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Autore: Nelith    05/01/2016    2 recensioni
[Scritta per il contest Malia: il canto delle sirene, indetto da Yuko chan. Prima classificata]
[Scritta per il contest Quando il fantasy è dark, indetto da Nuel2. Terza classificata]
Si chiuse la porta alle spalle, isolando quel cubicolo dal resto del mondo. Tutto era di legno al suo interno, tranne l'amaca di corda che serviva da letto. Appena entrò emise un basso suono scricchiolante e dalle fessure del legno iniziarono a fuoriuscire una miriade di insetti che andarono a infilarsi sotto gli abiti di Hira. Il tessuto iniziò a muoversi, brulicante di vita mentre lui gemeva quasi estasiato dal contatto con le sue creature. Un lungo centopiedi si attorcigliò tra le sue dita, e Hira se lo portò vicino al viso.
«Ho un lavoretto per te. Hai fame, vero?»
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Senza nome 1

Il porto iniziava a scorgersi all'orizzonte. Hira lo osservava dalla prua della nave mentre i marinai si affaccendavano a preparare la manovra di attracco. Gigantesche montagne ricoperte da una fitta vegetazione sprofondavano nell’acqua, creando il canale marino che li avrebbe condotti fino alla terra ferma. Era strano come sull'acqua i suoni si perdessero, il silenzio era stato interrotto solo dai rumori delle assi di legno della nave che cigolavano e dal delicato infrangersi delle onde sulla chiglia. Anche le voci dei marinai si disperdevano trasportate dal vento.

Hira si voltò osservando le vele candide e gonfie di vento mentre gli uomini si muovevano tra gli alberi come insetti. Sorrise e si passò una mano tra i capelli pallidi arruffati dal vento. Nell'altra mano stringeva una lunga spada contenuta in un fodero di legno laccato, su cui scorrevano sinuose linee dorate tra cui si celava il disegno di una fenice e tre stelle. Un laccio blu era intrecciato poco sotto da dove sporgeva la guardia, composta da un cerchio formato da alcuni anelli affiancati. Se non fosse stato per quella strana lavorazione nessuno avrebbe capito che si trattava di una spada, erano armi troppo eleganti, troppo ricche, per quelle gelide terre del nord. Tutto, però, in quel viaggiatore era strano ed esotico: dai capelli pallidi agli occhi rossi, passando per le mani delicate su cui spiccavano le unghie nere, quelle rare volte che non indossava i guanti, fino agli abiti che indossava. Inusuali ed esotici erano composti da un'ampia veste stretta in vita da una cintura scura, con maniche larghe che arrivavano solo a coprire metà avambraccio e, sotto di essa, erano presenti altri strati di foggia simile. Anche i pantaloni, neri con piccole righe grigie, erano inconsueti: talmente ampi da sembrare quasi una lunga gonna che celava i piedi. Non sembrava risentire del freddo, quella era una delle cose che avevano maggiormente colpito i marinai. Infatti in un primo momento non lo volevano a bordo, dicevano che portava male, ma il capitano non aveva sentito ragioni: il suo denaro era buono come quello di qualunque altro passeggero.

L’equipaggio non ne era stato felice, soprattutto quando, il giorno successivo alla partenza, cupe nubi nere se erano addensate dietro di loro. La tempesta, però, non si era mai abbattuta su quella nave: li aveva seguiti per tutto il viaggio, alcune volte il vento arrivava impetuoso, agitando il mare, per poi placarsi all’improvviso, come se arretrasse. I marinai avevano iniziato ad attribuire a Hira la fortuna che sembrava averli baciati.

Un marinaio si affiancò a Hira, osservando come lui verso terra, mentre l'ombra delle montagne iniziava ad allungarsi.

«Ci siamo quasi. Questa notte potrai dormire a terra.» Hira sorrise, voltandosi verso l’uomo aveva parlato e che arrossì leggermente. Quel volto giovane e affascinante aveva risvegliato in molti uomini desideri che non sapevano di avere, mentre in altri aveva stuzzicato passioni che conoscevano, ma nessuno aveva mai osato avvicinarsi. Aveva qualcosa di mistico, come se non appartenesse a quel mondo e temevano anche solo l’idea di toccarlo.

«Voi avete sicuramente una vista migliore della mia.» cominciò il viaggiatore lasciando perplesso il suo interlocutore «Quindi quelle là in fondo, oltre la cittadina portuale, sono nubi temporalesche o è fumo?» il marinaio si sporse verso il parapetto, come a volersi avvicinare un po' di più, ma fu un altro a rispondere per lui.

«Sicuramente fuoco.» i due uomini si voltarono incrociando gli occhi nocciola del capitano del vascello che, come loro, osservava l'orizzonte. «Le incursioni degli Han non accennano a scemare. Dicono che diventino sempre più violente e si avvicinano sempre di più alla costa: se conquisteranno Valgar non potremo più respingerli, controlleranno uno dei maggiori porti del nord.»

«Mi chiedo come un gruppo di barbari possa fare tanto.» urlò il marinaio per sovrastare il vento.

«Dicono che ci sia qualcuno che li guida, la gente parla di una strega.» Hira si voltò scorgendo dietro la loro scia altre navi che veleggiavano verso il porto. Era da molto tempo che il viaggio non era stato più in solitaria, arrivavano da tutte le terre conosciute, uomini desiderosi di ricchezza che si vendevano o per guerra o per i cadaveri. Hira sorrise, i corpi attiravano tantissimi necrofagi di ogni le razza.

Che cosa meravigliosa è la guerra... Hira sospirò, accarezzando con la mente l'immagine dei campi di battaglia grondanti di sangue. La voce dei due uomini però riportò presto la sua attenzione alla nave.

«Dovremo fermarci a Valgar più del previsto, temo.» il capitano osservava la tempesta dietro di loro: erano stati fortunati a non incontrarla in mare aperto, ma non avrebbero avuto possibilità di scampo ora.

«Almeno saremo attraccati al sicuro.»

«Sperando che la tempesta tenga lontano i barbari... mi sembra strana.»

«Credo sia di natura... artificiale.» rispose Hira sfiorando con le dita la corda intrecciata che adornava il fodero della sua spada. «È da un po' che la vedo e sembra marciare costantemente verso nord.»

«Vi ha seguito?» Hira scoppiò a ridere alle parole terrorizzate del marinaio.

«No. Non credo proprio. È più probabile che facciamo la stessa strada. In fondo sono tanti quelli che si spingono a nord negli ultimi tempi.»

«Potrebbe avere a che fare con la strega?» il marinaio si rivolgeva a lui come se detenesse tutte le risposte, ma Hira non gli avrebbe mai rivelato cosa si celasse in quella tempesta.

«Possibile. Sicuramente non è naturale. Spesso avanzava controvento.» Il marinaio si toccò un orecchio, poi la fronte e infine sputò in acqua.

Non ti servirà quello sciocco rituale per allontanare la malasorte...

«Credo che andrò a radunate le mie poche cose per lo sbarco.» Hira si chinò, mantenendo il tronco rigido e piegandosi verso di loro per congedarsi. Poi, nonostante il mare leggermente mosso, avanzò con passo sicuro e leggero sul ponte, diretto al piccolo sgabuzzino che era stato il suo alloggio in quel mese di traversata.

 

Si chiuse la porta alle spalle, isolando quel cubicolo dal resto del mondo. Tutto era di legno al suo interno, tranne l'amaca di corda che serviva da letto. Appena entrò emise un basso suono scricchiolante e dalle fessure del legno iniziarono a fuoriuscire una miriade di insetti che andarono a infilarsi sotto gli abiti di Hira. Il tessuto iniziò a muoversi, brulicante di vita mentre lui gemeva quasi estasiato dal contatto con le sue creature. Un lungo centopiedi si attorcigliò tra le sue dita, e Hira se lo portò vicino al viso.

«Ho un lavoretto per te. Hai fame, vero?» l'insetto si immobilizzò, poi emise un piccolo gemito.

Hira si diresse verso la sacca in cui conservava le sue poche cose e prese piccolo borsello di pelle. Dentro c'erano alcuni piccoli sassi, nulla più di semplice ghiaia, e vi lasciò cadere tra essi l'insetto. Mormorò una sola parola, più simile a uno stridio, e le pietre furono sostituite da monete d'argento tra cui spiccava un piccolo smeraldo. Sorrise e iniziò a sistemare il suo bagaglio. Rimase dentro l'alloggio fino a quando non avvertì distintamente il porto, l’energia vitale che gli abitanti di Valgar emanavano arrivava fino a lui, assieme all'agitazione dei marinai che si preparavano ad approdare. Prese la sua spada e si caricò la sacca in spalla, poi si avviò verso l'alloggio del capitano.

Bussò un paio di volte, attendendo una risposta: sapeva di trovarlo lì a controllare i registri di carico prima di svuotare la stiva. Quando entrò lo vide seduto alla sua scrivania circondato da alcuni quaderni e le carte nautiche.

«Hira! Pronto per sbarcare?»

«Sì. Ammetto che iniziavo un po' a stancarmi, non sono abituato a stare fermo per così tanto tempo, ma a piedi non sarei mai giunto fino a qui così rapidamente.»

«Avresti impiegato almeno un anno. Con l'arrivo dell'inverno i passi sarebbero stati chiusi e avresti dovuto aspettare un bel po' per riprendere il cammino.» Hira annuì, appoggiò la sacca a terra e prese il piccolo sacchetto di pelle.

«Questo è quanto abbiamo pattuito. Con anche una cosa in più, per ringraziarvi di essere stato dalla mia parte anche quando il vostro equipaggio non mi voleva a bordo perché pensavano portassi sventura.»

«I marinai sono dei superstiziosi. Comunque abbiamo appurato che al massimo porti fortuna. Secondo gli uomini hai tenuto alla larga la tempesta permettendoci di arrivare senza difficoltà a Valgar.» Hira sorrise: come mutavano in fretta le opinioni degli uomini.

«Io non c'entro con la tempesta.»

«Questo non ha importanza, conta solo quello che pensa l'equipaggio.» Il capitano Cenran aprì il sacchetto e una piccola gemma verde spiccò tra l'argento. Mise la mano nel sacchetto estraendolo e rimirandolo sul palmo della mano, illuminato dalla luce delle lampade a olio che illuminavano la cabina. «È... è meraviglioso.»

«Non lasciatevi ingannare, capitano. Vale meno di quel che sembra, ma comunque sono monete in più che finiranno nelle vostre tasche.» l'uomo si alzò, aggirando la scrivania e avvicinandosi al suo passeggero. Gli tese una mano e Hira, a fatica, ricambiò la stretta, grato per la presenza dei guanti che aveva indossato in previsione di quel gesto: detestava il contatto con gli esseri umani, in più, toccando la sua pelle, avrebbero potuto capire che ci fosse qualcosa di strano in lui. Fortunatamente era riuscito a far capire a tutti i marinai che non amava il contatto fisico e loro, prima per timore poi per venerazione e rispetto, si erano tenuti lontani.

«Ti ringrazio. Non so cosa ti porti così a nord, ma se lo desideri potrai tornare a sud con noi: ci fermeremo a lungo nel porto.»

«Dipende da quanto tempo impiegherò a compiere il mio lavoro. Ma vi ringrazio.»

Hira si congedò subito dopo, sorridendo tra sé e pensando alla reazione dei marinai.

Vorrei assistere alla loro superstizione, ma sicuramente sentirò le voci... quello che accadrà farà il giro della città in poco tempo.

 

Hira fu il primo a scendere, congedandosi dall’equipaggio e salutandoli tutti con un inchino, precedendo gli altri passeggeri che ancora si attardavano sul ponte, carichi di armi, che attendevano che anche i loro bagagli venissero messi a terra, sbuffando e imprecando contro la pigrizia dei marinai. Sentì alcuni guerrieri fare battute sul suo equipaggiamento: quella semplice spada di legno non sarebbe mai servita contro gli Han. Hira si limitò a sorridere, lo avevano fatto per tutto il viaggio appena avevano saputo che aveva la loro stessa meta.

Si voltò un’ultima volta verso sud, osservando la tempesta lontana, intravedendo gli abbaglianti fulmini rossi.

 

Valgar non era molto meglio di ciò che stava arrivando. L’aria era satura dell’odore nauseante della legna e della carne bruciata, seppur stantia. Davanti a lui, la folla che osservava lo scarico delle merci, appariva tutt’altro che felice; gli uomini avevano espressioni stanche, stravolte, con i volti ancora sporchi di cenere e sangue.

Hira si ritrovò i loro occhi iniettati di sangue addosso, ritrovandosi contro un muro di uomini che non sembrava intenzionato a farlo passare. Puntò tra due di loro il fodero della sua spada, spingendone uno da una parte e creando un piccolo varco, guadagnandosi molte occhiatacce.

Davanti a lui la cittadina iniziava a mostrarsi alla luce unta e fioca delle lanterne appese alle pareti degli edifici: le gabbie di metallo e vetro ondeggiavano nella lieve brezza che da terra portava al mare, facendo cigolare le catene. Hira sorrise: quella città gli piaceva e soprattutto apprezzava l’aria che stava respirando.

Attraversò in silenzio le vie fangose del distretto portuale, fino ad arrivare a quelle relativamente più pulite e lastricate delle zone più interne. Il suo sguardo fu attirato da una serie di strutture metalliche più grandi, simili a gabbie, appese alla parete di un massiccio edificio di pietra che si trovava al centro di una piazza circolare. I corvi stavano appollaiati tra le sbarre di metallo, affondando i grossi becchi in ciò che restava al loro interno. Sorrise, avvertendo la presenza strisciante dei vermi che divoravano gli ultimi avanzi.

Si guardò attorno, notando che per strada c’era pochissima gente che camminava in fretta e a testa bassa nella piazza, cercando di ignorare le gabbie.

Sollevò lo sguardo verso l’edificio, sopra il portale sprangato spiccava uno stemma: un’alba che sorgeva alle spalle di un maestoso albero sempreverde.

Onegeldra, uno dei Signori della Luce… non credo che ascolterà le vostre implorazioni: gli dèi da tempo hanno abbandonato questi cieli. Scosse la testa, cercando di non sorridere. Senza poi contare che non credo apprezzerebbe questi… doni di fede. Se non ricordo male non gradiva gli estremismi… la cosa tanto non mi riguarda; hanno perso i poteri, non possono in alcun modo nuocermi, neppure se mi scoprissero.

Mentre si allontanava, dall’interno del tempio provenne un urlo agonizzante, quasi troppo acuto per essere quello di una persona. Hira si immobilizzò, tendendo l’orecchio. Non fu l’unico a fermarsi, altre persone sollevarono lo sguardo dal selciato, osservando con occhi spiritati nella direzione del tempio. In pochi istanti la piazza si svuotò, lasciando Hira da solo, stranito e incuriosito da quei suoni. L’agonia era sempre stata una dolce musica per lui.

Passi veloci sulle pietre della piazza. Hira si sentì afferrare per un braccio e strattonare via verso alcune vie laterali, proprio mentre alcuni sacerdoti uscivano in processione dal tempio. Riuscì a scorgere il primo sacerdote che teneva in mano un lungo bastone con sulla sommità una gemma sacra al suo dio, dietro di lui altri sacerdoti con le vesti candide sporcate di sangue e cenere trascinavano alcuni prigionieri. Non riuscì a scorgere altro, chi lo aveva preso si stava allontanando troppo in fretta. I loro passi veloci risuonavano nel silenzio della città mentre le voci dei religiosi avevano iniziato la loro litania e non sembravano interessati a interrompere la cerimonia, anche se non erano sfuggiti ai loro occhi attenti i villici che di fretta avevano iniziato a correre, mettendo più spazio possibile tra loro e la cerimonia.

«Sei appena arrivato, immagino.» mormorò il cittadino appena furono sufficientemente lontani.

«Immagino di averlo scritto chiaramente in faccia.» l’uomo annuì, sorridendo debolmente.

«Vieni, è meglio non girare per le strade di notte. Ultimamente tira una brutta aria.»

Attraversarono in fretta i vicoli, Hira non disse altro, limitandosi a liberarsi dalla presa dell’uomo e seguirlo.

 

La locanda dove Hira fu portato era gremita di persone: quasi tutti i tavoli erano occupati e tutti si voltarono verso i nuovi arrivati.

«Meglio non uscire, quei pazzi sono a caccia.» disse l’uomo chiudendosi la porta alle spalle.

«Ci mancavano solo loro...» mormorò qualcuno dalla folla.

«Sono arrivate molte navi oggi, immagino vogliano mostrare il loro potere.»

«Già, molte navi e quello deve essere uno dei passeggeri. Sei molto fortunato a essere arrivato qui.» A Hira non sfuggì l’ironia che trasudavano quelle poche parole, ma non si sorprese, sapeva a cosa andasse incontro.

«Io ero a conoscenza di una guerra contro gli Han, non sapevo che i chierici di Onegeldra avessero iniziato a dedicarsi a certe attività...» I presenti lo squadrarono da capo a piedi, accigliati per gli strani indumenti e quel volto che sembrava non essere per nulla adatto a un guerriero.

«Cosa sei? Un chierico?» domandò la stessa persona che aveva parlato poco prima.

«No, sono uno spadaccino.» ci fu un momento di assoluto silenzio, persino l’oste aveva smesso di pulire nervosamente quei pochi bicchieri che ancora aveva nella credenza, immobilizzandosi. Dopo poco tutta la sala scoppiò a ridere.

«Con quel faccino da ragazzino innocente che ti ritrovi? Raccontala a qualcun altro.»

«Taci, Throwine.» si intromise una voce femminile. «Io conosco i guerrieri che combattono con quelle spade, li ho visti all’opera.» si alzò dalla sedia, avvicinandosi a Hira a passo spedito; una volta davanti a lui unì le mani e si inchinò. «Non mi aspettavo che le voci dei disordini giungessero così lontano, mada. Non credevo che l’Ordine mandasse un difensore della Luce così a nord.» Hira ricambiò il saluto osservando con attenzione la lunga chioma argentea della donna. Era giovane eppure i suoi capelli erano pallidi, ma non era il grigio dell’avanzare dell’età, era un colore differente, luminoso, che ricordava il prezioso metallo.

Sei venuta da me… ti ringrazio. Tu sei l’ultima, quindi. Hira sorrise. «Ho abbandonato la mia terra da molto tempo e dubito di poter essere considerato un mada. Comunque ti ringrazio.» il viaggiatore la osservò con attenzione, gli occhi neri, simili a ossidiana erano un altro tratto distintivo di quella famiglia: occhi troppo scuri per essere definiti banalmente neri, troppo luminosi per essere così cupi.

«Che cazzo sarebbe un mada?»

«Qualcuno che potrebbe fare il culo a tutti qui dentro.» 

«Sei la solita esagerata, Rihilda.» Hira ascoltava in silenzio, non aveva intenzione di mettersi a discutere con loro, specie di certi argomenti: non era un mada, lo era il ragazzo a cui aveva rubato il corpo.

La discussione si interruppe di colpo, quando dalla strada iniziarono a sentirsi le voci altisonanti dei chierici. Gli uomini vicino alla porta si affrettarono a sprangare tutto, mentre altri chiusero le ante interne delle finestre: non volevano avere a che fare in alcun modo con loro.

Attesero tutti in silenzio che si allontanassero e fino a quando anche l’ultima nota del canto dei chierici non si disperse, nessuno proferì parola.

Hira si andò a sedere sul muretto del camino che si trovava al centro della sala, aspettando che qualcuno riprendesse a parlare.

«Quelli sono completamente impazziti.»

«L’ho notato.» rispose Hira stiracchiandosi «Su chi si accaniscono?»

«All’inizio sugli Han, quando vengono condotti in città come prigionieri, ma ultimamente hanno iniziato una sorta di caccia alle streghe. Poi gli Han non durano mai molto dentro la città.»

«Colpa delle voci che ci sono in giro.» si intromise un soldato dopo aver emesso un sonoro rutto e sbattuto il suo boccale di birra sul tavolo.

«Quelle secondo cui gli Han sono comandati da una strega?» chiese Hira sempre più interessato.

«Le voci corrono, eh?»

«Se i mercenari arrivano fino a qui per combattere in cerca di gloria mi sembra il minimo che si infirmino. Forse solo io sono stato l’unico fesso ad arrivare fin qua senza sapere nulla della strega, ma in fondo era apparsa da poco.» si intromise un soldato.   

«Da quanto tempo è in circolazione questa strega?» domandò Hira facendo scorrere le dita guantate sulla roccia grezza del focolare. La sua schiena era calda, i suoi piccoli parassiti gradivano quel calore, il freddo del nord non era mai piacevole, anche se il potere di Hira li proteggeva.

«Saranno ormai due anni. Con lei gli Han sono diventati più potenti e più aggressivi.»

«E i chierici? Quando hanno iniziato?»

«Loro da poco, sarà un mese. Da quando un nuovo capo del loro ordine è arrivato. Arriva gente da ogni luogo negli ultimi anni.» Hira lanciò un ultimo sguardo verso la porta d'ingresso. Rihilda gli si sedette accanto, porgendogli un bicchiere di vino caldo.

«Devo confessarti che io non sono esattamente un mada,» iniziò, cercando un contatto con la donna «purtroppo il mio maestro non ha fatto in tempo a terminare il mio addestramento.»

«È morto?» Hira annuì, fissando il liquido rosso dall'aroma speziato: quel colore era così simile al sangue...

«Mi dispiace.» mormorò la donna.

«Anche a me. Sono in viaggio per trovare i suoi assassini. Li ho eliminati tutti, mi manca solo l'ultimo.» sorrise, non riuscì a trattenersi: un sorriso grottesco, che deformò quel volto dall'aria innocente. Rihilda rabbrividì, vedendo solo la brama di sangue e la violenza con cui l'avrebbe soddisfatta.

«È per questo che ti sei spinto a nord? È qui?»

«Sì. Comunque sia ho bisogno di denaro, credo che andrò a combattere anch'io contro gli Han: non si può vivere di sola vendetta, giusto?» Rihilda annuì e lo invitò ad andarsi a sedere al suo tavolo.

 

Hira riuscì a trovarsi un piccolo angolo solitario nel sottotetto, troppo freddo e pieno di gelidi spifferi perché qualcuno lo preferisse a una camera piena di persone. Lui però era un mada, e aveva bisogno dei suoi spazi e Rihilda garantì per lui: era l’unica a conoscere quella gente e i soldati sembravano tenerla in grandissima considerazione. La sua parola era legge, forse era per quello che i chierici non erano entrati nella locanda.

Il sangue della stirpe bianca… pensò mentre si sistemava vicino alla canna fumaria, disponendo il giaciglio e le coperte: il freddo lo disturbava relativamente.

Appena si sedette sul pavimento, dall'oscurità iniziarono a strisciare piccoli ragni verso di lui. Lasciò che camminassero sul suo corpo mentre meditava: vegliandolo.

***

«Che cosa vuoi?!»  una voce femminile urlò portata da vento, rompendo la sua concentrazione.

«Nulla che possa interessarti.» rispose Hira, infastidito da quell'intrusione.

«Questa città è mia!»

«Puoi tenertela, strega, a me non interessa niente di questa città.»

«Non sei il benvenuto qui!»

«Credi che la cosa mi interessi? Credi che la volontà di una strega capace solo di piegare la debole mente dei barbari e che per due anni non è riuscita ad accedere alla città, possa in qualche modo preoccuparmi?» la donna urlò furiosa, ma Hira non si scompose. «Non metterti sulla mia strada, strega e io non intralcerò la tua.» Il vento filtrava attraverso gli spifferi sempre più furioso, proveniente da terra: non aveva nulla a che fare con la tempesta che si stava avvicinando dal mare. Hira continuò a sentirla urlare attraverso la tempesta, se avesse pensato di poterlo intimorire in quel modo, non aveva capito nulla di lui. Ed era meglio così, molto meglio così.

Mentre ascoltava i suoi lamenti, si rese conto che c'era qualcosa che stonava, una sorta di eco nella voce, come se il suono provenisse da una zona chiusa; ma non poteva essere così semplice, così banale.

Se fossimo a sud saprei cosa fare… poi la tempesta ruggì nella sua mente e il vento mutò direzione. Sorrise.

Si slacciò la veste, liberandosi sei molteplici strati di tessuto sovrapposti, fino a scoprire la schiena. Un lungo e sinuoso verme si arrampicava su di essa. La testa, rappresentata da un cerchio circondato da una miriade di denti, simile a un sole stilizzato, si trovava esattamente sul collo. Il corpo dell'animale si piegava dietro la spalla destra, tornando poi lungo la schiena dove la coda si biforcava e le lunghe code sparivano appena sotto la cintura.

Si portò le mani dietro la nuca, scoprendo leggermente il collo dai corti capelli pallidi e iniziò a mormorare qualcosa.

Suoni sibilanti, simili a fruscii, si persero nel vento: nessuno lo avrebbe sentito con quel clima.

L'animale disegnato, poco alla volta, sembrò muoversi. Le piccole zampe, simili ad artigli, affondavano nella carne, facendo scorrete un liquido verdastro.

Alla fine l'animale si staccò, rotolando per terra ricoperto da una densa poltiglia verde, mentre sulla schiena di Hira ora stava solo un buco con la pelle lacerata. Al suo interno piccoli insetti si agitavano, ansiosi di riparare quel danno, mentre qualcosa di più grosso e si muoveva al suo interno, lentamente, sistemandosi.

Hira afferrò il verme, lo accarezzò, togliendoli i piccoli brandelli di carne che ancora lo ricoprivano, e riprese il suo sussurro.

L'animale gli si arrampicò su un braccio, avvolgendosi attorno a esso, mentre Hira si alzava, avvicinandosi a un piccolo lucernario sul tetto.

L'oscurità avvolgeva ogni cosa, mentre piccoli vortici avevano preso a formarsi per le strade, creati dallo scontro delle due correnti d’aria.

Hira accarezzò il parassita un'ultima volta, poi la creatura scivolò sul tetto, eseguendo l'ordine del suo padrone: avrebbe trovato la strega.

Tra le strade cittadine, la voce dei chierici continuava a risuonare, seppur soffocata dal vento. Imperterriti i religiosi marciavano, intenti a benedire le strade per proteggerli dalle tenebre.

Hira sorrise, non c'era potere in quelle parole, erano cantilene vuote, morte.

Anche la strega rideva divertita, si prendeva gioco di loro.

«Non dovresti ridere tanto, sai?» mormorò Hira tornando nel sottotetto e chiudendosi la finestra alle spalle. «Due anni e ancora non hai preso la città, che è protetta solo da una chiesa priva di potere.» la donna urlò, facendo aumentare il divertimento di Hira. Lentamente si rivestì, la schiena ormai completamente sistemata, anche se avrebbe ripreso l'aspetto normale solo quando il verme fosse tornato da lui.

Hira tornò nella sua meditazione, ignorando le urla e gli strepiti della donna.

«Che cosa hai fatto? Ho avvertito la tua magia!» Hira non rispose, chiudendo la mente: tanto non avrebbe potuto raggiungerlo. Non si preoccupava troppo di lei, in fondo era solo una strega.

   
 
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