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Autore: VeronicaFranco    02/01/2016    9 recensioni
Bernard Chatelet è un giovane irruento e rancoroso, quando scopre in André e Oscar una generosità fuori dal comune. Ferito gravemente, riceve protezione nella casa che Rosalie condivide con Madame Lucille. Ma in lui ancora si agita il passato, e l'ombra del Cavaliere Nero incombe inesorabile: saprà compiere, Bernard, il salto che fa di un ragazzo un uomo?
Dedica speciale: a Ilanak!
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bernard Chatelet, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'Rivoluzioni'
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Pioggia, gelo, un macigno nel cuore. Queste cose aggredirono Bernard fin nelle ossa, mentre la sua corsa tra i vicoli lo conduceva lontano, dal quartiere del Tempio a quelli attigui, per strade che gli parvero un labirinto.

Chiamava Rosalie a gran voce, come si invoca Dio in un deserto. Ma poiché nessuno rispondeva, e quel ruggire non aveva alcun esito, la frustrazione lo abbatté sempre di più.

Gli venne a un tratto la speranza che, mentre lui si dannava tanto a cercare, Rosalie fosse già tornata a casa; che burla, aver perso ore e coraggio per le strade e in quel freddo, mentre lei era già al sicuro… ma Bernard temeva che una simile fortuna non si potesse avverare. Era un presentimento funesto, il suo. Qualcosa doveva essere accaduto; e Bernard pregava che non fosse niente di irreparabile, e che Rosalie comparisse ad ogni nuovo angolo a cui svoltava, per poterla abbracciare come un’altra volta, quando la salvatrice era stata lei e lui l’incauto.

Un freddo terrore lo bagnò, poi, quando ricordò la sua recente esperienza con gli uomini del popolo che l’avevano aggredito. Com’era vestita, Rosalie, quand’era uscita di casa? Era troppo in ordine? Perfino tra i poveri c’erano gerarchie, e sebbene la fanciulla non ostentasse abiti ricchi, teneva a un certo decoro, a gonne senza toppe, a mantelli senza buchi (retaggio, forse, di una vita condotta per metà negli stenti e per metà negli agi migliori); era più che sufficiente perché la derubassero. E bella com’era, era possibile anche che…

Dio mio, fa’ che io la trovi.

Erano anni che non pregava, Bernard. Ma nominò Dio a ogni istante di quella corsa, immerso nella luce della lanterna che accecava tutto intorno a sé, permettendogli di scorgere solo pochi metri per volta.

 

Nella foga, urtò qualcosa. Diede un calcio involontario a un oggetto piccolo, il cui suono metallico andò a impattare contro il muro di una casa. Si chinò a raccoglierlo. Era una tazza di latta, da cui fuoriuscirono due monete da un soldo. Bernard fece una smorfia, e lasciò cadere tazza e contenuto. Ma proprio lì accanto, al riparo dal battere della pioggia, la luce della lanterna gli svelò un luccichio per terra. Uno scudo d’argento ammiccava nella fanghiglia prossima al muro. Bernard raccolse anche quello, profondamente colpito.

Due soldi di bronzo erano più o meno il prezzo di un giornale, poca cosa per un uomo tutto sommato benestante, come Bernard; ma se si pensava che altrettanto costava all’incirca una libbra di pane, indispensabile razione giornaliera di cibo per chi viveva nella miseria… ecco che due soldi di bronzo non erano più così vili da essere abbandonati. E se già pareva strano che un mendicante fosse sparito senza quei 2 soldi, era praticamente assurdo che qualcuno avesse perduto o lasciato a terra lo scudo d’argento, che equivaleva a ben 120 di quei soldi!*

Su questa base, Bernard immaginò che chi avesse “dimenticato” il denaro non ne avesse davvero bisogno; chi l’aveva offerto, invece, doveva essere una persona benestante, che poteva separarsi da una somma simile senza paura. In ogni caso una persona generosa. Gli venne in mente solo una possibilità, e il pensiero fu doloroso e dolce insieme.

Riprese la sua corsa, con lo scudo d’argento in una mano e la lanterna ad accecare ogni altro vicolo, tranne la via di casa.

 

– Allora? – Bernard fu accolto da una Madame Lucille in preda all’ansia più nera. Fu ancora peggio quando la donna lo guardò in viso, fradicio e stravolto da far paura, e al suo seguito non comparve nessuno.

– Oh, Dio benedetto… dove può essere? Cosa le sarà capitato? Santo Cielo, povera cara, povera cara!

A contrasto dell’agitazione della donna, Bernard si fermò presso il braciere della cucina, muto e pallido come uno spettro.

– Sono tornato nella speranza che lei fosse venuta qui, nel frattempo. – mormorò, con tono meccanico. – Tornerò subito a cercarla. Ma prima…

– … aspettate… mangiate qualcosa, almeno… cambiatevi gli abiti, e…

– Non c’è tempo. Dovete dirmi dove tenete il denaro che Oscar ha mandato a Rosalie.

Madame Lucille esitò. Poi, di fronte all’espressione dura di Bernard e ai suoi occhi accesi, cedette. Si mise in ginocchio presso il piccolo giaciglio che Rosalie aveva occupato, in cucina, per lasciare a Bernard il letto della propria stanza. Lo spostò, facendo strisciare la struttura di legno al suolo. Bernard la aiutò immediatamente. Ed ecco, a ridosso del muro,  una botola chiusa da un lucchetto, che Madame Lucille aprì con una chiave. – Ecco…

Aprirono la cassa contenuta all’interno della botola. Madame Lucille ne trasse alcuni sacchetti, con il denaro contato all’interno.

Bernard prese alcune monete, tutti scudi d’argento. Esaminò quello che aveva trovato a terra, e quelli che appartenevano al piccolo tesoro donato da Oscar.

L’istinto gli diceva che l’unico indizio che aveva trovato avesse legami con Rosalie; era una speranza minima, perché i soldi si assomigliano tutti e chissà, in quel quartiere c’erano altri poveri abbastanza benestanti da tenere denaro simile. Ma se c’era qualcosa fuori posto, anche minima, che gli desse una pista, doveva scovarla. Si diede a confrontare le monete tra loro con febbrile attenzione.

Testa: l’effigie del Re, contornata da una sigla che significava “Luigi XVI Re di Francia e Navarra”. Croce: il simbolo della corona di Francia, incastonata tra due rami d’alloro.

Erano monete piuttosto recenti: 1787, lesse Bernard… ed ebbe una sorpresa. La stessa data era impressa sia sulla moneta che aveva trovato nel fango, sia sulle altre donate da Oscar!

E non solo. Bernard quasi saltò di gioia quando vide, sotto lo stemma della corona, il simbolo “AR” impresso su tutte le monete, sia quella trovata a terra, sia quelle del piccolo tesoro*.

– “AR”, non “A”. Dunque questi scudi non sono stati coniati a Parigi. “AR” è il marchio di zecca di un’altra città… ma quale?

– Co… come dite? – balbettò Madame Lucille, che di tutte quelle elucubrazioni aveva capito ben poco.

Bernard la guardò, ma non badò a lei. Il suo sguardo era lontano, perso nel suo ragionamento. – Forse Metz? No… – sussurrò tra sé e sé. – Metz batte moneta col simbolo “AA”. “AR”… ma certo! – la voce gli vibrò di trionfo. – È Arras.

Arras, la città dei Robespierre, nell’Artois, nel Nord della Francia. Gli scudi donati da Oscar recavano tutti il marchio di Arras. Come mai, si chiese Bernard?

– Non… non riesco a capirvi. – fece Madame Lucille, frastornata.

Bernard si alzò in piedi. Le lanciò un’occhiata diretta, con un ghigno nervoso, a metà tra la gioia e l’ansia.

– Ho trovato questo scudo a un angolo della strada, poco lontano da qui, abbandonato per terra. Ha la stessa data di conio e lo stesso marchio di zecca degli altri scudi che tenete in casa. Da dove vengono? Sono tutti di Oscar?

– … sì… sia gli scudi, che le altre monete… non avevamo più denaro da parte, quando Madamigella Oscar ci ha mandato il suo dono…

Bernard osservò le due monete da un soldo che aveva trovato dentro la latta abbandonata. Le date erano molto più indietro: 1740 una, 1757 l’altra. Ed entrambe avevano “A” come segno di zecca: erano state coniate a Parigi, dunque. Il mendicante poteva essere di Parigi…

– Non è un segno così definitivo… – mormorò Bernard, riflettendo. – Il denaro è sempre in movimento. Ma che tutti gli scudi di questo gruzzolo siano dell’anno scorso, e coniati ad Arras, ci dà abbastanza certezza che anche quello scudo fosse di Rosalie… – una piccola pausa, poi aggiunse – Arras, chissà perché. Immagino che un nobile possa ottenere facilmente grandi somme di denaro di nuovo conio. Madame Lucille, – chiamò, e la donna si chinò verso di lui, sollecita, – vi risulta che la famiglia di Oscar… i Jarjayes… abbia possedimenti ad Arras?

– No… non saprei proprio. Non sapevo nemmeno che si chiamasse così, la famiglia di quella nobile signora.

– Rosalie ha vissuto presso di loro per molti anni. Forse loro potrebbero…

Madame Lucille strabuzzò gli occhi. – Presso di loro! Cielo! Dite davvero?

– Me l’ha raccontato lei stessa. Ma voi… non lo sapevate? – si stupì Bernard a sua volta.

Madame Lucille scosse il capo. – Io no… non so nulla di questo.

Bernard dedicò un pensiero alla riservatezza di Rosalie: possibile che a Madame Lucille, sua benefattrice, non avesse raccontato nulla del passato? A Madame Lucille no, ma a lui, Bernard, sì…

– E voi… non le avete mai chiesto niente del suo passato, da quando è venuta ad abitare qui?

– Ecco… ho pensato non fosse il caso. Era… molto provata, e…

– Provata? Perché? Quanto tempo fa è successo? – incalzò Bernard, ma poi, accorgendosi d’aver messo in soggezione la donna, cercò di rilassarsi. – Vi prego. Ditemi quello che sapete.

– Ecco… io so solo che, una mattina, ormai più di sei mesi fa, lei venne a bussare alla mia porta. Era l’alba, io mi ero alzata presto per andare al lavoro. Aveva camminato tutta la notte, povera cara. Non mi disse da dove veniva, ma era stravolta. Sembrava aver scampato un terribile pericolo. Era scossa, poco mancò che piangesse. Ricordo però che aveva un abito scuro, di magnifica fattura: semplice, senza disegni, ma c’era seta, c’era velluto. Il giorno dopo, fece quel vestito a pezzi: ci ricavò una mantella e un abito più leggero. Me li fece vendere al mercato, e disse che il ricavato sarebbe stato mio, per ripagarmi del disturbo. Io però le chiesi se avesse un posto dove andare, mi disse di no, che non sarebbe più tornata indietro. Allora la presi in casa con me, come una figlia…

Bernard ascoltò ogni parola con gli occhi sgranati e il viso via via più perplesso. Quella che Madame Lucille le stava dipingendo era una vera e propria fuga. Ma da dove era fuggita Rosalie? Dalla casa di Oscar? Impossibile, dopo tutte le note d’amore che la ragazza le aveva riservato. Rosalie non era fuggita dalla casa di Oscar; ma allora da dove?

 

– … ma come mai adesso vivi qui? Perché non sei rimasta con Oscar?

– Il mio posto è qui.

– Qui?

– Qui, tra la povera gente.

– Preferisci questo posto agli agi di un palazzo?

– Ho visto Versailles, sapete. Ho conosciuto i nobili.

– … davvero?

– Madamigella Oscar e la sua famiglia… sono veramente pochi i nobili come loro. Il resto… il resto…

 

Bernard ricordava molto bene la rabbia di Rosalie, quando gli aveva raccontato quelle cose. E non solo…

 

– Vuoi ancora vendicarti?

– No.

– … perché?

– … perché non voglio che l’odio per lei mi distrugga. 

 

C’era un buco, nel passato di Rosalie. La ragazza si era confidata, ma non abbastanza; e Bernard sospettò che fosse proprio in quell’ombra oscura che si celava la chiave del mistero.

– Che sia… che sia andata da quella Madamigella che abbiamo curato? Visto che ha abitato con lei, forse… – stava intanto azzardando Madame Lucille, con un’ombra di speranza in viso.

Bernard avrebbe voluto condividere quella speranza. Forse la ragazza era solo fuggita da lui, dal suo bacio, dai suoi sentimenti, e ritrovato la sua adorata Oscar; ma perché farlo adesso, pensò? Perché non farlo sei mesi prima, invece di bussare alla porta di Madame Lucille? Bernard strinse nel pugno lo scudo d’argento che teneva insieme il fragile filo della sua ricerca. No, si disse sconsolato. Non era il caso d’essere ingenui.

– Vi avrebbe avvisato, se fosse andata da Oscar. No… è accaduto qualcosa di più grave.

Madame Lucille gemette. – Ma allora… dovremo subito denunciare la sparizione…

– Avete un coltello? – tagliò corto Bernard.

– Mio Dio… cosa volete fare? – chiese Madame Lucille, mentre il giovane, senza aspettare risposta, si mise a frugare tra i cassetti.

Appena trovò ciò che cercava, Bernard si sedette. Si guardò intorno. Sul braciere c’era ancora la pentola dello stufato, che brontolava sommessa; sul tavolo, il cesto del lavoro di Rosalie. Il giovane gli gettò un’occhiata addolorata, poi agguantò un lembo del mantello, tagliò e tirò. Con lo strappo, ottenne una lunga fascia scura. Mentre Madame Lucille lo fissava attonita, Bernard ricavò due buchi. Poi, con movimenti rapidi, portò la fascia al viso, i buchi all’altezza degli occhi. Legò le estremità sopra la nuca, fittamente.

Madame Lucille, nel vederlo in quello stato, si tenne il cuore con una mano, e con l’altra si coprì la bocca.

Quando fu pronto, Bernard si alzò, e nei buchi della maschera gli occhi gli brillarono di sinistra determinazione.

– Prendo in prestito il coltello. – disse.

– Dove andate… ?

– Tornerò con lei. O non tornerò affatto.

– Oh, Monsieur Bernard! Chiamiamo la Guardia, non fate sciocchezze…

– Chiamatela voi se volete, Madame Lucille. – disse lui, tetro. – So che non mi tradirete.

– Non vi tradirò. – ammise la donna, seria. – Ma sarà rischioso, e voi siete stato molto male.

Bernard sorrise, addolcì la fronte in un’espressione triste. – Se non riesco a ritrovarla… a cosa mi è servito diventare il Cavaliere Nero?

 

 

Il Cavaliere Nero camminò sotto il temporale per un altro lungo tratto di strada. Prima seguì una strada parallela a Rue du Temple, poi svoltò appena si trovò nei pressi dei Carmelitani. Tagliò per i vicoli, superando Rue Denis e Rue Martin in corsa. Nel frattempo, la pioggia gli diede una tregua. Questo lo rese più furtivo, attento che non ci fossero pattuglie della Guardia Parigina: la sua lanterna lo avrebbe reso facilmente un bersaglio. Presto riuscì a scorgere la sagoma luccicante del Palazzo Reale, che dormiva poco ogni notte, per via del fervore dei suoi salotti.

Il Cavaliere Nero spense la lanterna e tentò la consueta via di un cancello secondario.

– Chi va là? – gridò un guardiano.

– Aprite! – ribatté il Cavaliere, mostrandosi alla luce con la maschera che, da sempre, gli faceva da lasciapassare. Riconobbe Caron, un uomo che l’aveva sempre aiutato, insieme agli altri della banda. Era di guardia proprio la notte in cui Oscar l’aveva portato via, puntandogli una pistola alla schiena.

– Sono io. – rincarò il Cavaliere.

Caron, dal suo canto, sgranò gli occhi. Chiamò altri guardiani, riparati all’interno delle scuderie vicine. – Venite! Il… Cavaliere Nero è tornato.

Il Cavaliere fu fatto entrare, finalmente. Riconobbe, oltre a Caron, altri tre dei suoi antichi compagni. – Ho bisogno di un cavallo. – disse, senza troppi convenevoli. Si diresse alle scuderie. – Gli altri dove sono?

– Sono fuori. Mentre tu non c’eri, abbiamo continuato il lavoro… – disse Caron, poi diede un’occhiata agli altri.

Il Cavaliere, intanto, varcata la soglia delle scuderie cercava già tra i cavalli.

Caron gliene indicò uno. – Ecco il tuo solito. Spartacus. È tornato qui, la notte in cui sei sparito…

Il Cavaliere fece un ghigno compiaciuto. Già, Spartacus. Prima si chiamava in qualche modo stupido: era stato lui a ribattezzarlo per le sue imprese.

I cavalli a disposizione della banda non appartenevano al Duca d’Orleans, che aveva scuderie private nella parte del palazzo che abitava lui solo. La maggior parte di quei cavalli era stata rubata. Ma alcuni erano doni, a quanto pareva, di borghesi ricchi, banchieri, avvocati, mercanti, anonimi ma favorevoli, in segreto, alle cause dei ribelli. Bernard si chiese se il finanziatore dei fucili fosse nel novero di questi benefattori segreti.

 

Intanto, i quattro che lo accompagnavano lo osservavano con attenzione. – Ti abbiamo creduto morto. – disse uno di loro. – Quando il falso Cavaliere Nero è uscito con quel Colonnello, e tu sei uscito dopo di loro per riacciuffarli, non sei più tornato qui. Solo Spartacus l’ha fatto. Pensavamo che dopo ti avessero presto. E che ora fossi in prigione… o giustiziato.

Bernard rifletté. Avrebbe dovuto metterli a parte del fatto che a uscire con Oscar era stato lui stesso, e che il Cavaliere Nero all’inseguimento era André? E valeva la pena informarli d’essere stato sì prigioniero, ma di averla scampata grazie al patto con Oscar?

– È stata una sorpresa venire a sapere da Monsieur Robespierre che eri vivo. – disse un altro dei quattro. – Se non ce l’avesse detto lui, che si trattava del vero Cavaliere Nero… non ci avremmo creduto. – aggiunse quello, con toni allusivi.

– Già! – sbottò un terzo, chiamato Joly. – Che cosa significa che hai voluto comprare i fucili? Hai corrotto il Colonnello, o è stato lui a corrompere te?!

– Mi ricordo… voi non li avreste voluti comprare, mi è stato riferito. – sibilò il Cavaliere Nero, mentre legava saldamente i finimenti di Spartacus.

– Era una cosa troppo assurda, perché venisse da te. – sputò fuori con rabbia Joly.

– Veniva da me. Il Colonnello non c’entra nulla. – disse Bernard, senza sapere fin dove potesse spingersi con la verità e con i sotterfugi. – Sono scappato a stento da quei due maledetti. Sono stato nascosto per guarire da una ferita. Mi hanno sparato, e per poco non mi hanno ucciso.

I quattro erano ancora indecisi. Bernard constatò con dispiacere che, nei due mesi d’assenza, il gruppo si era staccato dalla sua autorità, e il credito solenne che veniva offerto prima a ogni sua dichiarazione, o azione… era sfumato in sospetto.

– L’accordo dei fucili è servito a scagionarci. – concluse, sebbene tutto quel racconto non tenesse in piedi nemmeno ai suoi stessi occhi.

– Me ne infischio di scagionarci! Noi dobbiamo derubare quella gente, non pagarla! – sbraitò Joly, che era sempre stato una testa calda.

– Non c’è bisogno di gridare, amico… – disse il Cavaliere Nero, con tono gentile.

– Io non prendo più ordini da te, hai capito?! – inveì quello, ma il Cavaliere fu più veloce.

In un lampo, brandì il coltello che teneva nascosto sotto il mantello, e inchiodò il ribelle al muro della scuderia. Spartacus nitrì e si agitò, disturbato dal grido dell’uomo e dall’assalto. Gli altri tre scattarono sull’attenti, ma era troppo tardi: il Cavaliere teneva l’uomo in scacco, una mano sul suo petto e l’altra forte sul coltello, con la lama appoggiata alla gola e pronta a sgozzarlo.

– Calma, ragazzi. Forse la mia assenza vi ha destabilizzato un po’. Vi consiglio la calma.

– … t… traditore… – disse Joly, stringendo i denti. Gli altri tre stavano immobili, incapaci di intervenire finché il coltello del Cavaliere insidiava il collo di Joly.

– Voi mi state tradendo, non io. Chi di voi si è impegnato a cercarmi, quando sono sparito? Con che entusiasmo avete accolto i miei ordini, dal mio letto di convalescenza? Sono quasi morto per la nostra causa, ma voi l’avete già dimenticato… – disse il Cavaliere, sicuro come era stato un tempo, freddo e preciso anche nell’aggressività.

– Noi… abbiamo continuato anche senza di te… come potevamo sapere dove fossi? Ce l’hai sempre detto anche tu… che se ti fosse accaduto qualcosa, la tua vita non era importante. La cosa più importante era la missione. – disse Caron, e Joly si ammansì sotto il coltello che lo minacciava.
Bernard si accorse che era vero. Le nostre vite non sono importanti, aveva sempre detto loro. Nemmeno la mia. La Giustizia vivrà oltre di noi!

Con parole come quelle, era stato capace di fomentare i suoi compagni e affrontare con loro rischi sempre maggiori, uscendone vittoriosi. Ma d’un tratto, quelle parole gli suonarono stridenti.

 

Perché disprezzate tanto la vita, Monsieur Bernard? Nessuna causa può essere così giusta da reclamare la morte di un uomo.

 

Rosalie. Si stava gingillando con quei quattro, mentre lei era in pericolo. Non c’era tempo da perdere.

– Dunque… non posso più contare su di voi? – chiese, freddo.

Gli altri presero coraggio.

– È così, Cavaliere Nero. Ora siamo capaci di andare avanti anche senza di te. E non ci basta più derubarli. Noi li vogliamo tutti morti!

– Puoi restare con noi, se vuoi. – aggiunse Caron, cercando di smorzare i toni. – Ti presenteremo al nuovo capo e…

– No, grazie. – disse il Cavaliere Nero, con una smorfia di disgusto. – Devo portare avanti la mia missione.

Lasciò andare Joly, ma prima lo spinse contro i compagni. Ottenne di disorientarli, il tempo sufficiente per saltare in sella.

– Addio. – disse, amareggiato. Diede un colpo di tacchi, e Spartacus partì. Il Cavaliere Nero lo incitò al galoppo. Previde di non ricevere una buona accoglienza ai cancelli, ma con sua sorpresa, questi erano aperti. Il giovane si chiese come mai, visto che poco prima Caron li aveva diligentemente richiusi. Poco male, si disse: approfittò di quel colpo di fortuna e via, per le strade che specchiavano il cielo in ampie pozzanghere.

 

Trovare Palazzo Jarjayes non gli fu difficile. Conosceva il punto in cui si trovava anche prima di venirvi ospitato: come Cavaliere Nero aveva studiato attentamente le ubicazioni dei vari palazzi nobiliari di Parigi e dintorni. Se non aveva mai osato rubare in casa di Oscar prima di essere catturato, il motivo era semplice: non sarebbe stato saggio rischiare di intrappolarsi nella tana del lupo. Inoltre, il suo luogo ideale d’azione erano le feste nei palazzi e la loro confusione; in casa Jarjayes, invece, il regime era più austero. Non venivano mai dati balli di un certo tipo, solo cene e pranzi privati, con pochi convenuti.

Lasciata indietro la lanterna, il giovane si orientò con il cielo, man mano che le nuvole permettevano alla luna, quasi piena, di mostrarsi. Non fu un tragitto agevole comunque, perché la luce era poca e sporadica, ma lui non si perse d’animo. Galoppò a perdifiato, si lasciò sulla destra il Bois de Boulogne, attraversò la Senna tramite il ponte che portava al Parco di Saint-Cloud, che costeggiò; poi andò avanti, e si immerse nella Foresta di Fausses-Reposes.

 

In quella corsa notturna gli parve di sdoppiarsi. Pensava a Rosalie con intensità, ed era Bernard; ma con il vento che gli strattonava i capelli umidi, e l’energia del cavallo al galoppo sotto la sella, il Cavaliere Nero tornava in auge, con tutta la sua dignità. Così era stato poco prima, tra gli antichi compagni: a parlare non era mai stato il Giornalista, il Giornalista si era limitato a pensare e riflettere, e guidarlo in segreto. Il Cavaliere Nero aveva fatto ogni altra cosa.

La ferita gli doleva, la corsa a cavallo non lo aiutava in quel senso. Bernard pensò che quello che Oscar aveva trapassato con un colpo di pistola, in fondo, fosse il simulacro dell’antico Cavaliere Nero, il ladro di un tempo. Ma quella notte non agiva come ladro.

La sua missione, in quel momento, non aveva più alcuna rivendicazione altisonante, né un pubblico. Era una missione segreta, personale, tutta di Bernard. Per intraprenderla aveva vestito il fantoccio del Cavaliere Nero, mentre l’interno, svuotato del passato, si era riempito di qualcosa di nuovo. L'amore, certo; l'amore per Rosalie.

Così la forma aderiva alla sostanza, il corpo vestiva il cuore.

 

Finalmente, dopo circa due ore di folle galoppata e intervalli forzati per orientarsi, il giovane scorse la sua destinazione.

La villa dei Jarjayes era immersa nella più profonda quiete. Bernard si mosse con cautela. Legò il cavallo a un albero vicino, si avvicinò al muro di cinta.

– Ero ossessionata dalla ricerca della donna della carrozza, e così andai lungo la strada per Versailles. Cercavo la Reggia… e quando vidi un palazzo… io non avevo mai visto un palazzo di nobili, prima di allora!, pensai che fosse quello. Invece era la casa di Madamigella Oscar. Scavalcai il muro…
– Tu… scavalcare il muro?
– … sì, perché fate quella faccia?
– Be’… non immaginavo che tu… ecco… ma non volevo dire che… insomma. E poi… ?

Era doloroso ricordare i racconti di Rosalie e la sua dolcezza. Ma al tempo stesso, Bernard si rese conto che la memoria gli offriva minuscoli indizi; accendeva intuizioni, apriva molti “se”. Gli sarebbe stato impossibile scovare tutte le risposte da solo. Aveva bisogno di aiuto.

Scavalcò il muro, con il cuore rivolto a Rosalie.

 

 

 

 

 

 

______________

Note.

* Madama Wikipedia mi ha fornito l’immagine per il marchio di zecca: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/6/6c/PrivyMark.jpg. Si trattava di una piccolissima lettera, o una sigla, impressa insieme alle altre immagini sul lato croce della moneta, che indicava dove quella moneta era stata coniata. Arras ebbe una zecca fino al 1789, pare che con la Rivoluzione sia stata chiusa. Valori e nomi delle monete dell’epoca li ho pescati qua e là nel web, su Wikipedia ma non solo. E ho scoperto che esistevano i soldi di bronzo, gli scudi d’argento e i luigi d’oro, oltre alla più diffusa livre, la lira, il cui valore equivaleva a 20 soldi. Se uno scudo d’argento valeva 6 lire, 6x20 = 120 soldi. Almeno credo...

Sulla data di conio, dopo consulto con la fida Madame Anna, ho scoperto che le zecche francesi non battevano moneta a intervalli precisi, né tantomeno tutti gli anni. Quindi la data così ravvicinata delle monete del gruzzolo di Oscar non è necessariamente quella: se avrò modo di approfondire la questione numismatica e questo 1787 risultasse inverosimile, lo cambierò prontamente in una data migliore, tanto la cosa che importa davvero è che siano tutte dello stesso anno (quale che sia) e vengano da AR-Arras! Chi ne sa più di me mi segnali senz’altro le correzioni da fare, gliene sarei grata!

- Beni, riprende il ritmo dei miei fine settimana pubblicosi, iniziando dal CavalierO! Grazie sempre a chi segue questa storia, e non solo questa. Un abbraccio!!

 

   
 
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