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Autore: Nori Namow    04/01/2016    6 recensioni
Nessuno aveva mai messo piede all’interno di casa Tomlinson, eppure era ormai tradizione dalle mie parti chiamarla ‘il Castello delle Bugie’.
Veniva chiamata così perché si diceva che, al suo interno, avvenissero cose fuori dal comune e che, seppur sembrasse una casa come tante altre, al suo interno si nascondessero le peggiori insidie.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il bugiardo deve avere buona memoria. - Marco Fabio Quintiliano




 

Speicher



Indietreggiai con una tale forza da sbattere la schiena contro la portiera del passeggero. Lui sapeva del nomignolo affibbiato a casa sua, e mentre gli altri ci scherzavano, lui ne soffriva perché era la verità. Louis si ricompose dal nostro breve contatto fisico, cominciando a torturarsi le mani.
«Non ho idea di cosa sia successo, quella notte.» cominciò con voce tremante, mentre i suoi occhi azzurri diventavano lucidi, pian piano.
«So soltanto che da quando i miei sono morti, la casa ha come… preso vita. Non so se c’è qualcuno che la controlla, né perché lo fa. So soltanto che mi tortura, mi impedisce di vivere serenamente, mi deride.» si passò una mano fra i capelli, evocando chissà quali ricordi spiacevoli.
«Ogni giorno, ogni singolo attimo, nella mia casa vedo cose che non sono vere. Allucinazioni, rumori, urla, stridii. E se oso tornare più tardi a casa, mi tortura ancor di più, come se mi punisse.»
Si accasciò contro la portiera dell’auto, e per un attimo credetti che fosse svenuto. Mi avvicinai a lui, accarezzandogli piano i capelli.
«Aspetta… Hai detto allucinazioni?» domandai con le sopracciglia corrugate, mentre i suoi occhi terrorizzati mi osservavano dallo spazio delle dita. Aveva le mani sul viso.
«Sì. Tutto ciò che hai visto e sentito, oltre me, era un’allucinazione. Mia nonna è a casa sua, non c’era un'onda che stava per investirti. Nulla, assolutamente nulla, eppure quelle robe riescono a penetrarti la mente con una tale forza.» Louis sussultò, e io gli accarezzai la spalla.
Quindi la nonna non pensava quelle cose di me, e non stavo per morire affogata. In qualche modo, era rassicurante.
«Il Castello quindi voleva che me ne andassi, vero? Perché ti stavi stancando, ribellando. Vero?» domandai con cautela, mentre lui riuscì a sorridere seppur per un breve istante.
«Gli hai dato del filo da torcere, sì.»
Mentre accarezzavo i suoi capelli per tranquillizzarlo, riuscii con l’altra mano a fargli togliere le sue dal viso. Era davvero bello, Louis, il suo problema non era la pazzia, ma gli incubi. E mi chiesi come facesse a non essere uscito completamente fuori di testa, con una casa che ti fa vivere dei film horror in 4D. I suoi occhi blu s’incantarono nei miei per qualche attimo, poi abbassò velocemente lo sguardo.
«I miei genitori sono morti e nessuno sa come, né perché. La gente di Tadley crede che io sia un pazzo squilibrato. Sono solo, Deike, solo con le mie paure.»
Lo disse con un tono talmente rammaricato e rassegnato, che non potei non controbattere, avvertendo un senso di protezione nei suoi confronti.
«Non sei solo, Lou. Condividi questo segreto con me. Non dovrai far altro che andartene via, trasferirti, far demolire la casa, se necessario.»
Louis scosse più volte la testa, chiedendomi di smettere.
«Io non me ne vado da lì, Deike. Non lo farò, ok?»
Quella sua risposta mi spiazzò completamente, perché nessuno desidererebbe vivere in una casa degli orrori, che raccontava bugie. Qualcosa mi fece capire che il Castello aveva un motivo ben preciso, per odiarmi, e quel motivo era un Louis che rischiava di andarsene. Ma se lui non sopportava quella situazione, eppure continuava a vivere in quella casa, allora voleva dire che alcune allucinazioni, forse, lui le desiderava.
Il Castello lo imprigionava, lo torturava. Ma gli offriva qualcosa che nessun altro avrebbe potuto dargli nel mondo reale.
«Cosa ti offre in cambio? Cosa ti spinge a vivere lì tanto da non andare nemmeno all’Università? Ti sei fatto bocciare tre volte nonostante i tuoi ottimi voti solo perché volevi rimanere lì, vero?»
Louis per tutta risposta, abbassò lo sguardo, palesemente dispiaciuto e colto nel segno.
«Te ne parlerò un’altra volta, ok? Ora non… non voglio parlare più di questo.»
Gli sorrisi appena, facendogli capire che per me andava bene, che non era costretto a raccontarmi tutto anche se io lo desideravo. Avrei aspettato tutto il tempo necessario.
«Te la farà pagare, quando arriverai a casa.»
Lui annuì, mordendosi il labbro inferiore e preparandosi a chissà quale tortura.
«Metti le cuffie nelle orecchie e chiudi gli occhi. Se sono allucinazioni, non ti faranno mai del male.»
«Cosa credi che abbia fatto in questi dieci anni, Deike?»
Sbattei le palpebre, sorpresa da quel suo tono quasi giocoso, come se la faccenda a volte non lo toccasse più di tanto. Mi sentii tremendamente stupida.
«Già, io sono l’ultima persona che può darti un consiglio.» storsi le labbra, facendolo sorridere ancora di più. Aveva una bellissima risata, contagiosa, coinvolgente, semplicemente unica. E quel suo ridere era così intonato alla sua persona, che non potei non odiare la situazione in cui era. A causa del Castello delle Bugie Louis non sorrideva, non rideva, non aveva amici. Non aveva nulla, se non le bugie che la casa gli rifilava.
«Sai che ti dico? Che stanotte vieni a dormire da me, e domani non andremo a scuola. Tornerai a casa tua in tempo, così la Casa non sospetterà nulla.» mi faceva uno strano effetto parlare di casa Tomlinson come se fosse una madre iperprotettiva, ma non sapevo come definirla.
Louis si spostò i capelli finiti sugli occhi, mostrandomi un certo imbarazzo e disagio. Sorrisi.
«Tranquillo, ci sono i miei in casa e quindi non posso abusare di te. Entrerai dalla finestra, e loro non sospetteranno nulla.» dissi con voce quasi suadente per poi fargli un occhiolino.
Il tutto per vedere le sue gote arrossate e ascoltare un’altra risatina.
«Non è per quello, è che più tempo sto fuori casa, più il Castello sarà spietato.» disse per poi schiarirsi la voce, tossicchiando. Mi sedetti in modo composto sul mio sedile, mentre Louis rimetteva in moto l’auto ed entrava in strada, diretto verso casa sua.
Quando arrivammo, notammo subito le luci del Castello che si spegnevano e riaccendevano ad intermittenza, come se fosse palesemente arrabbiato.
Louis si morse un labbro mentre la guardava, pensieroso, poi prese un forte respiro.
«Grazie, per non avermi riso in faccia. E per non essere fuggita.»
Gli sorrisi, scompigliandogli giocosamente i capelli. Lo vidi scendere e avviarsi verso casa, quando tornò indietro quasi correndo.
«E per domani, è ok. Sempre se non hai cambiato idea. Sai, la gente potrebbe par…»
Gli tappai la bocca con una mano, facendogli una linguaccia scherzosa. Mi misi al posto di guida e fissai Louis per qualche attimo.
«Non ho cambiato idea, vedrai, domani ti farò divertire. E per quanto riguarda la gente, sono delle merde, così come le loro opinioni.»
 
 

«Deike, tu pensi che io potrei piacere alla gente?»
Mi voltai incuriosita verso il ragazzo seduto accanto a me sulla panchina, mentre osservava distrattamente il cielo nuvoloso sopra di lui.
Mi chiesi il perché di quella domanda improvvisa, ma in fondo non ero poi così tanto sorpresa. Le persone sole si chiedono sempre perché lo sono, e nel caso di Louis, forse, dipendeva dal suo piacere alla gente. Scossi le spalle.
«Certo, perché no? Sembri simpatico, non sei inguardabile, sei intelligente. Alla gente potresti piacere, ma non a quella di Tadley.»
Sembrò dispiaciuto della mia affermazione, così mi affrettai a precisare: «Perché gli abitanti di Tadley sono vipere, non persone.»
Sorrise compiaciuto, come se la consapevolezza di vivere in mezzo alle serpi fosse una consolazione. Non era colpa sua, se veniva emarginato, ma colpa della gente bugiarda come il luogo maledetto nella quale viveva.
«Tu invece, alla gente piaci molto. Piacevi persino ai miei, quando…»
Quando erano ancora vivi. Invece, si limitò a sussurrare un flebile «quando eri piccola.» nonostante la tristezza galleggiasse sul suo viso.
Louis era molto fragile riguardo ai sentimenti, era una piccola fiala del cristallo più delicato, e io ero un terremoto arrivato nella sua vita.
L’osservai a lungo, chiedendomi quali terribili cose, seppur finte, aveva visto nel Castello.
La mattinata era trascorsa fra chiacchiere, risate, silenzi imbarazzanti, messaggi minatori da parte di Zayn, io che promettevo a me stessa che li avrei fatti conoscere, quei due. Ma la mia testa mi teneva impegnata sempre in un posto, quello che mi aveva indirettamente sfidata. Forse il Castello pensava (se mai ne fosse stato in grado, di pensare) che mi fossi arresa, spaventata, e che avesse vinto lui. E invece no, cazzo, perché io avrei trascinato Louis fuori da quella casa a costo di prenderlo a calci nel culo. Sì, l’idea di ricevere allucinazioni anche da film horror non mi allettava, ma era pur sempre tutta una finzione, no?
«Ricordo che una volta, quando avevo sei anni, eri al parco con tua nonna e mangiavi un gelato. Doveva essere luglio, credo. Io ero una stronzetta già allora, ed ero arrabbiata con i miei per qualche motivo assurdo. Insomma, volevo fregarti il gelato per metterlo nella borsa di mia madre e vendicarmi, così mi avvicinai a te di soppiatto, pronta a strapparti il cono dalle mani appena ne avessi avuto l’occasione. Quando fui abbastanza vicina, mi soffermai però ad osservare la tua voglia a forma di mezzaluna, quella che hai dietro al collo.» sorrisi della sua reazione sbigottita, mentre portava imbarazzato una mano dietro la nuca, nel punto in cui risiedeva la macchiolina più scura.
«E non me lo hai rubato più. E perché?» chiese con un sorrisetto, mentre io storcevo le labbra.
«Pensavo che fosse un segno, e che se ti avessi rubato il gelato sarebbero venuti gli alieni dalla Luna e mi avrebbero rapita.»
Ci guardammo per un secondo negli occhi, poi scoppiammo entrambi a ridere come stupidi, proprio come due bimbetti spensierati che non facevano altro che dormire e infastidire gli adulti. Era così bello ridere, liberare la mente anche solo per qualche secondo. E Louis, che da dieci anni a quella parte viveva con un peso nella testa che avrebbe ucciso chiunque, aveva bisogno di ridere come un pesce ha bisogno dell’acqua.
 Quando tornò a circolare l’aria nei polmoni, dopo tutte le risate, Louis si guardò intorno.
«E qual era la panchina?» chiese voltando la testa da un lato all’altro del parco, come se cercasse di ricordare il posto in cui, anni prima, le mie gote erano diventate rosse perché in realtà sua nonna mi aveva sgamata e pensava fossi cotta del nipote. Louis portò il suo sguardo blu su di me, per la prima volta sembrando un ventunenne qualsiasi, felice, quasi.
«Era proprio questa qui.» dissi, riferendomi alla panchina dove eravamo comodamente seduti da più di due ore.




Buongioooorno gente!
ok, sono passati diciassette giorni circa dall'ultimo capitolo, ma ho delle giustificazioni valide!
Esame di biochimica, che avevo il 22, quindi 0 internet e testaccia sui libri.
Poi le feste. Oggi ho trovato il tempo di aggiornare e quindi eccomi qui.
Dooohnque, le cose cominciano ad essere giusto un pizzico più chiare.
Per quanto riguarda Louis, è doloroso vedere che nella realtà ha 24 anni ma nella mia ff ne ha ancora 21.
Stay young, tommo!
Come sempre vi ringrazio per il supporto e perché dedicate quei due, tre minuti a questa fanfiction
psicopatica come me.
Spero abbiate passato un buon natale e un buon inizio anno.
With love,
@marvelastic (on twittaah)


 

   
 
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