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Autore: GabrielleWinchester    06/01/2016    4 recensioni
[Sequel di "Charming Prince doesn't exist: He's dead] Dopo la morte di Eris, la vita di Nike continua all'interno dell'agenzia, gli inseguimenti contro i principi e le principesse azzurre, le schermaglie contro Antonio, l'amore che aleggia nell'aria, Nike che vorrebbe avere una vita diversa e nello stesso tempo si sente immeritevole di averla, tanto da spingere il barista a stare lontano da lei...
A complicare le cose, qualcuno dal passato ritorna e vorrà scombinare tutto...
Chiedo scusa se il racconto dovesse annoiare :-) Buona lettura :-)
Genere: Angst, Slice of life, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La saga delle Nightingale of Darkness'
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Buonasera a tutti,
ecco a voi il sequel di "Charming Prince doesn't exist" , una minilong che spero che vi piaccia e vi intrighi.In questo racconto troviamo Nike che continua la sua vita all'interno dell'agenzia, volenterosa di volere una vita diversa e immeritevole di averla, con Antonio che vorrebbe averla accanto a sè, indipendentemente che lei sia un diavolo più che un angelo. Qualcuno dal passato di Nike ritornerà e scombinerà tutto...Mi scuso se il racconto dovesse risultare frettoloso ma ritengo che questa sia la forma migliore e pertanto non la modificherò, tranne per eventuali errori di grammatica e ortografia che mi venissero segnalati. Ringrazio tutti coloro che la leggeranno e la recensiranno, tutti coloro che mettono e la metteranno le mie storie tra le seguite, preferite, ricordate e da recensire e tutti coloro che mi hanno messo come autrice preferita :-) Ricordo che il racconto è più crudo rispetto al primo e parla di argomenti delicati...Lettore avvisato, mezzo salvato!
Gabrielle :-)
Ps: Il passaggio dalla prima alla terza persona singolare è voluto e c'è un pezzo della canzone degli Halestorm "Daughters of Darkness"

Charming Prince doesn’t  exist: The tinkle of the Death
 
“Fabio, dammi le coordinate del principe azzurro”
“Dammi un attimo, ho perso il segnale GPS. Dammi il tempo di riconnettermi al satellite”
“Dannazione Fabio, non posso sprecare benzina. È da tre notti che sto girando a vuoto” sbottai irritata, svoltando a destra e superando a piena velocità un camion davanti a me, attirandomi gestacci e insulti pesanti da parte del conducente del mezzo per avergli tagliato la strada “E sto esaurendo la scorta di pazienza, finisce che uccido un principe azzurro a caso e la facciamo finita”
Per un po’ non lo sentii più, pensai che avesse staccato la conversazione, non era la prima volta che lo faceva, difatti avvertii per  qualche minuto solo il ronzio dei computer accesi e il rumore delle stampanti che ci fornivano gli identikit dei principi azzurri e delle principesse azzurre meritevoli di essere uccisi da noi.
Poi…
“Mi hai preso per Felicity Smoak al maschile?” sbuffò Fabio arrabbiato e seppi che se l’era presa per la mia sfuriata “Hai la più vaga idea di come mi senta Nike?”
“Una merda”
“Una merda non è nulla a come mi sento in questo momento. La mia compagna sta partorendo il nostro terzo figlio in ospedale, le mento ogni notte dicendole che vado a fare la guardia notturna e invece…”
“Allora perché resti da noi? La tua sete di giustizia è stata appagata grazie alla morte di Rosaria. Puoi fare il papà a tempo pieno, vai tranquillo!”
A quel nome, lo sentii deglutire, il ricordo di Rosaria era un graffio profondo che faceva ancora male.
“Perché neanche io sopporto quelle persone che illudono gli altri e non vengono puniti. Ti chiedo solo di avere un po’ di pazienza con me. Poi chi ti farebbe da navigatore satellitare se non il sottoscritto?”
Annuii, capendo che cosa volesse dire il nostro tecnico dell’agenzia, quella voglia di cercare normalità e tranquillità e nel contempo cercare adrenalina e giustizia. Fabio Nirez era entrato nella nostra agenzia dopo avere scoperto che la sua sorellina minore Gabriela era stata ingannata da una principessa azzurra, il suo corpo morente nella vasca da bagno, il phon acceso immerso nell’acqua, un modo terribile di morire. Aveva sollevato la sorella minore, era scappato verso l’ospedale verso una salvezza disperata e poi aveva preso la decisione di contattarci, di introdursi all’interno dell’inferno denominato Nightingale of Darkness.
“Qualcuno mi apra per favore!”
L’allora dirigente dell’agenzia Callisto Melapteros si era messa la vestaglia e aveva trovato un ragazzo di ventisette anni, con i capelli lunghi fino alle spalle, la barba e l’espressione disperata davanti alla soglia “Mi faccia entrare da voi”
“Non siamo un’agenzia di carità. Si rivolga da qualche altra parte” fu la stizzita risposta di Callisto, preparandosi a chiudergli la porta in faccia “Arrivederci”
“Non me ne vado, siete la mia ultima speranza!”
E con prontezza, mise un piede davanti alla porta per impedire alla donna di chiudere. Callisto strinse gli occhi, arrabbiata e nello stesso tempo incuriosita dall’atteggiamento dell’uomo “Deve essere proprio disperato per rivolgersi a noi. Ha la più vaga idea di chi siamo noi? Non siamo i buoni samaritani!”
“Siete i Nightingale of Darkness e siete l’agenzia che fa al caso mio”
E sbattè sul tavolo la foto di una ragazza di ventidue anni, dai capelli ricci color indaco e gli occhi verdi, raggiante di felicità abbracciata a lui, con le dita a formare il segno della vittoria e nella testa una corona d’alloro “Mia sorella”
“Una bella ragazza”
L’uomo aveva annuito e con rammarico tirò fuori un’altra foto, la foto del corpo nudo della sorella nella vasca da bagno “Eccola come si è ridotta”
Callisto aveva sospirato e aveva preso con cautela la foto, l’espressione del viso indecifrabile quando io sapevo che stava ribollendo di rabbia e aveva annunciato “Manderò i miei agenti migliori per catturare il principe azzurro”
“Non è un principe azzurro!”
La dirigente lo guardò e poi capì. Non era la prima volta che uccidevano una principessa azzurra.
“Faremo tutto il possibile”
L’uomo annuì e dopo si guardò intorno “Per caso, avete bisogno di un tecnico del computer?”
Era entrato circa tre anni dopo il mio ingresso ed era diventato il mio migliore amico, uno di quei pochi che mi potessi fidare e che non avrebbe giudicato a prescindere i miei comportamenti e le mie scelte.
Il padrino della mia piccola Clio.
La principessa azzurra era stata uccisa dallo stesso Fabio con un colpo di pistola alla fronte. Lei si era buttata ai piedi di Fabio, piangendo in modo patetico e affermando che era stato un errore di Gabriela e non il suo, aveva apostrofato la ragazza con epiteti non consoni e aveva fatto intendere che sua sorella fosse una prostituta, una che vendeva il proprio corpo per interesse, cosa non affatto vera.
“Non conoscevi la tua sorellina, Fabio. Si è spinta a fare cose che tu non ti sogneresti di fare…”
“Cose che tu l’hai spinta a fare…”
“Ognuno di noi è libero di seguire i propri istinti. Anche se non ti nego che mi è piaciuto averla tutta nuda su di me, il suo corpo caldo, la sua bocca che cercava la mia, gli orgasmi multipli che le provocavo…”
Poi lo sparo e Rosaria era crollata a terra, con gli occhi castani spalancati e una pozza di sangue scuro che ricoprì l’asfalto. Fabio gettò la pistola e lo feci scappare via da lì, prima che venisse arrestato.
Le sue ultime parole, prima di addormentarsi sotto le cure della nostra dottoressa, furono “Sorellina, ti ho vendicata. Quella stronza non ingannerà più nessuna ragazza, nessuna cadrà più nella sua trappola. Scusami solo se le mie mani si sono sporcate di sangue”
“Comunque essere un Felicity Smoak non è affatto un insulto ma il più bel complimento che si possa fare a un tecnico del computer” dissi per stemperare la situazione e sentii nelle cuffie una risata allegra “Maschio o femmina?”
“Buffo che si parli di una vita che nasce quando in realtà noi dobbiamo ammazzarne una?”
“Già”
“Comunque è maschio, lo chiameremo Lorenzo, come mio padre”
Era una normale serata di fine anno e neanche in questa occasione i principi azzurri decidevano di starsene buoni, evitare di illudere le persone, anzi sembrava che l’atmosfera festaiola attivasse in loro degli ormoni speciali che attiravano come miele povere ragazze che cercavano solo qualcuno da amare. Non tutti erano bravi a cercare la persona giusta e questo aumentava le opportunità dei principi azzurri e delle principesse azzurre, gente che non avevano nessuna considerazione dei loro sentimenti e che li lasciavano poveri di sentimenti e anche di soldi. Non era solo la conquista in sé ma anche una questione economica che li muoveva ed era per questa ragione che orde di uomini e donne bussavano inferociti alla porta dell’agenzia, chiedendo i servigi di un letale Nightingale of Darkness, servigi che potevano essere compresi o giudicati come follia. Infatti eravamo ben consapevoli quando accettare le richieste delle persone oppure no, in quanto una mossa falsa poteva costarci un soggiorno eterno in un carcere di massima sicurezza. I militari non perdevano nessuno nostro spostamento ed era sempre una corsa all’ultimo secondo, un fuggire prima che le forze speciali irrompessero in un edificio abbandonato pochi attimi prima, la velocità era la nostra possibilità di salvezza. Una volta venni arrestata da un Carabiniere in borghese durante una battuta di caccia e fui scortata in una caserma, convinta che i miei giorni da Nightingale of Darkness fossero finiti per sempre e che sarei impazzita in una cella da sola e soprattutto pensando alla mia piccola Clio che sarebbe cresciuta senza una madre. Anche gli psicopatici hanno un cuore!
Anche gli psicopatici hanno una famiglia!
Il controsenso di essere una Nightingale of Darkness!
“Cosa abbiamo qui? Una psicopatica che meriterebbe di stare in una cella d’isolamento”
“Con tutti questi complimenti, beh potrei pensare che tu mi voglia corteggiare. La mia Thanatya potrebbe essere gelosa”
E con un sorriso sornione avevo gettato un’occhiata alla mia katana, alla mia fedele arma, compagna di tante avventure e strumento di giustizia, messa in un angolino, lontana da me. Il Carabiniere aveva aperto il fascicolo dei miei reati e li aveva elencati davanti a me con un tono ironico “Nike Melailura, omicidio volontario, plurimo e per futili motivi, scasso, furto, infrazioni ripetute del codice della strada, insulti a pubblici ufficiali, associazione a delinquere…”
“So benissimo quali sono i miei reati, grazie per avermeli ricordati”
“Pensi che sia un gioco?”
Non gli avevo risposto e mi ero limitata a fare un sorriso, un gesto che lui interpretò come un segnale di sfida e non lo volli dissuadere da questa idea. Chiuse di scatto il fascicolo e ricambiò il mio sorriso sfottente e mi disse “Vuol dire che mi dirò che mi divertirò a buttarti in una cella e a godere della tua sofferenza e tua figlia Clio verrà affidata ai servizi sociali e tu non la potrai vedere mai più. Hai perso Nike, il tuo nome non ti ha portato vittoria”
Io ero rimasta apatica di fronte a quella minaccia, non era stato il primo militare che me l’aveva fatta e si erano spinti oltre, io ero nel giusto e non sarebbe stato lui o qualcuno altro a farmi cambiare idea.
Il principe azzurro che stavo cacciando meritava il bacio letale della mia Thanatya.
“Buona permanenza in carcere!”
“Come sta Serena?”
A quelle parole lui era rimasto di sasso, non sospettando minimamente che io conoscessi il nome della sua ragazza, una donna presa di mira dalla nostra agenzia per la sua doppia vita e per il fatto che giocasse con i sentimenti altrui.
Compreso per il militare che mi aveva arrestata.
“Come la conosci?”
“Domanda inutile militare” ero scoppiata a ridere al vedere che la sua faccia era diventata paonazza dalla rabbia e una vena del collo pulsava pericolosamente, i battiti del cuore accelerati “Io lavoro in un’agenzia che sorveglia le persone che illudono gli altri. Il nostro lavoro è quello di uccidere coloro che non hanno considerazione dei sentimenti altrui e di vendicare coloro che con la giustizia non ottengono nulla”
“Siete dei mostri!”
“Siamo più infernali dell’Inferno stesso” avevo concordato in tono calmo e avevo ripetuto “Come sta Serena?”
“Vuoi tentare di confondermi, brutta stronza?”
“Stavamo parlando in maniera educata. La mia era solo una semplice curiosità”
A quelle parole aveva sbattuto i palmi delle mani sul tavolo di ferro, in una dimostrazione un po’ patetica di uomo forte ma con mille dubbi dentro il cuore. Mi veniva da sorridere per il fatto che entrambi cercavamo di aiutare la gente che veniva a richiedere il nostro aiuto, lui con metodi legali, io con metodi poco ortodossi, alimentata dalla vendetta e dalla sete di sangue, alimentata dalla gioia di coloro che avevano visto realizzare il loro sogno di vedere morta la persona che li aveva ingannati.
“Sai qualcosa che non so”
“Perspicace!”
A quella mia battuta comica, lui non ci vide più e mi aveva messo le mani al collo. Non avevo reagito, ero rimasta immobile, sapendo che la reazione comprensibile di un uomo che stava scoprendo una verità scomoda, di un uomo che, nonostante avesse ricevuto un’educazione militare e quindi improntata a seguire le regole, preferiva il cuore e le sue ragioni folli che la mente.
“Dimmelo!”
Io ero rimasta immobile e poi avevo detto “Chiamala ora!”
“Chiamarla ora?”
Prese il cellulare e compose il numero della sua ragazza, guardandomi strano e dicendomi “Se è uno scherzo, io ti ammazzo”
Io gli avevo fatto una linguaccia e avevo aspettato la sua reazione, la quale non si fece attendere e lo fece restare di sasso. La sua Serena non era affatto la persona che pensava che fosse. Mi liberò dalle manette e mi disse “Fai il tuo dovere”
“Come sempre!”
Me ne andai, ridendo e pensando come gli uomini e le donne fossero tutti uguali di fronte ai tradimenti delle persone amate. O meglio quasi tutti.
E la cosa buffa era che il Carabiniere era diventato il nostro migliore informatore per scovare i principi e le principesse azzurre.
Poi ritornai alla realtà. Mossi la manopola dell’acceleratore, maledicendo quello stronzo che mi stava facendo perdere tempo e benzina e ripresi di nuovo a controllare la zona che mi avevano segnalato.
“Vuoi giocare a guardie e ladri ?”
Il principe azzurro a cui stavo dando la caccia era un certo Salvator Duchi, un figlio di papà di circa ventisette anni, abituato a avere tutto quello che desiderava, che abbordava le ragazze ubriache nei bar più alla moda, prometteva mari e monti e poi le lasciava, sparendo dalla circolazione.  Normalmente di questa gente non ce ne occupavamo, era raro, molto spesso erano sprovveduti che si ravvedevano solo guardando lo scintillio della mia katana, molto spesso erano ragazzini che volevano fare gradassi con le donne e poi erano tutto fumo e niente arrosto e quindi era inutile sprecare le nostre energie per esseri del genere. Se avessimo ucciso tutti i principi azzurri e le principesse azzurre, avremmo portato all’estinzione del genere umano e non ci era possibile. Dovevamo essere oculati nelle nostre scelte e non potevamo sempre lasciarci guidare dall’ impulsività. Purtroppo il signorino aveva stuprato una ragazzina e aveva indetto una causa legale contro la sua famiglia, affermando che era stata lei a provocarlo e per questo voleva essere risarcito cospicuamente.
Pedofilo e codardo insieme.
“Io prima lo pesto e poi gli svuoto il conto in banca” mi proposi di fare mentre viravo a destra, facendo rombare la mia moto, la mia fedele Pentesilea, una Harley Davidson ultimo modello.
Gli ultimi mesi erano stati impegnativi e all’insegna della caccia, nell’ultimo periodo c’era stata un’impennata di principesse azzurre e il lavoro mi permetteva di stare lontana da Antonio, da quel bacio che era stata la mia salvezza e la mia condanna a morte, visto che ormai all’interno dell’agenzia mi considerava parziale, tranne per quei pochi che conoscevano la vera storia e sapevano benissimo che Antonio non era più colpevole e che Cristina lo aveva perdonato. Dopo il famoso bacio, eravamo stati raggiunti dagli altri e la situazione era degenerata.
“Hai ucciso Eris per un possibile principe azzurro. Stronza!”
“Non meriti di essere nella nostra squadra!”
“Sicuramente Nike ha una tresca con il bel barista e se ne vuole scappare via con lui…”
“Chissà quale saranno i servigi…”
Insulti peggiori mi erano stati detti e sopportarli era davvero difficile, resistere e non fare una carneficina era difficile. Non tutti gli agenti del Nightingale of Darkness erano presenti quando avevo scoperto che Eris voleva uccidere Antonio per ripicca nei miei confronti e le voci si erano distorte, mettendo in giro che io avevo ucciso una mia collega durante una sua battuta di caccia, che me ne volevo fuggire via con lui e derubandoli dei loro risparmi e quindi mandandoli in bancarotta. Fabio, Sylvie, Antonio, Francis e pochi altri mi avevano difeso a spada tratta, affermando che era stata legittima difesa e che Eris stava uccidendo un innocente e tutto questo si era concluso con un dibattito molto acceso nell’ufficio della nuova dirigente Alecto Helios, la figlia illegittima di Callisto Melapteros.
“Non merita di stare con noi”
“Mio nonno campò cent’anni…”
“Non iniziare con i proverbi antichi. Tu non meriti di stare qui”
“Perché ho salvato un innocente da una pazza scatenata? Grazie per gli applausi, troppo buona!”
Ci era mancato poco che Anastake mi prendesse per i capelli e si incominciasse una dura lotta. Alecto ci separò, io che gridavo che ero nel giusto e Anastake che affermava che Eris stava per fare quello che io non avevo avuto il coraggio di fare.
Ovvero liberare il mondo da un possibile principe azzurro. Meglio un errore in buona fede che un errore lasciato scorrazzare liberamente.
In quel momento le avrei strappato i capelli biondi dalla testa e presa a pugni sul naso.
“Sicuramente oltre al cappuccino chissà quali altri servigi…”
“Li vuoi pure tu?” la provocai maliziosa “Prego, sei la benvenuta!”
Alecto suonò la campanella e mi diede l’occasione di spiegare per filo e per segno quello che fosse successo.
“Il mio verdetto è…”
Mi era stato concesso di stare nell’agenzia e di fare stare Antonio, con le dovute limitazioni per evitare altre discussioni. Ad esempio Antonio non era più il mio barista personale ma doveva servire tutte le mie compagne e le nostre conversazioni non dovevano superare i tre minuti, un minuto in più consisteva in una frustata nella schiena e un’ora di pugilato, un’ora a fare da sacco per incassare i pugni per intenderci.
Le regole dell’agenzia erano severe.
Solo i pazzi potevano accettarle. E io lo ero!
“Nike, ti sei addormentata? Vuoi che ti canto una ninna nanna?”
“No, dimmi!”
“Ho trovato il principe azzurro. Si trova davanti al Black Anthesia”
Non ci credevo, quello stronzo era andato a fare il galletto dove lavorava Antonio. Lo facevano apposta, io ne ero certa. Fortunatamente lui faceva il turno di mattina e di pomeriggio, per evitare altri problemi, per evitare domande indiscrete da parte dei proprietari del bar. Ringraziai Fabio e corsi come una forsennata per arrivare al bar, prima che fosse troppo tardi, prima che avesse la possibilità di fuggire un’altra volta. Erano le quattro di notte e il bar avrebbe chiuso tra circa una mezz’ora. Schivai macchine, evitai per un pelo di sfracellarmi da un ponte e arrivai al bar, laddove vidi Salvator nella sua strafottenza.
Scesi dalla moto e mi avviai verso di lui con mosse sensuali.  Lo vidi intrattenere una conversazione con un gruppo di amici, uomini con la sua stessa aspirazione al divertimento e alla bella vita. Tenevano in mano un bicchiere contenente un quattro bianchi e si stavano vantando delle loro conquiste e delle prodezze sessuali, sogghignando e facendo gesti volgari.
Uno di loro, un certo Micheal, un ragazzo di circa ventisei anni gli battè una mano sulla spalla e gli chiese con fare cospiratorio  “Allora, Salvator come è andata con Anthonine?”
Lui si mise una mano sulla mascella divertito “Era una furia scatenata, non riuscivo a trattenerla…”
A quelle parole, non potei trattenere un conato di vomito. Anthonine Fedeli era la ragazzina che aveva stuprato e ne parlava tranquillamente, come se stesse parlando del tempo o di una formica, non di un essere umano a cui aveva rovinato la vita. L’impulso di ucciderlo davanti ai suoi amici fu molto forte ma mi imposi di calmarmi, in quanto non avrei risolto nulla con l’impulsività.
Per un essere del genere l’agonia era la strada più opportuna da seguire.
“Le più giovani sono le più scatenate”
La mano mi corse a cercare la fondina della pistola e fare una strage. In che mondo vivevamo? Poi la vocina nella mia testa, la voce dell’angelo infernale che mi aveva tolto la voce e me la aveva ridata, mi impose di calmarmi e di seguire le regole. Gli amici lo stavano seguendo nella sua follia, perché era più facile seguire una persona che le proprie idee.
Ascoltai la conversazione con rabbia.
“Concordo e poi dovevate vedere come…”
Si fermò e fece un cenno della testa a una donna che passò in quel momento, la quale ricambiò il cenno con un elegante dito medio. Ringraziai mentalmente la donna che era passata, visto che non avevo voglia di immaginarmi Anthonine che…oh Dei potevo concepirlo tra due esseri umani adulti consenzienti ma tra un uomo e una minorenne era abominio, qualcosa da non concepire assolutamente.
Lo osservai e la voglia di spaccargli il naso fu forte, di fargli perdere quella spacconeria che derivava dai baffetti, dal taglio all’ultima moda e gli occhi verdi ingannatori, smeraldi che nascondevano un letale veleno.
La sua strafottenza era qualcosa che avrebbe mandato sui nervi chiunque.
“Allora ci vediamo domani!”
“A domani, ragazzi. Per una bella caccia di pollastrelle!”
Secondo conato di vomito, che cazzo ma considerava le donne come una cosa superflua? Mi appoggiai a un lampione, resa debole dalla rabbia che mi infiammava il cuore e l’anima. Misi una mano dietro la schiena e feci uscire molto lentamente la katana, il freddo sentore della morte che si avvicinava e la calda vita che se ne andava.
“Ciao Salvator!”
Lui mi guardò e si mordicchiò il labbro voglioso. Mi ero vestita in maniera provocante per essere certa di essere guardata e di avere la sua attenzione.
Il classico principe azzurro pieno di sé.
“Ciao gnocca”
“Tu sì che sai come abbordare una donna!” lo presi in giro facendo la finta svampita “ Potresti essere il mio tipo”
“Con chiunque tu stia, ti assicuro che non è alla mia altezza”
“Posso solo immaginare. Peccato che tu non mi possa dare le emozioni che io cerco. Almeno non da vivo”
E gli feci vedere la mia katana, la mia fedele Thanatya. E all’improvviso il suo atteggiamento nei miei confronti cambiò e disse “Quella piccola puttanella mi ha tradito”
“Quella puttanella come la chiami tu ha quindici anni e tu te ne sei approfittato. Tu ti approfitti di tutte le donne che incontri, forte del fatto che la farai franca, perché ci sarà sempre il paparino che ti tirerà dai guai”
Lui rise e cercò di scappare via. Lo inseguii, lo buttai a terra, lui si divincolò e mi diede una grande botta in testa con una bottiglia di vetro dimenticata chissà da chi e provocandomi una brutta ferita. Mi alzai intontita ma determinata a fargliela pagare, lo feci sbattere contro la porta a vetri, rompendogli l’osso del naso, la bella faccia piena di sangue fresco.
“Stronza”
“Senti chi parla” esclamai in tono disgustato “ Ognuno ha quello che si merita e a ogni azione corrisponde una reazione”
Improvvisamente lui prese una sbarra spuntata dal nulla, o forse era sempre stata lì, e incominciò a menarmi, togliendomi il fiato, ammaccandomi le costole e incrinandomi pericolosamente lo sterno. Se non stavo attenta, potevo rischiare di morire.
Caddi di schiena e lui ne approfittò per darmi il colpo di grazia.
“Muori”
“Prima tu” gli dissi afferrando il manico della katana e infilzandolo con la lama “E poi dicono che le donne non sono educate”
Affondai la lama nello stomaco, sangue caldo che scorreva, la vita che se ne andava via. Poi con uno strattone la uscii e lui crollò esamine, il corpo morto di un uomo che aveva smesso di fare del male alle ragazze. Barcollando, mi issai sulla moto e scappai, prima che arrivassero curiosi e problemi. Vidi che la linea era ancora attivata e Fabio continuava a parlare.
“Stai bene?”
“Meravigliosamente bene” dissi prima di attivare il pilota automatico della moto e crollare con la faccia sul cruscotto.
Non appena i miei occhi si chiusero, la prima cosa che vidi fu Antonio che giocava con Clio. Ero in Paradiso.
                                                                                      *
“Stai bene?”
“Sei riuscita a catturare quello stronzo?”
Camminai barcollando verso l’infermiera, sentendo su di me la curiosità dei miei colleghi. Ero stanca, ero stanca di una vita sempre sul filo del rasoio e di non poter dare a mia figlia una vita serena. Vidi Antonio che passava e lo salutai con un cenno della mano, indicandogli che non era opportuno che parlassimo. Sorrisi di malavoglia a Nemesi, la quale si congratulò con me per la morte di Salvator e mi annunciò che saremmo andate ad ammazzare la Duchessa, una principessa azzurra difficile da catturare e fu un vero sollievo vedere Sylvie uscire dall’ambulatorio.
“Nike, entra”
Entrai, barcollando nella stanza e chiusi la porta. Evitai di incrociare il suo sguardo, mi sdraiai sul lettino, mi tolsi con non senza difficoltà la camicetta e mi sottoposi alla visita.
“Qui ti fa male?”
Con delicatezza mi toccò nelle costole e per poco non gridai. Mugolai qualcosa e mi uscirono lacrime involontarie. Di solito ero una tipa che non piangeva, che aveva una soglia del dolore altissima ma adesso ero sull’orlo di una crisi di nervi. Senza dire nulla, mi applicò un unguento contro gli ematomi che mi coprivano la schiena e sentii il suo sguardo pieno di compassione su di me. Non lo sopportavo ma sapevo che Sylvie era buona e lo faceva per il mio bene. Mi fece aprire la bocca e con un abbassalingua mi controllò la gola, costatando che tutto era in buone condizioni. Dopo il bacio con Antonio, avevo recuperato pienamente il controllo della mia voce e ogni settimana lei mi controllava per verificare che tutto fosse a posto. La prima volta che mi controllò, rimase stupita dal fatto che parlassi correttamente, che le mie corde vocali non si fossero atrofizzate per il non utilizzo e mi sottopose alla prova del canto. E non la delusi.
“Se ti dicessi che hai bisogno di riposo, tu che mi risponderesti?”
“Che non ne ho la minima intenzione di farlo, Sylvie. Troppi ragazzi e ragazze sono ingannati dai principi e le principesse azzurre”
“Ti rendi conto che tu non sei l’unica che sa fare questo mestiere?” mi domandò mentre avvolgeva il mio petto con delle garze sterili “Dovresti riposare Nike, le costole sono incrinate pericolosamente e non vorrei che subentrassero altre complicanze. In questo caso io non posso aiutarti e dovrai andare in ospedale!”
“Il pericolo è il mio mestiere!”
Lei scosse la testa innervosita e mi limitai a guardarla, una donna di circa trentaquattro anni dai capelli biondi e gli occhi verdi, una donna che aveva rinunciato a un importante lavoro in un centro per la ricerca contro il cancro per fare il medico all’agenzia.
“Questo è quello che vuoi?”
Presi la camicetta e la rindossai, saltando giú dal lettino“Ti ricordo che sei un medico e non uno psicologo!”
“Posso essere entrambe le cose. Tu meriti di meglio!”
“Ti ringrazio del consulto medico e psicologico. Dammi qualche analgesico!”
Lei sbuffò e andò nell’armadietto dei farmaci e mi lanciò un flacone “Mi raccomando non abusarne! Due al giorno vanno benissimo!”
Strizzai l’occhio e uscii dalla stanza, senza darle il tempo di replicare.
                                                                                *
“Dove sei, milady?”
Una ragazza si accovacciò dietro la porta del bagno, cercando di non respirare, di non dare segni di vita, per evitare che lui potesse scoprirla.
“Non farmi perdere tempo! Devi sentire il tintinnio della tua morte!”
Stando attenta a non fare rumore, rovistò nella sua borsa alla ricerca del cellulare, ogni minuto della sua vita in pericolo. Deglutì spaventata quando la maniglia della porta si abbassò e si potè sentire la voce del principe azzurro ridacchiare “La coniglietta si è catturata da sola”
Eveline voleva eclissarsi e imprecò perché non riusciva a prendere il cellulare. Nei momenti meno opportuni non lo si trovava mai. La maniglia venne abbassata ripetutamente, un po’ per mandarla in paranoia e un po’ per il gusto della conquista.
“Mi piacciono le sfide!”
La soprano trattenne le lacrime e si maledisse per il fatto di averlo seguito. Era stata la serata perfetta, la prima della Carmen era stata un successo e lei era stata esaltata dal pubblico e dalla critica e poi era stata avvicinata da lui, da lui che era un appassionato di musica,  da lui che le aveva fatto complimenti che nessuno le aveva mai rivolto, sapendo commuoverla nei punti più esaltanti, non accorgendosi che era un pazzo.
Finalmente lo aveva trovato!
Digitò freneticamente i numeri e aspettò che qualcuno rispondesse “Carabinieri”
“Pronto, un pazzo mi tiene prigioniera!
“Signorina, si calmi e ci dica dove si trova, così possiamo mandare una pattuglia. Mi raccomando non faccia sciocchezze, stiamo venendo da le…”
La porta venne divelta con una forza inaudita e il principe azzurro le sorrise, facendola gridare di terrore. Il carabiniere continuò a parlare “Signorina, mi sent…?” e poi il telefonino fu mandato in frantumi con un piede, i pezzi di vetro che schizzavano da tutte le parti.
“Che maleducata!”
Con un colpo di pistola pose fine alla vita della ragazza e alla fine richiamò i Carabinieri “Signorina ci ha ripensato?”
“Non sentite il dolce tintinnio della morte?”
E poi staccò la telefonata. Chiuse gli occhi di Eveline, accarezzò i suoi lunghi capelli biondi e la sua mente andò a pensare alla piccola Tersicore e a Nike. Accanto al corpo, pose un campanellino.
                                                                                 *
“We can turn you on,
Or we will turn on you
Daughters of Darkness,
Sisters insane,
A little evil,
Goes a long, long way
We stand together,
No, we’re not afraid
We’ll live forever,
Daughters of Darkness,
Daughters of Darkness.
La musica potente degli Halestorm riempiva la mia stanza, laddove mi stavo allenando, il ritmo della canzone “Daughters of Darkness”, la canzone che era l’inno delle Nightingale of Darkness e non mi accorsi minimamente che Antonio fosse entrato.
Mi salutò con un cenno della mano destra, il nostro saluto indiano e lo ricambiai, ritornando ad allenarmi.
Lui incrociò il mio sguardo e sbuffando andai ad abbassare il volume della radio. Antonio sorrise e mi chiese “Posso entrare?”
“Questa è una domanda idiota” replicai in tono di stizza, posando l’attrezzo ginnico per i bicipiti “Forza, non stare lì impalato e posa il vassoio. Hai interrotto la mia sessione d’allenamento”
Lo vidi posare un vassoio d’argento, contenente un cappuccino all’aroma di zenzero e noce moscata e un cornetto al miele d’acacia. Mi morsi la lingua per la fame che avevo ma non cedetti. Dovevo allenarmi, non dovevo mettermi a perdere tempo a mangiare. Mi accorsi che era rimasto lì , con le braccia incrociate dietro la schiena, l’espressione imperscrutabile sul viso. Poi si passò una mano sulla mascella, come faceva ogni volta che stava pensando o volesse dire qualcosa…
“Grazie per la tua gentilezza” replicai in tono duro “Chiudi la porta, per favore!”
Lui rimase a fissarmi, senza dire neanche una parola. Se prima mi faceva tenerezza, in quel momento lo avrei preso solo a calci nel basso ventre. Non ero arrabbiata con lui, solo che mi sentivo nervosa e irritata e in qualche modo con qualcuno me la dovevo prendere. Di solito facevo la dura, quella che sopportava l’impossibile ma adesso solo voglia di mandare a fanculo. E che diamine, io non ero la fanciulla in pericolo, io ero la cacciatrice con arco e faretra che uccideva i principi e le principesse azzurre.
“Hai bisogno di una visita all’Amplifon?” ringhiai furibonda “Ti ho detto di andartene”
Lui mi guardò ancora e rimase lì e poi mi chiese “Non fai colazione?”
“Non ho voglia di mangiare in questo momento, devo allenarmi” replicai stizzita “Mangerò più tardi, non appena avrò finito la sessione”
Antonio mi guardò con la sua espressione da cucciolo abbandonato sulla tangenziale e sospirai, posando i pesi e avvicinandomi al vassoio. Nel suo volto si dipinse la felicità e l’orgoglio di avermi convinto a mangiare e a mettere qualcosa nello stomaco. Bevvi il cappuccino con avidità, sporcandomi il labbro superiore con la schiuma e mangiai il cornetto, gustandomene ogni pezzo con lui che mi guardava orgoglioso.
“Contento, adesso?” domandai “Adesso vattene, prima che qualcuno ci veda e io mi debba sorbire un’ora da pugilato. In questo momento non ho voglia di essere il punching ball dell’agenzia. Esci dalla stanza!”
“Come stai?”
Strabuzzai gli occhi, incredula che mi avesse chiesto come andava. Di solito le nostre chiacchierate si riducevano a un blando saluto con la mano, se tutto andava, oppure con lui che mi annunciava che stava andando al bar e che gli intimavo di stare attento e di non illudere nessuna cliente. Non potevamo perdere tempo nel chiacchierare, pena una punizione esemplare per me.
Chiudendo gli occhi, mi rivedevo con la pistola, i proiettili che colpivano il petto della mia ex migliore amica e il suo corpo che cadeva a terra. E tutto solo per salvarlo…
Non mi stupiva che le amiche di Eris mi stessero con il fiato e che cercassero in ogni modo di buttarmi fuori dall’agenzia o di fare fuori Antonio, nel peggiore dei modi.
La mia famiglia mi aveva rinnegato…poi c’era Clio, il mio splendore di bambina.
“Domanda di riserva?” chiesi io in tono stanco e mi scompigliai i ricci rossi “Sto solo pensando a una spiaggia tropicale e a un barista a petto nudo che mi serve un cocktail”
“Potrei essere geloso, lo sai” ridacchiò lui e mi ritrovai ad abbozzare un sorriso, mio malgrado. Non ero mai riuscita ad essere arrabbiata con lui. E dire che avevo ucciso per molto meno. Mi faceva incazzare come una bestia ma non sarei mai riuscita a fargli del male.
“Come va al Black Anthesia?” domandai, tentando di girare la conversazione.
“Sfacchinata a non finire” sbuffò stanco, sprofondando sul divano di pelle nera “Francesco e Tommaso non mi danno tregua. Non ho neanche il tempo di riposare, né di vedere Federica”
In quel momento un’ombra di tristezza aleggiò nei miei occhi ma fui abbastanza veloce da farla passare. Per evitare sospetti nell’agenzia, entrambi avevamo concordato che lui doveva avere una vita diversa da me, una ragazza che lo facesse divertire, non una che lo poteva uccidere un giorno sì e l’altro pure. Quel bacio era stato la mia rovina.
Non passava notte che io non lo sognassi, che la sua leggera barbetta solleticasse il mio viso, la sua bocca nella mia, le sue mani a scompigliare i miei ricci rossi,  la felicità che faceva parte di me, dopo l’attacco del principe azzurro e la morte della mia prima figlia, Tersicore.
Lui era il Paradiso a cui non potevo aspirare.
“Tu sai che…”
“Antonio lo sai benissimo che io e te non possiamo stare insieme”
“Perché mi puoi uccidere? Preferirei che fossi tu a spararmi che le tue colleghe!”
Scossi la testa, incapace di reagire. Possibile che non capisse che lo facevo per il suo bene? Meritava una ragazza che lo facesse sorridere, non una come me. E sapevo di non avere il complesso del supereroe, ovvero che nessun supereroe può intraprendere una relazione sentimentale, poiché io ero più l’antagonista delle storie che il cavaliere buono.
Sogghignai pensando a lui che si destreggiava tra i clienti impazziti e lui aggrottò la fronte perplesso “Perché ridi?”
“Hanno seguito le mie istruzioni” sguainai la mia katana ed eseguì dei leggeri movimenti, immaginando avversari invisibili, il sibilo della lama che tagliava i miei pensieri e mi faceva sentire bene, in pace con me stessa.
“Non dire che sei andata da loro!”
Mi misi a sghignazzare di fronte al suo sguardo arrabbiato e sorrisi, un sorriso feroce “Oh, certo che l’ho fatto. Secondo te potevo lasciarti cullare sugli allori? Scattare soldato, non è tempo per pettinare le bambole!”
Istintivamente lui prese la mia pistola calibro 39 sul tavolo e lo avvertii “Non ho messo la sicura. Maneggiala con attenzione, non ho voglia di farti da infermiera”
“D’accordo”
“Tu come stai?”
“Sono stato meglio, non preoccuparti”  replicò lui rassicurandomi ma io sapevo che era stanco “Sylvie che ti ha detto?”
“Che per le ferite riportate durante l’ultimo scontro, beh dovrei stare a letto. Ma non ci penso assolutamente”
“Diagnosi?”
“Tre costole incrinate pericolosamente, sterno incrinato e un ematoma enorme sulla schiena. Diciamo ordinaria amministrazione” sollevai le spalle, mordendomi la lingua per la scarica di dolore che mi aveva attraversato la schiena “Lo sai che sono una tipa d’azione, Antonio!”
“Questo…” e indicò la stanza piena di me “Tutto ciò che vuoi?”
Mi ritrovai a fissarlo, senza avere risposte. No, non era quello che volevo. Volevo svegliarmi la mattina con le mani pulite, volevo dormire e non essere ghermita dagli incubi e dalle urla dei principi azzurri che mi imploravano di non ucciderli, volevo essere baciata, volevo vedere mia figlia sorridere allegramente, giocare con gli altri bambini, libera di essere una persona normale…
“No, non è quello che voglio, d’altronde è questo quello che merito”
“Stai scherzando!”
D’improvviso mi alzai e lo sbattei nel muro, i nostri sguardi che si incrociarono “Io non sono un gattino indifeso Antonio, io sono la tigre con le unghie che graffia. Io sono un’assassina, una bugiarda e ho ucciso la mia migliore amica solo per salvarti. Hai la più pallida idea come mi possa sentire?”
“Tu sei buona Nike…” cercò di dire lui, mentre la mia mano destra gli stava occludendo le vie respiratorie “ Tu sei meglio di questo”
“Perché ti interessi a me?”
Mi baciò d’improvviso, lasciandomi senza fiato e scompigliandomi i capelli. Mi lasciai trasportare da quel bacio, un bacio dettato dalla disperazione di due cuori che volevano solo amare e che erano troppo testardi per accettarsi. Un bacio di cioccolato, dolce e intenso, un bacio di caffè, amaro e corroborante, un bacio da non dimenticare, un bacio che feriva e nel contempo guariva. Finimmo tutte e due sul divano, io sotto di lui, la sua bocca che scendeva sul collo, io che cercavo di non lasciarmi coinvolgere, i nostri corpi che prendevano decisioni diverse dalle menti. Mi slacciò il reggiseno e io in quel momento mi rialzai, considerando quel gesto dispregiativo nei confronti di Federica.
Non dovevo, non dovevo ricambiare il bacio. Inutile piangere sul latto versato.
“Io non amo Federica! Io amo te, brutta caprona”
Scoppiai a ridere amaramente, in quanto il Capricorno era il mio segno “Neanche tu sei meno cornuto di me”
“Colpito e affondato”
Avrei voluto far volare quella camicia blu e farlo mio.
“Perché ti interessi a me?”
“Perché so che hai molto da offrire” rispose in tono debole, le sue labbra piene del mio tocco “E io ci sarò sempre per te”
Deglutii nervosa, mi avvicinai al tavolo, smontai la pistola, pulii il caricatore e la canna, rimisi i proiettili, trovando in quel gesto un modo per calmarmi. Se le persone normali preferivano fare le cose ordinarie come truccarsi o ballare, io preferivo usare una pistola, recarmi al poligono di tiro dell’agenzia, puntare il cane contro una sagoma di cartone e premere il grilletto, evitando, ovviamente, il rinculo.
Ero molto per la serie “Mira e spara”
E le armi che mi piacevano, erano quelle a lunga gittata, perché mi consentivano di stare lontana, di non essere a contatto della vittima. La mia Thanatya la utilizzavo solo per stronzi irrecuperabili.
“Grazie per la tua gentilezza. E adesso vattene”
“Io…”
“Vattene!” urlai, la faccia deformata dalla rabbia
Lui chiuse la porta alle mie spalle e fu allora che distrussi un vaso di cristallo.
  
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