ho nulla contro
Amos, davvero.
Riusciamo a vederci spesso e anche se non ne abbiamo ancora parlato
– voglio
dire, soprattutto dopo ieri sera - ci comportiamo come una coppia e
anche se
questo, fino a poco tempo fa, mi avrebbe terrorizzata, mi va bene. Non
sta
facendo il principe azzurro—romantico fino al disgusto e
sentimentale come una
zitella- ma ridiamo, mi offre birre e, come ti ho già
annunciato, abbiamo copulato”
“Non
l’hai detto davvero”
“Dovresti
andar fiera del mio lessico
spregiudicatamente aulico che sto utilizzando in questa situazione
drammatica”
“E
non me l’hai annunciato!”
“Sì,
invece! Ho chiaramente detto soprattutto dopo
ieri sera”
Fabian
fa capolino al mio fianco, un
vassoio vuoto sul palmo della mano sinistra. Ritira il mio lavoro con
un mezzo
sorriso sulle labbra e con la mano destra mi dà piccole
pacche sulla spalla.
Dorcas
abbassa il tono di voce: “Il
problema non è Amos. Il Problema è
Benjamin”
“Come,
scusa?”
“Questa
mattina ci ha, ehm, visti ed ha
reagito in maniera
eccessiva. So che avrei dovuto avvisarlo, ma, in mia discolpa, avrebbe
potuto
accorgersene. Insomma, non credo di essere stata particolarmente silenziosa di notte, e comunque non
abbiamo mai fissato delle vere e proprie regole su chi invitiamo per un
pigiama
party poco innocente”
“Oh
santo cielo”
“Ed
è probabilmente per questo che si è
infuriato! Voglio dire, probabilmente dovrei organizzargli un
appuntamento al
buio con qualcuno! O trovare qualcuno che possa farlo rilassare! Non
voglio
neanche immaginare da quanto non vada a letto con qualcuno, dio.
Persino tu
saresti una candidata proponibile per questi affari: conosci Benjy, no?
Che ne
dici di allontanarti dalla pressante routine di solitudine aiutando un
am-”
“Dorcas!”
“Hai
ragione,
probabilmente non avreste molta sintonia a letto—fatto sta
che Frank ed Alice
stasera passano a prenderci per un’uscita, però
Benjy ed io non abbiamo ancora
parlato ed è capace di addormentarsi sul divano
o—non lo so! Sul mio letto,
così da dare inizio ad una stupida lite…
è così cocciuto, sai? Mi ricorda un
sacco te, sotto alcuni aspetti”
Si
passa una mano nella coda, corrugando
le sopracciglia in modo da farla apparire terribilmente a disagio e
sovrappensiero,
ma poi si guarda attorno, lasciando che il locale a metà fra
l’indie e l’hipster
che trovo immancabilmente accogliente ci avvolga e culli con la sua
atmosfera
rilassante.
Deve
calmarsi, perché noto come i suoi
respiri si fanno regolari e le labbra più distese, meno
afflitte da quella
confusione che lei e Benjy creano con la loro perenne incomprensione.
Anzi, non
è che non si capiscano: è che lo fanno
così bene, così spesso da, la maggior
parte delle volte, sorvolare su principi base dell’amicizia e
convivenza. Un
giorno, mentre Dorcas mi raccontava di una conversazione fra lei ed il
suo
migliore amico, non ha mancato di specificare che lei era nella doccia,
lui
seduto sul wc, il pc sulle gambe e solo una tenda di plastica che
dovevano sostituire
al più presto interposta fra loro.
“A
volte mi sembra che non parliate
davvero: litigate e basta, trovate un accordo tacitamente mentre vi
ignorate perché
nessuno fra voi ha compiuto il primo passo verso una tregua. Trascinalo
con voi
quattro, oggi. E poi rimani a casa solo con lui. Dio solo sa quanto
avete
bisogno di trascorrere un po’ di tempo di qualità
insieme”
La
sua reazione mi colpisce: nessun colpo
di scena inaspettato, nessuna sciocca replica, niente se non un lieve
annuire
con il capo, più convinto che altro comunque, un
sì risoluto e un cenno di capo
verso i gemelli. “Sembrano più simpatici di quanto
avessi creduto. Non credo di
avertelo detto, ma mi fa piacere vederti così bene in un
ambiente tanto nuovo”
Torno
a casa attraversando le strade più
rovinate del quartiere, osservando il pub sottostante la scalinata
nera, spessa
e vittoriana che annuncia l’ingresso verso
l’appartamento che, ora come ora,
occupa solo Sirius. E’ ridicolo come spesso si dispensino i
migliori consigli
in un momento così complicato, così bisognoso di
essere districato attraverso
quegli stessi consigli. Non che mi dispiaccia aver messo il broncio
nelle
precedenti ore, né sono convinta di aver fatto la scelta
sbagliata agendo d’istinto,
ma. Ammetterlo mi fa sentire una ragazzina incosciente e volubile, che
cambia
idea ogni tre per due, e so che questo fa tutto parte del pacchetto di
ragazza
quasi scappata di casa, rifugiatasi a casa del suo migliore amico e
piena di
insicurezze: è che Sirius, nonostante il dramma, le parole
capaci di
fracassarmi l’anima – non pensavo si potesse
persino essere capaci di farlo –
ed il suo essere maledettamente un Black, mi è mancato.
Per
pochi minuti valuto se sedermi su
questi gradini e attendere un segno degli dei come in The Kings of
Summer, ma
reputo questa possibilità alquanto remota e sciocca nel
momento in cui, nella
mia direzione opposta, di fronte a me, vedo Sirius Black e due buste
traboccanti di cibo.
Lo
vedo imprecare – lo fa sempre quando
non riesce a fare qualcosa, tipo cogliere qualcuno di sorpresa
– e incrocio le
braccia sotto il seno, lo sguardo accusatorio che risponde a quello
colto alla
sprovvista del coinquilino bastardo.
“Non
sapevo a che ora finissi” fa, le
labbra screpolate ed i capelli scuri come la notte che cala lentamente
su New
York. “Quindi ho pensato—voglio dire, in
realtà non è proprio una mia idea—di
preparare qualcosa nel frattempo. So che tra i due è
difficile capire chi abbia
del talento nel cucinare… magari talento no, ma
predispozione poco naturale? Inclinazione
divina? Ma ci sto provando. Devi ammettere che sei incredibilmente
testarda,
più sentimentale di una soap opera e…”
adesso scoppia a ridere, le buste che
per poco gli sfuggono di mano.
“Cosa
c’è di divertente?”
Scuote
il capo, avviandosi con cautela e
lentezza verso le scale.
“E’
che se tu sapessi…”
Afferro,
con una scontrosità maggiore di
quanto volessi far trapelare, una delle due buste, facendolo sorridere
come un
accusato appena scarcerato e capace di respirare, per la prima volta
dopo
tempo, aria fresca e satura di libertà.
“Vorrei
poter iniziare dall’inizio”
“Hai
un’ora di tempo”
“Perfetto”
Si
toglie il cappotto dopo che poggiamo
le buste sul bancone in cucina, si passa una mano fra i capelli e
mormora,
scomposto e con la voce bassa e roca: “Che l’ora
abbia inizio”
Rimango
a sentirlo anche quando si blocca
per trovare un coltello, un cerotto – perché,
obiettivamente, in questo campo
facciamo entrambi molta pena e un taglio è la minore lesione
che possiamo
causare – ed è sul punto di scoppiare in lacrime
di fronte ad una cipolla.
(A
mio avviso, rimane un buffone di prima
categoria)
“Ho
conosciuto i miei coinquilini durante
il primo giorno al campus, senza che me ne accorgessi: ho gettato del
caffè
bollente su Peter, condiviso una fiaschetta di scotch con Remus e dato
un pugno
a James. James, beh—è un bastardo. Un grande
bastardo. Con la sua inclinazione
verso l’avere successo con il suo apparente inesistente
sforzo, l’abilità di
far cadere ogni professore ai suoi piedi sorridendo e mostrandosi
genuinamente
interessato a piccoli, futili dettagli da loro amati. La
verità è che non è un
arrogante bastardo di merda—scusa il francesismo, Lils, sono
da troppo abituato
ad essere circondato da maschi alfa e beta e gamma che mi fanno perdere
la
testa. Non in quel senso, non guardarmi così. Allora.
Dicevo”
“James
è un arrogante e bastardo
di merda, grazie tante”
“Sì,
quindi. Non è affatto così. E’ solo
sveglio, un po’ egocentrico, fallimentare con le ragazze
seppure ne abbia persino
viste un paio con lui e leale. Ha un senso dell’umorismo
pessimo ma capace di
far ridere Remus, è un bastardo amato dalla famiglia,
lievemente viziato dai genitori
ed è un amico grandioso. Dov’è il
sale?”
“Non
ne ho mai avuto bisogno, Benjy mi ha
sempre prestato il suo. Sai che mi piacciono le cose dolci”
“Cristo,
Lily, mi chiedo come tu sia
sopravvissuta qui dentro”
“Sei
incredibilmente simile a James, non
credi? Con l’unica differenza che tu sei anche un
buffone”
“Beh,
non puoi esserne certa. Potter non
è così male: so di averlo descritto rendendolo
tanto sfigato quanto
strafottente, ma è anche altro. Il punto è che ho
mentito. E’ fallimentare solo
con le ragazze che gli interessano e non gli danno corda,
perché il bastardo è
capace di ammaliare persino metà corpo studentesco e un
quarto del numero dei
docenti, uomini compresi. Ma non lo fa. Voglio dire, pur essendo un
ragazzo, è
chiaro che abbia un certo—charme,
sì,
ed è incredibilmente d’aiuto con le sue amiche. Ed
è il genere di persona per
cui impazziresti, se tu avessi un genere di persona e se tu impazzissi
per i
ragazzi in modo assurdo”
“Quindi
secondo te io impazzisco per i
ragazzi?”
“Non
avrei alcun problema nei tuoi
confronti se fossi diventata lesbica durante la mia assenza. Potresti
persino
presentarmi qualcuno”
“Sirius,
sei un maiale. E per la cronaca,
no, ma diventerei lesbica solo per
dimostrarti che, in quel caso, avrei più successo io con le
donne rispetto a te”
“Sempre
maledettamente sfacciata: capito
cosa intendo? Lo faresti andar fuori di testa. Ma è chiaro
che, da bravo
migliore amico quale sono, ho a cuore solo te, almeno in questo campo.
E’ per
questo che ho detto loro – a Remus, Peter e James –
di vivere semplicemente con
qualcuno. Sai cosa sarebbe successo se avessi rivelato il tuo nome? Il
tuo
aspetto fisico? Ahia, non darmi pugni. James avrebbe mosso
l’intera America per
conoscerti. Ecco perché stamattina sono impazzito: non solo
gli ho parlato di
te, Lils, ma adesso lui sa che sei una Lils. Chiamalo istinto
protettivo da
fratello maggiore, non lo so. Il coglione potrebbe – non lo
so, non so come
funzionino le relazioni, lo sai – farti innamorare, metterti
incinta, sposarti. Cristo. Non lo
dimostro, ma sai che…
beh”
“Come,
prego?”
“Non
farmelo dire per farmi suonare come
un perdente”
“Mi
vuoi bene, Sirius?
“Mhm,
sì”
“Non
voglio una pizza con le cipolle”
“D’accordo,
ma dato che è l’ora della
verità, c’è un problema”
“Anche
Peter e Remus andrebbero pazzi per
me?”
“Remus
sì, ma in un altro modo. Ti
piacerebbe davvero: è la tua versione maschile. Ma non
è questo il punto… è
James il punto”
“Il
problema, vorrai dire”
“Ecco
perché non ho un major in scrittura
creativa; non sono in grado di raccontare storie. Sono piuttosto certo
di
averti parlato di lui come un maniaco non maniaco, don Giovanni,
perdente,
affascinante, dai capelli spaventosamente disordinati, un po’
testardo e pieno
di talento…”
“Non
esattamente”
“Il
punto—problema, d’accordo,
problema—è
che ha avuto un diverbio con i suoi. Piuttosto serio, aggiungerei. Non
lo
chiederei se non fosse strettamente necessario ed urgente, e so che
c’è ancora
un aspetto meritevolmente caritatevole in te, dal momento che sono qui
a
parlarti e sono ancora al tuo fianco, ma lui ha bisogno di me. James
è il
fratello che avrei sempre voluto, quello che Regulus non è
mai stato. Io e te viviamo
insieme adesso, per cui mi sembra giusto chiederti se possiamo farlo
stare da
noi per qualche giorno. Tra un po’ è Natale, Lils.
Non hai mai voluto
trascorrere il Natale senza compagnia, da piccola, ricordi? E sai cosa
significa litigare con la tua famiglia. Lo sappiamo entrambi abbastanza
bene,
aggiungerei. Quindi,
duh…”
“Non
me lo stai chiedendo davvero”
“E’
gelosia quella che scorgo nella tua
bellissima voce? Sai che rimarrai sempre la mia preferita, la migliore
amica
più bella che io abbia mai avuto, la sorella che non ho mai
voluto, la ragazza
con i capelli rossi più belli di tutta l’America,
i cui occhi sono
incredibilmente simili a smeraldi costosissimi?”
“Ecco
perché non hai un major in
scrittura creativa: fai davvero pena con le parole. Fra
l’altro, l’adulazione non
ti porterà da nessuna parte”
“Lils.
Andiamo, so che non hai interpretato una splendida crocerossina alle
medie per
nulla”
“Stavi
sul serio sanguinando: non ho mai
creduto che un naso potesse perdere così tanto sangue nel
giro di quindici
minuti”
“Se
non ricordo male, dieci minuti. Sette
al massimo, in realtà. Tutta colpa di Rosier: i destri di
quel ragazzino erano
assurdi. Lily, farei qualsiasi cosa per te. Fra l’altro,
chissà, potresti
davvero piacere a James—e James potrebbe davvero piacerti
e—no, scherzavo. Giuro.
Potrebbe rimanere anche pochissimo. Potrebbe risolvere tutto con la sua
famiglia
in mezza giornata e ci sarebbe persino la remota possibilità
che tu non lo incrocerai
mai. Non ti sembra grandioso?”
“No?”
“Lily,
Lily, Lily. Qualcosa mi dice che
ti ho convinta”
“Il
tempo sta per scadere! Inforniamo le
pizze?”
Sbuffa
sonoramente, andando a sciacquarsi
le mani. Pochi minuti dopo, è al mio fianco ad aiutarmi ad
infornare queste
cose che, generalmente, abbiamo definito, durante il corso della
preparazione,
pizze.
Quando
le sforniamo più bruciate di
quanto ci piacerebbe ammettere, conveniamo che mangiarle sul divano sia
la
scelta più azzeccata della giornata.
Non
penso a Buon giorno, New York! che mi
– anzi, ci – aspetta domattina, semplicemente
perché prospettare una mattinata,
una diversa giornata con Sirius al mio fianco non è il mio
proposito. Vivo nel
presente, decidendo di rubargli un po’ di cibo ed un sorso
dalla sua birra al
limone, ovviamente imbevibile.
Non
mi piace sapere di essermi sbagliata,
sapere che ci sia qualcuno di così arrogante e spocchioso
come James al mondo,
capace di rubarmi il migliore amico mentre sono a casa. Non mi piace
sapere che
sono sempre ed irrimediabilmente così accondiscendente
quando si tratta di
Sirius, quando si tratta del Natale, della famiglia, di aiutare
qualcuno così
disperatamente bisognoso di una mano, per quanto si tratti di James
Potter.
Però, con la tv
accesa, addormentati
sullo scomodissimo divano, mi dico che va bene così, almeno
per ora.
Non
c’è scusa che tenga e lo so (forse the raven
cycle, star wars, the secret history, lo studio, lucky blue
smith)—intanto buon
natale e buon 2016 a tutti! Sono felice di aver trovato la voglia e
l’ispirazione
di continuare questa storia a me a cuore—voglio dire, deve
accadere ancora così
tanto!! Mi andrebbe di spoilerarvi mucho, ma non lo faccio
perché quello che ho
progettato e prospettato con maniacale cura, tipica di una tipa come
me,
dovrebbe accadere nel prossimo capitolo o nel successivo ancora. Non ho
ancora
deciso:)
Piuttosto,
vi rivelo il nome del chapter six: the
inglorious intruder.
C’è
sirius e c’è lily e c’è
james, anche se
indirettamente, ci sono le storyline dei miei amati personaggi
secondari –
Benjy, Amos e Dorcas, Fabian e Gideon, importantissimi per
l’esito della storia
– e spero che questo capitolo vi sia piaciuto!!
So
che non è esattamente un lungo capitolo, so che
non è il migliore che io abbia mai scritto, so che ha ancora
la struttura e l’impalcatura
un po’ cliché e mi spiace, ma ora stiamo entrando
nella storia vera e propria!
Comunque
sia, spero che il capitolo sia all’altezza
delle vostre aspettative, specialmente dopo tanto tempo.
Grazie
a chiunque sia arrivato fin qui e a chi ha
il tempo e la voglia di lasciarmi recensione: grazie davvero!!
Un
bacio e spero a presto! :-)
Potete
trovarmi tanto su twitter
quanto su tumblr
e
ask!