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Autore: Yechan    03/01/2016    6 recensioni
[Storia ad OC] [Iscrizioni chiuse] 
Ciao a tutti io sono Yechan! E non sono brava con le presentazioni ma neanche con le introduzioni... Ma ci provo lo stesso dai dai!
Siamo in un’epoca evoluta, dove il sovrannaturale e il normale sono un’unica cosa. Gli esseri umani non sono più gli stessi di centinaia di anni fa, sono più evoluti. Ci troviamo in un mondo in cui il bene e il male non contano ciò che importa davvero è la fama e la ricchezza. L'uomo combatte solo per il proprio interesse.
Ecco a voi signori e signore, io ve l'avevo detto.
[Avvertenze]
Questa storia contiene yaoi e un linguaggio al quanto volgare (in alcune parti eh)! :D Ah.. si.. anche qualche scena pucciosa(?)
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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||TERZO CAPITOLO||
 

 
[28 Gennaio, 2728 – Moorshine]
 
Il tempo sembrava non voler passare per gli studenti dell’Amos, erano appena le dieci e per l’intervallo mancavano cinquantacinque minuti esatti, cinquantacinque minuti interminabili.
L’Amos era una delle scuole più prestigiose della capitale e ,come tale, al suo interno veniva svolta una rigorosa selezione volta ad ammettere solo i migliori studenti che potessero presentarsi. Di fianco ad essa si trovava un'altra scuola, l’Istituto Donor, dove poteva studiare solo chi possedeva un potere e per tale ragione non era necessario essere particolarmente intelligenti; l’istituto era stato fondato al di fine educare i riceventi ed integrarli all’interno della società.
 
 
Quando la tanto attesa campanella suonò, segnando l’inizio dell’intervallo, gli studenti si alzarono e come una mandria di pecore si diressero verso la porta.
«Fantastico, ora non possiamo più entrare.» Si lamentò un ragazzo dai lunghi capelli color del cioccolato lunghi fino alle spalle fissando con i propri occhi color del cielo il cancello della scuola ormai chiusosi.
 
«Dovresti ringraziarmi!» Esclamò un giovane dai capelli corvini irrimediabilmente spettinati e avente occhi dal taglio leggermente a mandorla di un affascinante color dell’ambra.
«Oggi avevo la verifica di storia e quella non ammette assenze.» Si lamentò il castano.
«Andy, sei un secchione insopportabile! Tanto alla prossima verifica prendi un bel dieci e sei apposto per tutto il trimestre.» sentenziò il corvino con aria saccente.
«Un dieci e lode vorresti dire!» Intervenne una ragazza dai lunghi capelli color verde acqua.
«Grazie per la correzione, signorina Criston.»  Rispose sarcasticamente il corvino mostrando un sorriso sghembo.
«Si figuri signorino Shizimu.» Gli resse il gioco la verde che intanto osservando con fare divertito il castano il che era sul punto d’avere una crisi isterica.
«Stiamo per assistere a una delle più rare crisi nevrotiche di Andy.» Disse Jun scoppiando a ridere assieme alla ragazza.
 
«Andy stai calmo, la prof non ha detto nulla.» Lo tranquillizzò allora la giovane.
«Cocchino.» Lo punzecchiò il corvino, con fare derisorio, scoppiando nuovamente in una fragorosa risata.
«Ma che ho fatto di male?» Si lamentò alzando gli occhi al cielo il castano non potendone più delle battute del suo migliore amico, apprezzate, tuttavia, dalla propria compagna di classe.
«A parte gli scherzi Andy secondo me dovresti scriverti all’Amos, sei sprecato per questa scuola!» Intervenne Liliana guardandosi intorno al fine d’assicurarsi i che non ci fossero insegnanti in giro.
«E per stare, magari, con la tua adorata, Aki Kino.» Aggiunse con tono malizioso il corvino facendo ridacchiare la ragazza e arrossire leggermente il povero Andy.
«No.» Negò fermamente il castano.
«Ma smettila! Le sbavi dietro da tipo tre mesi.»  Affermò con fare beffardo Liliana.
«Non sono affari vostri!»  Esclamò un Andy alquanto imbarazzato.
 
Andy Anderson era uno dei ragazzi più popolari della Donor, particolarmente famoso a causa nella propria intelligenza: non appena il giovane entrò alla Donor, gli insegnanti lo classificarono immediatamente come il primo della classe per via della sua media impeccabile infatti si sorpresero del fatto che lui si fosse iscritto in quella scuola invece che alla Amos, dove avrebbe potuto passare senza alcun problema gli esami d’ammissione. Tuttavia a causa di problemi economici e personali non gli era stato possibile.
 
«Comunque dovresti provare a sostenere gli esami integrativi.» Disse seriamente l’amico.
«No ragazzi preferisco finire i miei studi qui, piuttosto che mischiarmi a quella mandria di signorini viziati.» rispose Andy.
«Ammettilo che senza di me ti sentiresti perso.» Scherzò a quel punto Jun.
«L’importante è crederci.» Gli rispose bonariamente il castano.
«La speranza è l’ultima a morire.»  Concluse la ragazza divertita.
 
«Fottetevi.» Borbottò Jun facendo il finto offeso.
 
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Atsuya era l’essere più irritante che le fosse mai capitato di conoscere.
«È stato solo un errore.» Sentenziò guardando la sua immagine riflessa nello specchio del proprio bagno e, per qualche istante, rivisse l’esperienza della sera precedente; con orrore si passò una mano tra i lunghi capelli color del fuoco aventi qualche ciocca castana, non poteva credere che la sua prima volta fosse stata proprio con quel ragazzo.
«Ok Amelia ora basta.»  Si ripeté la ragazza, per poi sistemarsi i capelli nella solita treccia laterale.
 
Dopodiché ritornò in camera e con sguardo vacuo percorse l’intera stanza all’interno della quale sembrava fosse passato un uragano. La ragazza sospirò e con malavoglia si mise a riordinare, se sua sorella avesse visto quel disordine come minimo le avrebbe fatto una paternale.
Quando finì di rimettere in ordine la propria camera guardò l’ora sullo schermo del cellulare; era tremendamente in ritardo per andare a scuola così decise che quella giornata sarebbe rimasta a casa e successivamente si gettò sul letto e prese il cellulare digitando un numero sullo schermo, dopodiché portò l’apparecchio all’orecchio e pregò che la persona chiamata le rispondesse.
Udì più squilli ai quali non vi fu alcuna risposta e a quel punto la rossa, con fare impaziente, si chiese cosa stesse facendo Samantha. Aveva un imminente bisogno di parlare con lei.
 
«Pronto?» Rispose l’amica dopo un numero infinito di squilli.
«Sam, sono io.» Disse la rossa trovando, a quel punto, il soffitto della propria camera incredibilmente interessante.
«Amelia sono appena tornata a casa e sono stanca» Le rispose sbadigliando la ragazza, doveva ammettere che addormentarsi nel parco non era stata una buona idea ed inoltre quella panchina le aveva fatto venire un gran mal di schiena.
«Ho bisogno di parlare con qualcuno.»  La supplicò la rossa dall’altro capo del telefono, nonostante si sentisse incredibilmente patetica aveva davvero bisogno di sfogarsi con qualcuno.
«Ah…e quel qualcuno sarei io.» Sospirò Samantha, infondo non poteva abbandonare a quel modo l’amica
«Dai raccontami tutto»  Continuò incoraggiando così la rossa, la quale, le raccontò tutto ciò la sera precedente senza tralasciare alcun particolare neppure il benché minimo dettaglio.
«VI SIETE PROTETTI VERO?»  Chiese allora Samantha, facendo quasi rimanere sorda l’amica che successivamente incominciò ad agitarsi.
«Merda» sussurrò mordendosi il labbro e consapevole del fatto che , almeno lei, non se ne fosse ricordata.
«Sì, sei nella merda! Spera solo che quel coso rosa abbia, almeno, saputo controllarsi. AH! Se lo vedo io l’ammazzo!»  Sclerò la corvina aggiungendo, in seguito, una serie di insulti che fecero ridacchiare l’amica.
Si sentiva fortuna ad aver incontrato Samantha, anche se spesso lei stessa la ricopriva di insulti, sapeva che era pura finzione poiché in realtà era una brava ragazza che tendeva a starsene per conto suo e che amava alla follia le scarpe.
«Sam non sono incinta. Insomma sarebbe… oddio non voglio nemmeno pensarci.»  Pronunciò la rossa rabbrividendo all’idea.
«Ecco! Non pensarci che è meglio, anzi corri in farmacia o chiamalo.» le suggerì l’amica agitandosi leggermente, in fondo aveva già avuto esperienze simili che, per sua fortuna, erano sempre finite per il meglio.
«Non ho il suo numero e sono al verde.» Pigolò la ragazza.
«Sei fortunata, ho il suo numero!» strepitò contenta la corvina.
«Fantastico! Avanti inviagli un messaggio.» Le ordinò Amelia con fare autoritario.
«No, lo farai tu.»  Negò con sicurezza l’amica. Amelia d’altronde sapeva che avrebbe risposto a quel modo, ma doveva almeno provarci. Poi pensandoci realizzò quanto fosse ridicolo, poteva immaginare la faccia di Atsuya che leggeva un messaggio citante: “Ho saputo che ti sei sbattuto la mia migliore amica, lo hai usato un preservativo?”
Insomma cosa avrebbe pensato? Sicuramente dopo quel messaggio l’avrebbe derisa a vita, anche se si erano detti che non si sarebbero mai più rivolti una sola parola.
«Ok, ok inviami per messaggio il numero. Comunque come va con Shindou?» chiese curiosa la rossa, anche se a Samantha non piaceva parlare di lui affermando che non le piacesse così tanto e che ben presto quella cotta le sarebbe passata, Amelia, dal proprio canto, non credeva ad una sola parola ed era consapevole che anche lei avesse bisogno di sfogarsi.
«L’ho visto oggi…» Proferì la corvina «Ma preferisco non parlarne, comunque non cercare di cambiare discorso ed inviagli il messaggio!»  Continuò la corvina con fare leggermente euforico.
«Va bene..» Le rispose rassegnandosi Amelia.
 
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Il locale era completamente vuoto, non c’era nessun cliente. Akemi sospirò pensando che se avessero continuato a quel passo sarebbero stati costretti a chiudere e, per l’ennesima volta, avrebbe perso il proprio lavoro.
«Alisa.»  Chiamò annoiata la sua collega, la quale, non avendo di meglio da fare le diede immediatamente retta. Ogni volta che Akemi si annoiava, chiedeva ad Alisa di raccontarle qualche storia e quest’ultima adorava farlo poiché, oltre a divertirla, ne conosceva a centinaia.
«Vuoi che ti racconti qualcosa, vero?»  intuì l’albina e la castana annuì entusiasta.
«Beh, credo che dovremmo rinviare ad un’altra volta.»  Disse Alisa indicando la porta che si era aperta in quel preciso istante e dalla propria soglia vi entrò un giovane avente lunghi capelli color del platino legati in una coda bassa, un fisico allenato e ben slanciato.
I suoi occhi, color del cioccolato con qualche venatura rossastra al proprio interno, scrutavano attentamente il posto, sino a quando il suo sguardo non arrivò al bancone dove c’erano Akemi e Alisa, la prima si mostrava alquanto sconvolta come se in quello stesso momento avesse visto un fantasma, mentre la seconda possedeva, come di consueto, uno sguardo freddo e distaccato.
«Sorprese di vedermi eh.»  Ghignò l’albino notando la reazione della prima.
«Certo, come no.» Rispose sarcastica Akemi.
« Non sai mentire, eh! Comunque passavo da queste parti… e ho pensato che uno spuntino non mi avrebbe fatto male.»  Rise l’albino appoggiandosi al bancone situato di fronte ad Akemi.
«Hakuryuu cosa vuoi ordinare?»  domandò quest’ultima con fare gentile.
«Il solito...» rispose il giovane con fare vago, allora Akemi da brava cameriera quale era prese l’ordinazione e si diresse verso la cucina dietro di lei lasciando così soli Alisa e il Hakuryuu.
 
«A te piace ancora Akemi.» Disse con nonchalance Alisa.
«Lei ed io siamo solo amici.»  Affermò il giovane come per dissimulare le ipotesi dell’albina.
«E tu guardi sempre così tutte le tue amiche?»  Osservò Alisa con fare malizioso.
 
Akemi e Hakuryuu erano stati fidanzati per quasi un anno, al tempo erano stati una delle coppie più invidiate all’interno della città, sembrano perfetti assieme, ma in fondo, come si è soliti dire, le apparenze ingannano.
 
«Come scusa?»  Domandò Hakuruyuu fingendo di non aver capito.
“Non fare il finto tonto, tutti sanno sa benissimo che sei ancora pazzo per Akemi.” Sostenne la sua ipotesi l’albina. Hakuruyuu negò ma Alisa sapeva benissimo che la ragazza che aveva avuto dinnanzi sino pochi istanti prima, lo faceva ancora impazzire tanto che lo stesso si era persino perso in quegli occhi color del cioccolato che, a detta di chiunque, non avrebbero avuto niente di speciale, ma lui non era dello stesso avviso poiché era ancora innamorato di quella ragazza, dai capelli delle castagne sfumati di biondo verso le punte, che trasudava da tutti i pori allegria.
«Ecco qua la tua ordinazione!»  Annunciò la castana uscendo dalla cucina per poi appoggiare l’ordinazione del giovane sul bancone.
«Di cosa parlavate?» chiese incuriosita notando d’avere interrotto il discorso che si stava svolgendo tra i due.
«Cazzate» Le ripose l’albino alzandosi e lasciando i soldi sul bancone dopodiché si diresse verso l’uscita.
«Haku Il resto!»  Esclamò la castana al fine d’avvisare il ragazzo.
“Tienilo pure.” Disse chiudendosi la porta e sorridendo ad Akemi, la quale, non poté fare a meno d’arrossire.
«Voi due siete davvero strani.»  Commentò Alisa che per tutto il tempo aveva osservato la scena.
 
 
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Solitamente le giovani dall’aspetto innocente e candido erano delle brave ragazze, coloro che non pronunciavano nemmeno una singola parolaccia né si comportavano in maniera alquanto volgare.
Miku Atoki era l’eccezione a quella stessa regola.
«Merda.» Imprecò quest’ultima.
La giovane, dai capelli dorati lunghi sino al bacino e che all’altezza delle spalle cambiavano tonalità assumendo un color blu elettrico, era in piedi davanti ad un cancello il quale era di un colore rossiccio per via della ruggine ed inoltre attorno a esso c’era una spessa catena, in modo da tenerlo chiuso saldamente.
Inoltre ai lati del cancello partivano delle mura incredibilmente alte che per Miku sarebbero state impossibili da scavalcare.
La giovane si guardò attorno assicurandosi che non ci fosse nessuno, non sarebbe dovuta essere in quel luogo, considerando che il comune aveva inviato un mandato ad ogni famiglia all’interno del quale veniva inviato l’accesso a quella fabbrica per questioni di sicurezza. Non c’era nessuno nei paraggi e ciò tranquillizzò Miku, dopotutto non le andava di mettersi nuovamente nei guai con la giustizia e poiché il cancello era chiuso, la ragazza dovette fare il giro per entrare all’interno dell’edificio
«Guarda cosa mi tocca fare per avere un po’ di tranquillità.»  Borbottò appena giunse a destinazione, davanti a lei c’erano dei cespugli che nascondevano un’apertura abbastanza grande affinché lei ci si potesse infilare.
La terra era fangosa ed indossava un paio di jeans nuovi, la ragazza si maledisse da sola a causa della propria stupidità: quei jeans gli erano costati una fortuna.
Si rialzò da terra e si scrollò il fango dai jeans, successivamente fissò la costruzione davanti a lei constatando che quella fabbrica abbandonata era il luogo dove poteva trovare pace e tranquillità.
Era pur vero che la giovane amasse le feste alla follia, ma, di tanto in tanto, anche lei aveva bisogno di stare da sola con se stessa.
Al proprio interno la fabbrica aveva delle mura nere come la pece e macchinari che oramai avevano smesso di funzionare, la giovane si diresse verso l’ascensore che la portò al piano di sopra.
C’erano davvero tanti uffici ed infondo all’ala est della fabbrica vi era l’ufficio del capo, il quale, andava a costituirsi come la stanza preferita di Miku. Tuttavia quando la ragazza si avvicinò alla porta sentì delle voci, purtroppo, a lei familiari.
 
«Come sei stressante!»
«Lo dico solo per il tuo bene!»
 
Udì solamente la ragazza riconoscendo Astrid ed Eleonor che come al solito bisticciavano.
«Ma voi due non dovreste essere a scuola?»  Intervenne improvvisamente Miku aprendo la porta e varcandone la soglia.
«La stessa cosa potrei dirla io!» Replicò Astrid inviperita.
«Ma per lei il lunedì non ha alcuna valenza, è come se fosse domenica.»  Disse Eleonor divertita.
Miku scoppiò a ridere ormai Eleonor la conosceva come il palmo della sua mano, non a caso le due erano migliori amiche, ma non vi era due senza tre ed Astrid rappresentava il terzo elemento del loro bizzarro trio.
«Ragazze questo fine settimana faccio una festa.»  Annunciò contenta la bionda.
«Prevedo guai.»  Disse con tono sarcastico Astrid alzando gli occhi al cielo.
«Su i bicchieri e giù i pensieri!»  Esclamò un entusiasta Eleonor, in fondo amava le feste..
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Atsuya, per lei, andava a rappresentarsi come una delle cose migliori che potessero capitarle e Robyn ne era infinitamente grata, insomma, almeno ai propri occhi, lui era perfetto.
«Quindi Miku sta organizzando una festa» Disse il rosa con fare pensieroso.
«Esatto, dobbiamo andarci assolutamente.»  Rispose decidendo per entrambi la rossa, la quale era molto entusiasta poiché non vedeva l’ora di sfoggiare il suo nuovo abito. E mentre Robyn era assorta nei propri pensieri da principessa, il rosa aveva lo sguardo fisso sul banco di Amelia che era vuoto, lei non era venuta a scuola. I sensi di colpa incominciarono a farsi sentire, come aveva potuto, proprio lui, tradire la sua ragazza? In fondo Robyn era perfetta, la più bella, la più intelligente, sapeva essere dolce al punto giusto e talvolta, quando la stessa situazione lo richiedeva, severa.
 
‘Atsuya sei uno stupido’ Cominciò ad insultarsi mentalmente il giovane.
 
«Atsuya che hai? Stai bene?» chiese preoccupata la sua ragazza, il rosa annuì e facendole cenno col capo le sorrise, sorprendendosi del fatto che fosse un attore nato.
«Amore dobbiamo andare alla festa per forza?»  chiese sbuffando il rosa, Miku era amica di Amelia e consequenzialmente le probabilità di incontrarla erano davvero alte, fin troppo per i suoi gusti, doveva evitarla assolutamente.
«Assolutamente.» Affermò Robyn con aria sicura e bonaria al tempo stesso.
«Ma io credevo che avremmo trascorso una serata tu ed io, da soli…» Disse con tono malizioso ma non ottenne nulla, dopotutto con la testardaggine di Robyn niente poteva competere.
«Peccato! Non sai cosa ti perdi.»  Continuò facendo il finto offeso ed ottenendo come risposta le risate della giovane.
«Tranquillo, alla festa ci divertiremo.»  Rispose con aria bonaria la rossa.
 
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Era seduta su un letto d’ospedale e ad ogni minuto che passava, la ragazza sentiva il bisogno di alzarsi e andare a fare due passi, ma anche quel semplice gesto non le era consentito, non fino a quel momento perlomeno.
«Appena finisco, vengo a farti compagnia»erano state le parole che Shirou pronunciò prima di andarsene e stranamente Shizuko aveva bisogno di lui o quanto meno di qualcuno con il quale scambiare qualche parola, siccome quell’attesa la stava spazientendo non poco.
«Dottore ecco qui la paziente 034.» disse una voce femminile, probabilmente di un infermiera, accompagnando il medico in quella stanza.
«Buongiorno Shizuko.» La salutò cordialmente il medico, tuttavia non ricevette alcuna risposta.
«È ora di toglierti la benda e vedere i tuoi risultati.» continuò l’uomo ottenendo solamente indifferenza da parte della ragazza.
Quando il medico tolse la benda alla giovane, ella non poté fare altro che scrutare la stanza coi proprio occhi aventi il medesimo colore del cielo, ed immediatamente notò che la camera era esattamente come se l’era aspettata: completamente bianca con una finestra che mostrava un paesaggio grigio e triste, ma a lei ne era indifferente, dopotutto non poteva provare emozioni.
«Shizuko.» la chiamò il medico e la giovane si voltò verso quell’uomo alto con un camice lungo bianco e avente una cartella tra le mani.
«Allora come ti senti?» Chiese avvicinandosi al letto della propria paziente.
«Normale»  Rispose con fare vago la ragazza, per poi curiosare nuovamente con lo sguardo all’interno della camera come se stesse cercando qualcosa o qualcuno.
«I tuoi genitori dove sono?» Domandò l’uomo con fare inquisitorio.
«Non lo so, io non ricordo nulla.» Rispose atona la giovane.
«Come immaginavo… dai prova a fare un piccolo sforzo, cosa ricordi?» Continuò l’uomo.
«Solo urla» Rispose pacata la ragazza
 
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Quando la campanella suonò, i suoi compagni di classe, esattamente come un branco di pecore, si diressero verso l’uscita, ma Amelye come di sua abitudine aveva deciso di prendersela comoda, sapeva che il calorifero di fronte alla sua classe non l’avrebbe occupato nessuno poiché i suoi coetanei se ne stavano sempre in cortile.
«Ehilà!»
Ma stavolta non fu così poiché il suo adorato posticino era occupato da Fidou, il quale con aria spensierata si godeva le sue patitine.
«Non dovresti ripassare visto che dopo hai una verifica?»Chiese.
«Non si saluta? Comunque ho ripassato prima.» Rispose il ragazzo scrollando le spalle.
«Sicuro, sicuro?»  Domandò nuovamente la ragazza.
«Tanto non ti cedo il calorifero!»  Esclamò divertito a causa dell’espressione dell’amica.
«Almeno lasciami un po’ di spazio, egoista!»  Esclamò la ragazza e Fidou, da bravo ragazzo quale era, le concesse quel privilegio.
«Comunque che fai questo fine settimana?» Chiese il castano ammiccando.
«Esco con un ragazzo, tu?»  Gli rispose con nonchalance la ragazza e a quella risposta Fuduo non poté evitare di fare un’espressione sconvolta che fece ridacchiare l’amica.
«Sto scherzando stupido! Non faccio niente» Gli disse divertita la ragazzo.
«Ah, ecco. Infatti mi sembrava strano tu assieme ad un ragazzo!» Strepitò divertito il castano.
In realtà Fuduo si sentiva sollevato, era molto protettivo nei confronti di Amelye, ma quella volta era stato diverso e strano poiché aveva sentito qualche cosa di strano che preferì di gran lunga ignorare.
«Shut up!» Lo azzittì la giovane.
«Basta con queste lingue morte, comunque ci sarai alla festa di Miku?» Domandò interessato il castano, tuttavia la ragazza non fece nemmeno in tempo a rispondergli poiché le apparve dinnanzi una figura esile avente lo sguardo sconvolto, le gote erano più arrossate del solito ed un insolito il fiatone, come se avesse intrapreso una corsa campestre, i lunghi capelli castani erano disordinati per via della stessa corsa e borbottando qualcosa si sistemò.
«Dovete aiutarmi!»  Esclamò la castana ancora trafelata a causa della corsa.
«Ed eccone un’altra che non saluta.» Sospirò Fuduo «Fischia! Luthien sei tutta rossa.» Continuò osservando l’amica che cercava ancora di riprendere fiato.
«Luth che hai?» Chiese preoccupata Amelye.
«Ora vi racconto…» Le rispose riprovando a riprendere fiato.
Nel contempo che Luthien raccontava ciò che le era accaduto pochi minuti prima, si dirigevano nella loro direzione due ragazzi che sembravano essere nel bel mezzo di una discussione.
«Tsurugi quante volte devo scusarmi? Non l’ho fatta apposta!» Si lamentò un ragazzo aventi capelli color del cioccolato ed occhi di un blu metallizzato tanto belli da mozzare il respiro.
«Come se le tue scuse potessero rimediare al danno che mi è stato fatto in volto.» Rispose un blu ormai stufo delle scuse dell’amico.
«Tsurugi mi dispiace davvero, non pensavo che Apollo...»  Si interruppe repentinamente il castano non appena vide il volto dell’amico farsi scuro a causa della rabbia, ma successivamente quest’ultimo fece un respiro profondo e in tal modo si calmò.
«Ti sta rovinando.»  Commentò con disprezzo il blu.
«La devi smettere, non capisci proprio niente!»  Strillò il castano accelerando il passa e lasciando, così, indietro l’amico che continuò a camminare lentamente.
«Ciao Luthien!»  Urlò il castano quando vide la compagna con altri due studenti più grandi di lei, tuttavia, la ragazza a causa della voce squillante che aveva il castano sussultò e voltandosi verso di lui con sua grande sorpresa constatò che dietro la sua figura ci fosse Tsurugi che a quel momento andava a rappresentarsi come l’ultima persona che volveva vedere la giovane.
«Ciao Tenma.» «Piacere, io sono Akio Fuduo.» Esordì il castano.
«Io sono Amelye Lavigne!» Si presentò sfoggiando un bel sorriso guadagnandosi, così, un’occhiataccia da parte del suo amico.
«Piacere di conoscervi! Io sono Matsukaze Tenma!»  Disse chinando la testa il castano.
«Tenma non c’è bisogna di tanta formalità, siamo a scuola.»  Commentò Luthien esasperata.
«È l’abitudine» Le rispose ridacchiando il castano. «Comunque avrei bisogno di dirti una cosa.» Continuò, la ragazza annuì ed insieme si allontanarono dagli altri .
«Non dovresti sorridere così a quelli più piccoli di te, razza di pedofila.» La richiamò il castano, portandosi alle labbra un boccone di patatine.
«Ero solo cortese, idiota.» Replicò la ragazza osservando Luthien allontanarsi col compagno.
«Secondo me si fa troppe pippe mentali cosa saranno un paio di lezioni private fatte a Tsurugi?» Commentò Fuduo scrutando anche lui i due.
«Magari è solo timida» Constatò la giovane.
«Ne dubito a lei piace Tsurugi.»  Sentenziò malizioso beccandosi, in tal modo, una gomitata da parte dell’amica poiché davanti a loro, proprio in quell’istante, era passato il nominato.
«Fuduo, Luthien ci ammazza.»  Replicò la ragazza portandosi una mano ai capelli.
 
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Si trovava in una camera poco illuminata a causa delle tapparelle chiuse e le luci spente, l’unica fonte di luminosità che vi era all’interno della stanza proveniva dallo schermo del computer della giovane, il quale, le illuminava il volto paffuto dai tratti dolci e al contempo infantili. I lunghi e voluminoso capelli color biondo vivo erano tenuti in un chignon disordinato e suoi occhi color rossi, possedenti il medesimo colore delle fragole, erano intenti a leggere ogni singola riga del documento all’interno del suo pc, per quanto quel che facesse le interessasse alle volte era davvero opprimente.
Shjniu, sino a quel momento, era stata talmente concentrata su quel caso che non si era benché minimamente accorta dell’anormale disordine che vi era in quella camera, in particolare sulla propria scrivania ricoperta di fogli, penne, cartelle e documenti d’ogni tipo.
Passarono alcuni minuti, forse molti, la ragazza non avrebbe mai saputo definirlo, tanto era concentrata quando improvvisamente la sua attenzione venne catturata dalla suoneria del proprio cellulare, svogliatamente prese l’apparecchio e guardò il numero, era Apollo Reed. Shijniu inarcò un sopracciglio seccata da quella telefonata, c’erano davvero poche cose che non le andavano a genio tra queste vi era il venire interrotta nel bel mezzo del suo lavoro così decise di ignorare bellamente quella telefonata.
E subito dopo la chiamata, come se il giovane sapesse che lei non gli avrebbe risposto le arrivò un messaggio citante: ‘Richiamami, dobbiamo parlare.’
La bionda allora ghignò con fare divertito e non poté fare a meno di pensare che Apollo, in tutto quel tempo, non fosse per niente cambiato: era rimasto la solita testa di cazzo. Non chiedeva neanche se qualcuno stesse bene o male anche dopo molti mesi. La bionda scrollò le spalle, non che le importasse, ma doveva quantomeno conoscere il ragazzo con il quale ‘collaborava’ ed i veri obbiettivi che quest’ultimo aveva.
Shjniu, dopo quella piccola pausa, riprese a leggere sul suo laptop tuttavia, venne interrotta nuovamente poiché qualcuno stava bussando alla sua porta, sbuffò, da quel che sembrava quella giornata era impossibile svolgere il proprio lavoro senza essere interrotta.
«Sonata!» Pronunciò una voce al di fuori della camera bussando freneticamente alla porta, la bionda riconobbe istantaneamente quella fastidiosa voce e poteva appartenere solamente ad una persona: Midorikawa. Così decise, saggiamente, di ignorarlo e continuare con il suo lavoro.
«Sonata!» Continuò a chiamarla assumendo un tono vocale più acuto e a quel momento la bionda si ricordò dell’insistenza del pistacchio, sapeva perfettamente che avrebbe avuto il coraggio di continuare a bussare alla porta per ore, consequenzialmente ignorarlo sarebbe stato solamente un ulteriore spreco di tempo, cosa che in quel periodo le mancava decisamente così, suo malgrado, si alzò e si diresse verso la porta.
«Credevo che non mi avresti aperto.» Disse sorpreso il giovane, la bionda di risposta si appoggiò allo stipite della porta ed incrociò le braccia al petto.
«No, ma cosa dici ti aspettavo a braccia aperte » Rispose con fare ironico, ma con tono incredibilmente pacato, la ragazza facendo ridacchiare il pistacchio.
«Comunque, ormai il danno è fatto quindi hai bisogno di qualcosa?» Domandò atona la bionda.
«Il pranzo è pronto, ti conviene scendere entro cinque minuti, sai come sono le suore!» Le rispose per poi andarsene il ragazzo e con quel gesto fece ridacchiare la giovane: non poteva credere che era arrivato fin lì solamente per avvisarla di qualcosa di così futile. Sospirò esasperata dopodiché chiuse la porta della proprio camera.
«Vorrà dire che rimanderò tutto a più tardi.» sentenziò la ragazza osservando la sua scrivania in preda al caos più totale.
 
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Aveva accompagnato, con la sua macchina, il proprio fidanzato alla scuola e come al solito si era fermato, per qualche minuto, ad ammirare l’edificio scolastico e nel farlo gli vennero in mente tanti ricordi come, ad esempio, quando infastidiva i secchioni o quando flirtava con le professoresse solo perché gli alzassero la media. Apollo non poté fare a meno di pensare che quelli fossero bei tempi e successivamente fece ripartire la macchina per poi dirigersi nel luogo dove avrebbe ritrovato una vecchia amica.
Quando arrivò a destinazione, si ritrovò dinnanzi ad una grande casa che probabilmente aveva molte stanze, ed una donna sulla cinquantina gli aprì il cancello.
«Giovane Reed da quanto tempo!»  Esclamò contenta guardando il giovane uscire dalla macchina.
«Buongiorno signora Graziella è un piacere rivederla, per caso mi sa dire dove posso trovare Suor Caterina?» Chiese educatamente il giovane.
«Mi spiace ma è uscita qualche minuto fa, ma se vuole c’è suor Martinez.»  Disse l’anziana con aria cordiale.
«Sì, va benissimo mi sa dire dove posso trovarla?»  Domandò il giovane.
«È in mensa, se vuole la chiamo o vuole aspettarla?» Gli chiese ancora l’anziana.
«Posso aspettare.»  Rispose il ragazzo.
«Va bene, si accomodi pure vado ad avvisarla.» Lo fece accomodare la donna facendolo sedere su una delle poltrone poste nell’atrio.
Il ragazzo si sedette e si osservò attorno e non poté fare a meno di notare che fosse tutto cambiato. La Sun Garden era davvero cambiata.
Il posto che l’aveva cresciuto si era davvero rimodernato ed anche se lui fondamentalmente era un tipo egoista e stronzo per quasi la totalità del tempo, doveva ammettere che fosse solamente grazie a quelle persone se lui e sua padre avevano trovato un posto dove vivere.
Apollo aveva avuto un passato particolarmente facile ma neppure tragico: era orfano di padre, o almeno così raccontava a tutti visto che per lui quell’uomo che aveva abbandonato sia lui che sua madre si trovava a dieci metri sotto terra.
«Apollo Reed non posso crederci sei proprio tu!» Esclamò sorpresa una donna facendo così saltare in piedi il ragazzo.
«Suor Martinez che piacere rivederla.»  Disse educatamente il giovane.
«Ma guardati, sei diventato un vero uomo!» Strepitò contenta l’anziana scompigliandogli i biondi capelli.
«Ho saputo che ha intrapreso un viaggio verso la capitale di Ashwilt.»  Commentò ridendo il ragazzo.
«Sì, è stato davvero un bel viaggio è un posto molto pacifico.» raccontò l’anziana con fare bonario.
«Comunque a cosa si deve la tua visita? Come sta tua madre? E il lavoro? Perché tu lavori giusto?» Continuò tempestandolo di domande, alle quali Apollo non aveva tempo di rispondere, anche se gli sarebbe piaciuto conversare con la suora che lo aveva ospitato per anni nel proprio orfanotrofio, tuttavia le circostanza non glielo permettevano.
Così quando la signora Graziella si allontanò per svolgere delle faccende, Apollo approfittò di tale occasione per ipnotizzare l’anziana, gli dispiaceva approfittarsi così di quella donna ma la situazione glielo imponeva.
Ed utilizzando il suo potere i suoi splendidi occhi color del ghiaccio divennero di un rosso rubino esattamente come quelli di un vampiro.
«Merda.» Imprecò, dover utilizzare tale potere era pericoloso e necessitava tanta concentrazione e forza di volontà ed il fatto di essere limitata a causa di quel braccialetto non lo aiutava per niente.
«Non ho molto tempo, suor Martinez avrei bisogno che mi portasse qui Shjniu Sonata.» Proferì solamente il giovane, la suora annuì per poi andarsene.
«Devo resistere.» Si auto incoraggiò il ragazzo quando attivava il suo potere la testa gli incominciava a dolergli il tutto era sempre causato da quel braccialetto.
 
Dopo qualche minuto la suora rientrò nella stanza con la ragazza e quest’ultima essendosi stranita a causa del pel suo comportamento la osservava con fare inquisitorio, tuttavia non appena vide Apollo le fu tutto irrimediabilmente chiaro.
«Ecco.» Disse suor Martinez.
«Libera.» Pronunciò Apollo e in quell’istante i suoi occhi ritornarono al loro colore naturale mentre la signora si guardò attorno sentendosi persa.
«Ma, ma Sonata! Fila subito in mensa.» Ordinò quando si rese conto della presenza inappropriata della ragazza, la quale sbatté più volte le palpebre con fare innocente.
«Ma come suor Martinez non ricorda? è stata lei a dirmi di venire qui appena avrei finito di mangiare.» Spiegò innocentemente la giovane.
«Davvero?» Chiese sorpresa la suora, non aveva mai diffidato di Shijniu poiché secondo l’opinione delle suore lei era la più sincera e innocente della ragazze che vivessero in quell’orfanotrofio.
«Sì, suor Martinez mi aveva detto che c’era una ragazza che voleva scriversi alla Amos  e considerando che l’ho frequentata mi aveva chiesto di spiegarle come funzionavano le cose lì.» Disse Apollo al fine di chiarire la situazione all’anziana, anche se sapeva che quella ragazza avrebbe potuto cavarsela perfettamente da sola anche perché ogni volta che liberava le sue vittime dall’ipnosi queste ultime non ricordavano assolutamente nulla di ciò che era accaduto precedentemente.
«Allora scusate, credo che sia meglio che vada a prendere le mie pastiglie.» Disse imbarazzata l’anziana salutando i due e andandosene.
«Alla Amos davvero?» Chiese ironica la bionda inarcando un sopracciglio ed allora Apollo ridacchiò.
 
«Ad ogni modo c’è mancato pochissimo e saresti stato scoperto.»  
 Sghignazzò la giovane indicandogli la telecamera con un cenno del capo.
«Taci, io e te dobbiamo parlare di un po’ di cose.» Disse assumendo un’espressione seria allora la bionda incrociò le braccia al petto.
«Continua a sorridere razza di idiota qui siamo costantemente vigilati, ma tranquillo eliminerò io le tue tracce se fosse per te saresti già stato scoperto.» Sussurrò pacata la bionda, non poteva rischiare la sua copertura a causa di quell’idiota.
«Apollo che dici se parliamo meglio dell’Amos un altro giorno.» Disse assumendo un tono di voce normale.
«Come mai?» Domandò fingendosi stupito il ragazzo.
«In questo periodo sono abbastanza impegnata, possiamo vederci questo fine settimana.» Gli rivelò con fare atono la giovane. «A proposito, sai che suor Martinez ha una serra tutta sua? Andiamo a vederla.» Continuò la bionda prendendo il braccio del ragazzo al fine di trascinarlo con sé, anche se odiava comportarsi a quel modo doveva essere comunque credibile.
Così assieme, come una coppia di amorevoli e disgustosi vecchi amici, percorsero il corridoio il quale era lungo, pieno di quadri e porte, da una di queste ultime qualcuno sbirciava.
«Midorikawa, smettila di spiare.» lo richiamò un ragazzo aventi capelli color del fuoco acconciati in maniera alquanto strana.
«Nagumo c’è un tizio con lei e non è ora delle visite.» disse il pistacchio con fare preoccupato.
«E a te cosa frega? Piuttosto aiutami a superare questo livello!» Esclamò il rosso con fare seccato.
 
Apollo e Shjniu, nel mentre, si trovavano fuori dalla costruzione all’interno di un piccolo parchetto situato al fianco di una piccola serra.
«Possiamo parlare?» domandò con fare cauto il giovane ed allora la bionda sospirò.
«No, te l’ho detto dobbiamo fare un altro giorno questo fine settimana, ad esempio, visto che posso uscire.» Propose atona la bionda.
«Sono libero la sera, ma conoscendo le suore di questo orfanatrofio… dubito che ti faranno uscire.» Disse, rammentando tutte le sere che se la svignava e ritornava il giorno seguente beccandosi, puntualmente, una lunga ramanzina da parte delle suore e di sua madre.
«Troverò un modo, tranquillo devi solamente aspettarmi all’angolo e ti racconterò tutto.» Spiegò Shjniu con fare impassibile e con estrema calma, il giovane annuì era sicuro che quella ragazza sarebbe uscita la senza alcun problema era fin troppo acuta.
«Meglio che vada.» Si congedò il giovane.
«Decisamente, comunque stai attento la prossima volta, ti sei fin troppo rammollito per i miei gusti.» Sogghignò la giovane beccandosi uno sguardo assassino da parte di Apollo, che ricambiò sbattendo più volte le palpebre ed il ragazzo sapeva cosa volesse dire quel gesto.
«È inutile che mi guardi così ho ragione e lo sai.» Puntualizzò atona la bionda allora Apollo alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Io vado, ciao.» Salutò nuovamente alzando la mano in cenno di saluto.
«Credo ti stia dimenticando qualche cosa.» Gli ricordò la giovane con fare beffardo,
«Ah giusto, tieni.» Le rispose lanciandole un lecca – lecca al gusto di limone, Shjniu lo prese al volo e lo scartò subito. I lecca – lecca erano una vera e propria ossessione per lei sarebbe stata capace di avere delle crisi isteriche senza.
«Pff bambina.» Sputò con disprezzo il ragazzo, la bionda stinse gli occhi in segno di disprezzo dopodiché lo salutò con un cenno della mano. Non avrebbe avuto modo di replicare poiché, lei stessa ne era consapevole, non vi era termine più appropriato per descriverla.
«Ah Apollo ricordati di non fidarti di me»  Replicò allora la bionda con estrema tranquillità, aveva scoperto tutto e sarebbe stato molto meglio avvisarlo, il ragazzo non le rispose e così Shijniu lo guardò andarsene.
«È insopportabile, ma l’unico grazie al quale posso raggiungere il mio obbiettivo.» Parlò piano la giovane.
 
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[Ashwilt, 28 Gennaio 2728 – ore O5:O5 a.m.]
 
Miriam era seduta fuori la casa che l’avrebbe ospitata fino a quel fine settimana, la giovane contemplando il cielo sopra di lei non poté fare a meno di pensare a quanto fosse magnifico.
Non aveva chiuso per tutta la notte, era davvero felice di rivedere tutti i suoi amici della Sun Garden in particolare uno: Nagumo.
Le sue iridi fucsia osservavano il sole sorgere e il cielo dipingersi di più colori che andavano a mischiarsi al tra loro, tra questi vi erano il rosso, l’arancione e il giallo. Non poteva fare a meno di bearsi di quella visione poiché erano i suoi colori preferiti, caldi e accessi, esattamente come il suo potere.
 
Miriam cominciò a immergersi nei suoi pensieri, immaginandosi come sarebbe stato il suo ritorno e se tutti i bambini l’avrebbero riconosciuta. Non era cresciuta molto, solo di qualche centimetro tuttavia era dimagrita ed i suoi capelli lilla chiaro erano cresciuti fino ad arrivare a metà schiena.
Successivamente gli venne in mente il suo maestro: Lewis e si chiese per quale ragione volesse tornare a Moorshire dopodiché si ricordò di una strana chiamata ricevuta da un certo Apollo e qualcosa inerente ai braccialetti. L’argomento del quale discutevano i due era davvero complicato e perlopiù usavano molti termini difficili che la ragazza non aveva mai sentito fino ad allora.
Miriam preferì non pensarci troppo, non poteva diffidare di Lewis poiché era stato pur sempre lui a salvarla.
 
«Non sapevo fossi mattiniera.»  Disse una voce maschile interrompendo il corso dei propri pensieri, Miriam si voltò e vide appoggiato sullo stipite della porta Lewis, il quale la osservava con quegli occhi color dello smeraldo che sarebbero stati capaci di stregare qualsiasi ragazza tanto che erano stupendi.
Lewis si passò un mano tra i capelli color del fuoco e si sedette vicino alla ragazza che lo osservava con attenzione e notò come quel ragazzo avesse un fisico mozzafiato, tuttavia oltre a non essere il suo tipo era troppo grande per lei e Miriam preferiva di gran lunga quelli della sua età.
«Mi piace vedere l’alba Lew.» Mentì ottenendo un pessimo risultato la giovane.
«Come no.»  Le rispose il rosso , sapeva benissimo che la sua giovane allieva era emozionata poiché a breve sarebbe tornata a Moorshine.
Quando lui le diede la bella notizia, Miriam saltò di gioia e non smetteva più di giocherellare con l’accendino al fine di creare forme strane con le fiamme.
«Lewis è vero che c’è chi può creare fiamme nere?» Domandò con fare curioso la giovane.
«Purtroppo sì.»  Rispose il rosso guardando il sole sorgere.
«Cosa vuoi dire?»  Chiese cauta la ragazza.
«Le persone con un simile dono, se così può essere chiamato, hanno la mente corrotta e il cuore ricolmo d’ira e vendetta, sono manipolatori e le loro fiamme possono arrivare ad essere più potente delle nostre. » Le spiegò con fare eloquente il rosso.
«Wow allora sono davvero forti! Menomale che esistono questi braccialetti.» Constatò Miriam osservando il cielo.
«I braccialetti sono una disgrazia, ma almeno fanno qualcosa di buono anche se…» Si bloccò il ragazzo.
«Anche se?» Domandò la ragazza supplicandolo con lo sguardo al fine di fargli concludere la frase.
«No, niente tranquilla» Le sorrise accarezzandole una guancia.
Lewis non poteva ancora raccontarle ciò che aveva in mente, per lui quei braccialetti dovevano sparire, ma presto il loro potere sarebbe caduto consequenzialmente qualcuno se ne sarebbe approfittato e l’intero Impero UAN, anzi il mondo intero sarebbero caduti in rovina.
 
Non tutti utilizzavano i loro poteri per fare del bene.

ANGOLINO DELL'AUTRICE SPARITA.. 
Ehilà mondo! Innanzitutto vorrei scusarmi per essere scomparsa per così tanto tempo ma ho un'ottima spiegazione... la scuola! Sono stati mesi davvero duri, ci sommergevano di compiti e verifiche non c'era giorno in cui potevo rilassarmi completamente. 
Poi i professori hanno pure il coraggio di dire che sono stati studenti anche loro e che ci capiscono.. ma allora perchè diamine non cercate almeno di venirci incontro?! D: 
Ma nooooo carichiamoli ancor di più! 

D:

Ok la smetto ahahaha vabbé oltre a quello pure il mio computer si mise a farmi sclerare e come? Si resettò completamente e di conseguenza persi tutto :D 
C'est la vie... 

Ma dopotutto rieccomi di nuovo quuui e scusate il mio piccolo sfogo xD
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo e di aver interpretato bene la vostra OC.. (comentate o inviatemi un messaggio se non è così)

Ah dimenticavo.. BUON ANNO A TUTTE/I <3


Buona domenica e al prossimo capitolo sperando di aggiornare presto :'D
Baci, Yechan
   
 
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