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Autore: serClizia    04/01/2016    5 recensioni
Rexburg, Idaho, la città dove Castiel ha trovato lavoro con lo pseudonimo di Steve, mi ha dato l'ispirazione per questa storia.
Si distribuirà tra passato e presente, cercando di capire cosa è andato storto nel primo incontro tra Castiel e Dean, e come andranno a finire 8 anni dopo.
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Rexburg, Idaho, 2015



Castiel odia il turno serale.
I clienti sono pochi, si annoia a morte, e leggere le riviste del reparto edicola può sedarlo fino ad un certo punto. Sa alla perfezione quale VIP pare sia uscito con quale altro VIP - e soprattutto chi ha la sfacciataggine di scoprirsi le gambe con la cellulite - eppure mancano ancora ore (34 minuti per la precisione) alla chiusura.
Preferisce il turno pomeridiano, quello in cui arrivano i suoi vicini di casa, e di quartiere, e fanno due chiacchiere. Quello in cui la signora McLahan, scozzese trapiantata lì per chissà quale motivo, viene a prendere le stesse identiche cose ogni giorno, si ferma a commentare il tempo, paventa l’arrivo della quarta guerra mondiale e se ne va.
Castiel adora i suoi clienti. Che non sono proprio suoi, visto che al negozio ci lavora soltanto, ma per lui è come se lo fossero. Persino quel tipo losco con il cappellino da lupo di mare che compare solo a notte fonda per comprare birra e giornalini porno. Com’è che si chiamava?
Getta sul bancone l’ennesima rivista – dopo aver appreso con disinteresse del matrimonio di qualche starletta della tv. Si guarda attorno, le tre corsie di scaffali deserte, lo specchio in alto, nell’angolo della parete di fondo, che riflette quella desolazione.
La luce al neon alla porta d’entrata illumina fiocamente il tratto di marciapiede fuori, ma pare che non ci sia nessun avventore in vista – solo una signora che si affretta a tornare a casa con un ombrello stretto al petto. Castiel sospira, lisciandosi un po’ il gilet azzurrino d’ordinanza.
Sono anni che lavora al Gas ‘n’ Sip, e ancora non riesce ad abituarsi alla noia del turno serale. Si accontenterebbe anche di quello notturno, sente di avere un feeling con le ore più tarde e silenziose. Riesce a sentirsi stranamente in pace con la solitudine, alle 3 o alle 4 del mattino.
Alle dieci arriva Nora a sollevarlo dalla sua miseria, finalmente.
Gli da’ una gentile pacca sulla schiena prima di spedirlo a casa, probabilmente già pensando alla babysitter che ha lasciato a casa con la bambina. Castiel sa quanto la preoccupi non poter essere sempre a casa, doverla affidare a mani sconosciute.
Piega il gilet sottobraccio e si incammina verso il complesso di appartamenti che adesso chiama casa, a soli due isolati di distanza. Gli piace poter andare a lavoro a piedi, senza lo sbattimento di dover usare i mezzi di trasporto e rimanere bloccato nel traffico come succede a tante persone, nelle grandi città.
Rexburg non è né una grande città, né ha del traffico, con i suoi 25.000 abitanti.
I lampioni gli indicano la strada, leggermente in salita, mentre un gatto nero salta giù dai cassonetti di una villetta alla sua destra e gli taglia la strada, correndo ad infilarsi nel giardino del dirimpettaio.
Se Castiel fosse una persona scaramantica si preoccuperebbe del presagio, ma non lo è, sorride alla bestiola e svolta a sinistra, il grande edificio beige di 5 piani con i suoi 15 appartamenti – tre per piano, Castiel abita al terzo – che svetta sulla strada.
Ci sono dei sassolini sul marciapiede, Castiel si diverte a calciarli finché non sente uno sting di pietra-contro-metallo. Spera di non aver danneggiato la macchina di qualcuno, e quando alza lo sguardo, il pensiero gli si ritorce contro e gli rimane schiacciato in gola.
Davanti all’entrata del suo cancello è parcheggiata lei, Impala del ’67, nera, lucida, immacolata come sempre, bella e terribile allo stesso tempo. Si imbambola a fissarla. Sente il portone del palazzo aprirsi, e la sta ancora fissando; delle voci che si avvicinano e sta ancora lì (“Sì, devi troppo vederla, amico. È una vecchia MV Agusta, devi assolutamente metterci le mani sopra e ripararmela.”)
Quando i passi si fanno più rumorosi e distingue la voce di Dean (“Okay, passa dal garage e vedo cosa posso fare”), si decide a voltarsi e alzare lo sguardo. Ed eccolo lì, in piedi sui cinque scalini che separano il cancello dal portone.
Dean fottutissimo Winchester, espressione incredula dipinta in volto.
Accanto a lui appare il tizio losco lupo di mare del minimarket, e il cervello di Castiel ha un improvviso guizzo di memoria. “Benny.”
Benny si blocca, rincorre la voce che lo ha chiamato, trova Castiel e appare confuso. Sono tutti confusi.
“Ah… Castiel,” salta giù dai gradini e lo raggiunge. Dean lo segue.
“Benny,” forse adesso non si scorderà mai più il suo nome.
“Sì… volevi dirmi qualcosa?”
Castiel si ricorda improvvisamente un’altra cosa ancora. È conscio che Benny abiti nel suo stesso complesso, ma non hanno mai parlato prima d’ora - se si esclude il classico “13 dollari e 86, grazie” con grugnito di riposta. Si riscuote, mettendo da parte lo shock strillante in un posto molto, molto lontano che possa raggiungerlo soltanto come un’eco distante.  “No, io – uhm… no.”
Non gli è venuta in mente una scusa decente, nemmeno lontanamente.
Benny lo osserva, forse per la prima volta, e sembra sinceramente preoccupato. Forse si immagina Castiel tutto solo nel suo appartamento, pazzo e tendente al suicidio, o qualcosa del genere. Forse è per questo che tentenna, si volta verso Dean al suo fianco.
“Dean questo è Castiel, un mio vicino di casa.”
Vicino che non sa se scoppiare a ridere o cosa. Dean pare avere lo stesso pensiero, scalpiccia coi piedi e poi allunga una mano, deciso, sorridendo a metà faccia. “Piacere di conoscerti.”
Castiel adesso è sicuro di essere ad un passo dalla risata più grassa e lunga della sua vita, le urla di shock ancora ben udibili nella sua testa devono essere quelle che lo trattengono. Alza la mano al rallentatore, sentendola pesantissima.
“Piacere.”

Sono le 3:47 del mattino.
Castiel pensa di essersi rigirato tra le coperte abbastanza. Le calcia via, nonostante non sia mai riuscito a dormire senza – tanto chi vuole prendere in giro, stanotte non chiuderà occhio.
Si passa una mano sulla fronte, frustrato. Contempla le pareti verde chiaro della sua stanza, spoglie fatta eccezione per una fotografia appesa sopra la piccola scrivania di legno accanto alla finestra.
Una foto della sua famiglia, quando vivevano ancora tutti insieme - nonostante Gabe e Anna via al college - e quando andava ancora tutto bene. Quando ‘casa’ significava una villetta in centro su di un viale alberato, con vialetto d’ingresso, pasti caldi ad attenderlo e il conforto di una famiglia alle spalle.
Si tira su per abbandonarsi contro la testiera del letto, sbuffando.
Non riesce a credere di stare perdendo di nuovo il sonno per colpa di Dean Winchester.
Dopo la strana scena della presentazione, si è dileguato con Benny sulla sua cavolo di macchina. Castiel li ha guardati andare via dalla finestra, ancora preso dall’imbambolamento. Mano a mano che l’Impala si è allontanata, a Castiel ha cominciato a rifunzionare il cervello. Lì per lì ha scaraventato tutto dietro un gigantesco macigno nella sua testa, deciso a non pensarci.
Si è fatto da cena, ha guardato un po’ di tv e poi è andato a letto.
Sarebbe andato tutto bene se non fosse che, quando si è soli al buio, i pensieri hanno la fastidiosa tendenza a scivolare fuori dai macigni e farsi strada, punzecchiando la coscienza come un ago appuntito.
E così, girando e rigirando le coperte con lui, ha rimesso insieme i pezzi del puzzle, rianalizzato tutto.
Dean ha ancora l’Impala. L’ha parcheggiata sotto casa sua, ma non sapeva che lo fosse. Era sorpreso di vederlo, non è andato lì sapendo di trovarci lui. È andato lì a trovare, o a prendere, Benny.
Come fanno a conoscersi? Magari per lavoro. Cosa faceva Benny poi…? Castiel non se lo ricorda.
Un pensiero lo pungola di nuovo: la conversazione che ha sentito.
Benny ha commentato un garage. Delle riparazioni. Magari Dean fa il meccanico, adesso?
Ha sempre detto che gli piacevano i motori, d’altronde. Castiel ferma subito il pensiero. Non andrà a parare lì. Non rivangherà ricordi del passato, di ben… quanti anni sono?
Otto anni, gli risponde il cervello, inesorabile. Sono passati otto anni.
Castiel scalcia via le coperte, stavolta completamente, per alzarsi e andare a prendere da bere.
Percorre il breve corridoio al buio - ormai sono 5 anni che abita lì e conosce l’appartamento a menadito - si infila in cucina e prende una bottiglia d’acqua dal frigo. Si appoggia contro l’anta, buttando giù a grandi sorsi direttamente dal collo.
Da lì può vedere la sala, il divanetto marroncino di fronte alla tv, la libreria ricolma di libri e ricordi (ricordi che vale la pena avere). Castiel è felice della sua casa. Si è fatto una vita, è andato avanti.
Sono anni che non pensa più a Dean Winchester, a come lo avessero colpito le sue labbra imbronciate la prima volta che l’ha visto. Sono anni che non pensa più a quella musica.
Decide di portarsi la bottiglia in camera, lasciarla sul comodino gli pare una buona idea.
Si sdraia di nuovo, strizzando gli occhi, tentando di portare la mente verso lidi più piacevoli, ma quella ritorna sempre a punzecchiare negli stessi posti.
Dean ha un lavoro, forse fa il meccanico in un garage. Dean ha ancora l’Impala, non che Castiel pensasse che se ne sarebbe mai liberato. Dean ha un amico, o un fidanzato, di nome Benny, che abita al secondo piano. Dean probabilmente si farà rivedere in giro, per lo stesso motivo.
Si incontreranno nell’atrio, prenderanno l’ascensore insieme.
Dean magari arriverà con la spesa, o il giornale sottobraccio. Con delle provviste, magari con un cane, magari un giorno gli servirà il sale e busserà alla sua porta.
Dean, con gli stessi capelli corti e lo stesso ciuffo, la stessa faccia da culo, ma più alto, più grosso, con una leggera barba incolta ma la stessa luce negli occhi, le stesse lentiggini.
Dean, la stessa camminata con le gambe arcuate, lo stesso stile nel vestirsi, camicia-maglietta-jeans-stivali, probabilmente riapparirà nei prossimi giorni, o settimane, a tormentarlo.
Perché Dean è amico di Benny – o forse qualcosa di più – ma soprattutto, Dean è tornato in città.
 
 

 
 
Rexburg, Idaho, 2015, qualche settimana prima


La macchina si spegne con uno sbuffo sul vialetto.
Lo sta già aspettando sulla soglia, con le braccia conserte e un cipiglio nascosto – male – dal cappellino. Deve aver sentito il rumore del motore dalla strada.
Dean prende la sua sacca dal sedile di dietro e schiocca i talloni per stiracchiare i muscoli dopo il lungo viaggio. I tre gradini del portico sono una specie di limbo tra ora e quello che sta per succedere.
Durante quel mini percorso, quella specie di gradini di Schroedinger, potrebbe reagire in due modi: dargli un pugno in faccia e rimandarlo direttamente da dove è venuto con la coda tra le gambe, oppure dargli un pugno in faccia per non essersi fatto più sentire per anni.
Quando gli arriva davanti, sulla soglia, il vecchio lo squadra un po’, e Dean non è pronto ad uscire dal limbo, ma quello apre la bocca lo stesso.
“Ce ne hai messo di tempo per tornare a casa, figliolo.”
Gli allunga una birra.
Bobby.

In un paio di giorni è come se avesse sempre vissuto lì.
Bobby gli fa alzare il culo tutte le mattine e lo mette a lavorare al garage. Non gli fa domande, anche se lo squadra sempre come per vedere se stia per cadere a pezzi da un momento all’altro.
La verità è che non si sentiva così bene da molto tempo.
Il garage ha abbastanza lavoro da tenerlo occupato tutta la giornata, le mani sotto il cofano di un furgone la sua personale versione di paradiso. Non pensare a niente, non pensare al passato, al futuro, a dove sta andando. A dove vorrebbe andare. Non è in grado di sapere niente di tutte queste cose, e buttarsi nel lavoro è l’unica cosa che sembri avere un senso, al momento.
I clienti si susseguono, macchine vengono riparate e rispedite al proprietari.
Una birra sul portico con Bobby la sera.
Il vecchio aveva ragione. Dean si sente a casa.
Vecchio che chiaramente resiste tre giorni e mezzo prima di cominciare a farle, le domande.
Dean non è pronto a rispondere, quindi glissa con un “Avevo bisogno di un cambiamento, tutto qui.”
Chiama Sam quasi ogni sera, tanto che quello stronzo ha la faccia tosta di chiamarlo ‘patologico’. (“Non prenderla per il verso sbagliato, Dean, mi fa piacere sentirti. È solo che non mi hai mai chiamato così spesso. È strano.”)
Dean non poteva certo dirgli che gli manca, che si sente solo, che non sa che cazzo stia facendo a mettere così sotto sopra la sua vita, quindi glissa anche con lui. E con glissare, s’intende sparargli il primo insulto che gli venga alla mente e attaccargli il telefono in faccia.
Anche se non è stato di grande aiuto, perché immagina troppo bene il ghigno di Sam dall’altra parte del telefono che scuote la testa al suo fratellone idiota, per poi tornare a copulare con quella sua ragazza nuova, sicuro - che Dean adora, perché Sam la adora, e non l’aveva mai visto adorare qualcuno a quel modo, e vederlo così felice lo trasforma segretamente in una mammina orgogliosa senza dignità.
Dean non glielo ammetterà mai, ma ringrazia Dio che qualcuno si sia preso cura di Sammy da vicino quando lui non c’è stato.

Dopo una settimana spunta Benny al garage con lo stesso furgone scassato che aveva alle superiori.
“Amico! Come diavolo fa a stare ancora in piedi questa cosa!”
Benny lo guarda a bocca aperta per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere e trascinarlo a prendere una birra con lui. Per fortuna Dean è sempre stato un lavoratore modello, o Bobby gli avrebbe staccato la testa a morsi, invece di lasciarlo andare con un cenno del capo. E forse un mini-sorriso? Difficile da dire dietro tutta quella barba.
Benny lo subissa di domande, e non se la prende quando Dean risponde a una sì e a due no.
Sì al lavoro (“Sono stato un fiero operaio, grazie di averlo chiesto.”), no a cosa hai fatto finora, con chi, perché sei tornato.
Tanto, alla seconda birra, gli sta già raccontando tutto sulla sua vita da ex-marine nell’Idaho, e Dean non deve fare altro che ascoltare e ridere, annuire ed esclamare cose al punto giusto (“Sei finito a fare il lavapiatti? Dopo essere stato buttato fuori dalla Marina? È una roba assurda, amico!”), ed è insieme divertente e rilassante.
Dean si ricorda perché gli piaceva girare insieme a Benny, ai tempi della scuola. Era facile stare con lui, e in qualche modo erano simili. E non da fuori, perché non potevano essere più diversi di così, ma dentro, nel profondo, dove conta.

Poi arriva quel giorno. O meglio, quella sera.
Passate due settimane, Benny ha di nuovo il furgone a riparare – è ridotto davvero a uno schifo, lo porta dentro una settimana sì e una no. Quando si organizzano per andare a bere una birra da qualche parte, ovviamente Dean si offre di andare a prenderlo a casa.
Sono le dieci meno qualcosa e Benny lo invita su per mostrargli l’appartamento. È carino, non molto grande ma confortevole, da’ quel sapore di casa che Dean non sente da un po’ – non lo stesso di casa di Bobby, quello crede che sia il corrispettivo di ‘casa dei miei’. Intende proprio sapore di casa.
Mentre scendono le scale, pensa che forse tra un pochino potrebbe cercarsi un appartamento tutto suo, dubita che Bobby rimanga così felice di averlo con sé vita natural durante. E comunque a casa propria potrebbe girare in mutande quando gli pare, tanto per dirne una, senza un vecchio brontolone che si lamenta della cosa ad ogni piè sospinto.
Benny gli sta dicendo che ha trovato una vecchia moto su cui vuole che lavori quando lo vede.
Aveva sentito una voce, ma non pensava fosse la sua.
È cambiata da quando si conoscevano, più maschile. Dean, impalato sui gradini, lo osserva. È più maschile perché a fissarlo non è più un ragazzo, è un uomo. Castiel ha le spalle larghe, è ben piantato, anche se sempre in quel modo strano e alienato tutto suo. Quello di uno che non si rende conto molto bene di avere degli arti attaccati al corpo.
Dean registra vagamente di essersi avvicinato, seguendo Benny in modo automatico.
La divisa blu tra le mani, fa il commesso? È venuto qui a consegnare qualcosa? Sarebbe una fottuta coincidenza gigantesca.
Si è perso tutta la conversazione che i due stanno avendo finché Benny non chiama il suo nome.
“Dean… questo è Castiel, un mio vicino di casa.”
Vicino di casa!
È comunque una fottuta coincidenza gigantesca.
Dubita che Castiel voglia avere un’imbarazzante conversazione su come si conoscano, sulle coincidenze del cazzo della vita. Non lì su quei gradini, non davanti a Benny.
Non era così che sarebbe dovuto succedere, cazzo.
Fa l’unica cosa che gli sembra sensata, e allunga la mano.
“Piacere di conoscerti.”
Gli sembra che Castiel sia sul punto di prenderlo a pugni, ma l’ombra gli passa presto dagli occhi e torna alla sua stoica impassibilità – Dean vorrebbe ridere e dirgli “Non sei cambiato niente!”, si ferma appena in tempo.
Cas gli stringe la mano senza stringerla davvero. “Piacere.”
In un attimo si congeda, e a Dean sembra più che altro una ritirata tattica.
Benny riprende a parlare della moto e si avvicina all’Impala, Dean rimane voltato a fissare il portone oltre il quale è sparito. Quegli occhi ancora così blu, nel volto di un adulto. La voce roca. Castiel.
“Amico, vieni o no?”, Benny ha il braccio a penzoloni sopra la portiera.
Dean annuisce e va ad infilarsi in macchina.
Sa dove vive (Vicino di casa! Quante erano le possibilità?). Era a piedi. Probabilmente lavora nelle vicinanze.
Cas.
Non sarà difficile ritrovarlo.



 
Spazio autrice:
WIIIIIII! Avevo intenzione di pubblicare questo capitolo PRIMA della fine del 2015 e me lo sono dimenticato. Non cambio la data perché è importante per me che siano passati 8 anni e non di più. Possiamo fare che fosse la fine del 2015 e aggiornare gli anni in corso d’opera, magari.
Passando alla storia, la prima cosa che mi preme dire è che non ci sono titoli di canzoni per i capitoli, perché nel presente la vita di Castiel è priva di musica.
La seconda, è che il POV Dean è più scarno perché se approfondissi un po’ di più, si spoilererebbero (?) inevitabilmente cose che devono venire fuori più avanti.
Mi trovate
qui nella mia pagina autore di Facebook per commenti, scleri, tentativi di razionalizzazione, e lacrime.
PS: feeeeeeeeeeeeeels per Bobby e Benny ç_ç
  
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